Il cammino di Nibali verso Rio, Slongo ricorda…

13.04.2021
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Le vie della preparazione sono infinite. Spesso particolari, insolite, delicate. Altre volte sono molto più semplici e lineari. Di certo non fu semplice, né lineare quella che nel 2016 riguardò Vincenzo Nibali e il suo coach Paolo Slongo. 

Il tecnico veneto giocò le sue carte in modo impeccabile. E solo quella scivolata dello Squalo, che tutti noi ancora abbiamo negli occhi (purtroppo), pose la parola fine ad un’impresa storica. 

Paolo Slongo, oggi alla Trek Segafredo, per anni ha seguito la preparazione di Nibali
Paolo Slongo, oggi alla Trek Segafredo, per anni ha seguito la preparazione di Nibali

Far regredire la forma

«Bisogna fare un preambolo – racconta Slongo – che spiega perché si decise di utilizzare il Tour de France per preparare le Olimpiadi di Rio de Janeiro 2016. Quell’inverno l’Astana, la squadra di Vincenzo all’epoca, aveva deciso di puntare su Nibali al Giro e su Aru al Tour. A quel punto nacque subito l’idea che la gara francese potesse essere l’avvicinamento ideale. Percorso consueto per arrivare al Giro (che Nibali vinse, ndr) e poi il Tour per trovare la condizione per Rio e dare una mano ad Aru.

«Subito dopo il Giro dovevamo far regredire la forma. Come? La settimana successiva Vincenzo uscì pochissimo, forse un paio di volte: due ore molto blande. Se non ricordo male, fece anche qualche giorno di vacanza con la famiglia, ma con la bici dietro. Poi iniziò a fare più ore, ma sempre in tranquillità. E lo stesso fece al San Pellegrino, nessun lavoro specifico. Giusto un po’ di medio. Quindi arrivò al Tour indietro, ma con il pieno di energie».

Slongo, Cassani e Nibali durante il secondo giorno di riposo di quel Tour
Slongo, Cassani e Nibali durante il secondo giorno di riposo di quel Tour

Quanta fatica

Una volta in Francia la stampa si aspettava, o forse sarebbe meglio dire voleva, un super Nibali. Era la maglia rosa, tutti lo volevano ancora sugli scudi, ma le cose chiaramente non andarono bene in corsa. Le critiche non mancarono e le certezze di Nibali vacillarono.

«Fu subito un Tour difficile – dice Slongo – A volte sul lettino dei massaggi di Pallini, Vincenzo diceva che voleva tornare a casa. “Faccio troppa fatica”, ripeteva. Non ci stava. Nella mia mente invece sapevo che uno come lui se usciva bene dal Giro avrebbe avuto la capacità di ritrovare la forma. Ma certo gli seccava restare indietro». 

Ci fu più di qualche battibecco, ma il buon colpo di pedale dell’ultima settimana calmò gli animi. Negli ultimi arrivi in salita lo Squalo teneva le ruote dei migliori. Vide la luce in fondo al tunnel, si tranquillizzò, riprese umore. «E tornò a sorridere», racconta Slongo.

Nibali e Aru in conferenza stampa al Tour 2016: il clima non era dei migliori
Nibali e Aru in conferenza stampa al Tour 2016: il clima non era dei migliori

La stampa contro

«Le critiche non furono poche – continua il tecnico – la stampa ci attaccò e Vincenzo ci restò male. Fu soprattutto Martinello a criticarci e qualcuno lo seguì. Silvio disse che un campione come Nibali non poteva andare al Tour per allenarsi, che era meglio se avesse fatto il Polonia e scelto altre vie. Eppure noi i nostri programmi li avevamo dichiarati già a fine novembre. L’Astana aveva deciso di puntare maggiormente su Aru, che era più giovane, ma in molti non ci credevano. E comunque tante critiche arrivarono perché oltre a Nibali l’Italia non aveva molto altro, quindi le attenzioni erano tutte su di noi. 

«E poi c’è un’altra cosa che alimentò le tensioni. Un conto è stilare, ed accettare, un programma a novembre magari davanti ad un caffé, un conto è portarlo avanti nel bel mezzo della stagione, con altre pressioni ed altri stress. Quell’anno feci un grande lavoro di supporto mentale. Ho sempre filtrato molto a Vincenzo per proteggerlo».

Nibali lavorò molto per la squadra al Tour 2016, anche per fare fatica
Nibali lavorò molto per la squadra al Tour 2016, anche per fare fatica

La gestione del Tour

Al Tour gli uomini di classifica volano. Nibali arranca. Non è facile in questa situazione. Slongo ha detto che tra Giro e Tour non programmò nessun allenamento specifico, ma allora come si sfruttò la gara, che accorgimenti vennero presi? Per esempio, come si può fare la forza in corsa? Non ti metti certo a fare le Sfr con numero sulla schiena (a parte Ullrich al Giro dell’Emilia!). Non è facile allenarsi in gara nel ciclismo di oggi.

«Paolo Bettini è stato un maestro in questo – riprende Slongo – Prendi la salita dietro, diceva, e rimonti il gruppo se vuoi allenarti in gara. Vincenzo in quel Tour venne spesso a prendere le borracce all’ammiraglia e vide, credo per l’unica volta in carriera, cosa succedeva in coda al gruppo, faceva appositamente fatica. Poi va considerata una cosa. Se tu sei davanti certe salite le fai ad una determinata cadenza, ma se sei dietro arranchi a 60 rpm. Fai una forza naturale. Insomma è la corsa che ti porta in forma, ma questo potevo farlo in un Tour con Nibali, che ha un certo motore, un altro lo avrei “ucciso”. Se fossimo andati al Polonia quella settimana centrale di buco non avrebbe poi portato alla condizione che Nibali aveva a Rio. Ha faticato tremendamente nelle prime dieci tappe, ma poi piano piano è migliorato. Ricordo che nel primo giorno di riposo neanche fece la sgambata, che solitamente si fa».

Ciò nonostante non era facile dire a Nibali di staccarsi. Accumulare distacco gli avrebbe consentito di prendere una fuga più facilmente. «Lui però si staccava e poi restava a 3′. Ma prendine 20′ dico io. Sei Nibali, con 3′ non ti lasciano spazio!».

Nibali
Nibali (a destra) a Rio 2016: ultimi istanti prima dell’attacco in cui staccò tutti
Nibali
Nibali a Rio: ultimi istanti prima dell’attacco in cui staccò tutti

E a Rio?

Questa storia merita una piccola appendice. Il Nibali di Rio era stellare. Slongo seguì Vincenzo a sue spese in Brasile. Prese un agriturismo giusto ai piedi della fatidica discesa. Voleva vedere da vicino come andavano le cose e dare supporto allo Squalo.

«Cassani agevolò molto la mia presenza. Addirittura un giorno sulla salita del circuito feci anche un test del lattato a tutti quanti. E sì che erano, o erano stati, quasi tutti miei atleti. C’erano Caruso, De Marchi, Agnoli, Rosa, Aru e Nibali. Stavano tutti molto bene, solo Aru aveva addosso ancora un po’ di fatica del Tour.

«Il giorno della gara facevo la spola tra la tv e il circuito per vederli passare. Così vidi l’attacco di Nibali in salita alla tv, poi scesi in strada. Ma passò Majka. Eppure mi sembrava il più stanco, pensai. Vincenzo invece continuava a non passare. Risalii in camera e lì capii tutto. Fu davvero un peccato. Sarebbe stata la ciliegina sulla torta, per l’Italia, per lui e per me. Anche perché poi Fuglsang che era con me sul San Pellegrino fece secondo ed Aru e Zeits (in Astana anche lui) entrarono nei dieci»

Chiappucci: «Forza Nibali e lasciamo in pace Ganna»

Giada Gambino
29.03.2021
3 min
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Il ciclismo moderno fa sorgere tante domande, dubbi e perplessità. Claudio Chiappucci, che di questo mondo ne sa davvero tanto, ha accettato di rispondere a cinque domande su cinque temi di attualità e ci ha dato la sua visione… 

Le nuove metodiche di preparazione hanno riscritto l’approccio con le corse
L’approccio con le corse è cambiato radicalmete

Come sta cambiando il ciclismo? 

«C’è stata una grande crescita tecnologica – dice Chiappucci – è mutato molto il mondo attuale sia per la programmazione che per la preparazione. C’è sicuramente in atto un cambiamento». 

Nibali per ora resta il fulcro del ciclismo italiano, in attesa che crescano Ciccone e gli altri
Nibali per ora resta il fulcro del ciclismo italiano

Italia sempre Nibali dipendente? 

«Attualmente – risponde Chiappucci – non abbiamo un giovane che lo possa sostituire. Aspettiamo che alcuni, come ad esempio Ciccone, riescano a crescere da questo punto di vista e farsi valere in un grande Giro. Trovare altri nomi non è impossibile, ma attualmente è difficile; dobbiamo solo aspettare e, nel frattempo, Nibali rimane la nostra grande punta».

Filippo Ganna, Giro d'Italia 2020, Camigliatello Silano
Ganna nei grandi Giri? Basta mettergli pressioni, ha bisogno di crescere e capire
Filippo Ganna, Giro d'Italia 2020, Camigliatello Silano
Ganna nei grandi Giri? Basta mettergli pressioni

Ganna può vincere i grandi Giri?

«E’ presto per dire cosa potrebbe fare lui. E’ un corridore che sta emergendo e che sta subendo un po’ di pressioni. Va molto bene a cronometro – suggerisce Chiappucci – ma bisogna dargli il tempo di crescere e maturare per affrontare anche la salita, che è centrale nelle corse a tappe. Un conto è correre fuori gara per quanto riguarda la classifica generale e vincere una tappa anche abbastanza dura, come ha fatto lui nello scorso Giro d’Italia. Un altro è correre per far classifica, con i migliori ti controllano e non ti fanno andare via così facilmente».

Trek Segafredo donne, Elisa Longo Borghini
Le donne nel WorldTour hanno lo stesso materiale degli uomini
Le donne nel WorldTour hanno lo stesso materiale degli uomini

Come vedi il ciclismo femminile?

«C’è stato un salto di qualità per quanto riguarda tutto ciò che riguarda gli aspetti tecnici e pratici del mondo femminile. Le squadre ci tengono ad avere il meglio per le loro atlete e di fatto le più grandi nel WorldTour hanno lo stesso equipaggiamento dei team maschili corrispondenti. E soprattutto, noi italiani – dice Chiappucci – dovremmo essere orgogliosi di avere atlete di un certo livello che in campo internazionale riescono a farsi valere e ad avere la meglio». 

Inizio stagione 1996, Chiappucci e Pantani con il team manager Boifava, senza procuratori
Inizio 1996, Chiappucci e Pantani con Boifava, senza procuratori

Atleti di ieri e di oggi: le differenze?

«Gli atleti di un tempo – riflette Chiappucci – avevano caratteristiche diverse rispetto agli attuali. Avevano la capacità di farsi da soli, erano grandi atleti. Oggi i ciclisti di grande livello hanno tutto a disposizione grazie alla tecnologia e hanno uno staff ben composto e articolato che li aiuta in vari ambiti. Uno come me è stato capace di fare tutto da sé. Non ho avuto bisogno di manager o altre figure a sostegno della mia immagine, ci pensavo io».

Piepoli senza freni: su Vdp, Nibali, Bettiol e Valverde

15.03.2021
5 min
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Leonardo Piepoli, allenatore di Alberto Bettiol e altri corridori con cui parla raccogliendone i dati e gli umori, sulla vittoria di Van der Poel a Castelfidardo ha una visione di straordinaria leggerezza che, osservando l’olandese, è difficile non condividere. Il guaio però è che a questa leggerezza si affianca il senso di frustrazione che avere a che fare con un corridore così genera nel resto del gruppo. E così, senza averlo premeditato, ci troviamo in un viaggio tecnico che spiega tanti aspetti delle ultime settimane.

Bettiol, secondo Piepoli, non è troppo lontano dai primi tre: gli serve più convinzione
Bettiol, secondo Piepoli, non è troppo lontano da quei tre
Il primo pensiero dopo averlo visto attaccare a più di 50 chilometri dall’arrivo è che avesse finito la benzina, quindi un errore di alimentazione, e che abbia portato a casa la sua immensa impresa raschiando il fondo del barile…

Secondo me la chiave è una dichiarazione di Van Aert di qualche giorno fa. «Quando Mathieu corre con intelligenza, non lo batte nessuno». La sensazione è che lui si diverta a fare quello che fa, con lo stesso spirito di quelli che il mercoledì giocano a calcetto e provano i colpi più impensabili. D’altra parte, essendo uno che vince tutto e tutto l’anno, che differenza volete che faccia una corsa piuttosto che un’altra?

Intelligenza, parola interessante…

Forse anche troppo impegnativa, parliamo di intelligenza tattica. Per come lo vedo io, non è uno che ha bisogno di fare tanti calcoli. A Kuurne è partito a 80 chilometri dall’arrivo, l’anno scorso stessa cosa al Bink Bank Tour. Gli piace. Certo se perdesse per un eccesso di allegria il Fiandre o il mondiale, siate certi che in squadra ci sarebbe più tensione.

In gruppo come lo vivi uno così?

Male, lo vivono malissimo. Non solo lui, ma anche Van Aert e Alaphilippe. Si demoralizzano: cosa andiamo a fare? Si passano mesi a studiare le ripetute e l’altura, ma a che scopo? Tu studi la compensazione e loro arrivano alla prima corsa e vincono. D’accordo che non è la prima corsa, perché prima hanno fatto il cross, ma sono destabilizzanti. Non è detto però che il rimedio sia fare cross e mountain bike come loro.

Non male Valverde alla Strade Bianche, ma lontano dal suo top
Non male Valverde alla Strade Bianche, ma lontano dal suo top
Qualcuno ci starà pensando, in effetti…

Ricordo che un anno mi trovai ad allenarmi con Mondini, che ai tempi correva con Armstrong e andava agilissimo come Lance. Gli chiesi perché. Oppure ricordo quando correvo con Freire, che in allenamento stava sempre a ruota degli amatori, poi prima di Sanremo e mondiali, faceva dei lunghi dietro moto con suo fratello e vinceva. E’ sbagliato voler emulare corridori che hanno talenti fuori dal comune. Non ne vieni fuori e non serve.

Però intanto Nibali ha lasciato Slongo cercando qualcosa di diverso dai soliti schemi…

Nibali ha fatto bene a cambiare, perché forse quel che mancano sono gli stimoli, ma lui e Valverde non sono esattamente l’espressione di un metodo di ciclismo che ora viene messo in discussione. Non sono mai stati un modello di metodicità. Ragazzi seri, puntuali nel lavoro, ma naif. Vincenzo aveva lo schema Nibali, che comprendeva già in partenza di fare meno giorni di altura di quel che prevede la letteratura scientifica, oppure di dormire un po’ più in basso per avere con sé la famiglia. E’ giusto cambiare, ma non è che cambi pelle.

Che cosa intendi?

Tempo fa ero a correre a piedi in Liguria e ho incontrato gli juniores del Casano, la squadra in cui ho fatto i dilettanti. Passandogli accanto, ho notato che il più basso di loro era alto quanto me. Io non sono mai stato il più basso in squadra: ero il più alto dei bassi e il più basso degli alti. Questo per dire che l’uomo si evolve, le prestazioni crescono e ci sono studi veri che lo dicono. Ganna da U23 ha fatto il record del mondo di inseguimento che Collinelli aveva fatto nel pieno delle sue forze, con l’aerodinamica di oggi che ha migliorato quella del manubrio a canna di fucile di allora.

Ha fatto bene Nibali a cambiare, ma secondo Piepoli per vincere non basta più il 70%
Ha fatto bene Nibali a cambiare, ma secondo Piepoli per vincere non basta più il 70%
Quindi?

Quindi si possono inseguire questi giovani più forti, ma sapendo che sono più evoluti di atleti che hanno debuttato 15 anni fa. Ci sta che Nibali faccia fatica e come lui Valverde. Prima per vincere a entrambi bastava essere al 70% e potevano starci per sei mesi all’anno. Ora per vincere devono essere al 98% e ci riescono per quattro settimane. Sono ancora convinto che possano fare grandi cose, ma tutto deve incastrarsi alla perfezione.

E Bettiol come si colloca, lui che è nell’età di mezzo?

Alberto non è troppo lontano da Van der Poel e Van Aert. Se a Van Avermaet servono 10 circostanze favorevoli per batterli, a lui ne basta una. Deve convincersi. E tutto sommato aspettare che scatti questa convinzione per chi lavora con lui è anche frustrante.

VdP si è divertito e ha vinto. Se avesse perso, si sarebbe divertito lo stesso…
VdP si è dicvertito e ha vinto. Se avesse perso, si sarebbe divertito lo stesso…
Quindi tornando alla tappa di ieri?

Van der Poel si è divertito e la squadra ha fatto bene a lasciarglielo fare. Magari al Fiandre gli parlerei diversamente: «Aspettiamo che siano stanchi e non siamo per forza noi a doverli stancare». Ma per lui che ha vinto tutto, dal triciclo alla mountain bike, passando per strada e cross, mondiali ed europei, credete che una tappa alla Tirreno rappresenti tanto più del cross del paese? Si è divertito e ha fatto l’impresa. Ma se anche Pogacar lo avesse ripreso, si sarebbe divertito lo stesso.

Bettini: «E’ora di tornare a vincere la Doyenne»

12.03.2021
3 min
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C’è un fattore che caratterizza la Liegi-Bastogne-Liegi e che inorgoglisce particolarmente Paolo Bettini quando si ritorna a parlare di quella classica che, fra le tante che il Grillo ha vinto, più ha identificato la sua carriera.

«La Doyenne è, insieme al Lombardia che però arriva a fine stagione – spiega il toscano, in apertura sul traguardo del 2002 – l’unica classica che davvero mette a confronto gli specialisti delle corse d’un giorno con quelli che vanno a caccia dei grandi Giri. E’ come un terreno di battaglia diverso, aperto a tutti, quel giorno ci si confronta per capire davvero chi è il più forte. Lo dice la storia, vedi Nibali che è giunto secondo o Basso che insieme a me si giocava la vittoria. E’ una sfida affascinante quanto poche altre».

Nibali è andato vicino alla Liegi del 2012, ma fu beffato da Iglinskiy
Nibali è andato vicino alla Liegi del 2012, ma fu beffato da Iglinskiy
L’hai vinta nel 2000 e 2002: che cosa serve per emergere alla Liegi?

Deve essere il giusto connubio fra fisico e mente, come d’altronde in tutte le competizioni ciclistiche. Chi vince riesce sempre a farlo perché mette d’accordo queste due componenti. Sicuramente la Liegi è una gara completa, che va saputa interpretare.

Tatticamente è diversa dalle altre classiche?

Diciamo che è più strutturata, più definita nella sua trama, difficilmente esula dal copione stabilito alla vigilia. Sai che le prime parti della gara sono di assestamento, chi attacca all’inizio non ha speranze. La gara si accende dopo La Roche aux Faucons e la Redoute, che viene prima, dà sempre verdetti che poi, anche se non sono definitivi, hanno comunque un peso importante sul suo esito finale. Per questo servono grande condizione e testa, devi essere attento nelle fasi decisive e avere le gambe per recitare il tuo ruolo.

E’ una corsa per scalatori?

Per certi versi sì. Se si pensa che il suo dislivello totale supera i 5.000 metri, siamo in presenza di qualcosa che somiglia moltissimo a una grande tappa alpina. Per questo chi è specialista delle grandi corse a tappe qui può fare il colpaccio e Roglic lo scorso anno lo ha dimostrato. Non basta però andar bene in salita, devi essere esplosivo. Io non avrei mai potuto primeggiare sullo Stelvio o sul Pordoi, ma in quel tipo di corse mi trovavo a mio agio…

Anche Formolo è arrivato secondo a Liegi: nel 2019, dietro Fuglsang
Anche Formolo è arrivato secondo a Liegi: nel 2019, dietro Fuglsang
Chi identifichi come corridore italiano adatto alla Doyenne?

Il primo nome che mi viene in mente è sempre lo stesso: Vincenzo Nibali, a dispetto dell’anagrafe è proprio l’uomo fatto su misura per la Liegi, poi non so se quest’anno la correrà, ma è davvero incredibile che un corridore simile non sia nell’albo d’oro della Doyenne. In alternativa mi viene in mente Davide Formolo, che su quelle strade ha già dimostrato di poter far molto bene, proprio perché incarna le caratteristiche giuste, sia tecniche che tattiche, per emergere e finalmente tornare a far sventolare il tricolore a Liegi.

Nibali attacca e Pallini non c’è. Nostalgia canaglia…

25.02.2021
4 min
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Pallini è a casa e oggi che al Uae Tour Vincenzo ha finalmente attaccato, le sue sensazioni sono davvero strane. Tornerà con lo Squalo dalle prossime corse e nel frattempo lo segue con messaggi e chiamate ogni due, tre giorni. L’inverno no, l’inverno lo ha trascorso tutto con il siciliano. Lo ha visto lavorare bene e con motivazione in palestra, lo ha salutato quando soltanto all’ultimo momento è andato in Sicilia per abbracciare la famiglia.

Jonas Vingegaard, 24 anni, vince la tappa di Jebel Jais
Jonas Vingegaard, 24 anni, vince la tappa di Jebel Jais

Doppia tinta

Ci sono due aspetti che oggi stridono nel raccontare Nibali. Da una parte lo scherzo delle Iene e dall’altra la morte prematura di Giuseppe Milone, il ragazzino siciliano che indossava la maglia della sua squadra.

«Non so bene come l’abbia presa – dice Pallini – perché probabilmente questo ragazzo non era intimo con la sua famiglia come Rosario Costa. Comunque non è mai bello, perché pensi che lui magari corresse in bicicletta per imitare te e ti senti addosso questa responsabilità. Quanto allo scherzo delle Iene, quella caduta uscendo dall’albergo poteva costargli caro, per fortuna ha preso soltanto un colpo ad una costola. Poi, tra l’altro, la scena hanno anche dovuto rifarla. Uscendo infatti, Vincenzo si è accorto che sull’auto di Carera c’era qualcuno con una telecamera e ha mangiato la foglia. Per cui il finale dello scherzo è stato girato una seconda volta».

La Uae Team Emirates si è stretta attorno a Pogacar
La Uae Team Emirates si è stretta attorno a Pogacar
Come ti sembra che stia andando, guardandolo alla televisione?

In realtà sto guardando molto poco le tappe in diretta, avendo i bimbi cui pensare, però riguardo i filmati la sera e leggo sui social. Mi pare di aver capito che sul primo arrivo in salita abbiano fatto il record di scalata, quindi anche il tempo di Vincenzo deve essere stato buono. La gamba c’è. In realtà mi fa strano non esserci, per questo cerco di distrarmi.

Proprio con Vincenzo qualche tempo fa abbiamo parlato delle sue motivazioni.

Sicuramente è molto concentrato e con voglia di fare bene. Dopo un anno come l’ultimo, è comprensibile che abbia voglia di riscatto, per la stagione in sé e per avviarsi meglio eventualmente alla fine della carriera. Forse è l’unico momento in cui è in difficoltà è a tavola, perché fa proprio fatica. Però magari si ritroverà tutto questo dalla primavera in avanti, quando andrà forte anche grazie al fatto di non essere partito subito a tutta. Comunque è innegabile che quando hai famiglia, le cose cambiano.

Pallini e Nibali hanno condiviso momenti indimenticabili: qui al Tour 2014
Pallini e Nibali hanno condiviso momenti indimenticabili: qui al Tour 2014
In che senso?

Prendiamo uno come Tiberi, lasciando stare il fatto che sia caduto. Lui è partito per gli Emirati, poi senza nessun problema potrebbe andare a Laigueglia e semmai soltanto dopo tornare a casa. Vincenzo invece ha la quotidianità della famiglia, le cose che deve fare a Lugano e quindi anche stare lontano da casa a lungo andare diventa più pesante.

Non ha cominciato propriamente piano…

A Besseges, su percorsi non certo adatti a lui, è andato abbastanza bene. Poi è tornato a casa ed ha trovato temperature intorno ai 5 gradi, alle quali non è mai facile allenarsi. Quindi è andato negli Emirati dove ha trovato corridori che vanno già a mille. Per uno come Pogacar, quella corsa viene appena dietro il Tour de France. Anche Adam Yates è andato fortissimo. Il primo giorno Vincenzo mi ha mandato una foto in cui lo si vedeva in fondo al gruppo ed ha scritto che non riusciva a tenere le ruote.

Pogacar mantiene saldo il comando
Pogacar mantiene saldo il comando
E tu che cosa gli hai risposto?

Gli ho detto di ascoltare molto le sue sensazioni e che con il passare dei giorni le cose sarebbero migliorate e per fortuna così è stato.

Cosa ti ha detto invece oggi?

Che si sente meglio rispetto alla prima tappa. E rimasto molto impressionato quando lo hanno passato i primi, dalla velocità che avevano.

Quando ricomincerai a massaggiarlo?

Spero di essere nuovamente in gruppo alla Strade Bianche e poi di continuare con il solito programma. Ci sono un sacco di cose da fare

Il biberon e la bici: la nuova vita di Antonio

20.02.2021
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Se chiedete ad Antonio Nibali quali siano le novità di una bimba nata da poco, farà un grosso sorriso da padre innamorato e vi racconterà che anche la notte scorsa si è svegliato ogni quattro ore e ha preparato il biberon, lo ha portato a sua moglie Michela e si è rimesso a dormire. Poi, ripensandoci, aggiungerà che quest’anno per la prima volta da quando è al mondo, non è sceso a Messina per le Feste.

«Siamo rimasti sempre a casa – sorride – facendo Natale con i genitori di Michela. Andare in aereo con una bimba di due mesi soprattutto di questi tempi non era tanto il caso. E anche farle fare otto ore di macchina. Però il tempo che cresca un po’ e che le cose magari cambino e andiamo giù per far conoscere Mariasole ai nonni».

Nel 2019 all’elezione di Miss Ciclismo, Antonio assieme ad Andrea Garosio
Nel 2019 a Miss Ciclismo, Antonio con Andrea Garosio

Il giro delle case

Antonio prosegue nel suo giro d’Italia che lo ha portato a Mastromarco sulle orme di Vincenzo, poi a Guanzate in provincia di Como e ora nelle Marche, nella splendida Filottrano, che agli amanti del ciclismo ricorda Michele e non potrebbe essere altrimenti. Per un giovane padre che di mestiere fa il corridore probabilmente è la dimensione ideale: non per nulla e per non tradire le sue radici, Scarponi rifiutò sempre di trasferirsi in località più convenienti. E Antonio per ora ci ha messo le radici.

Come è andato l’inverno?

Abbastanza tranquillo, passato praticamente fra casa e bicicletta. Mi sono sempre allenato perché il tempo me lo ha permesso. Il 2020 è stato brutto per tutti, ma devo dire che soprattutto per me il Giro è stato un bel momento. Sono stato sempre davanti cercando di dare il massimo. Magari non vinci né fai piazzamenti, ma te ne accorgi se in salita rimani in un gruppo di 20 oppure resti indietro. E io alla fine sono sempre migliorato, anno dopo anno.

Antonio ha seguito Vincenzo dal Team Bahrain alla Trek-Segafredo
Ha seguito Vincenzo dal Bahrain alla Trek-Segafredo
Che cosa ti aspetta nel 2021?

Un bel programmino. Nel prossimo fine settimana correrò in Francia: Ardeche e Drome. Poi verrò in Italia per fare Laigueglia e Larciano e da lì Coppi e Bartali, un ritiro in altura con la squadra e uno fra Tour of the Alps e Romandia. In teoria dovrei essere riserva nella prima e correre in Svizzera, ma ho chiesto di invertire per avere più stacco prima del Giro d’Italia.

Quando ti incrocerai con Vincenzo?

Probabilmente per Laigueglia e Larciano, al Tour of the Alps se riesco a farlo e ovviamente al Giro.

Il tuo ruolo nella squadra del Giro sarà lo stesso del 2020?

Bisognerà prima capire le tattiche di squadra. Se avremo Vincenzo e Giulio (Ciccone, ndr) in classifica, ovviamente non si potrà neppure andare in fuga. Quando le altre squadre vedono che i compagni di due come loro provano ad anticipare, immaginano che vogliano preparare un attacco e per sicurezza vengono a prenderti. Anche se magari volevi solo andare in fuga. Se invece non saranno in classifica, allora magari ci sarà spazio. Non abbiamo ancora deciso come correremo.

Da quello che ci ha raccontato, Vincenzo vorrebbe essere libero da obblighi di classifica.

Visto l’anno da cui veniamo, si può anche capire. E’ stato strano il 2020, siamo arrivati al Giro a ottobre facendo poche gare prima e una sola corsa a tappe: la Tirreno-Adriatico. Quindi non è stato un test molto attendibile. Io ho idea che se quest’anno nelle corse prima si rendesse conto di essere competitivo, anche l’approccio al Giro potrebbe essere diverso e farebbe classifica. Bisogna solo cominciare…

Nel 2019 corre il secondo Giro e si mette in luce in supporto di Vincenzo
Nel 2019 corre il secondo Giro e si mette in luce
Con chi ti alleni di solito?

Per ora sono uscito spesso con Stacchiotti, che abita a Porto Recanati. Abbiamo da fare un quarto d’ora a testa per incontrarci. Oppure con Garofoli, che viene da Castelfidardo che sta a 10 minuti. Altrimenti se loro non ci sono, qualche amico cicloamatore. Qui si sta veramente bene, c’è una buona qualità di vita e non c’è tanto traffico. Il mare è abbastanza vicino, la temperatura è buona e nell’entroterra ci sono delle belle salite. Quelle su cui si allenava anche Scarponi.

Hai già cominciato ad Almeria?

Esatto, ma lì salite poche… Era una corsa per velocisti e sono stato in gruppo. Diciamo che è stato un giorno di allenamento diverso, facendo ritmo. Come sapete, le volate non fanno per me.

Il Giro, le Tre Cime, Nibali e la neve

17.02.2021
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Pare che il prossimo Giro d’Italia farà tappa sulle Tre Cime di Lavaredo, luogo storico, mistico, stupendo. Le leggende che si aggirano sui tre grandi bastioni dolomitici sono tante e antichissime, ma quelle legate al ciclismo sono più recenti. Nacquero nel 1974 quando la corsa rosa vi salì per la prima volta e quelle rampe, micidiali e irregolari, mandarono in crisi persino Eddy Merckx. 

Da allora il Giro si è arrampicato lassù altre quattro volte. Noi in particolare ci ricordiamo bene dell’ultima: il 25 maggio 2013.

Nibali trionfa sulle Tre Cime e conquista il suo primo Giro
Nibali trionfa sulle Tre Cime e conquista il suo primo Giro

Verso la tempesta

Quel giorno “non era maggio”, ma inverno pieno! Il Giro aveva incontrato tanta pioggia sin dalle prime tappe e freddo intenso sulle Alpi occidentali e proprio quando sembrava fosse esplosa la primavera, il meteo cambiò radicalmente durante la cronoscalata da Mori a Polsa. I primi partirono con 30 gradi, un sole che spaccava le pietre e tutta la consueta afa del fondovalle dell’Adige. Gli ultimi arrivarono su con il diluvio e una manciata di gradi sopra lo zero.

Il peggio però stava per venire. Il giorno dopo si doveva disputare un tappone storico con Tonale, Gavia, Stelvio e arrivo in Val Martello. Invece nulla di tutto ciò andò in scena. La carovana si svegliò in Val di Sole con parecchi centimetri di neve a terra. Impossibile salire due chilometri più in alto, vale a dire alle quote di Gavia e Stelvio.

Vegni a quel punto pensò solo a salvare il gran finale delle Tre Cime. Tanto più che Vincenzo Nibali era in maglia rosa.

Nibali re del Giro

Il giorno dopo la tappa fu rivista. Via i passi più alti, si scalarono “solo” il Tre Croci e appunto le Tre Cime. L’Astana, la squadra in cui militava Nibali in quel 2013, non lasciò molto spazio ai fuggitivi. L’occasione di trionfare tra la folla e il contorno imbiancato era unica. Un poster da appendere in salotto per lo Squalo. In più i tifosi erano in delirio e quasi tutti per lui.

Ma certo non era facile gestire quel freddo intenso. A Misurina, all’imbocco della salita, c’era mezzo metro di neve. I bus furono fatti fermare lì. Impossibile salire fin lassù con quei bestioni. In cima era stata allestita nella notte dall’Esercito una tensostruttura per far cambiare i corridori.

Quando il gruppo attaccò l’erta finale riprese a nevicare. In certi momenti era quasi complicato distinguere i corridori.

Nibali aumenta e pian piano tutti cedono. Il Giro è ad un passo. Lo Squalo non vuol rischiare nulla. Nessun fuorigiri. E così improvvisa una sorta dei suoi tipici 40”-20” che era solito fare in allenamento. Tre, quattro progressioni. Solo i colombiani, che per assurdo non sentono il freddo, sembrano tenere il passo. Duarte, Uran, Betancur… arrivano ad una manciata di secondi da Nibali.

Scarponi quel giorno arrivò 13° a 1’14” da Nibali
Scarponi quel giorno arrivò 13° a 1’14” da Nibali

Neve e coriandoli

La voce dello speaker, Stefano Bertolotti, è più emozionata del solito. Le sue parole sono l’unica cosa chiara in quella bolgia. La nevicata è fittissima. I fotografi sull’arrivo, tra i fari delle moto e i fiocchi di neve, fanno fatica a mettere a fuoco Nibali. I coriandoli si mischiano alla neve.

Vincenzo esulta. E’ stremato ma non congelato. In fin dei conti, a parte la breve discesa del Tre Croci, la frazione era tutta a salire. Tuttavia questi scriccioli consumati dalla fatica del finale di Giro vanno preservati e infatti “venti centimetri” dopo il traguardo Michele Pallini ha già avvolto Nibali in una giacca a vento. Nel frattempo arrivano tutti gli altri. E senza neanche scendere di sella s’infilano sotto il tendone. Si cambiano in fretta. Indossano le giacche a vento, i guanti da sci, si arrotolano un asciugamano al collo e scendono verso i bus, mentre molti colleghi ancora lottano con quelle rampe che più volte toccano il 18 per cento.

Una veduta della salita finale quel 25 maggio 2013
Una veduta della salita finale quel 25 maggio 2013

Sala stampa in fuga

Passa la buriana, del post arrivo, ma non della tempesta. Tutti noi giornalisti siamo nella sala stampa allestita nel rifugio Auronzo, alla base della Cima Grande, quando un tizio entra e ci dice: «Signori dovete sgombrare velocemente perché la neve sta attaccando e rischiate di rimanere bloccati qui». E così ecco un altro fuggi fuggi generale.

Mentre scendevamo ci godevamo lo spettacolo della neve, sempre più alta, e della gente che nonostante il freddo era contenta mentre imbacuccata scendeva a valle. Aveva assistito ad una pagina storica del ciclismo e al trionfo di Nibali in maglia rosa sulle Tre Cime di Lavaredo. Una bella storia da raccontare ai nipotini o più semplicemente agli amici. E che speriamo di rivivere, magari senza troppo freddo, al prossimo Giro.

Giro della Lunigiana, palestra dei futuri campioni

05.02.2021
5 min
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Ne sono passati tanti, di campioni, attraverso le strade del Giro della Lunigiana. Ne abbiamo sentito parlare pochi giorni fa da Johnny Carera, come cartina al tornasole per corridori di sicuro avvenire (in apertura il podio 2019, con Piccolo davanti a Martinelli e Piras). La storia della più importante corsa a tappe italiana per juniores ha subìto lo scorso anno l’ultimo stop, naturalmente per Covid, ma nel corso della sua evoluzione non è stato un caso isolato. Basti pensare che dal 1950 la gara, che era nata nel 1929 per mano dell’Us Vezzanese, era stata cancellata dai calendari, per poi essere ripresa in mano dall’Us Casano nel 1975. Da allora si era andati avanti ininterrottamente fino al 2014, anno nel quale la corsa era saltata per problemi interni all’organizzazione, attraversando anche il grande passaggio dalla categoria dilettanti a quella junior, all’inizio degli anni Ottanta.

Corsa di casa

Renato Di Casale, direttore generale della corsa, è un po’ la memoria storica del Giro, sempre disegnato in questo territorio di confine fra Liguria e Toscana con tutte le tappe fra le province di La Spezia e Massa Carrara (anche se in qualche edizione si “sforò” nel Pistoiese con la tappa di Lamporecchio).
«La cosa curiosa – dice – è che il Giro della Lunigiana rinacque per dare un terreno di battaglia fra due grandi rivali dell’epoca. Corrado Donadio, che quel Giro lo vinse, era sempre sfidato da un corridore di La Spezia, allora pensammo che una gara a tappe potesse essere l’ideale per dirimere la questione e così fu».

Si corre a cavallo fra le province di La Spezia e Massa Carrara: scenari bellissimi, rampe ripide (foto Giro della Lunigiana)
Si corre a cavallo fra La Spezia e Massa Carrara (foto Giro della Lunigiana)

Paesi e regioni

Il passaggio alla categoria juniores comportò anche un regolamento particolare.
«Il Giro doveva essere per rappresentative – dice – questo consentì l’adesione di nazionali estere. A cominciare dal 1979 con Cecoslovacchia e Polonia e la presenza delle squadre del Blocco dell’Est, rimase sempre una caratteristica della corsa, uno dei pochi punti d’incontro tra americani e sovietici sui pedali. Potevano partecipare le squadre nazionali e le rappresentative regionali, metà e metà, con qualche eccezione. Non potevamo non dare spazio anche alla società organizzatrice e alle formazioni di rappresentanza per le province interessate… Erano tempi molto particolari, ricordo ad esempio un anno nel quale la nazionale polacca non voleva rientrare in patria e qualche corridore scappò… Il Giro della Lunigiana divenne il corrispettivo autunnale e per junior del Giro delle Regioni, che si svolgeva in primavera ed era riservato ancora ai dilettanti».

Per Antonio Tiberi, nel 2019 piazzamenti e subito dopo l’oro al mondiale crono di Harrogate (foto Giro della Lunigiana)
Per Tiberi piazzamenti, nel 2019 poi l’iride crono (foto Giro della Lunigiana)

Cunego e Nibali

Nel corso degli anni sono tantissimi i corridori passati attraverso il Giro della Lunigiana che poi hanno avuto una grande carriera professionistica. Qualcuno era ancora acerbo, come nel 1982, quando la nazionale italiana presentò gente come Gianni Bugno e Franco Ballerini, ma la corsa la vinse il sovietico Yuri Abramov (Bugno però era finito secondo l’anno prima). Sulle sue strade hanno pedalato anche campioni del mondo come Moreno Argentin, Maurizio Fondriest e Paolo Bettini, terzo nel ’92.
«Io però – riprende Di Casale – ne ricordo due che già da junior erano vincenti: Damiano Cunego primo nel ’98 e Vincenzo Nibali nel 2002, si vedeva che ne avevano tanto di più degli altri, soprattutto il grande siciliano».

Nel 2019 secondo Martinelli, qui con il Ct De Candido, che finirà sul podio dei mondiali di Harrogate (foto Giro della Lunigiana)
Nel 2019, Martinelli fu 2° anche ai mondiali di Harrogate (foto Giro della Lunigiana)

Aspettando Brenner

Tanti altri che al Giro sono emersi non sono poi diventati campioni. Ripensandoci, a Di Casale viene però in mente un corridore dalla partecipazione molto recente e che ha ancora tutto il tempo per emergere.
«E’ il tedesco Marco Brenner (quest’anno al suo esordio fra i pro’ nel Team Dsm, ndr), che nel 2019 vinse tre tappe, ma non finì neanche sul podio tutto italiano, con la vittoria di Andrea Piccolo. Ebbi forte la sensazione che gli avessero fatto la guerra in casa, nella sua nazionale, per questo perse, senza nulla togliere all’azzurro».

Effetto Remco

Parlando di campioni passati per il Lunigiana, il direttore di corsa Alessio Baudone non ha però dubbi nell’indicare chi l’ha più impressionato.
«Remco Evenepoel, primo nel 2018 – dice – mai visto un corridore spaccare la corsa come lui, appena si partiva andava al doppio della velocità degli altri, un atleta potente e intelligente come nessuno. Un altro che andava davvero forte era lo sloveno Matej Mohoric, primo nel 2012, in discesa era veramente un funambolo già allora».

Nel 2019 tre tappe per il tedesco Brenner, oggi pro’ al Team Dsm (foto Giro della Lunigiana)
Nel 2019 tre tappe per il tedesco Brenner (foto Giro della Lunigiana)

Il giallo Bettiol

C’è un episodio, risalente all’anno prima, che però ha segnato l’esperienza di Baudone alla guida della corsa ligure-toscana.
«Nel 2011 l’ultima tappa nacque sotto una cattiva stella – racconta – con un diluvio che costrinse a togliere la classica salita di Fosdinovo, appuntamento topico ogni anno. Su una curva verso Marina di Carrara ci fu un ruzzolone generale e dovemmo fermare la corsa. Alberto Bettiol, che era al comando della classifica, venne verso di noi dicendo che gli faceva molto male la gamba: lo portammo di corsa all’Ospedale di Sarzana, ma i controlli furono negativi e la dottoressa gli diede il nullaosta per tornare in gara. I responsabili del team della Lombardia piantarono una polemica enorme, ma avevo applicato i regolamenti e l’Uci mi diede ragione, così Bettiol si aggiudicò la gara».

Nibali, i giovani nel mirino (e uno in camera)

14.01.2021
3 min
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Avevamo lasciato Nibali con quello scatto bellissimo al Sestriere di lui che, appena tagliato il traguardo, allunga il braccio verso Rohan Dennis per complimentarsi per quel che hanno fatto lui e Geoghegan Hart. L’inglese andava in senso opposto in direzione del podio, Vincenzo se ne tornava da solo ai bus. 

L’altro ieri, con un volto disteso e finalmente un sorriso ritrovato, Vincenzo Nibali ha annunciato al mondo i suoi programmi. Lui e la Trek-Segafredo sono in ritiro in Spagna. Nei primi giorni pochi chilometri e molti impegni: foto, rapporti con gli sponsor, conoscenza dei nuovi arrivati. Tra i questi i giovani. 

Giovani vs vecchi

E proprio sui giovani abbiamo insistito con lo Squalo. La stagione appena conclusa ha visto la ribalta dei “ragazzini” terribili. Okay, a quanto pare il covid sembra averli avvantaggiati, ma di fatto Pogacar, Evenepoel e company vanno e forte e se proprio non fanno paura sarebbe sbagliato non temerli per il prossimo anno, anche se ti chiami Nibali. E Vincenzo lo sa.

Ma questi fenomeni potranno andare così forte per tanto tempo? Avranno una carriera lunga come quella di Nibali? In fin dei conti lo Squalo crescendo lentamente è arrivato a 36 anni ancora competitivo. Punta a Giro e Olimpiadi

«Oggi la scienza è andata avanti e i ragazzi diventano più forti prima che in passato – spiega Nibali – E’ tutto controllato. Però è anche vero che spendono molto di più. Si consumano maggiormente. E non so se potranno arrivare ad avere carriere molto lunghe. Forse sì, forse no. Si dice sempre che un atleta raggiunge il suo massimo a 30 anni, adesso questo succede a 20».

Rohan Dennis, Vincenzo Nibali, Sestriere, Giro d'Italia 2020
Rohan Dennis e Vincenzo Nibali al Sestriere, Giro d’Italia 2020
Rohan Dennis, Vincenzo Nibali, Sestriere, Giro d'Italia 2020
Dennis e Nibali al Sestriere, Giro 2020

In camera con Tiberi

Ma uno dei giovanissimi rampanti Nibali ce l’ha anche in casa e si chiama Antonio Tiberi. Il laziale è in camera con lui ed è lo Squalo a raccontarlo, non senza sorridere. Questa convivenza spagnola sa tanto di vecchio e giovane!

«Con Antonio condivido la camera. Non è stata una scelta mia, ma va bene così! E’ molto giovane ha fatto solo un anno tra i dilettanti, ma è già serio. Bisogna dargli tempo e vedere come cresce. Gli darò tanti consigli. Alimentazione, allenamento… ma un po’ per volta!».

I due in realtà già si conoscono. Proprio pochi giorni fa Tiberi ci aveva detto che durante le feste di Natale era uscito con Nibali nei pressi di Fiuggi. Evidentemente il team manager Luca Guercilena, autore di questa scelta, ci aveva visto subito lungo. I due hanno anche una certa somiglianza fisica. «Anche se lui – dice Nibali – è molto più cronoman di me».

I due corridori in qualche modo possono avere un bel feeling. Se non altro per essere campioni nel Dna. Vincenzo lo è anche nel palmares. Antonio ha tutte le carte in regola per riempire la sua bacheca.

Antonio Tiberi (ancora 19 anni) è in camera con Nibali
Tiberi (ancora 19 anni) è in camera con Nibali

L’esperienza insegna

Tiberi è una delle rarità italiane, visto che molte delle nuove super leve sono straniere. Nibali ricorda di quando dovette lasciare la sua Sicilia da adolescente e di quanto tutt’ora le cose, se pur migliorate, siano difficili. All’estero si è lavorato meglio.

Covid o non covid, vittorie o non vittorie, Evenepoel, Hirschi, Pogacar, Hindley, Geoghegan Hart sono delle realtà. E questa stagione non è stata vana sotto questo punto di vista per Nibali. Lui sa che dovrà prepararsi al meglio e magari anche in modo diverso per contrastare questi ragazzini. E per far sì che in cima al Sestriere le gerarchie siano ristabilite. Che la pacca sulla spalla non sia un passaggio di consegne, ma al contrario un “congratulazioni vecchio”.