Pogacar alla Roubaix, sembra fatta. E Colbrelli ci dice la sua

03.03.2025
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Svegliateci pure, è (quasi) tutto vero. Ieri Ciro Scognamiglio della Gazzetta dello Sport ha lanciato la news: Tadej Pogacar alla Parigi-Roubaix. Manca l’ufficialità, ma la non smentita del team vale quasi altrettanto. L’avevamo lasciato in quel video in cui “volava” sulle pietre della Foresta di Arenberg. Sembrava non avesse fatto altro prima di allora. E quando ne è uscito, ci aveva raccontato Baldato, era contento come un bambino al parco giochi.

Alla luce di tutto questo abbiamo parlato con Sonny Colbrelli. I due hanno una cosa in comune: presentarsi alla prima Roubaix con serie possibilità di vittoria. Sonny ci è riuscito, Tadej vedremo. L’attuale direttore sportivo della Bahrain-Victorious ha un possibile erede del quale non poteva non parlare.

Sonny Colbrelli in quella gloriosa Roubaix del 2021. Anche per lui si trattava della prima partecipazione
Sonny Colbrelli in quella gloriosa Roubaix del 2021. Anche per lui si trattava della prima partecipazione
Sonny, Pogacar alla Roubaix…

Guardate – parte d’entusiasmo Colbrelli – quando un campione come Pogacar va a provare le corse e vede che può farcela, sicuro che vuole provarci. Sinceramente non pensavo che lo facesse già quest’anno, però dicono che ormai sia certa la sua presenza. Di certo è più facile che vinca una Roubaix che una Sanremo, perché la Sanremo è sempre più difficile.

Per di più ad inizio stagione con tanti campioni con le gambe piene…

Esatto, Pogacar a Sanremo deve arrivare da solo, ma con corridori così esplosivi come Van Aert, Van der Poel, Philipsen e gli altri è davvero complicato per lui. Però la sua presenza sul pavé mi incuriosisce molto perché può dare filo da torcere a tutti, anche a gente come Van der Poel. La notizia fa rumore, perché un corridore come lui si adatta a ogni gara.

Tu vincesti al debutto. Vedi similitudini tra te e Pogacar?

Sì e no. Lui ha la stoffa. Io quello che ho ottenuto l’ho costruito con gli anni, con maturità ed esperienza. E persino guardando le corse in tv. Lui invece è il Maradona del ciclismo, il Messi, il Ronaldo. Sono talenti che sbocciano così, a cui serve la metà o un quarto dell’allenamento o dei tentativi per ottenere risultati che altri raggiungono in una vita. Il paragone è molto diverso. Pogacar non ha eguali, entusiasma sempre. Quando attacca, è un altro sport.

Tadej il giorno in cui ha provato la Roubaix. Eccolo nella mitica Foresta di Arenberg, quasi sempre settore cruciale della corsa
Tadej il giorno in cui ha provato la Roubaix. Eccolo nella Foresta di Arenberg, quasi sempre settore cruciale della corsa
Quando si muove un corridore così, che succede in gruppo. Davvero ha delle chances concrete?

Sì, sì… Chiunque deve aver paura, che sia Van der Poel, Van Aert o chiunque altro. Quando si muove Pogacar, tutti devono stare attenti, anche il suo stesso team.

Quale potrebbe essere la sua difficoltà alla Roubaix?

Quando hai gambe come le sue è difficile sbagliare. Forse l’unico timore è una caduta, una foratura. In quel caso serve anche fortuna, oltre a delle buone gambe.

Tadej ha provato la Roubaix con Wellens, in teoria il capitano. Cambieranno i ruoli?

Giocheranno su più frangenti. Penso che anche Florian Vermeersch possa essere un’opzione per la UAE Emirates. Non so se sia stato preso come gregario o come capitano, ma è già arrivato secondo alla Roubaix quando ho vinto io. Hanno una squadra fortissima. Meglio avere due capitani che uno solo. Se uno ha una giornata no, si punta sull’altro. Se uno cade o fora, c’è l’altro. Sempre meglio avere più opzioni, specie in una gara del genere.

Pogacar va molto bene con il maltempo e la pioggia, ma alla Roubaix potrebbe essere un problema? Un problema diverso?

Magari Tadej non avrà l’occhio di un corridore da classiche o di uno che corre sul fango come Van der Poel e forse un po’ gli si complicheranno le cose. Forse… Però, ripeto, parliamo di Pogacar, l’eccellenza del ciclismo. Quello che tocca è oro. Che sia pioggia o sole, lui si adatterà, ne sono sicuro.

Pogacar al Tour 2022 (Lille-Wallers Arenberg) finì 7°. Il posizionamento nei primi settori potrebbe essere complicato per un peso leggero come lui
Pogacar al Tour 2022 (Lille-Wallers Arenberg) finì 7°. Il posizionamento nei primi settori potrebbe essere complicato per un peso leggero come lui
Quindi ti stupirebbe se vincesse subito?

No, assolutamente no. Uno che fa certi numeri al Fiandre e in tante altre corse può fare tutto.

In effetti non è nuovo ai tratti in pavé, giusto?

No, ha già corso su pavé, ha già capito, e vinto il Fiandre. E non solo (il pensiero va alla tappe del pavé al Tour del 2022, ndr). La stoffa ce l’ha.

Sonny, tu dici che ce la può fare, che ci sa fare e che si adatterà. Ma ci deve pur essere un dettaglio per chi non è del tutto uomo da classiche e che al debutto in una gara tanto complicata come la Roubaix che potrebbe metterlo in difficoltà?

Forse la poca conoscenza del percorso. Magari potrebbe cercare di evitare il pavé andando sul lato della strada, dove è vero che non ci sono le pietre e si scorre di più, ma al tempo stesso ci sono più insidie. Lì può esserci di tutto: buche, “crateri”, rischi di forature o cadute. Quella, se non hai esperienza, potrebbe essere l’unica vera incognita.

La sua presenza cambia l’economia della corsa?

Sicuro. Tutti lo guarderanno. Anche Van der Poel ci penserà. E le altre squadre lo aspetteranno. La corsa potrebbe ruotare su di lui.

Jebel Hafeet: l’attacco di Pogacar ai raggi X. L’analisi di Toni

27.02.2025
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UAE Tour, 7,8 chilometri all’arrivo di Jebel Hafeet. Rune Herregodts si sposta e Tadej Pogacar parte (qui il video). Inizia lo show. Provano a tenerlo Oscar Onley e Giulio Ciccone. Ma resistono per meno di 400 metri, vale a dire 30 secondi. Trenta secondi terribili per gli altri, di progressione micidiale per Pogacar. Alla fine lo sloveno vincerà con 33″ di vantaggio sull’Abruzzese, ma mollando nel chilometro finale.

E noi quei 30 secondi (e non solo) li andiamo ad analizzare con Pino Toni. Con il coach toscano facciamo dell’asso della UAE Emirates un’analisi esattamente come avevamo fatto qualche giorno fa per lo sprint di Milan. Lo spunto tecnico e l’occhio del preparatore ci dicono qualcosa di più del “semplice” show di Pogacar e di quanto si stato forte per l’ennesima volta.

Pogacar domina Jebel Hafeet: secondo i dati di Velon ha fatto un picco di 920 watt sull’attacco e 491 watt nei 5’31” successivi allo scatto
Pogacar domina Jebel Hafeet: secondo i dati di Velon ha fatto un picco di 920 watt sull’attacco e 491 watt nei 5’31” successivi allo scatto
Pino, partiamo dall’attacco di Pogacar: cosa ha visto il tuo occhio esperto?

Per me non è stato uno scatto secco, non uno scatto di quelli che deve fare al Tour de France, tipo quello con cui ha attaccato Vingegaard. E’ stata più una progressione. E’ chiaro che aumenta la velocità in modo netto e va subito su wattaggi altissimi, ma è una progressione fatta con la sicurezza di non avere avversari al suo livello o lì vicino.

Cosa ti fa dire questo?

Che secondo me non era al massimo. Non è uscito dal gruppo con lo scatto più potente che avrebbe potuto fare per prendere quei due metri di vantaggio. Perché attenzione, gli altri hanno provato a seguirlo, ma alla sua ruota non sono mai arrivati. Non sono mai stati attaccati del tutto. Se qualcuno si fosse avvicinato davvero, avrebbe potuto dare ancora di più la mazzata. Per questo dico che non era uno scatto secco, ma in controllo.

Se avesse dovuto dare ancora di più, quando poi si è seduto, non avrebbe fatto il vuoto forse… Mentre lui ha iniziato a guadagnare.

Forse non avrebbe fatto la differenza in modo così netto. Quando si siede, continua a guadagnare. E’ un segnale chiaro che non ha raggiunto il suo limite massimo. Almeno giudicando da fuori senza avere accesso ai suoi dati diretti. Pogacar è uno che va forte in ogni condizione e gestisce perfettamente il proprio sforzo. Ora che ci penso, forse l’unica volta che ha avuto le gambe in croce è stato proprio nello sprint iniziale di questo UAE Tour.

Tadej con la nuova Colnago Colnago Y1Rs sembra essere ancora più corto e raccolto di posizione
Tadej con la nuova Colnago Colnago Y1Rs sembra essere ancora più corto e raccolto di posizione
E lo sprint rispetto alle sue qualità è quella meno forte…

Esatto, fra le sue caratteristiche lo sprint è quello che gli viene meno bene. Tanto più se sprinti contro i velocisti puri, c’è una differenza di almeno 15 chili. Ma parliamo di un corridore che può fare tutto e migliorare in ogni ambito.

Ecco, parliamo di questi miglioramenti. Dagli Emirati sono giunte voci attendibili circa il fatto che sia ancora più corto con la posizione.

Di certo Pogacar è uno che sperimenta molto. E chi sperimenta è destinato a crescere.

Quanto margine ha ancora Pogacar? Il suo preparatore a dicembre disse che ne aveva ancora…

Io anche credo che non sia ancora arrivato al suo limite assoluto. Vedete, ci sono due limiti: quello giornaliero, legato alla condizione del giorno, e quello generale, ovvero la miglior prestazione possibile. Non vediamo mai Pogacar brutto in faccia, scomposto o davvero in difficoltà? Questo è un indizio importante sul fatto che può ancora migliorare.

La voglia di sperimentare lo aiuta a crescere?

Sì, come ho detto: chi sperimenta cresce. Se non sperimenti, resti indietro. Ci sono stati campioni fortissimi che non hanno seguito le innovazioni e non sono più cresciuti. O almeno non lo hanno fatto quanto potevano. E uno l’ho vissuto da vicino quando iniziarono ad arrivare le prime vere innovazioni su alimentazione, ketogenesi, alcuni allenamenti. Pogacar non è uno di questi. Basti vedere le sue pedivelle da 165 millimetri, la sua posizione molto avanzata, l’attenzione ai dettagli aerodinamici. E’ sempre alla ricerca di qualcosa che possa fargli fare un altro passo avanti. Poi magari può sbagliare e non migliorare, ma ci ha provato e di sicuro non ha perso terreno.

Nella 5ª frazione Pogacar ha attaccato. E’ opinione di molti, tra cui Toni, che lo sloveno lo abbia fatto per allenarsi
Nella 5ª frazione Pogacar ha attaccato. E’ opinione di molti, tra cui Toni, che lo sloveno lo abbia fatto per allenarsi
Invece Pino, un’altra considerazione molto interessante che serpeggia direttamente dagli Emirati è che la sua azione nel deserto, l’attacco in pianura a 110 chilometri dall’arrivo, non era solo per spettacolo ma anche per allenarsi. Tu che ne pensi?

Ed è vero. Lì c’è molta pianura e la corsa scorre tranquilla, specie se c’è la fuga. Se in una corsa come quella si resta nel gruppo a 38-40 all’ora, atleti normali girano a battiti bassi, uno come lui ancora di più e non fa niente. In queste condizioni, se un corridore di una continental arriva a fare 0,76 di intensity factor, Pogacar in 4 ore forse arriva a 0,65, cioè non si allena.

E qual è un limite per considerare l’uscita come allenante?

Diciamo che 0,75 di intensity factor corrisponde ad una giornata di carico normale. Attaccare gli ha permesso di mantenere un’intensità adeguata per non perdere la condizione. E presentarsi bene al giorno della salita. Se lo metti nel gruppo a fare tappe di pianura, non cresce. E lui deve crescere.

Incredibile…

Che poi alla fine la cosa che più mi colpisce di questo atleta non è tanto la prestazione in sé, ma la capacità di recuperare rapidamente e di adattarsi agli sforzi successivi. Un corridore normale, dopo un grande sforzo, ha bisogno di due giorni per recuperare. Pogacar, nel giro di 14 ore, è già a posto. Questa è la sua arma segreta: gestisce il proprio acido lattico e indirettamente quello degli altri (che in corsa sono costretti ad inseguire). Se volesse, potrebbe schiantare tutti in ogni tappa.

Scalatori ai raggi X: quali team hanno rinforzato i treni per la salita?

08.12.2024
7 min
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Il ciclomercato di quest’anno è stato particolare. Al netto dell’ultima “bomba” di mercato, riguardante il passaggio di Tom Pidcock dalla Ineos Grenadiers alla Q36.5, non ci sono stati enormi cambiamenti. O meglio, i cambiamenti ci sono stati ma sono stati concentrati in poche squadre. L’Astana-Qazaqstan per esempio ha subito una rifondazione, mentre un gran via vai ha interessato anche la EF Pro Cycling e la Soudal-Quick Step. In questa giostra, vogliamo concentrarci soprattutto su ciò che riguarda gli scalatori.

Quale team si è rinforzato di più? Qual è la squadra con il miglior treno in vista del 2025? Gli equilibri cambieranno o vedremo ancora la UAE Emirates dominare anche in salita? Non solo con Pogacar? Passiamo quindi in rassegna i team che hanno importanti uomini di classifica.

Per la UAE una scelta vasta di scalatori: dai grimpeur puri ai passisti scalatori. Alti, bassi, altissimi… davvero sembrano inattaccabili
Per la UAE una scelta vasta di scalatori: dai grimpeur puri ai passisti scalatori. Alti, bassi, altissimi… davvero sembrano inattaccabili

UAE ancora più forte?

La risposta all’ultima domanda è: molto probabilmente sì. La prima squadra al mondo non aveva bisogno di rafforzarsi quando la strada sale, eppure ci è riuscita. Come? Con il passaggio dal proprio devo team di Pablo Torres. Ora, con ogni probabilità, non vedremo Torres impegnato nei Grandi Giri o a fare l’ultimo uomo per Pogacar sulle salite del Giro o del Tour, ma è uno scalatore in più a disposizione dei tecnici UAE.

Ecco la rosa per la salita: Almeida, Del Toro, Torres, Majka, Ayuso, Christen, Grosschartner, McNulty, Sivakov, Vine, Soler e Adam Yates. Senza contare il giovane Arrieta, Novak e sua maestà Pogacar. In pratica, si potrebbero comporre tre formazioni distinte per altrettanti Grandi Giri, con più di un leader! Saranno quindi ancora loro i più forti? C’è da scommetterci.

Se parliamo di climber: è lui, Simon Yates, il pezzo forte del mercato di quest’anno
Se parliamo di climber: è lui, Simon Yates, il pezzo forte del mercato di quest’anno

Il gemello alla Visma

Ma per una UAE che lotta per mantenere alto lo scettro anche in salita, gli storici rivali della Visma-Lease a Bike rispondono con quello che, in termini di scalatori, è il vero colpo di mercato: l’acquisto di Simon Yates.

Con Vingegaard al 100 per cento, ma anche Van Aert, che non è uno scalatore ma va forte in salita, l’arrivo di Yates può dare un grande impulso ai gialloneri. Può essere l’uomo che fa la differenza nel momento di un attacco importante. Simon Yates potrebbe essere l’Adam Yates della situazione.
Oltre a questi tre nomi, gli scalatori di mister Plugge sono: il giovanissimo Nordhagen, Jorgenson, Valter, Uijtdebroeks e l’immenso Kuss. Saluta invece Bouwman.

Cresce bene anche il gruppo di scalatori per Remco: ottimo innesto quello del francese Valentin Paret-Peintre
Cresce bene anche il gruppo di scalatori per Remco: ottimo innesto quello del francese Valentin Paret-Peintre

Alla corte di Remco

Ecco poi la Soudal-Quick Step, che a nostro avviso, è la squadra che si è più rinforzata per quel che riguarda la salita. Non che sia ora la più forte, ma potrebbe aver ridotto il gap di parecchio. Ogni anno sembra che Evenepoel debba lasciare il team, ma poi arrivano sempre nuovi rinforzi. Dopo Landa, arrivato l’anno scorso, nel 2025 per dare manforte a Remco potrebbero essere schierati anche Garofoli, Valentin Paret-Peintre e Schachmann.

Oltre a loro, il treno Soudal-Quick Step per la salita vede capitan Cattaneo, Knox, Vansevenant e Van Wilder. Come i due precedenti team, ora anche Remco ha un treno più solido, anche se ha perso un uomo di esperienza (e di valore) come Hirt.

Dopo quello della UAE probabilmente il treno della Reb Bull di Roglic è il più forte, per nomi e numero di scalatori
Dopo quello della UAE probabilmente il treno della Reb Bull di Roglic è il più forte, per nomi e numero di scalatori

Tutti per Primoz

La Red Bull-Bora Hansgrhoe merita un discorso a parte in fatto di scalatori. Lo scorso anno, nel complesso, erano fortissimi: tolto Pogacar, in quanto a numero e qualità di scalatori, se la sarebbero giocata con la UAE. Quest’anno, però, si sono rinforzati più in altri settori e meno in salita.

Sono andati via Jungels, Buchmann, Schachmann, Kamna, Higuita, Palzer. E non sono nomi da poco. Certo, è arrivata una stellina alla quale, da italiani, siamo affezionati: Giulio Pellizzari.

Tuttavia, il gruppo scalatori del “Toro rosso” resta forte, anzi stellare: Roglic, Aleotti, Vlasov, Dani Martinez, Lipowitz e Hindley. Gasparotto e colleghi potranno dormire sonni tranquilli quando la strada sale. Gente come Hindley, Vlasov o Martinez potrà fare sia il passo che la sparata alla Adam Yates per l’attacco finale, o un gioco di squadra a due.

Giro 2023: Zana al lavoro per Dunbar, parte del treno Jayco è ben collaudato
Giro 2023: Zana al lavoro per Dunbar, parte del treno Jayco è ben collaudato

Jayco per O’Connor

È vero, loro hanno perso Simon Yates, ma hanno acquisito Ben O’Connor, sul podio della Vuelta e del mondiale. L’australiano si sente sempre più leader, alla Jayco-AlUla lo sanno bene, quindi lo sosterrà al meglio. Al suo fianco, ci saranno anche Bouwman e Double.

Questi tre atleti si uniscono a un pacchetto di scalatori già più che solido: Zana, Dunbar, Harper e De Marchi, che sa svolgere ottimamente il ruolo di gregario in salita quando serve. Certo, su carta pagano qualcosa rispetto a UAE e Red Bull, ma va detto che l’età media è piuttosto bassa e quindi ci si potrà lavorare.

Tolto Carlos Rodriguez, oggi lo scalatore più forte in casa Ineos è Arensman
Tolto Carlos Rodriguez, oggi lo scalatore più forte in casa Ineos è Arensman

Casa Ineos

E veniamo all’ex colosso del WorldTour. La squadra di Sir Brailsford sta vivendo una grande era di transizione. Senza più Pidcock, la stella su cui puntare è sempre Carlos Rodriguez. Lo spagnolo, seppur giovane, ha già mostrato la sua solidità.

Chi potrà aiutarlo l’anno prossimo? Nel complesso, la qualità dei corridori Ineos resta alta, anche per quanto riguarda gli scalatori. A dare loro manforte è arrivato Jungels, ma bisognerà vedere a che livello correrà. Per ora, le certezze in salita sono: Rodriguez, Arensman, De Plus, Thomas, Rivera e appunto Jungels. In più, ci sarebbe un asso nella manica, Egan Bernal, ma bisognerà vedere il suo livello. Un tempo anche Kwiatkowski tirava forte in salita, ma c’erano ben altri leader. L’intero ambiente era diverso. Di certo, rispetto a Red Bull-Bora Hansgrohe, UAE Emirates e Visma-Lease a Bike, Ineos paga qualcosa.

Zambanini e Tiberi, due vagoni del treno da salita della Bahrain-Victorious… che si rafforza con Lenny Martinez
Zambanini e Tiberi, due vagoni del treno da salita della Bahrain-Victorious… che si rafforza con Lenny Martinez

Bahrain d’assalto?

Altro team che può vantare un buon ventaglio di scalatori è la Bahrain-Victorious. Al loro arco si è aggiunta una freccia proprio quando il bersaglio è la salita: parliamo di Lenny Martinez. Il francese ha un’enorme voglia di mettersi in mostra, e in questa squadra potrà davvero trovare spazio. Con Antonio Tiberi, potrebbero formare una coppia interessante per il futuro.

Ecco quindi il treno di scalatori firmato Bahrain: Tiberi, Martinez, Buitrago, Pello Bilbao, Haig, Zambanini e capitan Caruso. Hanno perso un vagone importante, come Wout Poels, ma restano competitivi. Soprattutto, la gestione di Tiberi e Lenny Martinez risulta interessante. Sarà difficile vderli insieme però, perché è facile ipotizzare che uno correrà al Giro d’Italia e l’altro al Tour. Se però, in qualche corsa, riuscissero a lavorare insieme, la qualità del Bahrain in salita salirebbe di molto. E lo farebbero non tanto per il passo, ma perché due come loro possono attaccare. Pensiamo anche a Buitrago in tal senso.

La Israel-Premier Tech non ha un super leader ma ha tanti buoni scalatori. In maglia di campione canadese, Woods
La Israel-Premier Tech non ha un super leader ma ha tanti buoni scalatori. In maglia di campione canadese, Woods

Occhio alla Israel

E poi ci sono gli altri team, che hanno ottimi scalatori, ma non capitani che possono puntare troppo in alto nelle classifiche generali dei grandi Giri. Pensiamo alla Movistar di Enric Mas, per esempio, da sempre squadra votata alla salita: lì ci sono Mas, Formolo, Quintana, Pedrero, Rubio, Sanchez, ma raramente li abbiamo visti lavorare in modo corale.


Una corazzata che avrebbe anche uomini di classifica, ma non è super attrezzata per la salita (almeno non in modo specifico), è la Lidl-Trek. Ci spieghiamo: Ciccone va forte e lo stesso (si spera) per Tao Geoghegan Hart, ma poi i vari Oomen, Verona, Mollema, Skjellmose… è gente che va forte anche in salita, ma non sono scalatori puri. Magari sbaglieremo, ma facciamo fatica a vederli lavorare come un treno sui grandi valichi. Da segnalare però in positivo l’arrivo di Kamna, anche lui un atleta forte su più terreni.

Infine, l’Astana-Qazaqstan, la EF Pro Cycling e forse ancora di più la Israel-Premier Tech hanno molti scalatori. Ma saranno in grado di lavorare come un vero treno? E soprattutto, per quale leader? Tuttavia per la squadra israeliana, una piccola finestra la lasciamo aperta. Le presenze di Gee e Riccitiello, dato il grande progresso, potrebbero stimolare un buon treno in salita. In quel caso, gli scalatori non mancherebbero: Hirt, Frigo, Fuglsang, Lutsenko, Bennett. La qualità c’è, ma spesso è più di rimessa che per un’azione corale vera e propria.

L’occasione mancata: Baldato e la rincorsa al Giro del Veneto…

18.11.2024
4 min
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Non è facile, per chi ha trascorso questa stagione sull’ammiraglia della UAE Emirates, individuare una vera occasione mancata. Pogacar e compagni hanno praticamente vinto tutto. Eppure, quando si cerca la perfezione, qualche dettaglio viene sempre fuori. A raccontarcelo è Fabio Baldato, uno dei direttori sportivi del team emiratino.

Tutto è accaduto nelle ultimissime gare della stagione, soprattutto al Giro del Veneto, ma in parte anche alla Veneto Classic, quando Baldato e la sua squadra si sono ritrovati a dover affrontare un gruppo che remava contro. Ecco come sono andate le cose, direttamente dalla voce di Baldato.

Fabio Baldato è uno dei direttori sportivi della UAE Emirates
Fabio, sappiamo che stiamo cercando il pelo nell’uovo, ma hai definito il Giro del Veneto un’“occasione mancata”. Con voi le virgolette sono d’obbligo!
Fabio Baldato è uno dei direttori sportivi della UAE Emirates

Esatto, il Giro del Veneto. Ogni volta ti fai un’idea prima del via: guardi i partenti, analizzi i favoriti. Quella mattina ce n’erano tre o quattro che spiccavano, su tutti Kaden Groves, della Alpecin-Deceuninck, e Corbin Strong, della  Israel-Premier Tech. Da lì inizi a capire chi potrebbe muoversi in corsa e chi attenderà. Noi eravamo la UAE Emirates, con oltre 80 vittorie all’attivo e Hirschi in gara, che era tra i favoriti, anche se giustamente in calo dopo un’estate così intensa.

E non era solo lui il vostro uomo di punta…

Esatto, c’erano anche Ulissi e Vine. Ma era una corsa adatta a un passista veloce, molto veloce. Il dislivello complessivo era di 1.800-1.900 metri. Per farla breve, decidiamo di tenere d’occhio soprattutto Israel e Alpecin. Parte una fuga, ma nessuno si muove. Allora ci mettiamo a tirare. Avevamo Giaimi, un giovane della nostra development, che ha fatto un ottimo lavoro. Ad un certo punto mi avvicino alla macchina della Israel e chiedo di collaborare, ma loro rispondono: «Vincete voi, fate tutto voi». Che fare? Se lasciavamo andare la fuga, prendeva 15 minuti e la corsa era persa.

Chiaro…

Soprattutto considerando che è una corsa a cui tengo molto, da buon veneto. Quindi controlliamo la situazione, e nel finale ci provano sia Ulissi sia Vine per rendere la gara dura. Ma il percorso non era abbastanza selettivo: alla fine è arrivato un drappello di una trentina di corridori. Noi, avendo speso più energie degli altri, ci siamo dovuti accontentare di un quinto posto con Hirschi. Tornando indietro, forse non mi metterei a controllare la corsa. È una situazione che ci è capitata più volte a fine stagione, anche quando non avevamo il favorito numero uno.

Israel guardinga e alla fine Strong si porta a casa la corsa
Israel guardinga e alla fine Strong si porta a casa la corsa
Perché?

Proprio perché quest’anno abbiamo vinto di tutto e di più. Ci siamo trovati spesso nella posizione in cui, se non tiravamo noi, la corsa andava alla fuga. Al Giro del Veneto ero io a dirigere con il supporto di Marcato. Una dinamica simile si è ripetuta alla Veneto Classic, diretta invece da Marcato con il mio supporto.

E com’è andata lì?

Alla Veneto Classic è arrivata la fuga da lontano. Certo, c’erano corridori di livello, ma anche noi abbiamo iniziato a controllare più tardi. Le altre squadre ci aspettavano, e c’è stata una lunga fase di attesa e gioco tattico, in particolare con la Groupama-FDJ, che poi è arrivata seconda con Gregoire. Anche in quel caso ci siamo ritrovati a tirare, pur non avendo i favoriti principali. Ulissi, il nostro regista, aveva capito subito l’importanza di quella fuga e ci aveva consultati in ammiraglia, ma alla fine abbiamo atteso oltre 100 chilometri prima di entrare in azione.

Ci sta…

Sì, lo farei anch’io se fossi dall’altra parte. Dopo una stagione simile, capisco gli altri. Con il diesse della Israel ci siamo fatti una risata alla fine del Giro del Veneto. E non avevamo nemmeno pressioni enormi… fino a un certo punto.

Baldato si scopre e mette Giaimi a tirare prima che Ulissi e compagni entrino in gioco (come nella foto di apertura)
Baldato si scopre e mette Giaimi a tirare prima che Ulissi e compagni entrino in gioco (come nella foto di apertura)
In che senso?

Ad inizio anno ci eravamo posti l’obiettivo di alzare l’asticella: essere la migliore squadra al mondo, fare punti. Dopo il Tour era chiaro che avremmo vinto la classifica UCI, ma a quel punto volevamo anche battere il record di vittorie in un anno: 84, stabilito dal Team Columbia HTC nel 2009. Tra Cavendish, Boasson Hagen e altri velocisti, vinsero 84 corse. Noi ci siamo fermati a 81.

È anche una questione di stimoli, però. Bello così, no?

Quando sei lì, ci tieni a battere i record. La cosa bella è che gli stimoli sono rimasti alti fino alla fine. Merito anche di Matxin, che sa valorizzare tutti. E poi, quando hai leader come Pogacar o Hirschi, sai che il lavoro di squadra può finalizzare qualcosa di grande. Io ricordo una Sanremo in cui, lavorando per Petacchi, iniziai a tirare prima della Cipressa e riuscii a farlo fino al Poggio. Probabilmente, se avessi corso per me stesso, mi sarei staccato molto prima. Si innesca un meccanismo di autofiducia che fa rendere al massimo.

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Raggi X sulla Vuelta di Del Toro, prima del mondiale U23

16.09.2024
4 min
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Tra i debuttanti della Vuelta ce n’è stato uno di lusso, se così possiamo dire: Isaac Del Toro. Più di qualcuno lo dava sul podio o come possibile sorpresa della corsa spagnola, un po’ come i suoi illustri compagni predecessori, vale a dire Tadej Pogacar e Juan Ayuso, entrambi terzi al primo grande Giro.

Invece il messicano non è andato altrettanto forte. Tuttavia la sua Vuelta non è stata negativa, anzi. Il tecnico del UAE Team Emirates, Joxean Fernandez Matxin, ci spiega come sono andate le cose e come è arrivato il 36° posto finale, con due top ten in altrettante tappe.

Matxin con Del Toro. Grande sensibilità da parte del tecnico spagnolo con i giovani (foto Instagram)
Matxin con Del Toro. Grande sensibilità da parte del tecnico spagnolo con i giovani (foto Instagram)
Maxtin, era in programma la Vuelta per del Toro? Sappiamo della tua “politica” molto graduale circa la crescita dei ragazzi e la programmazione che fate sin dall’autunno precedente.

E infatti no: non era in programma la Vuelta per Del Toro, ma essendo lui uno dei corridori stratosferici che abbiamo, vedi Ayuso e Pogacar, con questi profili si possono accelerare leggermente i tempi. Quindi abbiamo scelto la Vuelta perché non ti cambia i programmi dell’anno. Quello che dovevi fare lo hai fatto. 

E anche se non dovesse andare benissimo, il ragazzo avrebbe tempo per recuperare con l’inverno di fronte…

Sì, abbiamo un po’ rivisto il calendario estivo, ma poi da agosto parti per la Vuelta e poi hai “finito”. Tutto è nato alla partenza del Giro d’Italia. Uno di quei giorni ne abbiamo parlato insieme. Gli ho detto che pensavo che sarebbe stata una buona occasione per imparare e alla fine abbiamo deciso per il sì. Però è anche vero che i posti per la Vuelta erano assegnati. Ma Hirschi, che punta forte al mondiale di casa sua, ci aveva detto che avrebbe preferito arrivare alla corsa iridata senza fare la Vuelta e così Isaac ha preso il suo posto.

Come giudichi la sua corsa?

Direi che ha fatto una buona Vuelta. Ha corso molto bene nella prima settimana, che era davvero complicata, poi però si è ammalato. Ha avuto problemi di mal di testa, dissenteria e tante brutte sensazioni. Però ha deciso di soffrire. E’ stato male due giorni, ma poi non è riuscito a recuperare. Non era nelle normali condizioni. Però di buono c’è che proprio nel finale, nelle ultime 3-4 tappe, si è ripreso. Stava meglio.

Il messicano ha capovolto il suo numero 13 contro la scaramanzia, ma non è bastato del tutto!
Il messicano ha capovolto il suo numero 13 contro la scaramanzia, ma non è bastato del tutto!
In qualche modo l’aver tenuto duro è stata “una lezione nella lezione” all’interno della sua esperienza alla Vuelta. E’ così?

Certo. Ha imparato che ci sono momenti brutti. Profili da fenomeno come lui non sono abituati a certe situazioni. E gli resta difficile affrontarli e gestirli. Ma Isaac li ha superati e questo è il lato positivo di una storia negativa. Ovviamente non abbiamo ottenuto i risultati sperati proprio perché è stato male e non perché non fosse all’altezza. Ma ripeto, ha imparato che ci sono i momenti brutti ed è per questo che deve godersi al meglio quelli belli. Che deve approfittarne.

Lui come ha reagito?

Ha sofferto molto, sia fisicamente che mentalmente. Aveva dei dubbi se continuare o meno. “Ne vale la pena?”, si è chiesto. Però quando ha capito, grazie anche all’aiuto del medico che non avrebbe fatto del male al suo fisico, ha deciso (e abbiamo deciso) di andare avanti. E per questo a livello psicologico ne è uscito più forte di prima.

Se fosse stato bene, come sarebbe andato secondo te?

Non sono un oracolo! Di questi aspetti scherzavamo in ammiraglia con Marcato: “Chi vince oggi?”. Non so come sarebbe andato. Posso dire però che conosco perfettamente le sue qualità e ho piena fiducia in lui. Sarà certamente protagonista.

Negli ultimi giorni di Vuleta, Del Toro ha ritrovato una buona gamba e con essa la grinta
Negli ultimi giorni di Vuleta, Del Toro ha ritrovato una buona gamba e con essa la grinta
Come lo hai visto a Madrid? In fin dei conti concludere il primo grande dopo tante difficoltà è doppiamente difficile…

Era soddisfatto soprattutto perché negli ultimi giorni, come detto, si era ripreso. Questo gli ha dato fiducia. Si è visto di nuovo competitivo. E poi ha capito che tutto passa allo stesso tempo. Mi spiego: i momenti difficili scorrono lenti, quelli belli filano via veloci. In realtà il tempo scorre sempre uguale e questa è una buona lezione.

Isaac ti ha mai chiesto qualcosa su Ayuso, Pogacar.. alla loro prima Vuelta?

No, no… io poi con lui parlo molto, ma non ha chiesto nulla, né faccio paragoni. E’ chiaro che stando in questa squadra tutti i corridori più forti hanno come specchio Tadej.

Qualche aneddoto?

Nulla di che. Semplicemente quando stava male e lui stava vivendo un momento drammatico, l’ho abbracciato e gli ho detto che tutto passa.

E ora cosa fara?

Andrà al mondiale di Zurigo. Correrà sia la prova in linea che quella a cronometro con gli under 23.

Baroncini e la cronometro: quale futuro?

15.09.2024
5 min
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Arrivare quarti all’ultima tappa del tuo primo grande Giro non è cosa tanto scontata. Specie se questa è una cronometro. Avrete capito che stiamo parlando di Filippo Baroncini, che a Madrid, frazione finale della Vuelta ha sfiorato il podio.

Baroncini non è nuovo a belle imprese contro il tempo. Lo ricordiamo già al Giro under 23 quando dominò la crono di Guastalla e sempre in quel 2021 fu nono ai mondiali. Numeri, risultati ed età sono dalla sua per poterci investire.

Uscito in grande spolvero dalla Vuelta, il romagnolo ha chiesto ed ottenuto di partecipare al Memorial Pantani, che in teoria non doveva fare.

Filippo, insomma ti aspettavi di ottenere un risultato simile a Madrid?

Se penso a quella mattina sì. Se me lo aveste chiesto ad inizio Vuelta avrei detto di no. Quella mattina mi sono svegliato con sensazioni ottime e queste sono state subito confortanti in vista della tappa.

Spiegaci meglio: “sensazioni ottime”. Tu metti il piede fuori dal letto e capisci come stai?

Già quello è un ottimo indizio. Ripeto mi sono svegliato bene e insolitamente fresco rispetto agli altri giorni. Poi la conferma l’ho avuta durante la ricognizione. Stavo bene davvero.

Quanto è importante aver raccolto un risultato simile al termine di un grande Giro?

Credo sia molto importante. Fa capire che il mio recupero è buono, specie perché era il primo grande Giro: questo apre scenari importanti. Non posso dire che me lo aspettavo però posso anche dirvi che il giorno prima ho parlato con il responsabile della performance, Herrero, e gli ho detto: fammi mettere su il 62 che faccio nella top tre. La squadra puntava molto su McNulty e invece ho fatto bene io.

Filippo al Giro U23 del 2021. Qui vincitore nella crono di Guastalla ai tempi della Colpack-Ballan
Filippo al Giro U23 del 2021. Qui vincitore nella crono di Guastalla ai tempi della Colpack-Ballan
Qual è il tuo rapporto con questa disciplina?

Tra me la crono è sempre stato amore e odio. Da parte mia sono sempre stato molto focalizzato su questa disciplina, tuttavia non avevo mai raccolto grossi risultati, almeno in campo internazionale. In Italia era un po’ diverso. Tolto Ganna poi eravamo lì a giocarci un buon piazzamento. Insomma era un po’ come sbattere la testa contro un muro e non ero mai sicuro di arrivare davanti, anche se lo volevo. Questo risultato magari cambierà qualcosa, ma soprattutto mi ha detto che il lavoro ripaga.

Quindi l’idea è d’investirci di più in futuro?

Ma tutto sommato io ci ho sempre lavorato. Ora magari lo farò con maggior convinzione, con qualcosina in più, ma sempre senza assillo. Un conto è preparare una crono secca, come quella di un mondiale, allora ti ci focalizzi al 120 per cento. Altra cosa è preparare una crono che magari prevede anche dell’altro, come quella di una corsa a tappe, nel quale ci sono altri obiettivi, quindi lavori un po’ su tutto.

E quindi si ti dicessimo: Baroncini punta alla crono di Los Angeles 2028?

Perché no? Ci può stare. Mi piacerebbe. Penso a Ganna che è un cronoman perfetto e specifico, mentre io sono un corridore più a 360 gradi, ma sarebbe bello impegnarsi per questa causa se ci fosse la possibilità.

La squadra, la UAE Emirates, ti sostiene in questa direzione? 

Va di pari passo con me. Loro sanno che mi piace e mi hanno sempre messo nelle migliori condizioni per lavorarci. Ho fatto test, mi hanno portato in galleria del vento, ho provato materiali nuovi, hanno valutato i numeri. Insomma non si è mai mollato.

Filippo usa con regolarità questa bici anche durante la settimana (foto Instagram – Fizza)
Filippo usa con regolarità questa bici anche durante la settimana (foto Instagram – Fizza)
Hai richiesto anche tu dei materiali specifici?

No, di base non sono uno che chiede. Quello che mi danno provo. Ma se ci sono delle opportunità di testare dei materiali non mi tiro indietro. Utilizzo quel che mi mettono a disposizione.

Quanto tempo passi sulla bici da crono?

Cerco di farci almeno due uscite a settimana: una di scarico e una di lavori specifici. Però se c’è un appuntamento che mi interessa magari le uscite con la bici da crono diventano tre. Come è stato prima di Lisbona, per esempio. Nel ritiro di Andorra sono stato uno di coloro che l’hanno utilizzata di più. Anche perché era la prima crono, oltre alla tappa c’era la maglia rossa in palio e tutto era in gioco.

Prima hai detto che è un rapporto di amore e odio fra te e la crono. Quando è iniziato questo rapporto?

Da juniores. Da quando mi hanno dato questa bici, ne sono sempre stato interessato. Ma il vero salto di qualità l’ho fatto quando ero alla Colpack. Lì mi hanno messo in sella per bene e finalmente sono riuscito a sviluppare su questa bici gli stessi watt che facevo su quella da strada. A quel punto ho iniziato a lavorarci per bene e con maggior condizione.

Che fine ha fatto Tadej? Ci dice tutto Hauptman

29.08.2024
4 min
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Da che ne parlavamo tutti giorni, anche più di una volta al dì, al silenzio quasi totale: ma che fine ha sua maestà Tadej Pogacar? In questo mondo sempre più frenetico e ricco di corse, il Tour de France è stato cancellato in men che non si dica tra Olimpiadi, Vuelta e tante altre gare. E all’improvviso senza Tadej in gara i riflettori si sono spostati altrove.

Ma in questo ultimo mese il leader della UAE Emirates non è stato del tutto con le mani in mano. Per sapere cosa ha fatto e cosa farà, ci siamo rivolti ad Andrej Hauptman, uno dei direttori di fiducia di Pogacar.

Il direttore sportivo Andrej Hauptman (classe 1975) dal 2019 alla UAE Emirates
Il direttore sportivo Andrej Hauptman (classe 1975) dal 2019 alla UAE Emirates
Andrej, ci eravamo lasciati a Nizza con un super Pogacar e poi?

Nei giorni immediatamente dopo il Tour, Tadej è andato in Slovenia. La gente lo voleva e lui aveva piacere di mostrare la maglia gialla e la maglia rosa al grande pubblico. Non so se avete visto che immagini da Lubjana, quanta gente c’era. Poi è subito tornato a Monaco e da lì è stato una settimana del tutto tranquillo. Ha passato del tempo con Urska (Zigart, la sua compagna, ndr). Credo siano andati a fare delle gite e abbiano passato qualche giorno presso un lago.

E in bici?

Una settimana di stop totale. Niente bici.

Del discorso Vuelta, visto quanto fosse imbattibile in quel momento, non ci avete pensato neanche per un po’?

La Vuelta non era in programma e non ne abbiamo parlato. O meglio, ne abbiamo parlato perché i media ci hanno portato a farlo in qualche modo, ma tra di noi in verità non lo abbiamo mai fatto in modo tecnico. Non era in programma. Sapete che c’è? Che tante volte sembra tutto facile, ma facile non è.

Chiaro…

Tadej è sempre pronto, sempre a tutta, quando si presenta ad una gara è per vincere. Veniva dal Giro d’Italia, poi è rimasto concentrato nel mezzo, poi ancora il Tour… prima o poi doveva staccare. Non poteva andare in Spagna magari per vincere una tappa. Io ho parlato con lui: la vera stanchezza l’ha avvertita due, tre giorni dopo. «Ora sento la fatica. Sono stanco morto», mi ha detto. E’ normale. Finché sei in gara la tua mente è predisposta, c’è l’adrenalina, hai un alto rendimento. Ma poi se continui prima o poi esplodi e quando poi succede rialzarsi è complicato per davvero a quel punto.

Bagno di folla per Tadej nella sua Slovenia, dove ha mostrato le maglie di Giro e Tour (foto Instagram)
Bagno di folla per Tadej nella sua Slovenia, dove ha mostrato le maglie di Giro e Tour (foto Instagram)
E ora?

Ha ripreso ad allenarsi già da un po’. Come detto, ha fatto quella settimana di stop. Poi ha ricominciato semplicemente pedalando. E quelli forse sono stati i giorni più duri, perché dopo il riposo e le tante fatiche il tuo fisico non ne vuole sapere di riprendere. In ogni caso sta osservando dei carichi di lavoro crescenti, seguendo le indicazioni del suo allenatore. 

E come sta lavorando. Tanta base o intensità in vista del mondiale?

Direi normale. Di certo con l’avvicinarsi del mondiale farà dei lavori più specifici adatti a quella corsa.

Quale sarà il suo calendario?

Non spetta a me dirlo, ma più o meno quello suo tipico in questa fase dell’anno (dovrebbe fare la trasferta canadese, il mondiale, l’Emilia, la Tre Valli Varesine e il Lombardia, ndr). Con corse di un giorno, almeno per ora, fino al mondiale… che sarà uno dei goal di fine stagione.

A proposito di mondiale. Pogacar ha visto il percorso?

No, non ancora. Né lui (ci dovrebbe andare giusto questa settimana, ndr), né io, ma lo faremo. Mentre lo ha visionato il tecnico sloveno.

Andrej, tu che lo conosci da molto tempo, ti sembra ancora motivato Pogacar?

Tadej è sempre motivato! E’ per quello che va sempre forte e che bisogna programmare bene le cose con lui. Da quello che so io sta bene. Ma poi di fatto saranno le prime corse a dirci come starà veramente. Anche se i valori e i watt sono buoni in allenamento, poi la gara è un’altra cosa. Tutto procede secondo programma comunque.

Giusto ieri, con selfie su Instagram, Pogacar è ricomparso “in pubblico”. Sorridente e pronto a tornare per il finale di stagione
Giusto ieri, con selfie su Instagram, Pogacar è ricomparso “in pubblico”. Sorridente e pronto a tornare per il finale di stagione
E mentalmente? Visto che come hai detto ha speso molto…

Tadej è sereno. Non ho dubbi che lui arriverà in condizione al momento giusto. Semmai sono le corse di un giorno che per certi aspetti sono più difficili da vincere rispetto ad un grande Giro. In una gara di tre settimane, se sei il più forte in qualche modo esci fuori, ma in quella di un giorno se ti capita la giornata così così, o qualsiasi altro imprevisto può succedere di tutto. Specie al mondiale dove tutti arrivano al massimo.

E in quanto a pressione. Può essere che stavolta dopo il Giro e il Tour, con l’occasione di poter realizzare qualcosa d’incredibile un po’ ci dovrà fare i conti?

Ormai fa parte del personaggio. La pressione c’è indubbiamente, ma lui la sopporta bene e forse è anche quello che lo carica di più.

Galibier, Covid, Vuelta e mercato: l’estate non facile di Ayuso

07.08.2024
5 min
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La calda estate di Juan Ayuso va avanti. Il giovane talento del UAE Team Emirates  ha messo nel sacco anche la partecipazione olimpica, passata un po’ in sordina, come per tanti altri nomi importanti, al di fuori di Remco Evenepoel, e ora si appresta ad affrontare il suo finale di stagione.

Un finale che però è ancora da definire e che in qualche modo è figlio del Tour de France finito anzitempo per il Covid. La situazione al momento per il ragazzo di catalano è abbastanza complessa.

Lo spagnolo (classe 2002) ha chiuso la prova olimpica al 22° posto. Era al rientro in gara dopo il Covid
Lo spagnolo (classe 2002) ha chiuso la prova olimpica al 22° posto. Era al rientro in gara dopo il Covid

Ayuso tra le curve

Perché complessa? Perché i rumors intorno allo spagnolo non sono mai mancati. Pensiamo al fatto del Galibier al Tour. Quel giorno, lo ricordiamo, Ayuso non entrò in azione subito e rischiò di far saltare il programma di attacco di Tadej Pogacar e scatenando quella che è stata ribattezzata la querelle del Galibier. L’attacco di Tadej fu ritardato e se Vingegaard non avesse perso quei 10” al Gpm e fosse rimasto sulle ruote dello sloveno, le cose sarebbero potute andare diversamente, almeno quel giorno. Poi sono emerse le voci che la non partecipazione di Ayuso alla Vuelta fosse una punizione da parte della squadra. E a tutto ciò ora si aggiungono le voci di mercato, secondo le quali Ayuso vorrebbe andare via per avere più spazio.

Insomma c’è tanta carne al fuoco, meglio dunque sentire Joxean Fernandez Matxin responsabile tecnico della UAE Emirates, colui che forse meglio di tutti conosce Juan e la sua gigantesca ambizione, il che non è del tutto un male per chi è campione nel Dna.

Matxin è lo Sports Manager, capo dei tecnici della UEA Emirates
Matxin è lo Sports Manager, capo dei tecnici della UEA Emirates
Joxean, abbiamo visto Ayuso lavorare in altura e poi andare alle Olimpiadi: come sta dunque?

Ora sta bene. Più che altura lui era ad Andorra, dove vive, e lì si è allenato con i ragazzi che erano andati invece in ritiro. Ma sta bene e sta svolgendo il suo programma regolarmente.

A mente fredda torniamo sul Galibier. Cosa è successo davvero quel giorno?

Alla fine è nato tutto da un gesto, quello di Almeida, più grande di quello che realmente è stato. La verità è che Ayuso doveva andare davanti a tirare prima, ma era dietro. Non doveva stare in quella posizione. Poi quando si è deciso ha cambiato ed è andato avanti in modo veloce, perché c’era un chiaro ordine e si è messo a menare. Lo ha fatto “da Dio” Almeida, e poi lo ha fatto anche lui… per quello che poteva (come a dire che forse non era già al top, ndr). Una volta passato avanti, poi hanno tirato tutti e due.

Anche Pogacar poi disse che doveva scattare prima. Immaginiamo che a fine tappa abbiate fatto una riunione…

Ma per noi era tutto chiaro già nel bus. Il fatto stesso di parlarne ancora è una cosa più grande di quanto realmente sia stata. Ognuno ha fatto il suo, semplicemente Juan si è mosso un po’ dopo. E’ poi bastato un gesto plateale di Almeida che lo invitava a tirare e nella vetrina mondiale del Tour il tutto è diventato un caso. 

Ed ora lo vedremo alla Vuelta?

Non abbiamo nessun dubbio, da quando quest’inverno abbiamo parlato dei programmi. Io gli ho proposto Giro d’Italia e Vuelta, come alternativa al Tour, ma lui ha detto che voleva andare al Tour. «Okay – gli dissi – ma se vieni in Francia sai che vieni per tirare». Con un atleta di vertice come Pogacar è così. Noi siamo stati chiari ed onesti con il ragazzo sin da subito. E poi fermarsi prima, allenarsi e riprendere il programma… Okay fai altura, fai anche qualità, un lavoro grande, ma non correre ti dispiace, specie quando hai la sensazione che stai bene ma non puoi farlo.

Dopo il ritiro anticipato dal Tour magari se lo aspetta e anche da fuori sembra una scelta scontata…

Juan è la prima riserva. Come sapete facciamo in autunno i nostri programmi e tutti i ragazzi vanno rispettati e tutti si sono preparati bene. Vediamo come stanno gli altri compagni, se tutti dimostreranno di stare bene, di poter essere pronti per affrontare una Vuelta al meglio si andrà avanti con quel programma, altrimenti ci sarà Juan.

Juan in allenamento ad Andorra con alcuni compagni (foto Instagram)
Juan in allenamento ad Andorra con alcuni compagni (foto Instagram)
Conoscendolo quanta voglia ha?

Tanta, lui stesso ci ha chiesto di correre la Vuelta, ma come ho detto dobbiamo pensare anche al resto del gruppo. E se tutti stanno bene, lui non corre. Lo sai lui e lo sanno gli altri, per questo facciamo programmi chiari sin dall’inverno, affinché tutti possano farsi trovare pronti.

E se non dovesse andare alla Vuelta che corse farà?

La trasferta in Canada, quindi le corse in Italia e il Giro di Lombardia, ma vediamo…

Joxean, non possiamo non chiederti delle voci di mercato intorno ad Ayuso, specie dopo le scaramucce del Tour e cioè che lui vuole andare via. Cosa ci puoi dire?

Che per me è tutto chiaro e semplice: Juan Ayuso ha contratto con noi fino al 2028. E quella, per me, è l’unica voce che conta. 

Sogno tripletta: il fantaciclismo, Tadej e la scienza

30.07.2024
5 min
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Alla fine a tenere banco è sempre lui: Tadej Pogacar. Vince, rivince, stravince. Attacca, in qualche caso anche senza troppo senso, rinuncia ai Giochi Olimpici e con ogni probabilità anche alla Vuelta.

E da quest’ultimo appunto riprendiamo quel filo del “fantadiscorso” che iniziammo qualche tempo fa con Pino Toni. Appena archiviata la maglia rosa, facemmo delle supposizione tecniche con il preparatore toscano. E ora che anche la Grande Boucle è nel sacco quelle supposizioni assumono ancora più valore.

Tadej Pogacar ha vinto il Giro d’Italia e il Tour de France: unico a riuscirci dal 1998 (foto Fizza)
Tadej Pogacar ha vinto il Giro d’Italia e il Tour de France: unico a riuscirci dal 1998 (foto Fizza)

Vuelta sfida possibile

Premettiamo, e che sia ben chiaro, che non siamo qui a dire che Pogacar dovrebbe fare la Vuelta. E’ un discorso di nuovo quasi da fantaciclismo, che chiaramente si fonda su conoscenze approfondite e tecniche.

Lo sloveno potrebbe riuscirci? Secondo Toni sì. E avrebbe anche l’opportunità di non rinunciare o arrivare col fiato corto al mondiale, il grande obiettivo dichiarato dallo sloveno.

«Tadej – dice Toni – ce la potrebbe fare. Anche perché chi lo potrebbe davvero contrastare alla Vuelta? Sta vivendo un momento unico e potrebbe partire senza neanche troppo stress. Se dovesse far fatica potrebbe fermarsi dopo 10 giorni e tornarsene a casa. Avrebbe comunque svolto un buon lavoro e poi pensare al mondiale. O se invece andasse fino in fondo avrebbe comunque tre settimane dalla fine della corsa spagnola alla prova iridata. Ma certo per queste sfide servono stimoli, soprattutto stimoli esterni».

Un ambiente positivo e unito: la UAE Emirates sembra esserlo
Un ambiente positivo e unito: la UAE Emirates sembra esserlo

Ambiente stimolante

E con quegli stimoli esterni, Pino Toni apre un capitolo tanto vasto quanto interessante. Il coach toscano ha una lunga esperienza. Ne ha visti di campioni e di staff importanti e spiega come per gli obiettivi più grandi servano anche stimoli esterni. Gli stimoli di un ambiente positivo e propositivo.

Pensiamo a Filippo Ganna e al suo Record dell’Ora. Chiaro che alla base ci deve essere un campione, ma serve anche tutto un contorno. L’idea di poter abbattere quel record. Lo studio della bici, i test, la preparazione specifica e la programmazione all’interno del calendario stagionale, il body, la scelta della pista e della temperatura, l’alimentazione e addirittura, nel caso di Pippo, un compagno che faccia “da cavia”, perdonateci il termine un po’ forte, quale Dan Bigham che in qualche modo ha fatto le prove generali.

«Per certe sfide sportive servono grandi ambizioni. Ambizioni che l’atleta da solo non può avere – spiega Toni – gli serve intorno un team, uno staff, degli uomini che vadano oltre. Che cerchino di far diventare realtà un sogno, di rendere possibile l’impossibile. Riis per primo pensò alla tripletta con Contador e iniziò a costruirgli una squadra forte, fatta di campioni come gregari (e tra questi anche Majka che oggi guarda caso è compagno di Pogacar, ndr). E in UAE Emirates Pogacar ce l’ha uno staff così». 

La ricerca e lo sviluppo in tutti i settori sono importanti per i grandi successi, più che fondamentali per i sogni quasi impossibili
La ricerca e lo sviluppo in tutti i settori sono importanti per i grandi successi, più che fondamentali per i sogni quasi impossibili

Tra sogno e ricerca

Dell’importanza degli staff, Toni ci aveva detto qualche giorno fa quando si parlava di Vingegaard.

Ed avrebbe anche l’uomo per queste visioni, Matxin. E’ risaputo che molte tattiche nascano da lui. Del suo modo di correre sempre all’attacco. E dalla sua ambizione, benzina vitale nello sport agonistico.

Il toscano riprende: «Per una sfida così il meccanico anche dovrebbe cercare sempre qualcosa di più. Andare oltre il suo seminato. Provare, sperimentare. Idem il preparatore, il nutrizionista e il massaggiatore. Ognuno nel suo campo deve sperimentare, fare ricerca… ma questo si può fare se al vertice c’è questa volontà. E’ come la Formula 1. Ci deve essere sempre uno stimolo ulteriore al miglioramento. Un ambiente che sprona».

Matxin (al centro) potrebbe essere una figura chiave nel sogno tripletta
Matxin potrebbe essere una figura chiave nel sogno tripletta

Occasione ghiotta

Insomma l’atleta c’è, lo staff anche e persino Giro d’Italia e Tour de France sono nel sacco. «Semmai ci dovesse essere un’occasione – va avanti Toni – è questa. Piuttosto bisogna vedere gli equilibri interni. Bisogna vedere come la prenderebbero i compagni, e Ayuso in particolare, una sua eventuale partecipazione alla corsa spagnola».

Magari non a tutti farebbe piacere avere un corridore che si prende tutta la fetta della torta. Però è anche vero che sarebbero parte attiva di un qualcosa di storico. Tra l’altro sembra che lo stesso Pogacar abbia confidato questo suo dubbio a dei colleghi.

Pogacar e la squadra lo hanno detto e ridetto: niente Vuelta. E anche pochi giorni fa, in un’intervento in diretta su una pagina social, Andrea Agostini, della dirigenza UAE Emirates, lo ha ribadito. «Niente Vuelta. Sarebbe troppo faticoso e poi il rischio magari è quello di perdere Tadej per un anno. Lo vogliamo tutelare»: questi in sintesi i concetti di Agostini. Come dargli torto?

Anche perché noi facciamo un’analisi tecnico sportiva e forse anche da tifosi di ciclismo, che vorrebbero assistere a qualcosa di storico. Ma poi c’è anche il lato economico. Pogacar che per un anno non c’è o non rende come al solito che impatti potrebbe avere?

«Ci sta – ci aveva già detto Toni forte della sua esperienza – che Pogacar poi possa essere stanco e che possa avere meno stimoli nell’anno successivo. Ma a quel punto imposterei per lui un calendario tutto diverso. Un calendario senza grandi Giri, puntando forte sulle classiche, così che possa recuperare e al tempo stesso avere nuovi obiettivi».

Insomma, le basi per una tripletta ci sarebbero anche. Ma questo era fantaciclismo e la realtà è altra cosa.