Le medie salgono, le bici migliorano così come le preparazioni, le strade peggiorano, sia come manutenzione, sia per la presenza di elementi di arredo urbano che non tengono conto della possibilità che prima o poi passi una corsa. E la sicurezza ovviamente diventa una chimera. La statistica realizzata da procyclingstats.com mostra come la media oraria delle corse WorldTour nel 2025 sia stata di 42,913 chilometri orari. Fra il 2001 e il 2020 si era arrivati a sfiorare i 40 orari, mentre dopo l’anno del Covid, i valori hanno preso a salire.
Dovendo metterci un freno, l’UCI si è infilata in un vespaio, imponendo una serie di limitazioni. Prima quella per arginare la rotazione delle leve dei freni. Poi quella per limitare la tendenza di stringere i manubri. Quindi imponendo un limite all’altezza dei cerchi. Infine cercando di avviare dei test per studiare la limitazione nello sviluppo metrico dei rapporti, fermata però dal garante per la concorrenza del Belgio, perché apparentemente avrebbe limitato solamente Sram.
Ai campionati del mondo di Kigali 2025, il presidente Lappartient ha difeso le misure dell’UCI che tuttavia non incidonoAi campionati del mondo di Kigali 2025, il presidente Lappartient ha difeso le misure dell’UCI che tuttavia non incidono
Come la bici di Coppi
Intervistato di recente su tutt’altro argomento, Stefano Garzelli ci ha regalato uno spunto che si inserisce benissimo nel discorso.
«Lo scorso fine settimana – ci ha detto – mi sono trovato a fare la discesa di Pizzo Sant’Angelo in Costiera Amalfitana e mi sono ricordato di quando la feci per la prima volta alla Tirreno-Adriatico del 1999. Mi ricordo proprio la fatica della discesa. Molte volte la gente mi chiede quanto vadano forte quelli di adesso. E io rispondo che è vero, ma darei loro le biciclette che avevamo noi 20 anni fa e secondo me si scoprirebbe che non andavamo tanto più piano. Solo che la differenza di frenata tra i freni di una volta e quelli a disco è abissale.
«A casa ho la Bianchi con cui vinsi il Giro del 2000 e sembra la bici di Coppi. Oggi non potrei più usarla. Per andare a 40 all’ora in pianura, devi andare a tutta, ora invece a 40 all’ora ci vai quasi senza pedalare, grazie alle ruote, i cuscinetti in ceramica, l’aerodinamica, i profili. Le cadute ci sono perché con il freno a disco stacchi sempre dopo, quindi vuol dire che arrivi sempre più veloce alla curva e non puoi sbagliare. Se sbagli, cadi. Invece una volta si frenava 50 metri prima e nelle curve entravi con più margine».
Giro 2000, cronoscalata decisiva: la bici di ogni giorno con la protesi: sembra la bici di Coppi?Giro 2000, cronoscalata decisiva: la bici di ogni giorno con la protesi: sembra la bici di Coppi?
Alto profilo, parliamone…
Vogliamo ridurre davvero le velocità? Non potendo limitare la capacità di prestazione dell’atleta, che anche grazie alla nutrizione ormai è sempre al top, bisogna intervenire sulle biciclette, ma non nel modo cervellotico e vano ipotizzato dall’UCI per non scontentare nessuno.
Non si può tornare indietro dai freni a disco e dai perni passanti che rendono la bici e la frenata più rigidi? Va bene. I telai in carbonio sono i più performanti, sicuri e confortevoli? Va bene. Si torni allora indietro sulle ruote. Il limite di 65 millimetri è troppo alto: fatte salve le cronometro e senza toccare i cuscinetti, si scenda a un profilo da 30. L’UCI dice di aver scelto la misura limite, notando che al Tour nessuno utilizzava cerchi più alti di 65. Se però le velocità sono troppo alte, qual è il senso di aver mantenuto lo status quo?
A questo punto si potrebbe ragionare anche sulle posizioni in sella, che attualmente proiettano il corridore così in avanti da rendere la bici difficilmente manovrabile. Il limite imposto un tempo all’avanzamento della sella, per arginare le posizioni troppo estreme, avrebbe oggi una nuova ragione di essere.
Sul Colle delle Finestre con la bici aero e ruote da 30-37 mm. Un assetto che potrebbe diventare la regola per tutti?Sul Colle delle Finestre con la bici aero e ruote da 30-37 mm. Un assetto che potrebbe diventare la regola per tutti?
Bici più comode e sicure
Il traguardo finale dovrebbe essere avere biciclette più comode, con una distribuzione dei pesi che eviti squilibri e soluzioni tecniche che non trasformino l’atleta in un proiettile incontrollabile. Se il ritorno delle medie sotto il tetto dei 40 può ridurre il numero degli incidenti fatali (che purtroppo ci saranno sempre), crediamo che qualche sacrificio in questo senso possa essere accettabile. Se contemporaneamente si diventasse più intransigenti nella scelta dei percorsi e delle dotazioni di sicurezza per gli arrivi, i passi in avanti sarebbero anche maggiori.
Il Giro 2000 di Garzelli fu un raccoglitore di emozioni fortissime e venne corso a 37,548 di media. Assolutamente nulla da invidiare all’ultimo conquistato da Yates a 41,728 chilometri orari e anch’esso deciso da un capolavoro nelle tappe finali.
Non si parla mai abbastanza dei temi legati alla sicurezza stradale. Davide Ballerini e Gianni Moscon argomentano i loro punti di vista e ci danno qualche indicazione utile sui sistemi attivi che possono utilizzare i ciclisti
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Il divieto di partecipazione per i corridori professional under 23 alle gare internazionali della loro categoria, di cui ci ha parlato ieri Roberto Reverberi, è stato salutato con enfasi da un paio di gruppi sportivi di casa nostra che ravvedono in questo più spazio e maggiori possibilità di prendere corridori. Il punto è capire quale sarà il destino di questi ragazzi… finalmente liberi sul mercato e quali margini di carriera sarà possibile offrirgli. Se l’obiettivo è quello a medio termine per cui la piccola squadra possa fare una bella stagione nel calendario nazionale, allora ne comprendiamo la soddisfazione. Se l’obiettivo è quello a lungo termine di creare potenziali professionisti, allora l’ottimismo viene meno, dato che le squadre italiane in grado di fare formazione per i giovani atleti (per adeguatezza dei loro tecnici e mezzi a disposizione) sono sempre meno. Non si può chiedere alle professional di avere anche il devo team, si potrebbe convincerle dell’utilità di avviare collaborazioni con squadre U23 già esistenti. Il fatto di farle correre nelle internazionali era un compromesso probabilmente accettabile.
Filippo Turconi ha conquistato il Trofeo Piva under 23: dal prossimo anno non potrà parteciparvi (foto Alessio Pederiva)Filippo Turconi ha conquistato il Trofeo Piva under 23: dal prossimo anno non potrà parteciparvi (foto Alessio Pederiva)
Cercasi squadre under 23
La situazione attuale del mercato giovanile vede i procuratori armati di setaccio, che opzionano corridori anche fra gli allievi e poi li propongono ai devo team e ai team di sviluppo U19, il più delle volte non italiani. Si parla certamente di atleti dotati di cuore, muscoli e polmoni, dato che la selezione avviene sulla base dei test. Poco si riesce a valutare, in questa fase, della maturità, dell’intelligenza tattica, della scaltrezza. I numeri comunque sono bassi: togliamo dal mazzo i grandi motori, che cosa accade a tutti gli altri?
Una delle migliori continental di casa nostra ha ricevuto 40 richieste da parte di juniores in cerca di squadra. Tanti di loro ovviamente smetteranno, anche perché nel frattempo non si registra un aumento delle società under 23, tutt’altro. Basti semplicemente annotare, un anno dopo la chiusura della Zalf Desirée Fior, che a causa della trasformazione in professional, anche il vecchio Team Colpack – dallo scorso anno Team MBH Bank-Ballan – non sarà più nella categoria under 23. Mentre il CT Friuli, diventato devo team della Bahrain Victorious, quest’anno aveva solo 8 italiani sui 15 atleti dell’organico.
La MBH Bank-Ballan-CSB diventa un team professional: i suoi under 23 potranno correre soltanto tra i pro’La MBH Bank-Ballan-CSB diventa un team professional: i suoi under 23 potranno correre soltanto tra i pro’
Motorini spinti al limite
Qualche giorno fa, Daniele Fiorin ha raccontato la difficoltà di fare formazione anche negli allievi. Ormai i ragazzi e le ragazze scelgono di investire tutto sulla strada, perché è qui che si può concretizzare il sogno di farne un lavoro. Ci si trova quindi con società e famiglie che investono (non solo tempo, anche parecchi soldi) su ragazzi di 16-17 anni, perché abbiano il livello necessario per essere notati dai procuratori e di conseguenza dagli squadroni. Ragazzi che magari avrebbero bisogno di fare due stagioni nella casetta di una squadra in cui imparare a diventare adulti e atleti, invece rincorrono il risultato e la prestazione assoluta nel momento in cui dovrebbero soprattutto maturare. Ne deriva una generazione di motori ancora da sviluppare ma spinti al limite che, qualora non trovassero lo sbocco desiderato, si ritroverebbero alle prese con i pochi posti disponibili fra gli juniores. Ha chiuso la Aspiratori Otelli e ha chiuso il Team Giorgi, le squadre che resistono sono ormai piene fino al collo.
Qualcuno dice sorridendo amaramente che se non ci fosse mai stato Remco Evenepoel, tutto questo non accadrebbe. Forse è vero. Le WorldTour sono ancora vittime della ricerca del talento in erba e hanno innescato il meccanismo di una ricerca spasmodica e autodistruttiva. Che fine fanno i diciottenni, dotati di grande motore, che non dovessero risultare appetibili per il WorldTour? Potrebbero diventare interessanti per le squadre professional, che sfrutterebbero la formazione ricevuta nei devo team e potrebbero portarli in un professionismo meno estremo.
Belletta non è arrivato nel WorldTour con la Visma-Lease a Bike e dopo un passaggio alla Solme Olmo diventa pro’ con il Team PoltiBelletta non è arrivato nel WorldTour con la Visma-Lease a Bike e dopo un passaggio alla Solme Olmo diventa pro’ con il Team Polti
Il ciclismo di una volta
La ricerca del talento passa necessariamente dai grandi numeri: se si riduce il campione, è probabile che si riduca anche la probabilità di trovare atleti su cui investire. Quante delle 10 continental italiane del 2025 possono dire di aver proposto ai loro atleti un’attività internazionale qualificata? Quanti giorni di gara all’estero sono riuscite a fare? Quante di loro dal prossimo anno pensano di poter fronteggiare i devo team nel calendario internazionale? Quante si sono date una tabella di investimenti perché i talenti scelgano di restare in Italia anziché andare all’estero?
Fa notizia per questo la scelta del toscano Del Cucina, che dopo aver svolto lo stage con la Tudor Development, ha scelto per gli U23 la SC Padovani 1909 di Ongarato e Petacchi. La sua gestione sarà la cartina al tornasole della possibilità di fare ciclismo giovanile di buon livello anche in Italia. Ma questo evidentemente non passa più per le squadre che arrivano al Giro Next Gen senza aver ancora partecipato a una corsa a tappe e si accontentano di dare ai corridori la dotazione di 10 anni fa, accompagnandola col vecchio motto: «Zitti e menare!». Il mondo è cambiato, in ogni ambito. Il ciclismo di una volta non basta più.
Renato Di Rocco, presidente della Federazione ciclistica italiana, ha vissuto l'organizzazione e lo svolgimento dei mondiali di Imola come un passaggio molto importante della sua gestione. «L'Italia ne è uscita vincente - ha detto - il ciclismo ha fatto la parte del leone». Grandi complimenti agli organizzatori Selleri e Pavarini e alla Regione Emilia Romagna per la lungimiranza.
La lunghezza del mondiale e la sua durezza. Nei giorni di Kigali si è fatto un gran parlare del fatto che soltanto trenta corridori avessero finito la corsa: dove sta lo spettacolo? I 267,5 chilometri a 1.600 metri di quota e per giunta all’Equatore erano probabilmente troppi. Avrebbero potuto tirare via una cinquantina di chilometri e il risultato non sarebbe cambiato: Pogacar campione del mondo. Condivisibile o meno, probabilmente l’assunto è giusto. Va fatto notare, che se l’organizzazione non avesse fermato gli atleti staccati, al traguardo ne sarebbero arrivati di più. Ma cambia poco.
La controprova si è avuta ieri ai campionati europei in Drome et Ardeche. Corsa di 202,5 chilometri: lo stesso vincitore e appena 17 corridori all’arrivo. Considerando che Pogacar è rimasto da solo a 77 chilometri dall’arrivo, vogliamo dire che sarebbe bastato un percorso di 125 chilometri? Questa è chiaramente una provocazione, ma ci permette di fare una premessa edue osservazioni in materia di calendario e di eccezionalità di questa fase storica.
La grande selezione dei mondiali di Kigali sarebbe stata identica anche con 50 chilometri in meno? Probabilmente sìLa grande selezione dei mondiali di Kigali sarebbe stata identica anche con 50 chilometri in meno? Probabilmente sì
Il mondiale ad agosto
La premessa: non cadiamo nell’errore di parametrare tutto sull’anomalia di Pogacar. Tadej vincerebbe anche se le gare avessero un chilometraggio minore, per tutti gli altri c’è una bella differenza fra 200 e 250 chilometri. Detto questo, se serve per rendere il ciclismo più spettacolare, lasciando i Monumenti alle distanze originali, nulla vieta di ragionare su durata e lunghezza. Flanders Classics si è unita a Cycling Unlimited e ha preso in mano l’organizzazione del Giro di Svizzera. Hanno ridotto i giorni di gara, equiparando quelli degli uomini a quelli delle donne: lo spettacolo non cambierà. Un errore? Proviamo e poi valutiamo.
Il calendario. Se il mondiale è davvero una corsa importante, è tempo di riportarlo ad agosto, com’era fino al 1994. C’erano i corridori che uscivano bene dal Tour e quelli che si erano preparati dopo il Giro. Era un ciclismo meno veloce dell’attuale e a maggior ragione prevedere ancora il mondiale a fine settembre, con corridori spremuti come limoni dall’intera stagione e dalla Vuelta, è fare un torto alla gara più rappresentativa dell’UCI. Nessuno dei corridori della Vuelta ha fatto bene a Kigali, ad eccezione di Ciccone.
Altra annotazione sul calendario è che troviamo sciocco aver ravvicinato così tanto i mondiali e gli europei, proponendo per giunta percorsi pressoché identici. Lo hanno fatto notare sia Pogacar sia Evenepoel, ci meravigliamo che non lo capiscano i padroni del ciclismo, nonostante lo sfoggio di scienza con cui modificano ogni cosa senza chiedere riscontri. Ma questo non avviene per caso e ci porta alla seconda considerazione sull’eccezionalità di questa fase storica.
Evenepoel campione europeo della crono dopo aver vinto il mondiale: questa maglia nel 2026 non la vedrà nessunoEvenepoel campione europeo della crono dopo aver vinto il mondiale: questa maglia nel 2026 non la vedrà nessuno
Pogacar, la testa e le gambe
Tutti vogliono Pogacar in fuga. E’ come avere la possibilità di scritturare il cantante più in voga e puntare sempre e soltanto su quello che vende più dischi. Chiaramente gli sponsor sono più contenti di… vestire una sua vittoria, piuttosto che quella di un velocista. Eppure è anche un fatto di opportunità. Sapevano tutti che in caso di vittoria dello sloveno il prossimo anno non avremmo visto la maglia di campione europeo sulle strade del mondo, come accadrà con quella di campione della crono conquistata da Evenepoel. Evidentemente il ritorno della vittoria di ieri copre anche il prezzo della scomparsa del simbolo.
Il periodo è eccezionale perché tolto Pogacar, le corse avrebbero uno sviluppo ben più normale. Il gruppetto uscito compatto dal Mount Kigali sarebbe entrato nel circuito finale del mondiale e si sarebbe giocato la corsa con altri equilibri. Ma qui non stiamo dicendo che non vogliamo Pogacar in azione, semplicemente sarebbe interessante se gli rendessero la vita meno facile. Che noia erano i Tour de France con le crono da 60 chilometri per favorire Indurain? Se gli organizzatori lavorassero per amore del ciclismo e dello spettacolo, disegnerebbero percorsi aperti a più soluzioni, dimostrando anche un rispetto superiore per il resto del gruppo. Per i corridori africani in Rwanda, ad esempio. Per il resto del gruppo agli europei. Pogacar vincerebbe lo stesso, però magari per farlo dovrebbe usare anche la tattica e non dovrebbe accontentarsi solo delle gambe.
Salvatore Puccio sta correndo il Giro di Germania. Con lui parliamo del momento della Ineos. Delle voci su Evenepoel. E del correre in condizioni al limite
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KIGALI (Rwanda) – Rieletto alla guida dell’UCI per i prossimi quattro anni, il presidente dell’UCI Lappartient si è mostrato in giro per i mondiali con un bel sorriso e la sicurezza di chi non ha avuto neanche bisogno di difendersi da candidati avversi. L’apparato federale svizzero è ormai una solida industria, che produce fatturato e continua la sua espansione verso confini un tempo inimmaginabili. Lo sbarco in Rwanda è stato accolto con toni trionfali sia da parte del presidente dell’UCI, che se l’è appuntato sul petto, sia da parte dei media locali. Peccato ad esempio che alla celebrazione sia subito seguito ad esempio il contraltare delle parole di Girmay, che ha smontato il castello delle cerimonie. E invitando a riflettere sulla parola stessa: l’Africa non è il Rwanda. L’Africa è un continente immenso e ciascun Paese ha la sua storia e le sue esigenze.
All’indomani della sua elezione, Lappartient ha incontrato i media nella conferenza stampa di rito, in cui ha mostrato delle straordinarie doti oratorie, ma anche la scarsa volontà di affrontare a fondo i temi più seri. La sicurezza in gara. Le proteste contro Israele. Le rivolta delle aziende. Le azioni contro le squadre per l’annosa (e noiosa) vicenda dei GPS. Le cose hanno un solo punto di vista valido: quello dell’UCI. Intanto però le 5 squadre escluse dal Romandia Donne si sono rivolte al TAS, mentre SRAM si è rivolta al Garante Belga della concorrenza per la decisione legata alla limitazione dei rapporti. Quando abbiamo chiesto all’ufficio comunicazione dell’UCI di conoscere in che modo si svolgeranno i test in questo senso al Tour di Guangxi, ci è stato risposto che proprio in seguito al ricorso di SRAM, tali informazioni non possono essere condivise con i media.
Girmay ha detto chiaramente che in Africa servono cose più elementari – ad esempio le bici – che grandi eventi internazionaliGirmay ha detto chiaramente che in Africa servono cose più elementari – ad esempio le bici – che grandi eventi internazionali
Finalmente in Africa, dunque?
Ho avuto l’obiettivo di organizzare i campionati mondiali in Africa e finalmente, 8 anni dopo la mia prima elezione, siamo qui in Rwanda e sono molto felice per l’alto livello di organizzazione e gare meravigliose. Il ciclismo in Africa sta crescendo. Tanti di noi non sapevano cosa aspettarsi. Sono rimasti colpiti dal livello dell’organizzazione.
Non rischia di essere un grande evento che domani non lascerà nulla?
Il ciclismo su strada è diverso da tutte le altre discipline. Bisogna correre, non puoi solo allenarti e gareggiare una o due volte al mese. Purtroppo non ci sono abbastanza gare e a volte ci sono problemi di risorse. Servono più corse a livello locale, ma anche internazionali. Se gli atleti africani vogliono raggiungere un determinato livello, non c’è nessun plan B che tenga: devono trasferirsi in Europa. Solo lì sono in grado di competere ogni settimana. Organizzare le gare, vista l’economia di alcuni Paesi, è molto più difficile.
E come si fa?
Il nostro obiettivo è che questo mondiale non sia un punto di arrivo, ma un punto di partenza. Il fatto che gli eventi siano stati trasmessi in quasi tutti i Paesi dell’Africa ci aiuterà. Sono sicuro che potremo avere molti più eventi internazionali e in altre discipline, come la mountain bike o il gravel. Continueremo a investire, ma l’Africa è grande ed è difficile spostarsi da uno Stato all’altro. Per questo l’idea è di aprire un centro di ciclismo all’Ovest. Questi hub regionali saranno molto importanti per individuale i talenti e poi portarli al livello più alto. Dobbiamo continuare a discutere con le Federazioni nazionali per aiutarli a portare avanti una vera agenda, perché non sempre sono strutturate. Dobbiamo implementare una strategia per i prossimi 5 anni in Africa. E’ importante prendere in considerazione i risultati positivi di questi mondiali, ma anche quello che si può migliorare.
Il rifiuto dell’UCI e dello sport di prendere posizione sulla situazione di Gaza ha prodotto le proteste della VueltaIl rifiuto dell’UCI e dello sport di prendere posizione sulla situazione di Gaza ha prodotto le proteste della Vuelta
Mentre qui si celebra il mondiale, la Vuelta in Europa è stata fermata per una protesta politica.
Riconosciamo completamente il potenziale della democrazia e il diritto di protestare, quando le persone non sono d’accordo con qualcosa. Ma protestare ed essere rispettosi è una cosa, protestare e danneggiare gli atleti è un’altra e questo non lo possiamo accettare. E’ molto complicato. In Spagna la polizia ha cercato di proteggere i corridori, ma ugualmente gli atleti si sono sentiti insicuri e spaventati. Nel frattempo, il Primo Ministro spagnolo ha detto che supporta i protestanti, quindi non deve essere stato facile per gli agenti difendere la corsa.
La protesta mirava a escludere la squadra israeliana dal gruppo…
Secondo i valori olimpici, lo sport è un strumento di unità. Chiaramente come UCI non possiamo pretendere di salvare il mondo soltanto portando le persone insieme a una gara di bicicletta o in una competizione. Ma questo è anche il nostro DNA, la storia dei valori olimpici, essere in grado di competere qualunque sia la nostra nazionalità, la nostra religione, il nostro background, anche se i Paesi sono in guerra. Ieri nel Congresso c’erano la federazione palestinese, la federazione israeliana, la federazione ucraina nella stessa stanza, ma dobbiamo essere molto attenti che i nostri team portino un altro tipo di messaggio. Noi siamo sicuri che la Israel-Premier Tech abbia il diritto di partecipare, mentre il governo spagnolo mi ha chiesto di rimuoverlo: su quale base legale?
Sulla base di una inedita sensibilità umana, probabilmente…
Qualsiasi controversia futura sarebbe il pretesto per rimuovere un altro team. La politicizzazione dello sport è un grande pericolo. Non significa che dobbiamo accettare tutto. Quello che è successo il 7 ottobre è stato inaccettabile e ciò che succede oggi a Gaza è terribile per i civili. Se vogliamo la pace, la violenza non è la soluzione. Ma noi siamo politicamente neutrali e non vogliamo entrare nelle decisioni politiche, perché non possiamo diventare un strumento per applicare sanzioni.
Questo il sistema GPS usato dall’UCI al mondiale per la sicurezza dei corridoriQuesto il sistema GPS usato dall’UCI al mondiale per la sicurezza dei corridori
Veniamo ai GPS e a tutto quello che è successo intorno?
Il nostro obiettivo è non avere più un caso come l’anno scorso, in cui il corridore è caduto e non è stato possibile trovarlo (il riferimento è alla morte di Muriel Furrer, ndr) Vogliamo essere in grado di trovare l’atleta e di sapere quando si ferma. E’ chiaro che l’obiettivo è di avere questi dispositivi per tutte le gare in futuro. Non parlo di avere il nostro sistema, ma come principio vogliamo averlo almeno per il WorldTour e se è possibile per le ProSeries, ma sarebbe un grande investimento.
Perché non adottare il sistema Velon, già collaudato e che non avrebbe costi, dato che le squadre WorldTour lo usano già?
Non metteremo mai la sicurezza nelle mani delle compagnie private, privando l’UCI del diritto di adottare un suo sistema. Alcune squadre hanno voluto bloccarci, per il timore che avremmo commercializzato i loro dati. Gli ho detto: ragazzi, la situazione è stata stessa per gli ultimi 6 anni, non lo faremo, non commercializzeremo i dati, ma non voglio essere ricattato (Lappartient usa il termine “blackmailed”, ndr) nel nome della sicurezza, quindi se non volete usare i GPS sarete rimossi dalla gara. E’ stato molto difficile per tutti noi e spero che possiamo trovare soluzioni. Velon non è pronto per questo. Stanno lavorando per mettere a punto e fare un test al Giro di Lombardia. Ma per il futuro voglio essere in grado di avere dei GPS per i corridori, nel nome della sicurezza e senza commercializzare nulla.
Nei giorni scorsi è stata deliberata la fine della Nations Cup per U23: significa che si andrà verso la soppressione della categoria?
C’è una discussione, perché oggi la maggior parte degli under 23 sono professionisti e il livello della gara U23 non è stato molto alto. E’ difficile per le nazioni ottenere un buon livello di partecipazione. Ormai i team professionistici si occupano anche degli juniores, per cui l’esigenza per cui creammo questo sistema oggi non c’è più. Prima i team non investivano nei devo team per cui abbiamo deciso che non fosse necessario mantenere la stessa struttura di un tempo, anche se il Tour de l’Avenir rimarrà una gara per team nazionali. Non siamo gli organizzatori, ma la sosterremo con un contributo perché si tratta di una gara riservata alle nazionali. Il mondiale U23 continuerà, ma a nostro avviso non è più necessario mantenere la Nations Cup. Avevamo avuto delle richieste, ma non tantissime, per cui abbiamo deciso di rinunciare.
Altezza dei cerchi, limitazione dei rapporti e larghezza dei manubri: i punti caldi delle nuove regole UCIAltezza dei cerchi, limitazione dei rapporti e larghezza dei manubri: i punti caldi delle nuove regole UCI
A luglio avete varato le nuove normative tecniche nel segno della sicurezza, ma in una fase in cui i brand stavano lanciando delle novità non i linea con i nuovi standard. Non sarebbe meglio avere una collaborazione migliore con l’industria ciclistica?
Ovviamente possiamo migliorare il livello di discussione, ma posso dirvi che ci sono molti contatti con il WFSGI, che in un certo modo è l’unione di tutti i produttori. Pensiamo che sia buono avere un frame per le nostre discussioni e le relazioni sono state utili anche nelle ultime settimane, ad esempio per raggungere l’accordo sulla larghezza dei manubri. Quanto all’altezza dei cerchi, perché abbiamo scelto come limite massimo i 65 mm? Perché abbiamo osservato. Nell’ultimo Tour de France, nessuno aveva cerchi più alti di 60 mm, quindi la misura che proponiamo è ancora più alta rispetto a ciò che usano i corridori.
Perché non coinvolgere le aziende nel quadro di SafeR?
Il nostro obiettivo non è solo seguire il lavoro dell’industria, ma anche mettere le regole per la sicurezza. Le gare sono sempre più veloci e manovrare una ruota da 80 mm in condizioni di vento è critico. Per questo abbiamo messo la limitazione a 65 mm, ovviamente per le gare su strada, nelle crono sono liberi. Quello che vorrei dire è che siamo aperti a tutte le discussioni, ma una cosa deve essere chiara: non useremo mai la nostra influenza per modificare il mercato. L’innovazione è la chiave dello sport, ma per noi viene prima la sicurezza. Tanti miei colleghi vorrebbero avere un’industria forte come la nostra. Sappiamo anche noi che serve il giusto preavviso perché il lancio di un prodotto richiede anche due anni, ma qui si trattava di limitare la velocità delle gare, perché continuando ad aumentarla, avremmo messo in pericolo i nostri atleti.
I Garmin Varia RTL515 e RVR315 sono dei radar che informano il ciclista sulla situazione di traffico alle proprie spalle per un livello di sicurezza maggiore
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KIGALI (Rwanda) – Se nella sua conferenza stampa il presidente dell’UCI Lappartient ha magnificato la scelta di portare il mondiale in Africa, con dei toni autocompiaciuti che gli sono valsi i complimenti dei media locali, l’arrivo di Biniam Girmay rimette le cose parzialmente in equilibrio. Da velocista qual è diventato, il corridore eritreo della Intermarché-Wanty aveva annunciato la sua rinuncia alla sfida iridata, poi però ci ha ripensato. Perché? Le sue parole resteranno scolpite nella pietra in questo primo mondiale africano.
«In realtà – dice – risponderò in modo piuttosto semplice. Non posso andare alla Liegi e neanche al Lombardia, perché sono gare troppo difficili e non sarebbe bello andarci solo per essere al via e poi ritirarmi. Questo è il primo mondiale in Africa. E’ davvero un grande evento, peccato però che il percorso non sia adatto ad alcun corridore africano. Trovatemi un solo nome, è molto difficile per tutti. Forse per la prima volta in Africa, se posso essere sincero, sarebbe stato bello lasciare qualche opportunità anche ai corridori di casa. Per questo motivo ero un po’ in dubbio se essere qui. Il percorso è molto difficile per me, mi sarebbe piaciuto avere l’occasione di competere, cercare di fare qualcosa. Ma alla fine, sono sempre felice di indossare la maglia della mia nazionale e di rappresentare il mio Paese. Mi hanno chiesto di venire per aiutare i miei compagni e ho accettato».
Una Gand-Wevelgem, prima classica fiamminga vinta da un africano. Tre tappe al Tour e la maglia verde del 2024, altra prima volta. Una tappa al Giro d’Italia. A 25 anni, il palmares di Biniam Girmay è di tutto rispetto. Lui è il ragazzo che ce l’ha fatta, al pari di Tesfatsion, Ghebreigzabhier, Merawi Kudus, Henok Mulubrhan e pochi altri. Per questo le sue parole contano.
Girmay ha incontrato i media ieri mattina, spiegando le sue ragioni e indicando alcune soluzioni “facili” per il ciclismo in AfricaGirmay ha incontrato i media ieri mattina, spiegando le sue ragioni e indicando alcune soluzioni “facili” per il ciclismo in Africa
Però è anche vero che l’Eritrea è uno dei pochi Paesi africani che continua a portare atleti anche nelle categorie juniores e U23…
In effetti, come sappiamo, l’Eritrea è uno dei Paesi africani più interessati al ciclismo, fa parte della nostra cultura. Abbiamo molte gare e questo è il motivo principale della nostra presenza sempre numerosa. Investiamo molto per migliorare e sviluppare il ciclismo, tanti si impegnano in questo. Se ci fossero più opportunità e grandi investimenti, penso che potremmo crescere ancora. Spero che questo evento sia d’aiuto.
Che cosa significa esattamente un mondiale in Africa?
Se viaggi da un altro continente per correre un mondiale, è tutto diverso. L’Africa è un continente davvero immenso, quindi siamo completamente diversi l’uno dall’altro. Ho viaggiato in diversi Paesi africani, ci sono grandi differenze, ma è un vero onore e un piacere essere qui in Rwanda. E’ uno dei Paesi in cui amano il ciclismo e sono molto appassionati. La gente è sempre gentile, i posti sono davvero belli e sono anche molto adatti per andare in bici.
Girmay aveva già corso i mondiali dello scorso anno a Zurigo, ma aveva scelto di rinunciare a quelli di KigaliGirmay aveva già corso i mondiali dello scorso anno a Zurigo, ma aveva scelto di rinunciare a quelli di Kigali
Il presidente Lappartient ha parlato di come intenda far crescere il ciclismo in Rwanda e più in genere in Africa. Qual è la tua opinione in merito?
La prima necessità che abbiamo riguarda le cose di base, perché ci piace andare in bici e gareggiare, ma siamo già molto indietro rispetto alle gare europee. Ad esempio facciamo fatica a comprare una bici. In Europa ce ne sono da 14-15.000 euro, non so quale famiglia da queste parti possa spendere questi soldi. Quindi, ovviamente, hai bisogno di qualcuno che ti aiuti. Oltre a questo, anche i governi dovrebbero impegnarsi per cercare di sostenere le persone, soprattutto quelle che non hanno le risorse economiche, per aiutarle a progredire. Vedo molti corridori, qui e in diversi Paesi africani, con biciclette pesantissime e con le misure completamente sbagliate.
Davvero le cose più elementari…
A volte li vedi con il sellino troppo alto o lo sterzo troppo basso. Volendo fare attività di alto livello, questo ti distruggerà davvero in pochi mesi. Abbiamo bisogno di avere le cose di base, non ci serve avere gare più importanti o qualcosa del genere. Abbiamo bisogno di buoni allenatori e buone idee. Ad esempio in Europa alla fine di ogni anno le squadre cambiano bici. Quelle bici di seconda mano potrebbero essere di supporto per le federazioni in Africa. Potrebbero aiutare molti corridori, per trovare l’opportunità di correre in Europa (in apertura, Girmay in una foto della Intermarché-Wanty che sostiene i corridori dell’Eritrea, inviando ogni anno il materiale del precedente, ndr).
L’Eritrea è uno dei Paesi africani a schierare il maggior numero di atleti, ma il percorso di Kigali è stato troppo duro per tuttiL’Eritrea è uno dei Paesi africani a schierare il maggior numero di atleti, ma il percorso di Kigali è stato troppo duro per tutti
In breve, la tua storia…
Che continuo a raccontare, sperando che serva. Pochi di noi hanno avuto la chance, ma sarebbe la strada da seguire. Quando avevamo 17-18 anni, siamo andati ad Aigle. Abbiamo imparato un sacco di cose correndo da juniores con il team dell’UCI. E poi, nel momento in cui siamo arrivati al livello professionistico, non avevamo più bisogno di imparare. E’ andata così perché siamo arrivati in Europa molto presto. Penso che potrebbe essere di grande aiuto se anche ad altri venisse offerta questa opportunità.
Hai vinto tappe al Tour e grandi classiche: come ti sentirai nel correre un mondiale sulle strade africane?
E’ sempre bello gareggiare nell’evento più importante del mondo. Però è anche stressante. Ti mette molta pressione sulle spalle perché tieni davvero al tuo Paese e perché molte persone si aspettano che tu faccia di più. Questo è bello da un lato, ma dall’altro non lo è. Certo, se sei qui in Africa, ti senti davvero come se fossi a casa, soprattutto perché non abbiamo molte gare: direi che questa per me è l’unica opportunità dell’anno.
Il calore della gente di Kigali ha stupito Girmay, presente in Rwanda per amore della sua nazionaleIl calore della gente di Kigali ha stupito Girmay, presente in Rwanda per amore della sua nazionale
Com’è stata dunque l’accoglienza in Rwanda?
Finora, tutto bene. A dire il vero, credo che l’ultima volta che ci sono stato fosse stata nel 2020, quindi sono già passati un po’ di anni. E’ sempre una bella sensazione, una bella esperienza correre in Africa. E questo mi dà anche molta motivazione per andare in bici. Appena arrivato dall’aeroporto, come ho detto, la gente è stata gentilissima, amichevole, un’accoglienza davvero calorosa. Finora sono felice e tutto sta andando bene. Ci vediamo sulla strada domenica, mi aspetto comunque una grandissima festa.
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Il 12 settembre 2025, Sram ha presentato un reclamo formale all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (BCA) belga contro l’Unione Ciclistica Internazionale (UCI). Si contesta il Protocollo UCI sul Rapporto Massimo. Il 17 settembre 2025, esaminato il reclamo, la BCA ha avviato un procedimento antitrust formale.
Il limite dei 10,46 metri
Inizia così la comunicazione diffusa venerdì da Sram cui l’UCI ha risposto con una velocità mai vista prima. Le nuove regole sui materiali, varate a luglio, hanno provocato più di qualche mal di pancia: prevedibile e ben motivato. Sapere che al Tour of Guangxi sarà effettuata la prova rapporti, come un tempo fra gli juniores, ha fatto scaldare gli animi.
La limitazione a partire dal 2026 per l’altezza dei cerchi ha provocato un danno non solo di immagine, ma anche economico. Si era nel pieno del lancio delle nuove gamme: averle messe fuori legge è stato una doccia fredda. La limitazione dello sviluppo metrico dei rapporti ha invece colpito soprattutto il brand americano. Avendo spinto per la diffusione dei sistemi monocorona, Sram infatti ha introdotto il pignone da 10. Anche abbinato al 52, il 10 porta a superare il limite dei 10,46 metri imposto dall’UCI nel nome della riduzione delle velocità indicata da SafeR. La curiosità di tale commissione è che comprende tutti gli esponenti del ciclismo, ma non gli sponsor tecnici su cui tuttavia può legiferare.
Fra le squadre dotate di trasmissione Sram spiccano Lidl-Trek, Visma-Lease a Bike e Red Bull-BoraFra le squadre dotate di trasmissione Sram spiccano Lidl-Trek, Visma-Lease a Bike e Red Bull-Bora
Un clima (poco) trasparente
Quel che si legge è che Sram avrebbe tentato più volte di coinvolgere l’UCI in un approfondimento sul tema, senza tuttavia ottenere una risposta esauriente. A fronte della possibile penalizzazione degli atleti (e del rischio – aggiungiamo noi – che il rinnovo delle sponsorizzazioni sia messo a rischio), l’azienda ha intrapreso la sua azione legale.
«Definirlo un test non lo rende meno una gara – ha affermato Ken Lousberg, CEO di Sram – tutti i ciclisti sulla linea di partenza dovrebbero competere ad armi pari. Al momento, i team equipaggiati con Sram dovranno gareggiare in condizioni di svantaggio. Con un equipaggiamento compromesso e un numero ridotto di opzioni di cambio rispetto ai concorrenti. Inoltre, non è chiaro cosa venga testato. Dato il modo in cui l’ente governativo prende le sue decisioni, è impossibile sapere chi potrebbe essere interessato in futuro al ciclismo. Attraverso questo processo speriamo di creare un clima più trasparente e collaborativo per le squadre e i fornitori di componenti. Per avere uno sport migliore e più sicuro per tutti».
Ken Lousberg ha commentato l’azione legale intentata da Sram (foto Bike Europe)Ken Lousberg ha commentato l’azione legale intentata da Sram (foto Bike Europe)
Il primo comunicato dell’UCI
L’UCI si trova a gestire parecchi fronti. L’aspetto singolare è che ciascuna criticità parrebbe causata da azioni intempestive messe in atto senza applicare i regolamenti cui l’ente svizzero sembra così attaccato. Alle normative tecniche si è aggiunto infattiil goffo passaggio dei GPS da gara, testati al Tour de Romandie delle donne. Considerare da questi episodi che SafeR sia diventato un nuovo strumento di potere, al pari dell’antidoping in altri anni, è fin troppo elementare.
In un primo comunicato rilasciato ieri mattina, l’UCI si è detta perplessa dalla pubblicazione del comunicato stampa di Sram, prima di esserne stata informata. Ha aggiunto che dagli esiti del test cinese dipenderà la possibilità di farne ancora nel 2026, avendo come obiettivo “lemisure per aumentare la sicurezza dei ciclisti. L’UCI è convinta che la sua proposta di testare le limitazioni al cambio sia conforme al diritto della concorrenza dell’UE e belga. Non è compito di chi tutela il diritto alla concorrenza portare a un “livellamento verso il basso” degli standard normativi e di sicurezza“.
Di SafeR fanno parte anche i sindacati dei corridori: qui Hansen e Cappellotto del CPADi SafeR fanno parte anche i sindacati dei corridori: qui Hansen e Cappellotto del CPA
Il secondo comunicato
A metà pomeriggio però hanno aggiustato il tiro. In un secondo comunicato, l’UCI ha dettagliato le motivazioni che hanno portato alla decisione di procedere alla verifica dei rapporti. «E’ stato dimostrato – si legge – che l’aumento delle velocità massime raggiunte dai ciclisti negli ultimi anni, in particolare in discesa, è legato all’evoluzione dell’equipaggiamento e costituisce un fattore di rischio per la loro sicurezza. Va inoltre sottolineato che la maggior parte dei ciclisti si è espressa a favore della verifica dei limiti massimi del rapporto di trasmissione in un questionario inviato prima della definizione del protocollo. Il Protocollo per il Test del Massimo Rapporto non si rivolge a un marchio o fornitore specifico, ma si applica uniformemente a tutti i ciclisti del gruppo».
La chiusura è da capire, a metà fra una mano tesa e il ribadire la propria volontà. «L’UCI rimane pienamente aperta al dialogo con i produttori di attrezzature – scrive – al fine di proseguire lo sviluppo armonioso e innovativo del nostro sport. L’innovazione tecnologica è un motore essenziale del ciclismo, ma deve essere inserita in un quadro normativo chiaro e trasparente che rispetti la sicurezza degli atleti. Tuttavia, l’UCI mette in discussione gli obiettivi di Sram nell’opporsi a un test progettato per valutare la pertinenza di una misura di miglioramento della sicurezza, minando così la necessaria unità tra gli attori del ciclismo, essenziale per il progresso verso uno sport più sicuro».
L’istituzione della commissione SafeR è una valida idea, ma al suo interno manca la voce delle aziendeL’istituzione della commissione SafeR è una valida idea, ma al suo interno manca la voce delle aziende
La voce che manca
Di sicuro la riduzione del profilo delle ruote e dello sviluppo metrico porta a una riduzione delle velocità. Tuttavia è possibile stabilire con certezza se le cadute più disastrose degli ultimi anni siano state determinate da bici troppo veloci o piuttosto dalle strade impraticabili e piene di barriere architettoniche?
Costringere un così vasto numero di aziende a rivedere la propria produzione ha conseguenze e provoca reazioni. Non avere all’interno di SafeR la voce delle aziende fa sì che si legiferi con scarsa cognizione di causa e questo rende l’UCI meno credibile. Sono apprezzabili gli slanci dati dalla necessità di fare qualcosa, ma esiste un livello superiore cui rendere conto. Lo sviluppo armonioso e innovativo del ciclismo non si raggiunge con regole dettate senza la minima condivisione e con un preavviso ridicolo e dannoso. Non si può pretendere di dettare l’agenda alle grandi aziende con iniziative di questo tipo. L’innovazione tecnologica è effettivamente un motore essenziale del ciclismo, a patto di non limitarsi a uno sfoggio di parole.
Dopo le lettere e le proteste, sulla nuova normativa tecnica dell’UCI è sceso il silenzio, ma non sono spariti i punti di domanda e neppure l’indignazione (in apertura il presidente Lappartient). Si ottiene così la vera sicurezza? E’ confermata l’entrata in vigore per il 2026? Si parla della limitazione all’altezza del cerchio. La larghezza del manubrio. Il limite allo sviluppo metrico dei rapporti, per cui chi ha il 10 deve metterci una vite per impedire alla catena si scendere. I GPS sulle bici e la squalifica delle squadre che non si sono piegate a regole inesistenti e non condivise. Al di là delle implicazioni industriali e della noncuranza con cui le regole sono state diffuse e imposte, restano la perplessità sulla competenza di chi le ha pensate e il silenzio di chi avrebbe potuto quantomeno aprire il dibattito e ha preferito restare in silenzio.
E’ mai possibile che Gaia Realini e Jonathan Milan debbano sottostare alla stessa regola per la larghezza de manubrio? Perché si è disposta la serie delle misure per le bici da crono basandosi sulla statura degli atleti e non si è fatto lo stesso per i manubri? E soprattutto qual è stato il reale coinvolgimento delle parti coinvolte?
Il range di larghezza per i manubri non tiene conto delle misure degli atleti: Gaia Realini avrà esigenze diverse da Milan?Il range di larghezza per i manubri non tiene conto delle misure degli atleti: Gaia Realini avrà esigenze diverse da Milan?
La bandiera della sicurezza
La bandiera della sicurezza sta diventando il nuovo strumento di potere, solo che questa volta la sventolano in tanti. L’UCI si è mossa sul fronte dei materiali e delle regole di gara, imponendo multe per il gregario che esulta, ma non dicendo nulla sui percorsi borderline che mettono a repentaglio la salute stessa degli atleti. Sul fronte interno si organizzano convegni con gli stessi attori di sempre, che difficilmente porteranno a qualcosa, e contestualmente si viene a sapere che il presidente Pella ha depositato una proposta di legge, facendola scrivere – così ha spiegato – agli ex corridori che ha coinvolto nella Lega del ciclismo professionistico.
In entrambi i casi manca completamente la condivisione. E se è vero che a proporre una legge può essere soltanto un parlamentare, sarebbe stato e sarebbe ancora auspicabile che la stessa fosse scritta dagli attori che da anni si battono – con esiti incerti – per il tema sicurezza. La capacità di aggregare e prendere il buono dalle proposte altrui è quello che potrebbe fare la differenza.
Il Comitato regionale toscano della FCI con il supporto di Neri Sottoli può vantare sui dispositivi di sicurezza BoplanIl Comitato regionale toscano della FCI con il supporto di Neri Sottoli può vantare sui dispositivi di sicurezza Boplan
Il fronte spaccato
Dalla Toscana, è rimbalzata la notizia che Neri Sottoli e il Comitato regionale della FCI hanno portato in Italia i dispositivi di sicurezza Boplan. Nel resto nelle gare giovanili si continua invece a inciampare e cadere sui piedini delle transenne che sporgono di 15 centimetri.
Quello che dal nostro modesto punto di osservazione facciamo fatica a capire è se l’obiettivo sia davvero la sicurezza o ottenere il primato di aver raggiunto per primi un risultato. Nel convegno che si è tenuto giovedì scorso alla vigilia dell’Italian Bike Festival si sono ritrovati attorno a un tavolo attori che non hanno mai condiviso molto e hanno continuato a ribadirlo, col sorriso ma senza arretrare di un metro.
Mentre Paola Gianotti rivendicava la legge sul metro e mezzo, le bike lane e i cartelli all’ingresso dei comuni, l’avvocato Santilli si è affrettato a dire che la sua utilità sia prossima allo zero. Allo stesso modo si è preso atto che le modifiche auspicate del Codice della strada non siano servite a migliorare le cose, né sul piano della circolazione né su quello delle dotazioni tecniche previste per le bici. E mentre si diceva che la politica non riesce a recepire le istanze del ciclismo, l’onorevole Pella ribadiva che non è vero, che Salvini e Piantedosi sono sensibili al tema e che comunque una legge intanto l’ha presentata lui.
Il metro e mezzo è una conquista? Il tavolo di Misano era spaccato anche su questo. Qui Marco Cavorso, Paola Gianotti e FondriestIl metro e mezzo è una conquista? Il tavolo di Misano era spaccato anche su questo. Qui Marco Cavorso, Paola Gianotti e Fondriest
Nessuna reazione
Riassumendo. Facendo leva sulla scarsa partecipazione – indotta o colpevole – si va riformando il ciclismo stabilendo arbitrariamente norme e criteri non sempre condivisi. Chi è stato escluso giustamente protesta. Le cose non cambiano. E sulle strade e a volte nelle corse si continua a morire. Il bello è che nessuno si arrabbia davvero. Si subiscono leggi e gabelle senza mettersi di traverso, come si subirono squalifiche e angherie senza il minimo cenno di protesta.
Nella Formula Uno cambiano regole su regole: impongono marca e misura delle gomme, delle centraline elettroniche, il tipo di motore e la sua potenza, ma lo fanno con il dovuto anticipo. Nel tennis si oppongono ai verdetti dell’antidoping tutelando i loro atleti (non serve neppure fare nomi). Nel ciclismo non si arriva neppure a pensarlo. Nel ciclismo si punta a farsi dire grazie, probabilmente, per avere un’altra leva da tirare.
Quanti corridori attualmente in gara al Tour de France sarebbero in regola con le nuove norme approvate dall’UCI per il 2026? E perché tante, ma davvero tante aziende hanno appena immesso sul mercato componenti palesemente fuori legge, sapendo che resteranno invenduti? Lo sanno anche i muri: se un oggetto non possono usarlo i professionisti, nei negozi non lo guarderanno neppure.
L’annuncio delle nuove disposizioni tecniche in materia di altezza dei cerchi, di larghezza per i manubrie sviluppo metrico dei rapporti, di cui abbiamo dato notizia nell’articolo pubblicato il primo luglio, ha avuto diverse reazioni piuttosto energiche. L’approvazione di quelle norme è stato un brusco risveglio ed evidentemente non ha seguito le tempistiche necessarie. Altrimenti come si spiega che Deda Elementi, DT Swiss e Swiss Side, ad esempio, abbiano lanciato nelle ultime 3-4 settimane delle ruote ad alto profilo, quando li limite massimo è fissato a 65 e manubri più stretti dei 380 millimetri c/c consentiti?
Appena presentate: le ruote SL7 hanno profilo da 70 mm: dal 2026 non saranno utilizzabili dai pro’Stesso discorso per le Swiss Side Ultimate, con due profili da 68 e 85 millimetriAnche DT Swiss ha presentato a giugno cerchi ben superiori ai 60 mmAppena presentate: le ruote SL7 hanno profilo da 70 mm: dal 2026 non saranno utilizzabili dai pro’Stesso discorso per le Swiss Side Ultimate, con due profili da 68 e 85 millimetriAnche DT Swiss ha presentato a giugno cerchi ben superiori ai 60 mm
Preavviso di 6 mesi
Come spiegò con grande chiarezza Claudio Marra già un anno fa, di simili adeguamenti, in concerto con l’UCI, si occupava inizialmente il GOCEM (Global Organisation of Cycling Equipment Manufacturers), l’associazione dei costruttori di biciclette e parti. Quando tuttavia si capì che sarebbe stato più saggio confluire in una struttura di più ampio respiro, anche il ciclismo è entrato nella WFSGI (World Federation of the Sporting Goods Industry), l’associazione mondiale delle aziende che, messe insieme, dialogavano con le varie federazioni. Ad essa si rivolge Gianluca Cattaneo, general manager e direttore commerciale di Deda, con un post su Linkedin.
«La World Federation of the Sporting Goods Industry (WFSGI) – scrive – che pretende di essere l’organismo mondiale autorevole per l’industria sportiva, riconosciuto dal Comitato Olimpico e referente dell’UCI, dimostra di aver fallito due volte. La prima, non riuscendo a intercettare le regole allucinanti annunciate dall’UCI. La seconda, non avvertendo per tempo i suoi membri (molti marchi di biciclette e componenti). Deda non è un membro».
Adam Hansen, attuale presidente del CPA, correva con manubrio Deda 36 c/c: lo riteneva pericoloso?Adam Hansen, attuale presidente del CPA, correva con manubrio Deda 36 c/c: lo riteneva pericoloso?
La voce dei corridori
La riforma voluta dall’UCI si muove nel senso della sicurezza, in seguito alle indicazioni messe insieme da SafeR, la struttura dedicata alla sicurezza nel ciclismo su strada, maschile e femminile. Essa riunisce i rappresentanti e le associazioni di tutte le parti interessate al ciclismo su strada: organizzatori, squadre, corridori e l’UCI. Ci sono gli organizzatori dei tre Grandi Giri e per i corridori il CPA guidato da Adam Hansen. Fin qui tutto bene, ma come hanno agito?
«Il ruolo della CPA, di cui Adam Hansen è presidente – scrive ancora Cattaneo – è quello di servire gli interessi dei ciclisti professionisti. La posizione di Adam Hansen, che come mio ciclista e prima dell’attuale tendenza utilizzava manubri Deda da 38 esterno/esterno (36 c/c), è davvero curiosa. In che modo le nuove regole possono garantire una maggiore sicurezza? Non ci sono prove di una correlazione diretta tra l’uso di manubri stretti e gli incidenti di gara. Se si vuole intervenire sulla sicurezza, penso che si possa e si debba agire su altri aspetti».
L’UCI è intervenuta anche sullo sviluppo dei rapporti: dal 2026, massimo consentito 10,46 metriL’UCI è intervenuta anche sullo sviluppo dei rapporti: dal 2026, massimo consentito 10,46 metri
Prodotti da buttare
Perché l’UCI si è resa promotrice di questo strappo, avvertendo le aziende appena sei mesi prima dell’entrata in vigore della nuova norma? Tanti sponsor ben più potenti, come ad esempio quelli della Formula Uno, hanno dovuto negli anni piegarsi all’introduzione di norme restrittive in tema di elettronica, geometrie delle auto e larghezza delle gomme, ma hanno ricevuto l’avviso con il tempo necessario per adeguare la produzione.
Una simile decisione sarebbe stata da ratificare nell’ambito del Congresso UCI agli ultimi mondiali di Zurigo, in modo che certi investimenti venissero fermati quando c’era ancora il tempo per farlo in modo indolore. Un preavviso così breve significa buttare progetti, stampi e prodotti in una fase economica in cui molti sponsor tecnici faticano a ritrovare l’equilibrio dopo gli scossoni del post Covid.
Il presidente dell’UCI Lappartient e quello del Rwanda Kagame: continui scossoni al ciclismo che sbanda (foto KT Press Rwanda)Il presidente dell’UCI Lappartient e quello del Rwanda Kagame: continui scossoni al ciclismo che sbanda (foto KT Press Rwanda)
L’UCI di Lappartient
La sicurezza resta centrale. Ma allo stesso modo in cui per le bici da crono sono stati individuati dei range antropometrici in cui contenere tutte le atlete e gli atleti del gruppo, forse anche nel caso dei manubri sarebbe stato opportuno prevedere una gradualità. Tutto il resto fa pensare a mancanza di realismo, scarso collegamento con il mondo delle aziende e anche ad un filo di arroganza.
Sommando a questo il disagio di aver imposto il mondiale in Africa a federazioni economicamente provate, la devastazione delle categorie giovanili nel nome del risultato a tutti i costi, la sensazione è che il presidente Lappartient abbia perso la misura e il senso stesso del suo mandato. Forse distratto dalla corsa alla poltrona del CIO, da cui è uscito con le ossa rotte, e in preda alla voglia di rivincita? O perché incapace di governare l’ennesima infrastruttura di cui ha dotato l’UCI senza che ce ne fosse davvero bisogno?
Il rapporto tra Santini e la maglia iridata è un connubio che dura oramai da decenni, per l’esattezza dal 1988. Questo significa che, solo per restare tra gli italiani, hanno indossato la maglia iridata Santini Fondriest, Bugno (2 volte), Cipollini, Bettini (due volte) e Ballan. Per festeggiare questo traguardo l’azienda bergamasca ha appena lanciato non una, non due, non tre, ma quattro nuove linee di abbigliamento.
Naturalmente il pezzo forte della linea ufficiale è la maglia iridata, ma c’è anche molto altroLa linea Mondo è minimal ed elegante, in nero o in biancoNaturalmente il pezzo forte della linea ufficiale è la maglia iridata, ma c’è anche molto altroLa linea Mondo è minimal ed elegante, in nero o in bianco
Linea ufficiale e linea Mondo
La prima collezione è, naturalmente, quella ufficiale, cioè quella tecnica con il classico design con le 5 strisce iridate. Si tratta di capi di alta qualità pensati per chi pratica il ciclismo e vuole farlo con tutto il meglio di Santini e con l’estetica di un campione del mondo. E’ composta da due jersey, bibshort da uomo e da donna, maglia intima, guantini, calzini e cappellino.
La seconda linea, Mondo, celebra una delle caratteristiche storicamente più belle del ciclismo: l’universalità. Per questa collezione Santini ha scelto il nero e il bianco, i colori più universali che ci siano, impreziositi da una patch UCI a forma di globo. Mondo abbraccia veramente tutto lo scibile dell’abbigliamento tecnico. L’assortimento comprende infatti maglia, pantaloncino, calzamaglia, maglia intima senza maniche, maglia a maniche lunghe invernale, gilet e guanti estivi.
Nations è la gamma più colorata della collezione, quella dedicata alle 8 nazioni che hanno fatto la storia del ciclismo (e dei Mondiali)Nations è la gamma più colorata della collezione, quella dedicata alle 8 nazioni che hanno fatto la storia del ciclismo (e dei Mondiali)
Linea Nations e linea Casual
La terza linea è quella dedicata alle nazioni che più hanno influenzato la storia dei mondiali. In questo caso Santini ha reinterpretato le classiche cinque strisce iridate declinandole (su maglia da ciclismo e cappellino) con i colori distintivi degli 8 paesi scelti. C’è l’Italia? Certo che c’è, col suo bell’azzurro scintillante. E assieme a lei Giappone, Australia, Paesi Bassi, Belgio, Spagna, Svizzera e Gran Bretagna.
Infine non poteva mancare la linea Casual, quella da indossare tutti i giorni, anche se non si pratica il ciclismo. Si può scegliere tra polo, t-shirt, felpe con cappuccio e senza cappuccio, body per neonati, ma anche oggettistica come tazze, zaini, borracce e, addirittura, una cravatta.
Una delle felpe della linea Casual, semplice ed elegante da indossare tutti i giorniUna delle felpe della linea Casual, semplice ed elegante da indossare tutti i giorni
Dettagli e prezzi
Elencare il prezzo di ogni capo di ciascuna delle quattro collezioni sarebbe davvero troppo lungo, quindi faremo così. Qui potete trovare tutti i dettagli della collezione ufficiale, qui quelli della collezione Mondo, qui quelli della collezione Nations e infine quitrovate la collezione Casual.
Perché, come diceva una vecchia canzone: “son troppi i colori del mondo, non li puoi chiudere in una bandiera”.
Dai professionisti agli amatori, da Santini lavorano così. I campioni come modelli, ma gli amatori stanno alzando il livello. E il fatturato si fa con loro