Alessandra Fedrigo è Marketing & Innovation Director presso NamedSport. Gli inconfondibili gonfiabili arancioni sono ancora una volta al seguito del Giro d’Italia, ma questa volta la scelta di farne parte non è stata assolutamente banale.
Abbiamo incontrato Alessandra alla partenza da Castrovillari, nel baccano tutto sommato composto della gente di Calabria.
Che cosa è cambiato con il Covid per Named al Giro?
E’ cambiato innanzitutto l’approccio. Non ce la siamo sentita di fare tutte le attivazioni degli altri anni, perché il nostro scopo è garantire alle persone che lavorano con noi e ai nostri ospiti una sicurezza pressoché totale, che in questa situazione non ci siamo sentiti di dare. Quindi abbiamo accettato di essere presenti, sia pure in una maniera diversa rispetto al passato.
Credevate che il Giro si sarebbe fatto?
Già dall’inizio della stagione abbiamo temuto il peggio per tutta la nostra attività. Chiaro che poi siamo stati molto contenti che il Giro si sia potuto tenere, anche se si svolge alla fine di quella che per noi è la stagione commerciale. Per cui è un evento completamente diverso, una struttura diversa. Ma abbiamo voluto essere presenti, per supportare il mondo del ciclismo e degli eventi. Però chiaramente è una situazione molto diversa.
Cosa ha significato il Covid sul piano commerciale?
Il Covid si è presentato nel clou della stagione. Quindi per i canali classici è stato tutto molto più complicato, mentre negli altri abbiamo avuto i nostri riscontri. Chiaro che non è stato un anno come gli altri, ma le cose vanno così per tutti.
Essere al Giro è un valore aggiunto?
Normalmente sì. Questa volta è strano, perché la stagione per noi è terminata e riprenderà nella primavera del 2021. Per cui tutte le attività che facciamo a inizio anno in questo caso non abbiamo potuto farle. Siamo sponsor di Giro, Tour e Vuelta. Seguiamo le nostre attività, ma lo stravolgimento ci ha impedito di gestire le cose come siamo abituati. E’ un anno speciale per tutti, speriamo che sia anche l’ultimo.
I riscontri degli atleti sono importanti per NamedSport?
Sono fondamentali. Noi siamo sponsor di diverse squadre e proprio ogni anno partecipiamo ai loro ritiri e lavoriamo insieme ai medici, che raccolgono i feedback degli atleti. E’ anche abbastanza divertente, durante i vari Giri, dove noi abbiamo il nostro nutrition-desk. I corridori degli altri team assaggiano il prodotto e poi ci danno loro stessi un riscontro, che può essere sul gusto o sulla digeribilità. Sono loro che ci danno le istruzioni per lo sviluppo di prodotti nuovi, quello che a loro servirebbe e cosa vorrebbero. Tante volte abbiamo delle idee studiate a tavolino, ma è importante anche sentire quelli che sono i loro desideri.
E’ cambiato il modo di mangiare in corsa?
Sono cambiate le composizioni dei prodotti. E’ cambiato anche il tipo di utilizzo. Ad esempio quando ho iniziato a lavorare in questo settore, una quindicina di anni fa, durante una gara nessun atleta prendeva una barretta proteica. Adesso invece quelle che vanno per la maggiore, soprattutto nelle fasi di partenza, sono quelle con una certa percentuale di proteine. Questo è un esempio banale, per dire che prima cercavano soltanto i carboidrati, adesso la nutrizione è cambiata. E’ cambiato il modo in cui loro si preparano, sono cambiati i piani alimentari.
Vuol dire che le barrette proteiche di Named soppianteranno i panini?
Chiaramente un atleta, soprattutto quando parliamo dei professionisti, in una gara tipo il Giro, che dura tre settimane, corre ogni giorno per 5-6 ore. Per questo ha più alimenti che mette insieme. I supplementi, le barrette, gli integratori, il cibo tradizionale. Le barrette non soppiantano i panini, ma ci si avvicinano molto. Gli atleti usano molto le torte di riso oppure qualche panino, però vedo che la situazione cambia molto in fretta.
Con quanto personale NamedSport ha seguito il Giro?
Quest’anno siamo una decina di persone, gli anni scorsi eravamo di più. Abbiamo deciso di non fare le attivazioni nei villaggi commerciali perché non ce la siamo sentita nei confronti dei nostri ospiti e del nostro personale. Molti erano spaventatissimi. Fra i dipendenti, ci sono persone che ci hanno detto di non voler venire e chiaramente, se succede qualcosa, la società è responsabile. Ma soprattutto eticamente per noi è importante tutelare le persone che lavorano per noi. Facciamo molta attenzione all’utilizzo dei vari dispositivi, abbiamo cercato al massimo di ridurre quello che è il contatto. Anche perché il pubblico non sempre è molto diligente, abbiamo visto scene che ci hanno messo in difficoltà.