Il rapporto tra Santini e la maglia iridata è un connubio che dura oramai da decenni, per l’esattezza dal 1988. Questo significa che, solo per restare tra gli italiani, hanno indossato la maglia iridata Santini Fondriest, Bugno (2 volte), Cipollini, Bettini (due volte) e Ballan. Per festeggiare questo traguardo l’azienda bergamasca ha appena lanciato non una, non due, non tre, ma quattro nuove linee di abbigliamento.
Naturalmente il pezzo forte della linea ufficiale è la maglia iridata, ma c’è anche molto altroLa linea Mondo è minimal ed elegante, in nero o in biancoNaturalmente il pezzo forte della linea ufficiale è la maglia iridata, ma c’è anche molto altroLa linea Mondo è minimal ed elegante, in nero o in bianco
Linea ufficiale e linea Mondo
La prima collezione è, naturalmente, quella ufficiale, cioè quella tecnica con il classico design con le 5 strisce iridate. Si tratta di capi di alta qualità pensati per chi pratica il ciclismo e vuole farlo con tutto il meglio di Santini e con l’estetica di un campione del mondo. E’ composta da due jersey, bibshort da uomo e da donna, maglia intima, guantini, calzini e cappellino.
La seconda linea, Mondo, celebra una delle caratteristiche storicamente più belle del ciclismo: l’universalità. Per questa collezione Santini ha scelto il nero e il bianco, i colori più universali che ci siano, impreziositi da una patch UCI a forma di globo. Mondo abbraccia veramente tutto lo scibile dell’abbigliamento tecnico. L’assortimento comprende infatti maglia, pantaloncino, calzamaglia, maglia intima senza maniche, maglia a maniche lunghe invernale, gilet e guanti estivi.
Nations è la gamma più colorata della collezione, quella dedicata alle 8 nazioni che hanno fatto la storia del ciclismo (e dei Mondiali)Nations è la gamma più colorata della collezione, quella dedicata alle 8 nazioni che hanno fatto la storia del ciclismo (e dei Mondiali)
Linea Nations e linea Casual
La terza linea è quella dedicata alle nazioni che più hanno influenzato la storia dei mondiali. In questo caso Santini ha reinterpretato le classiche cinque strisce iridate declinandole (su maglia da ciclismo e cappellino) con i colori distintivi degli 8 paesi scelti. C’è l’Italia? Certo che c’è, col suo bell’azzurro scintillante. E assieme a lei Giappone, Australia, Paesi Bassi, Belgio, Spagna, Svizzera e Gran Bretagna.
Infine non poteva mancare la linea Casual, quella da indossare tutti i giorni, anche se non si pratica il ciclismo. Si può scegliere tra polo, t-shirt, felpe con cappuccio e senza cappuccio, body per neonati, ma anche oggettistica come tazze, zaini, borracce e, addirittura, una cravatta.
Una delle felpe della linea Casual, semplice ed elegante da indossare tutti i giorniUna delle felpe della linea Casual, semplice ed elegante da indossare tutti i giorni
Dettagli e prezzi
Elencare il prezzo di ogni capo di ciascuna delle quattro collezioni sarebbe davvero troppo lungo, quindi faremo così. Qui potete trovare tutti i dettagli della collezione ufficiale, qui quelli della collezione Mondo, qui quelli della collezione Nations e infine quitrovate la collezione Casual.
Perché, come diceva una vecchia canzone: “son troppi i colori del mondo, non li puoi chiudere in una bandiera”.
Anche a non volerci vedere un secondo fine, bisognerà parlare di un goffo tentativo di gestire la situazione. Oltre che dei nuovi commissari tecnici, negli ultimi giorni si è fatto un gran parlare del tesseramento che la FCI ha richiesto per i cosiddetti OPM (operatori media).
La necessità di partenza è quella di avere sulle strade delle corse figure formate e assicurate: esigenza sacrosanta. E poi c’è probabilmente quella di sanzionare chi commettesse irregolarità, dato il varo del sistema dei cartellini gialli anche per gli operatori. Quello tuttavia si può fare benissimo anche con il semplice accredito, imponendo l’accettazione della normativa UCI sul tema. In ogni caso, per dare tale formazione, è stata istituita una serie di corsi online (il prossimo mercoledì 26 febbraio). In essi, né più né meno, vengono ripetuti i concetti che ciascun fotografo ascolta nelle riunioni tecniche prima di ogni corsa importante. Costo del corso: 30 euro.
Potrebbe avere un senso se il corso riguardasse operatori alle prime armi. Tuttavia, visto il livello dei partecipanti, parecchi dei professionisti coinvolti avrebbero potuto insegnare l’arte agli insegnanti.
Fatto il corso e per avere la tessera, è stato imposto l’obbligo di tesseramento per una società affiliata alla FCI. Il tesseramento prevede l’assicurazione e il gioco è fatto. Costo del tesseramento: 60 euro.
In più, ottenuta la tessera, l’operatore dovrà munirsi di una pettorina verde a suo carico, qualora l’organizzatore non gliene fornisse una.
Linea di arrivo del Giro: sono il servizio accrediti di RCS Sport e l’ufficio stampa a gestire gli accessi. Non può andarci chiunqueLinea di arrivo del Giro: sono il servizio accrediti di RCS Sport e l’ufficio stampa a gestire gli accessi. Non può andarci chiunque
Solo per italiani
La norma vale ovviamente per i media italiani e non per gli stranieri che seguiranno le corse italiane. Per loro sono sufficienti la tessera professionale e la sottoscrizione di un’assicurazione che li copra durante il lavoro. Anche la maggior parte degli operatori italiani ha la sua assicurazione – individuale o prevista dall’azienda per cui lavora – ma sembra che questo non interessi a chi ha previsto l’iter formativo federale.
Della questione è stata investita l’UCI. Dopo la segnalazione del board di AIJC, l’Associazione internazionale dei giornalisti di ciclismo, da Aigle hanno fatto sapere che ignorassero la situazione.
«Comprendiamo pienamente le vostre preoccupazioni – si legge nella risposta dell’ufficio stampa UCI – e ci dispiace apprendere degli ostacoli che giornalisti e fotografi stanno affrontando in questo momento in Italia». In una seconda mail hanno poi aggiunto di essersi messi in contatto con la FCI per avere chiarimenti.
In fondo basterebbe richiedere in sede di accredito una tessera professionale e l’indicazione dell’assicurazione. Sarebbe semplicissimo: sarebbe bastato coinvolgere i media e chiedere un’indicazione. Se il punto è la possibilità per l’UCI di imporre sanzioni amministrative, sarà l’UCI a dover trovare il modo per farlo.
Gli operatori media delle aziende che producono e seguono le grandi corse sono assicurati e formati da anni di esperienzaGli operatori media delle aziende che producono e seguono le grandi corse sono assicurati e formati da anni di esperienza
Il rischio del bavaglio
Quanto baccano per una tessera? Non esattamente, perché c’è un risvolto cui pochi pensano e che invece costituisce il vero nodo della vicenda.
Nel momento in cui diventi tesserato della FCI, sei tenuto ovviamente a osservare una serie di norme etiche. Se un tesserato si lancia in una serie di critiche nei confronti della Federazione, che la stessa possa ritenerle lesive della sua immagine, è prevista l’apertura di un procedimento disciplinare. Questo potrebbe sfociare in una serie di sanzioni, fra cui l’inibizione dai luoghi di gara.
Se però il tesserato è un giornalista che, nell’esercizio delle proprie funzioni, ritenga di dover criticare l’operato federale, allora il discorso si complica e il procedimento di cui sopra diventa un bavaglio.
Andrea Fin, tesserato FCI e giornalista, è stato deferito e multato per aver accostato l’immagine di Dagnoni al Marchese del Grillo (photors.it)Andrea Fin, tesserato FCI e giornalista, è stato deferito e multato per aver accostato l’immagine di Dagnoni al Marchese del Grillo (photors.it)
I doveri del giornalista
E’ già successo e sarebbe potuto succedere decine di volte. Ai giornalisti della Gazzetta dello Sport, nel periodo delle famose 8 domande al presidente Dagnoni circa la storia dei fondi irlandesi. E probabilmente anche il sottoscritto avrebbe rischiato qualche tirata d’orecchi. Quando s’è parlato di bilanci, dopo le sbavature dell’ultimo campionato italiano e persino dopo questo editoriale.
I giornalisti professionisti e i pubblicisti, quelli veri, devono sottostare alla Legge sulla Stampa e al Testo Unico dei Doveri del Giornalista. Gli altri, basterebbe semplicemente non accreditarli alle corse. Invece il paradosso è che attualmente sarebbe possibile negare l’accredito a un professionista sprovvisto di quella tessera, mandando in strada chi l’ha fatta e non ha altre qualifiche.
Luca Bettini sulla moto di Guido Bontempi: decenni di esperienza, servono un corso e una tessera FCI?Luca Bettini sulla moto di Guido Bontempi: decenni di esperienza, servono un corso e una tessera FCI?
L’ondata delle tessere
Se poi volessimo vederci dell’altro, ma non crediamo sia il caso o speriamo che non lo sia, questa norma riguarda tutti gli eventi FCI del calendario. Gare di professionisti, elite, U23, juniores, allievi, esordienti, giovanissimi. Uomini e donne. Strada, mountain bike, ciclocross, forse anche pista. Se ciascuno di coloro che vogliono fare foto, riprese o interviste dovesse tesserarsi, che bella ondata di quote federali (più i 30 euro del corso) arriverebbe nelle casse?
E’ un’altra delle ipotesi di cui alcuni parlano e hanno parlato, ma a nostro avviso non la più probabile. A noi resta la sensazione, come già detto, di un goffo tentativo di gestire la situazione, affrontata senza la competenza che un tema del genere dovrebbe invece prevedere. Tocca all’UCI trovare una via condivisa a livello mondiale. Per evitare di essere sempre noi quelli che hanno avuto la percezione intelligente del problema e anziché risolverlo l’hanno ingarbugliato ancora di più.
La Provincia di Treviso si è fregiata dell’UCIBike Region Label, un riconoscimento consegnato dal presidente UCI Lappartient al presidente provinciale della FCI di Treviso, Giorgio Dal Bò. La cerimonia si è svolta ad Abu Dhabi lo scorso dicembre ed ha riconosciuto alla Marca Trevigiana una sorta di qualifica “bike-friendly di eccellenza” in virtù degli sforzi che sono stati profusi in ambito cicloturistico, sportivo e di sicurezza stradale. Eccellenza, perché solo 28 località nel mondo possono vantare tale riconoscimento: 15 città (UCI Bike City Label) e 13 regioni (in Italia, prima di Treviso, solo la Val di Sole).
«E’ un traguardo frutto di un grande lavoro di squadra – spiega Giorgio Dal Bò, presidente provinciale della FCI di Treviso – raggiunto anche grazie all’organizzazione, nel 2023, del Campionato del mondo Gravel. Il nostro prossimo obiettivo sarà invitare il presidente David Lappartient per fargli vivere qualche giorno nei nostri luoghi incantevoli».
La delegazione veneta presente ad Abu Dhabi, guidata dal Presidente provinciale FCI, Giorgio Dal Bò (al centro)La delegazione veneta presente ad Abu Dhabi, guidata dal Presidente provinciale FCI, Giorgio Dal Bò (al centro)
Il ruolo di Daniela Isetti
Un ruolo di primo piano l’ha avuto Daniela Isetti che, oltre a far parte del Consiglio dell’Unione Ciclistica Internazionale, è esponente della Commissione “Ciclismo per tutti e ciclismo sostenibile”, sempre in seno all’UCI.
«Questa Commissione di cui faccio parte – spiega – lavora su argomenti legati alla sostenibilità, alla mobilità alternativa, al turismo sportivo, all’educazione dei bambini. Insomma, a tutti quegli argomenti che oggi rappresentano per il mondo del ciclismo un valore aggiunto. Qualche anno fa è stata istituita questa etichetta che viene assegnata dopo la presentazione di un progetto».
Qual è la prassi che porta a riconoscere l’UCI Bike Region Label a chi presenta tale progetto?
Il percorso di approvazione e quindi di assegnazione di questa etichetta nasce all’interno della Commissione. Essa analizza i progetti presentati, segnala al Consiglio Direttivo dell’UCI le città meritevoli ad essere premiate con essa e il Consiglio Direttivo dell’UCI poi approva o meno le varie proposte.
Daniela Isetti è un membro del Consiglio dell’Unione Ciclistica InternazionaleDaniela Isetti è un membro del Consiglio dell’Unione Ciclistica Internazionale
Come si è arrivati a Treviso?
Conoscendo la realtà di Treviso, molto legata a dinamiche che fanno riferimento al turismo sportivo, era stato proposto loro di iniziare questo tipo di percorso. Al Comitato Provinciale di Treviso della Federazione. Quindi a Giorgio Dal Bò. Si è poi creato un gruppo di lavoro con Nicolò Valentini e Antonella Stellitano, assieme ad altri componenti.
Qual è stato il suo ruolo?
Ho supervisionato il loro operato, anche in virtù del mio collegamento con la Commissione che poi ha valutato il progetto. Tra l’altro Treviso è stata insignita del riconoscimento assieme a Tokyo, per cui parliamo di un livello qualitativo estremamente importante.
Quali sono i criteri che occorre rispettare per ottenere il Label?
La progettualità deve mettere in luce gli investimenti che vengono fatti per la mobilità alternativa. Piste ciclabili. Investimenti sul turismo sportivo. Su politiche che tendono a far aumentare l’uso della bicicletta tra i giovani, tra la popolazione… Quindi sono diverse progettualità che devono dimostrare come la bicicletta rappresenti per un territorio un elemento di sviluppo. Uno degli elementi che comunque l’UCI chiede è anche di avere organizzato degli eventi a carattere internazionale. Nel caso di Treviso, l’elemento che ha sancito la perfetta presentazione di tutto il dossier è stata l’organizzazione del Campionato Mondiale Gravel UCI nel 2023.
David Lappartient, a capo dell’UCI dal 2017, ha consegnato il Bike Region Label alla Provincia di TrevisoDavid Lappartient, a capo dell’UCI dal 2017, ha consegnato il Bike Region Label alla Provincia di Treviso
Ci sono altri elementi di merito che la Provincia di Treviso ha potuto giocarsi?
Uno dei punti di forza è stato il mettere in evidenza come la storia del ciclismo si ripercuote con un progresso che vede il ciclismo non più solo come elemento agonistico, ma anche come elemento territoriale. Inoltre è stato messo in evidenza come il ciclismo e la bicicletta rappresentano per il territorio un elemento economico importante, un volano per tutta l’economia, basti pensare all’esempio di Pinarello.
Da qui in avanti cosa si può prospettare?
Per il futuro la Commissione “Ciclismo per tutti”, come sempre fa, organizzerà dei webinar riservati alle città che costituiscono questo network importantissimo, mettendole nelle condizioni di crescere e di fare scambio di esperienze. Quindi ci sarà prossimamente un webinar che interesserà sia Treviso che Tokyo, ma ovviamente aperto a tutte le realtà, per iniziare un percorso di condivisione. Con il Comitato Provinciale di Treviso si ragionava anche della possibilità di ospitare in futuro il forum delle città ciclabili che si è tenuto a fine 2024 ad Abu Dhabi e che quest’anno si svolgerà a Copenhagen.
L’occasione del premio è stata un’opportunità per far conoscere il territorio trevigiano negli Emirati ArabiL’occasione del premio è stata un’opportunità per far conoscere il territorio trevigiano negli Emirati Arabi
Una Provincia su due ruote
La provincia di Treviso vanta ben 2.715 km di piste ciclabili, con l’obiettivo di aumentarle del 7% all’anno, puntando a 2.904 km entro il 2025. Oltre a potenziare la sua rete ciclabile urbana, Treviso sta promuovendo attivamente il ciclismo per il tempo libero con 11 percorsi dedicati al cicloturismo e 20 sentieri per fuoristradisti.
E poi non si può non ricordare la presenza sul territorio di marchi che hanno fatto la storia del ciclismo come Pinarello, Sidi e Selle Italia radicati nella forte tradizione manifatturiera della regione. Questa tradizione è un aspetto fondamentale della cultura locale che può vantare oltre 130 anni di storia ciclistica. L’industria stessa contribuisce in modo significativo all’economia, con quasi 130 aziende del settore, sparse nella provincia trevigiana.
E, per concludere, si attende da anni il completamento del velodromo di Spresiano, previsto nel 2026, capace di ospitare eventi su pista di primissimo livello…
Un corridore che dal devo team è stato promosso alla WorldTour, ma non si può dire. Un altro che da una continental è approdato al devo team di uno squadrone, ma non si può dire. Un team manager che vorrebbe raccontare i suoi nuovi corridori e lo fa anche, ma prega di non scrivere, perché non si può dire. Volete sapere che cosa succede in qualche angolo del ciclismo professionistico? Le cose accadono, quelli più informati ne sono al corrente, ma non possono scriverlo finché non esce il comunicato della squadra. E i corridori, fra l’incudine e il martello, sono lancinati dalla voglia di dirlo e il divieto che ricevono dal team. I media da parte loro si chiedono se sia opportuno andare dritti sulla strada del mestiere e dare la notizia oppure fermarsi davanti al divieto per non compromettere i rapporti futuri.
Attenzione, non parliamo di corridori in vista che cambiano squadra. Sapevamo da un pezzo che Elisa Longo Borghini sarebbe passata alla UAE e che la Consonni dalla UAE sarebba andata invece alla Canyon. Sapevamo che Marta Cavalli fosse in viaggio verso il Team DSM Firmenich, come che Albanese e Battistella fossero destinati alla Ef Education. Bettiol all’Astana e Garofoli alla Soudal-Quick Step: in quei casi ci sta di reggergli il gioco e uscire col pezzo assieme al comunicato. Se però parliamo di dilettanti che hanno fatto bene, ma per ora non si sono conquistati prime pagine o grandi vittorie, dove sta la logica?
Paolo Barbieri, che ha da poco lasciato la Lidl-Trek, ha spiegato le nuove dinamiche nel lavoro del press officerPaolo Barbieri, che ha da poco lasciato la Lidl-Trek, ha spiegato le nuove dinamiche nel lavoro del press officer
Il nodo del 10 dicembre
Nel ciclismo che costa sempre più caro, accade anche questo. Con un po’ di ironia e se non ci costringesse a tenere in stand by articoli già pronti, potremmo trovarlo persino divertente. Tuttavia crediamo sia la spia di una chiusura embrionale nei confronti dei media. La causa potrebbe risiedere nella capacità delle squadre di raccontare la propria verità con contenuti social che a loro avviso bastano per il racconto. Lo raccontò anche Paolo Barbieri, press officer appena uscito dalla Lidl-Trek. La nuova ventata di addetti stampa, evidentemente imbeccata dai loro datori di lavoro, non ama il contatto fisico dei media con i corridori. Tende invece a prediligere le interviste online e a ridurre al minimo le altre.
Un’altra dimostrazione viene dalla prossima gestione dei media day (il giorno in cui le squadre aprono il proprio ritiro ai giornalisti). Il 10 dicembre sarà un bel crocevia. Saremo infatti al cospetto di Pogacar e delle due UAE: quella degli uomini e quella delle donne. Nello stesso giorno, si avrà il media day del Team Bahrain Victorious. Alla richiesta di pensare a un’altra data, ci è stato risposto che gli allenatori hanno previsto che il 10 dicembre sia il giorno di riposo in cui i corridori possono fare interviste. Al netto dell’imbarazzo di chi certe risposte deve darle, traspare il disinteresse di chi governa le squadre. Dato che la richiesta è stata fatta un mese prima del giorno in questione, davvero non era possibile modificare il piano? Hanno davvero scelto gli allenatori? E se la soluzione è che anche i media debbano presentarsi in Spagna con 2-3 inviati, siamo certi che tutti possano permetterselo? E che al contrario questo non si trasformi in un boomerang per le stesse squadre?
Il 10 dicembre a Benidorm si svolgerà il media day del UAE Team Emirates e della Bahrain VictoriousIl 10 dicembre a Benidorm si svolgerà il media day del UAE Team Emirates e della Bahrain Victorious
Tutti pazzi per Sinner
L’inverno, si sa, è nemico del ciclismo. C’è chi continua a seguirlo e approfondirlo, ma è evidente la sua scomparsa dalle pagine dei grandi quotidiani. Le redazioni specializzate al loro interno sono sparite. La stessa Gazzetta dello Sport che fino a qualche anno fa aveva un gruppo di 4-5 giornalisti distaccati soltanto sul ciclismo, ora ha una redazione di varie, in cui si muovono i colleghi che si occupano del nostro sport. Siamo certi, stando così le cose, che la testata abbia qualche interesse a investire ancora e non preferisca restare sul calcio e sul fenomeno Sinner?
Forse l’UCI, che spinge sulla mondializzazione e finora ha ottenuto principalmente il risultato di rendere tutto più costoso, potrebbe fermarsi a riflettere su questi dati. In Spagna e anche in Francia, dove L’Equipe resta un vero baluardo, la situazione è simile alla nostra: solo in Belgio sembra che nulla sia cambiato. Ci chiediamo invece quanto aver portato il ciclismo negli angoli più dispersi del mondo lo abbia reso motivo stabile di interesse, quindi anche lontano dai giorni degli eventi. La sensazione, come accade anche con alcune corse in Italia, è che il ciclismo arrivi qualche giorno prima, monti i palchi, mostri i suoi campioni, passi all’incasso e poi smonti le strutture, sparendo fino all’anno successivo. Non sarebbe forse il caso di riconnetterlo con le sue radici, spiegando a chi gestisce i team che l’irraggiungibilità potrebbe diventare motivo di disaffezione?
I soldi fanno la felicità e rendono possibili vittorie altrimenti impensabili. Se un corridore lascia uno squadrone perché capisce di non avere abbastanza spazio, difficilmente andrà in una squadra dal budget inferiore: andrà a cercare un ingaggio quantomeno paragonabile e sperimenterà un altro modo di essere felice. In altre parole, volendo vincere il Tour e avendo strade chiuse alla Visma-Lease a Bike, Roglic è andato alla Bora e non alla Corratec.
Roglic ha lasciato la Visma per passare alla Bora, certo senza grosse rinunce economicheRoglic ha lasciato la Visma per passare alla Bora, certo senza grosse rinunce economiche
Dominio di pochi
E’ un’evidenza persino banale, così come è sotto gli occhi di tutti che i primi posti di ogni classifica e ordine di arrivo sono monopolizzati dagli atleti di pochissime squadre, con… l’intrusione occasionale della Alpecin-Deceuninck, che magari ha meno soldi, ma li distribuisce a favore di pochi nomi di spicco capaci di fare la differenza. Il resto è dominio di UAE Emirates, Visma e Ineos, con la Lidl-Trek e la Bora che hanno fatto un passo in avanti in questo ranking della ricchezza.
«C’è chi spende 45 milioni di euro all’anno – diceva qualche giorno fa Giuseppe Martinelli – e chi ne spende 15 e non può prendere i campioni e tantomeno i giovani talenti».
Come e perché sia accaduto, anche l’UCI ne ha preso coscienza e ha deliberato di metterci mano. Forse per limare il gradino dell’ipocrisia. Forse per coerenza con le regole sui materiali speciali, vietati per dare anche ai Paesi poveri la possibilità di utilizzare gli stessi dei più ricchi.
La Ineos ha dominato i grandi Giri per un decennio, grazie ai campioni e al suo budgetLa Ineos ha dominato i grandi Giri per un decennio, grazie ai campioni e al suo budget
Limite al bilancio
E’ stato di recente rilasciato un comunicato successivo al primo incontro del PCC (Professional Cycling Council) che si è tenuto a Montreux, includendo per la prima volta la rappresentanza del ciclismo femminile su strada. Tra gli svariati punti discussi e approvati, uno riguarda un limite ai bilanci delle squadre.
«Sul fronte finanziario – si legge – nell’ambito della riforma dell’organizzazione del ciclismo professionistico su strada del 2018, è stato approvato il principio dell’attuazione di un tetto massimo di bilancio per le squadre. Ciò mira a preservare l’equità sportiva evitando eccessive disparità tra le squadre in termini di budget. Sarà istituito rapidamente un gruppo di lavoro per presentare le misure al Comitato Direttivo dell’UCI in vista della loro applicazione a partire dal prossimo rinnovo delle licenze UCI Women’s WorldTour e UCI WorldTour delle squadre (per la stagione 2026)».
Il UAE Team Emirates ha alle spalle grandi compagnie e lo stesso Governo emiratinoIl UAE Team Emirates ha alle spalle grandi compagnie e lo stesso Governo emiratino
Fra Madiot e Gianetti
Il tema era stato discusso e anche su queste pagine lo abbiamo abbondantemente approfondito, a seguito di un’accusa piuttosto secca di Marc Madiot verso i team che più possono spendere. E siccome nel mirino era finito Mauro Gianetti con la sua UAE, la risposta dello svizzero non si era fatta attendere.
«Lesquadre giganti controllano tutto – aveva detto Madiot – nelle corse a tappe e nelle classiche. Noi non vinciamo e non vinceremo. Non possiamo».
La risposta di Gianetti, ovviamente parte in causa e con una posizione dominante da difendere, verteva sull’inutilità di mettere mano ai regolamenti in questa fase del ciclismo, sul fatto che proprio l’organizzazione del WorldTour ha persuaso grandi aziende e Governi nazionali a investire e che non c’è una struttura che permetta al ciclismo di adottare un salary cap: il tetto al monte degli stipendi, che probabilmente sarebbe più incisivo del tetto al budget.
Se puoi permetterti un numero limitato di atleti super pagati, gli altri andranno in altre squadre. Il budget con cui investire in tecnologia e innovazione non è necessariamente da limitare.
Il presidente dell’UCI, David Lappartient, in occasione della protesta ecologista al mondiale di GlasgowIl presidente dell’UCI, David Lappartient, in occasione della protesta ecologista al mondiale di Glasgow
Si parte nel 2026
La modifica, stando a quello che dichiara l’UCI, si inserisce nella riforma varata in occasione dei mondiali di Innsbruck 2018, quando si approvò il sistema delle promozioni e retrocessioni dal WorldTour in base ai punteggi conseguiti. E’ chiaro che se la differenza la fa il budget, ci saranno squadre che non rischieranno mai di andare giù (e non ci andranno mai ugualmente).
La nuova via sarà inaugurata dal 2026 e siamo curiosi di vedere in quale forma sarà declinata. E mentre ricordiamo che i team si accorsero delle imminenti retrocessioni e le relative promozioni solo nell’anno che le precedeva, siamo certi che questa volta la loro attenzione sarà massima. I soldi fanno la felicità, averne meno da spendere può mettere in crisi gli attuali modelli vincenti.
Van Empel iridata fra le U23 a Ostenda, ma il 5° posto di Francesca Baroni è uno squarcio di futuro eccezionale. Gran prova della toscana che passa elite
Renato Di Rocco, presidente della Federazione ciclistica italiana, ha vissuto l'organizzazione e lo svolgimento dei mondiali di Imola come un passaggio molto importante della sua gestione. «L'Italia ne è uscita vincente - ha detto - il ciclismo ha fatto la parte del leone». Grandi complimenti agli organizzatori Selleri e Pavarini e alla Regione Emilia Romagna per la lungimiranza.
IL PORTALE DEDICATO AL CICLISMO PROFESSIONISTICO SI ESTENDE A TUTTI GLI APPASSIONATI DELLE DUE RUOTE:
VENITE SU BICI.STYLE
bici.STYLE è la risorsa per essere sempre aggiornati su percorsi, notizie, tecnica, hotellerie, industria e salute
«Si è sempre meridionali di qualcuno»: lo disse Luciano De Crescenzo in Così Parlò Bellavista, commedia italiana del 1984. Dal prossimo anno, juniores italiani andranno a correre all’estero e la scelta non è passata inosservata. Anche perché quella che inizialmente poteva sembrare una forzatura, è stata da poco autorizzata dalla Federazione ciclistica italiana. Nel Consiglio federale dell’11 novembre si è infatti reso possibile il tesseramento per società affiliate a Federazioni extra nazionali (in alto la Auto Eder, team U19 della Bora Hansgrohe, in una foto presa da Facebook), a patto che partecipino a un determinato numero di gare regionali.
Suscita clamore già da un paio di stagioni il fatto che emigrino gli under 23 di primo anno, attirati dai Devo Team delle WorldTour del Nord Europa. Ora che se ne vanno i piccoli, il primo istinto è l’indignazione. Un sentimento condivisibile. Partire significa spesso crescere più in fretta, ma non è detto che funzioni per tutti. Il rischio è tornare sconfitti, avendo perso del tempo. Per questo ci aspetteremmo una reazione anche più energica davanti alle cause che li spingono fuori dall’Italia. Perché questi ragazzi effettivamente partono?
Dal prossimo anno, i migliori allievi potranno correre da juniores anche all’estero (foto Coppa d’Oro)Dal prossimo anno, i migliori allievi potranno correre da juniores anche all’estero (foto Coppa d’Oro)
Siamo tutti siciliani
Di certo perché ci sono agenti che glielo propongono e che negli ultimi anni – fra giovani e donne – hanno triplicato il bacino di utenza. I corridori parlano delle poche corse a tappe nel calendario nazionale (nel 2024 ce ne saranno due nuove). Del tipo di attività. Di squadre dedite al risultato e poco alla formazione. Vero o no che sia (sbagliato fare di tutta l’erba un fascio), sarebbe davvero utile parlare delle cause e non limitarsi a perdere la voce di fronte al fatto compiuto. Non è singolare però che nessuno abbia mai detto nulla quando a partire da juniores erano ragazzini siciliani come Visconti o Nibali? Oppure stranieri come i fratelli Vacek, arrivati in Italia da allievi? Forse per averne narrato la storia in un recente libro, il percorso di Visconti continua a sembrarci emblematico di cosa significhi per un ragazzo di 16 anni lasciare casa.
«La necessità di partire – ha detto anche di recente il palermitano – a un certo punto si è fatta impellente, perché giù non c’era più il calendario necessario per emergere. Ho cominciato a viaggiare da allievo. Da un certo punto in poi la mia vita è cambiata. Se non mi fosse piaciuta, probabilmente avrei smesso e non sarei durato troppo a lungo. Però era anche il tipo di vita che faceva la selezione fra i tanti che provarono insieme a me. Perché alla fine, di quei tanti sono rimasto solo io».
E così i siciliani partivano, lasciando gli affetti sull’Isola, anche loro in cerca di squadre migliori e gare più attendibili. Non tutti però sono diventati Nibali e Visconti, l’esperienza di Sciortino lo ha appena confermato. La risposta negli anni è sempre stata debole. Nessun presidente federale degli ultimi 30 anni – da Carlesso a Ceruti, da Di Rocco fino ai giorni nostri – può dire di averci provato seriamente. Il blocco dei siciliani ad opera del Comitato regionale agli inizi degli anni 90. Il Progetto Sud. Il balletto delle affiliazioni plurime, concesse e poi ritirate. I vincoli regionali. E tutto quell’universo di rimedi che hanno coperto per anni la scarsa intenzione di mettere mano al problema.
Forse lo si riteneva normale. Non si è sempre dato per scontato che per trovare lavoro si debba lasciare il Sud e trasferirsi al Nord? Giù non ci sono soldi, d’altra parte, su ci sono le fabbriche. E se invece i soldi finiscono anche al Nord? Succede che anche quelli di su scoprono (in parte) cosa significhi essere siciliani e veder partire i propri figli. Siamo il Meridione d’Europa, lo siamo anche geograficamente. E tutto sommato da una qualsiasi regione del Nord Italia si fa molto prima a raggiungere Raubing, sede della Bora-Hansgrohe, di quanto impieghi un palermitano per raggiungere Pistoia (il viaggio di Visconti).
Nibali da junior, Visconti già da allievo: essere ciclisti al Sud ha sempre comportato la necessità di lasciare presto casaNibali da junior, Visconti già da allievo: essere ciclisti al Sud ha sempre comportato la necessità di lasciare presto casa
Ragazzini con la valigia
Lo stesso inaridimento del Mezzogiorno si è prima esteso al Centro e ora sta attaccando il Nord. E la risposta, di fronte al calo dei tesserati, alla difficoltà di trovare squadra da juniores e poi da U23, alla ricerca di un’attività più qualificata, è stata gestire gli effetti senza andare alle cause. Invece di dare il via libera, che in caso di minorenni non è legato al diritto al lavoro, perché non riqualificare l’attività nazionale?
In verità non ci sembra affatto insolito che atleti di 17 anni mettano i sogni nella valigia e li portino dove vedono o credono di vedere una migliore prospettiva per il futuro. Come ai tempi di Visconti. Quello che troviamo disarmante è anche che il fenomeno non sia stato inquadrato a livello internazionale. Ognuno fa quel che gli pare: tanti partono, tanti tornano, qualcuno riesce, tanti smettono.
Alessio Delle Vedove è passato U23 con la Circus-ReUz, pagando da sé il proprio punteggio (foto DirectVelo)Alessio Delle Vedove è passato U23 con la Circus-ReUz, pagando da sé il proprio punteggio (foto DirectVelo)
Tutti alle urne
Dopo le Olimpiadi si andrà nuovamente al voto e nei programmi elettorali dei vari candidati leggeremo di nuovo le proposte per il Sud e magari anche per l’attività giovanile.
Chi è chiamato al voto legga attentamente quei programmi e poi torni a leggere quelli delle ultime volte. Quindi verifichi quanto di ciò che è stato promesso sia stato effettivamente attuato. E a quel punto voti. Sarebbe curioso, in questa Italia che cerca il cambiamento ma poco fa per cambiare, vedere che cosa succederebbe se la base per una volta votasse con la testa anziché sulla base delle promesse che presto ricominceranno a piovere.
Il 7-8 ottobre ancora in Veneto avrà luogo il secondo mondiale gravel della storia. Il primo lo organizzò e anche bene Filippo Pozzato nel 2022. Sembrava dovesse andare così anche quest’anno, dato che l’assegnazione era biennale, invece nel cuore dell’estate qualcosa non è andato come si pensava. Nessuno sa bene come e perché, ma la PP Events del vicentino ha ricevuto una lettera di disdetta da parte dell’UCI. La Federazione italiana si è affrettata a scrivere in un comunicato di non averne responsabilità, mentre il diretto interessato al momento ha scelto di non dire nulla, concentrato sulle sue corse di fine stagione.
Comunque sia, il mondiale gravel 2023 è passato nelle mani di Pedali di Marca, organizzazione trevigiana che fa capo a Massimo Panighel, organizzatore di mondiali Marathon e referente per le tappe dolomitiche dell’ultimo Giro d’Italia. E così dai sentieri di Asiago in cui par di capire che fosse tutto pronto, la sfida si svolgerà sulle colline del Prosecco, avendo però appena due mesi per mettere insieme tutto. Abbiamo intercettato Massimo Panighel, appena uscito dalla banca in cui lavora.
Alla presentazione di Gravel in the Land of Venice, Panighel con il presidente veneto ZaiaAlla presentazione di Gravel in the Land of Venice, Panighel con il presidente veneto Zaia
Quando hai saputo ufficialmente che c’era da mettere mano al mondiale gravel?
Il 4 agosto. E non è vero, come dice qualcuno, che Panighel lavorasse sotto traccia dall’inverno, perché davvero non ne sapevo nulla. Il 2-3 agosto, durante una riunione con il Comitato provinciale per parlare della riforma dello sport, ho chiesto al presidente provinciale se ci fossero notizie: se il mondiale gravel lo avrebbero fatto ad Asiago oppure a Cortina, perché girava anche questa voce. E lui ha fatto un sorriso strano, che ora posso interpretare diversamente. Avevo sentito qualche voce un mese prima, alla Dolomiti Superbike, ma nulla di più. Il primo passaggio ufficiale è stato due giorni dopo quando mi ha chiamato Peter Van den Abeele dell’UCI, mentre ero in vacanza ad Auronzo.
Che cosa significa mettere in piedi un mondiale in così poco tempo?
Prima c’è stato il percorso, che andava disegnato. Ci penso tutte le mattine e tutte le sere quando vado a letto, abbiamo 20-25 giorni di tempo. L’UCI ha visto il percorso l’ultima settimana di agosto. Lo abbiamo disegnato cercando di stare nei limiti che ci hanno imposto, cioè 60 per cento di sterrato e 40 di asfalto. Il tutto, dovendo anche assecondare le richieste dei sindaci, per passare dove hanno piacere o necessità che si passi. Però è un bel percorso.
Fatto come?
Si parte dal Lago delle Bandie, dove c’è stato il mondiale di ciclocross del 2008, poi si passerà una prima volta a Pieve di Soligo e faranno un primo anello nella zona di Revine Laghi, Tarzo e San Pietro di Feletto. Un altro passaggio sul traguardo di Piave di Soligo e si farà un secondo anello nella zona classica del Prosecco, fra Pieve di Soligo e Valdobbiadene. La lunghezza sarà sui 160-170 chilometri per gli uomini con circa 1.800-2.000 metri di dislivello. Quello delle donne lo stiamo ridisegnando adesso, perché abbiamo dovuto fare dei tagli, sarà sui 140 chilometri con 1.600 metri di dislivello. Ma il problema non è tanto per le categorie elite, il fatto è che bisogna disegnare tre percorsi per le categorie master e questo sarà davvero impegnativo. Come sarà un bel lavoro trovare e gestire i volontari, trovare le ambulanze… Non è così semplice.
Il mondiale gravel partirà dal centro Le Bandie, dove si disputò il mondiale 2008 di cross (foto Facebook)Da Pieve di Soligo si andrà verso Valdobbiadene e le colline del Prosecco (foto f. Marquez)Il mondiale gravel partirà dal centro Le Bandie, dove si disputò il mondiale 2008 di cross (foto Facebook)Da Pieve di Soligo si andrà verso Valdobbiadene e le colline del Prosecco (foto f. Marquez)
Quali risposte avete avuto dai Comuni, dai territori, avendo così poco preavviso?
Ottime, perché fortuna vuole che Fabrizio Cazzola, che è Consigliere federale e fa parte del gruppo ristretto che sta lavorando al mondiale, è di quelle zone quindi conosce benissimo le persone che contano. Un’altra figura cardine è il presidente del Comitato provinciale, Giorgio Dal Bo’, che con la Prefettura e la provincia di Treviso sta portando avanti il discorso delle autorizzazioni. Gli stessi Comuni si sono impegnati a chiedere i permessi nei confronti dei privati, i cui terreni saranno attraversati dai percorsi.
L’organizzazione è in mano a Pedali di Marca?
Diciamo che Pedali di Marca è il referente presso l’UCI, ma abbiamo cercato di fare un comitato di lavoro esteso, coinvolgendo tutte le società della provincia di Treviso, fra cui quella di Lucio Paladin, papà della Soraya. C’è bisogno di tutti, non si può pensare che una sola persona faccia il mondiale, ci vuole la collaborazione di tutto un territorio.
Pensi che ci sarà anche una ricaduta in termini di promozione del territorio?
L’anno scorso, quando venne fuori che Pozzato avrebbe organizzato il mondiale per due anni, ci incontrammo. Io sto portando avanti da tre anni con la Regione Veneto un progetto che si chiama Gravel in the Land of Venice. Abbiamo fatto 80 percorsi nel Veneto dedicati al gravel, più o meno impegnativo, dagli argini alla pianura, la laguna, le colline, la montagna. Proposi di unire le forze, in modo che la gente venisse a vedere il campionato del mondo, ritrovandosi in un territorio dove c’è la possibilità di fare pedalare. Però non se ne fece nulla. La risposta a questa domanda è che se il territorio capisce di avere delle potenzialità, allora il ritorno c’è.
Se lo scorso anno il… pezzo forte era Peter Sagan, quest’anno ci sarà anche Van AertSe lo scorso anno il… pezzo forte era Peter Sagan, quest’anno ci sarà anche Van Aert
Di quali potenzialità parliamo?
In quegli 80 percorsi, abbiamo mappato 6.000 chilometri di gravel, ma probabilmente potrebbero essere molti di più. Bisogna capirlo. La Toscana ne ha fatto un business, perché ormai le Strade Bianche sono un’icona, che non ha neppure bisogno di presentazione. Qui avremmo un territorio che è altrettanto valido, ma per avere un ritorno bisogna cogliere l’occasione, non dipende da Panighel. Però facciamo un po’ fatica. Ho visto anche che le tappe del Giro d’Italia a livello personale sono state una bellissima esperienza, ma siamo certi che abbia avuto un ritornoadeguato?
Qual è la tabella di marcia per i giorni che restano?
E’ come quando arriva una fattura con scritto “pagamento a vista”. Spero di fare l’ultimo sopralluogo e chiudere i percorsi nel prossimo fine settimana, cercando anche di accontentare le richieste di Golazo Cycling, la società belga che lavora con l’UCI. Una tabella di marcia vera e propria non la so indicare, perché è tutto urgente. Ci dividiamo i compiti, ognuno porta avanti il suo. Il discorso dell’assistenza sanitaria non è una cosa di poco conto, perché l’evento va avanti per due giorni. Si dovranno gestire circa 500 volontari. Poi c’è la parte della logistica. Va preparata la guida tecnica internazionale per l’UCI. C’è il discorso hotel. C’è tutto il fronte della comunicazione, c’è da trovare lo speaker. Non so chi abbia avuto la bella idea di dare in giro il mio numero, per cui mi stanno arrivando richieste per le iscrizioni che invece gestisce Golazo. Spero che alla fine vada tutto bene e che qualcuno ci dica se non altro che abbiamo fatto un bel lavoro.
Per comunicazione intendi anche quella verso gli utenti?
E’ un problema, perché la gente potrebbe aver preso impegni diversi. Ci fosse stato almeno il secondo mese a disposizione, sarebbe stato diverso, ma il secondo mese a disposizione era agosto ed era tutto fermo. E’ chiaro che più vai avanti e più diventa difficile gestire ad esempio le prenotazioni. Magari c’è il belga che ha aveva prenotato una settimana a Peschiera del Garda, e ora deve disdire, magari perdendo la caparra. Per questo ci sono cose che non capisco.
Panighel ha spiegato che con Gravel in the Land of Venice sono stati mappati 6.000 chilometri di percorsiPanighel ha spiegato che con Gravel in the Land of Venice sono stati mappati 6.000 chilometri di percorsi
Quali cose?
Ho firmato altri contratti con l’UCI. A fine settembre 2023 avremmo dovuto pagare la prima rata per il mondiale Marathon che organizzeremo nel 2026. L’abbiamo posticipata, dovendo pagare quella del mondiale Gravel, ma in ogni caso so benissimo che se ritardi un giorno, ti chiamano subito. In queste cose non si affonda da soli, ci sono anche altre componenti. Forse ci saranno sotto questioni politiche che a me sfuggono, io da uomo di sport sto dando una mano per venirne fuori.
Non resta che lavorare?
Quello che stiamo facendo. Noi abbiamo anche un mondiale nel 2026. C’è un velodromo a Spresiano che speriamo prima o dopo abbia conclusione, in cui si dovrebbe svolgere un mondiale su pista. Stiamo lavorando tanto col gravel, perché è una disciplina emergente che porta tanta soddisfazione, in fondo basterebbe che ognuno facesse bene il proprio compitino. Io provo a fare il mio e intanto lavoro anche in banca. La tipa di Golazo non voleva crederci, ho dovuto spiegarle che ho una moglie e dei figli da far mangiare e tutto il resto per me è volontariato. Ma non sono convintissimo che ci abbia creduto…
Renato Di Rocco, presidente della Federazione ciclistica italiana, ha vissuto l'organizzazione e lo svolgimento dei mondiali di Imola come un passaggio molto importante della sua gestione. «L'Italia ne è uscita vincente - ha detto - il ciclismo ha fatto la parte del leone». Grandi complimenti agli organizzatori Selleri e Pavarini e alla Regione Emilia Romagna per la lungimiranza.
Era veramente impraticabile l’arrivo di ieri alla Vuelta? Ed è possibile che la decisione sia stata presa sulla base delle immagini social e televisive, senza che un ispettore di percorso e un giudice fossero sul posto per verificare?
In questo ciclismo che va così forte, sembra che alcune componenti siano ancora troppo lente, portando il ridicolo fino ai vertici più alti dello sport. Al Giro d’Italia si decise di moncare la tappa di Crans Montana sulla base di richieste non documentate, non mostrando le foto in possesso a chi aveva il compito di vigilare sul percorso. Al Giro Next Gen alcuni video su Instagram provocarono la squalifica dei corridori attaccati alle ammiraglie, mentre la Giuria aveva già omologato l’arrivo. Così anche questa volta si è neutralizzato il finale senza che un organo ufficiale del ciclismo internazionale si sia preso la briga di andare a verificare. E questo non va bene. Anche perché i corridori della Vuelta hanno poi proseguito fino al traguardo senza alcun problema. L’espressione di Kuss nella foto di apertura denota stupore: forse neppure il leader della Vuelta ha capito il perché della decisione.
Sulla stessa base sarebbe stata azzerata forse la tappa vinta da Quintana sul Terminillo nel 2015 e si sarebbero messe in discussione anche le Tre Cime di Nibali nel 2013. Non vogliamo dire che i corridori debbano andare al martirio e correre in qualunque condizione, ma pretendiamo scelte adottate su basi oggettive.
Così la strada alcune ore prima dell’arrivo. Nonostante la pulizia, la corsa è stata neutralizzata (immagini cyclinguptodate)Così la strada alcune ore prima dell’arrivo. Nonostante la pulizia, la corsa è stata neutralizzata (immagini cyclinguptodate)
Social, la giuria parallela?
In questo caso non si tratta neppure di avere un protocollo per le condizioni avverse unificato e indeformabile, si tratta di portare nelle organizzazioni e in chi le sovrintende lo stesso professionismo che si pretende negli atleti e nei gruppi sportivi. Invece continuiamo a vedere percorsi disegnati senza apparenti criteri tecnici (come la cronosquadre di questa Vuelta) e decisioni prese per non doverne discutere dopo l’arrivo, come se chi è chiamato a prenderle abbia sul collo il fiato di rivendicazioni che non è sicuro di poter sostenere. Come se nella scuola il preside togliesse di mezzo le materie più spinose, per non subire le lamentele di alunni e genitori. E anche questo non va bene.
L’organizzatore ha il diritto di proporre il percorso e il dovere di disegnarlo secondo i criteri tecnici previsti dai regolamenti dell’UCI. L’UCI a sua volta ha l’obbligo di verificarlo. Può capitare che condizioni imprevedibili rendano il percorso impraticabile, ma la decisione di cambiarlo richiedeben altra presenza sul terreno. Altro che social…
La presenza di fango sull’asfalto interessava solo l’ultima rampa. Era davvero impossibile arrivare?La presenza di fango sull’asfalto interessava solo l’ultima rampa. Era davvero impossibile arrivare?
UCI inadeguata o pigra?
La settimana scorsa, Salvatore Puccio fu purtroppo portatore di una profezia infausta, parlando di regolamenti, di chi dovrebbe prendere le decisioni e delle conseguenze drammatiche di gestioni troppo disinvolte.
Al via della Vuelta, a causa della pioggia e delle troppe curve della crono di Barcellona, De Plus è finito all’ospedale con l’anca fratturata. Quel percorso era sbagliato e la pioggia lo ha teso pericoloso. L’arrivo di ieri era davvero impraticabile? Kamna, Sobrero e i primi otto dell’ordine di arrivo lo hanno affrontato senza problemi, gli altri hanno concluso la corsa in anticipo. Sin dalla vigilia, l’ultimo chilometro (solo quello) appariva invaso dal fango, ma al momento del passaggio della corsa, la strada era pulita. Secondo alcuni, il problema riguardava anche il breve tratto di discesa prima dell’ultimo strappo: scivoloso, secondo Evenepoel, che ha ben accolto la neutralizzazione degli ultimi 2 chilometri. Un punto di vista piuttosto prevedibile il suo, considerando che nell’ultimo chilometro al 12 per cento, il belga avrebbe dovuto difendersi da altri attacchi di Roglic.
Quel che stona è il criterio attraverso il quale si è deciso di modificare il finale. L’UCI drena milioni di euro a tutti gli organizzatori, forse sarebbe il caso che destinasse maggiori risorse per gestire simili situazioni. Non si può accontentare tutti, ma non è improvvisando o chinando ogni volta il capo che si rende il ciclismo più affascinante.
Le ultime corse hanno mostrato penuria di atleti italiani. Giustificati quelli frenati da malanni e infortuni, ma gli altri? Diverse cause. E il Giro bussa
Renat Khamidulin chiama dalla Russia, dove sta giocando con suo figlio di tre anni. Tornerà in Italia dopo il 20 luglio e annuncia qualche novità, ma si capisce che la chiusura della sua Gazprom RusVelo abbia lasciato ferite che non si sono ancora cicatrizzate.
La squadra ha fatto ricorso al TAS di Losanna contro il ritiro del titolo sportivo che gli ha impedito di ripartire. Originariamente era stata chiesta una decisione d’urgenza, ma non ne sono stati ravvisati gli estremi e si è intrapresa la strada del giudizio ordinario. E mentre i suoi corridori più o meno faticosamente si vanno sistemando, Renat è fermo e si guarda intorno.
Renat è tornato in Russia, a giugno ha partecipato alla White Nights Marathon di San Pietroburgo (foto Instagram)Renat è tornato in Russia, a giugno ha partecipato alla White Nights Marathon di San Pietroburgo (foto Instagram)
«Prima di ragionare di qualsiasi cosa – dice in un sottofondo di bimbi al parco – voglio aspettare il verdetto del Tas. La procedura va avanti. Non so se sarà veloce, di certo non prenderà il tempo di un tribunale ordinario, ma qualche mesetto ci vorrà. E poi pensiamo di ripartire, certo. Ma non prima di aver capito se quello che ha fatto l’Uci sia stato illegittimo o se il mondo sia davvero cambiato. Adesso che riesco a guardarlo dal di fuori, mi chiedo se davvero questo sia professionismo…».
Che cosa intendi?
Non è un mondo professionistico se una società che investe soldi non guadagna, non è protetta e non ha la sicurezza che i soldi investiti non li perderà per fattori esterni come è successo a noi. Sto leggendo quello che succede in America e siamo totalmente fuori strada. Basta guardare come lavorano le altre leghe. Prendiamo il Tour…
Che cosa succede al Tour?
Erano tutti preoccupati per i tamponi. E se trovano positivo Pogacar con tutti gli interessi che smuove e magari è totalmente asintomatico, lo mandano a casa? Non voglio sminuire l’entità del Covid, ma trovo incredibile che non si siano studiate soluzioni per i vari casi. Nel professionismo, si sarebbe dovuto fare. Come trovo irrispettoso quello che succede in tutto questo scambio di sponsor.
Finché è stata in gruppo, la Gazprom si è segnalata per la sua compattezzaFinché è stata in gruppo, la Gazprom si è segnalata per la sua compattezza
Parli della Soudal con Quick Step?
Esatto e la Lotto si ritrova senza sponsor. Come fai a programmare? Oppure il nostro caso. C’è il discorso della guerra, possiamo farci poco. Credono che fermandoci hanno fatto male al presidente della Russia? Non credo che Putin sappia nulla del ciclismo, a lui non hanno fatto male. Ma vi assicuro che hanno fatto male a Canola.
Dei corridori non si è preoccupato nessuno…
Le stesse richieste del CPA non sono state nemmeno prese in considerazione. Devo pensare che tengono il sindacato per far vedere che c’è, ma è impotente? Andate a guardare l’hockey americano. Le grandi squadre investono 80 milioni, le piccole 40. Ma se toccano i diritti delle più piccole, si ferma tutto finché non si trova una soluzione. Non gioca più nessuno. Questo è professionismo, non è un divertimento. All’UCI invece sono dilettanti e difendono le loro creazioni. Quanto interesse c’è stato sui campionati europei giovanili? Nessuno, ma loro sono lì a farsi belli. Mi ricorda il discorso di Tinkov…
Sull’inutilità di investire?
Oleg diceva che non serve investire, se non torna indietro niente. Uno che investe deve sapere cosa ci guadagna, altrimenti è inutile lamentarsi del fatto che non ci sono sponsor. Eppure l’UCI pretende di mettere sulle nostre maglie i suoi loghi, grandi quanto dicono loro e senza pagare niente. E da qui si capisce che non è professionismo.
Gazprom cancellata, ma Makarov, parte dell’UCI Management Committee e decisivo nelle ultime elezioni, è ancora al suo postoGazprom cancellata, Makarov, parte dell’UCI Management Committee e decisivo nelle ultime elezioni, è ancora al suo posto
E nonostante questo, pensi di ripartire?
I corridori hanno capito che la nostra era una società sicura, ma di certo abbiamo perso immagine e dobbiamo pensare bene a come ripartire. Serve un cambio di sistema, perché mi troverei davanti alla stessa gente che mi ha cancellato senza accettare di parlarmi.
I corridori hanno capito e di te parlano un gran bene…
E questo mi fa piacere, perché hanno ricevuto pressioni affinché parlassero male della squadra. Si deve cambiare. Il ciclismo ha un potenziale enorme, ma è lo sport più povero. L’idea della super lega diventerebbe attuale a patto di far saltare questo sistema. E succederà quando arriverà una persona più forte di quelli di Aigle. Perciò per ora mi godo la famiglia e quando torneremo sarà per fare bene. Non potrò riprendere tutto il mio gruppo, ma io non ho lasciato nessuno per la strada…
L'arrivo di Zakarin alla Gazprom riaccende i fari sulla squadra russa. Ne abbiamo parlato con Renat Khamidulin, il manager che la guida dalla fondazione