Verso il Tour, Garzelli: «UAE fortissima, Visma più squadra»

19.06.2025
6 min
Salva

In questo Critérium du Dauphiné abbiamo avuto un gustoso antipasto in vista del Tour de France sul fronte delle squadre, con i due squadroni che si daranno battaglia anche a luglio: UAE Emirates e Visma-Lease a Bike. Chiaramente ci riferiamo al grande duello tra Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard.

L’analisi è lunga e articolata, e a farla con noi è Stefano Garzelli. L’ex maglia rosa e oggi commentatore tecnico della Rai ci aiuta a capire che squadre vedremo, i punti di forza e le (poche) debolezze in vista del Tour de France. Chiaramente per le formazioni definitive bisognerà attendere ancora qualche giorno, e ci sarà qualche innesto dal Tour de Suisse, che Garzelli sta seguendo con attenzione.

Al Delfinato si è vista un’ottima Visma, compattissima attorno al suo leader Vingegaard
Al Delfinato si è vista un’ottima Visma, compattissima attorno al suo leader Vingegaard
Stefano, dacci una prima impressione sulle due formazioni. Partiamo dalla Visma?

Partiamo dalla Visma! E’ andata molto bene nel complesso. Sono mancati alcuni momenti, alcuni corridori nei frangenti finali, ed è normalissimo: Jorgenson ha avuto una giornata di crisi e ci sta. Ricordiamoci che eravamo al Delfinato, non già al Tour. Però la corsa l’hanno fatta loro fin dal primo giorno. Su quello strappetto di 800 metri è partito Tullet, poi Jorgenson e infine Vingegaard. Corrono bene, sono uniti e compatti. Immagino che ci sarà l’innesto di Simon Yates e Wout Van Aert. E anche Edoardo Affini. Corridori che alzano il livello di tutta la squadra.

Li vedi equilibrati?

E’ una squadra molto forte, ben organizzata anche in pianura con Van Aert, Affini, Benoot, e forse Campenaerts. In pratica sono tutti capitani! In salita, oltre a Vingegaard, ci saranno Jorgenson, Simon Yates e Sepp Kuss.

Chiaro…

E tutti questi possono ancora migliorare. Jorgenson è una sicurezza, ha avuto solo un giorno difficile. A volte è meglio avere una crisi ora: vuol dire che sei ancora in fase di crescita. Simon Yates? Era stato preso per aiutare Vingegaard al Tour, ma hanno fatto un’imboscata al Giro, convincendo tutti che lo stessero preparando per quello. Invece adesso, sulle ali dell’entusiasmo, andrà fortissimo al Tour… quando dovrà esserci.

E quando dovrà esserci?

Nei momenti chiave in salita. Non tutti i giorni. Questo vuol dire molto anche in termini di energie, specie nervose, per un corridore del suo livello.

Kuss potrà crescere ancora e con le frazioni più lunghe del Tour uscirà alla distanza
Kuss potrà crescere ancora e con le frazioni più lunghe del Tour uscirà alla distanza
E gli altri?

Immagino che cercheranno di tenere Jorgenson in classifica. Van Aert sta bene, al Giro si è ritrovato. Gente come Affini, Campenaerts e Benoot sono una garanzia anche in pianura. La Visma è una squadra fortissima. E sembra che negli ultimi anni abbiano corretto anche alcune situazioni critiche.

A cosa ti riferisci in particolare?

Penso a quel famoso cambio di bicicletta caotico: un corridore a destra, uno a sinistra, uno lungo la strada, l’altro che attraversava… bici che non arrivava. Ora mi sembrano più precisi.

Quale potrà essere secondo te il ruolo di Van Aert? Quello a cui siamo abituati o tornerà a cercare le volate?

Non so se deciderà di buttarsi nelle volate, lo capiremo presto. Anche se il suo obiettivo potrebbe essere la maglia verde. Ma io lo vedo diversamente. Quest’anno la Visma-Lease a Bike vuole vincere il Tour come squadra. L’obiettivo di Vingegaard è un obiettivo collettivo. Penso a Van Aert, ma anche a Simon Yates. Poi Wout, come ha fatto al Giro, potrà togliersi qualche soddisfazione. Avrà segnato 4 o 5 tappe adatte a lui. E la sua presenza tattica è importantissima. L’abbiamo visto sul Colle delle Finestre, ma anche al Tour in passato: i suoi movimenti sono stati decisivi per vincere.

Kuss sarà ancora l’ultimo uomo o avrà un ruolo diverso?

Quando lavorava per Roglic o per Vingegaard e tirava, dietro restavano solo Pogacar e Jonas. Ha vinto una Vuelta… ma anche per lui gli anni passano. Sarà importante, ma forse non più decisivo come tre anni fa. Poi magari mi smentisce! Ma come ultimo uomo vedo più Jorgenson e, in alcune giornate, Simon Yates. O anche Van Aert, a seconda di come andrà la corsa.

UAE Emirates fortissima con alcuni elementi, ma meno dominante del solito nel complesso. Mancano però gli innesti (pesanti) del Tour de Suisse
UAE Emirates fortissima con alcuni elementi, ma meno dominante del solito nel complesso. Mancano però gli innesti (pesanti) del Tour de Suisse
Passiamo alla UAE Emirates. Al Delfinato avevano Pogacar, Novak, Politt, Wellens, Narvaez, Sivakov e Soler.

Fortissimi anche loro. Ma qui c’è il gregario, mentre alla Visma fai fatica a trovarlo. Sono tutti capitani. Analizziamo Marc Soler: al Delfinato era uno dei primi a staccarsi. Secondo me in UAE hanno ancora qualche dubbio sulla formazione finale. E ci sta: puoi fare la squadra, ma poi il corridore per vari motivi non rende. Anche Sivakov non è stato eccezionale. Poi è vero che anche loro devono ancora crescere. Io credo che guarderanno molto il Tour de Suisse.

Lì c’è Almeida che sarà sicuro al Tour. Devono arrivare a otto: al Delfinato erano in sette. Manca Adam Yates…

Provo a fare la formazione: Pogacar, Wellens, Politt, Almeida e Adam Yates sicuri. Anche Narvaez. Siamo a sei. Novak, Soler e Sivakov mi convincono meno. Io inserirei Michael Bjerg: quando va forte, tiene anche in salita. E poi porterei il ragazzo svizzero Jan Christen.

Difficile che lo facciano esordire nei grandi Giri al Tour…

Ma è molto forte e sa tirare bene. Terzo al GP Aargau, lo scorso anno ha controllato oltre mezzo Giro di Lombardia da solo. Comunque dallo Svizzera, oltre ad Almeida, penso arriverà Bjerg. Poi vedremo uno tra Soler e Novak. Bisogna capire perché Soler ha reso meno: magari ha avuto un virus intestinale. Io mi baso su quello che ho visto in corsa. In alternativa porterei Del Toro o Ayuso!

Non dimentichiamo che in rosa e in corsa al Tour de Suisse c’è anche Grossschartner…

Però a quel punto meglio Bjerg. Altrimenti in pianura sarebbero leggeri. E’ vero che Narvaez si muove bene, ma muoversi è una cosa, tirare per chiudere un ventaglio è un’altra. Quindi dico: Pogacar, Almeida, Adam Yates, Narvaez, Sivakov, Wellens, Politt e Bjerg.

Wellens e Narvaez hanno dimostrato di saper fare accellerazioni devastanti
Wellens e Narvaez hanno dimostrato di saper fare accellerazioni devastanti
Come hai visto muoversi la UAE al Delfinato?

Bene, ma gli altri mi hanno dato più compattezza di squadra. Per carità, hanno grandi corridori. Oltre a Pogacar, basta nominare Jonathan Narvaez o Tim Wellens. Il giorno di Combloux, quando Tim tirato in salita, erano rimasti in otto. L’accelerata l’ha data Narvaez su ordine di Pogacar. Tadej avrà detto: “Fai male a me. Perché se fai male a me, fai male a tutti”. Ora Pogacar ha capito che quelle accelerazioni violente all’inizio salita chiedono il conto alle gambe di Vingegaard. Per quello attacca subito.

Interessante. Li manda in acido e poi se la giocano sul passo…

I rivali hanno visto questa tattica e cercheranno di migliorare su quel tipo di sforzo. Poi è chiaro: se migliora anche Tadej, cosa puoi fare? Se uno ti fa 480 watt per 20 minuti, come lo batti? Tuttavia Vingegaard non è lontano. Per me ha lavorato per avere ancora margini, altrimenti non avrebbe fatto quella crono.

Spiegati meglio…

Voglio dire che sta già bene, ma gli mancano dei lavori specifici per resistere all’accelerazione violenta di Pogacar in salita. E quelli li fai adesso. Ora Vingegaard torna in quota: lui e la squadra hanno ancora due settimane di lavoro. Ripenso anche all’accelerazione in pianura nella prima tappa: per me è in “work in progress”. La parte finale del Tour è fra più di un mese. E’ presto per essere già al top. Parlo in base alla mia esperienza.

Se Narvaez può garantire quelle strappate, chi può farle in casa Visma?

Dipende dalla tappa. Quel giorno al Delfinato è arrivato un gruppetto e le tappe erano corte. In molti le soffrono. In tappe più lunghe cambia tutto. Quelle strappate potrebbe farle Simon Yates. Ma per queste accelerazioni e tattiche bisogna vedere come stanno le gambe dopo 13, 14, 18 tappe e 200 chilometri: è tutta un’altra storia.

Almeida: «Al Tour de Suisse per vincere e testare la condizione»

15.06.2025
4 min
Salva

Se ieri abbiamo iniziato a parlare del Tour de Suisse con uno dei corridori più attesi, Tao Geoghegan Hart, stavolta lo facciamo con quello che a detta di tutti è il favorito numero uno: João Almeida.

Lo scorso anno il portoghese fu secondo, alle spalle di Adam Yates, per quella doppietta UAE Emirates che a posteriori altro non era che un anticipo del dominio che poi Tadej Pogacar e appunto la squadra avrebbero avuto al Tour.
E così ecco che Joao, con grande disponibilità, ha risposto alle nostre domande… aggiungendo anche un pensiero sul Giro d’Italia.

Quest’anno Almeida ha disputato sin qui 5 corse a tappe: due vittorie, due secondi posti e un sesto (alla Parigi-Nizza dove non era al top fisicamente)
Quest’anno Almeida ha disputato sin qui 5 corse a tappe: due vittorie, due secondi posti e un sesto (alla Parigi-Nizza dove non era al top fisicamente)
Joao, come stai? Com’è la forma?

Tutto bene, siamo qui in Svizzera per vedere se la gamba è buona.

Qual è il tuo obiettivo in questa corsa? Vuoi confermare il podio o è uno step di passaggio verso il Tour?

No, io credo che voglio confermare che la forma sia buona e che siamo qui per vincere la gara. E anche provare la gamba, com’è… soprattutto venendo da un lungo ritiro a Sierra Nevada.

A proposito, in generale com’è stata la tua preparazione quest’anno? Hai avuto intoppi?

Devo dire che è andato tutto bene. Sono stato un po’ malato alla fine della Parigi-Nizza e anche la settimana dopo, ma niente di speciale. Sono stato costante, ho fatto le gare che dovevo fare e anche per questo sono fiducioso.

La crono dello Svizzera 2024 era praticamente identica a quella di quest’anno. Almeida la vinse usando bici da strada e casco aero
La crono dello Svizzera 2024 era praticamente identica a quella di quest’anno. Almeida la vinse usando bici da strada e casco aero
Joao, tu sei un ottimo cronoman e una tua prestazione in questa specialità conta moltissimo. L’altro giorno al Delfinato Tadej ha pagato qualcosa: ebbene, quanto è importante la crono che ci sarà a questo Tour de Suisse per acquisire dati, fare degli interventi?

In teoria è importante, ma qui in questo Giro di Svizzera la crono che c’è è facile dal punto di vista dei materiali, perché è in salita. E’ tutta una questione di spinta. E stare lì sulla posizione della crono non è facile.

Però è importante per il Tour, per quella di Peyragudes che è sempre in salita…

Esatto, alla fine è uno sforzo simile, una crono da fare a tutta. Ma per me è più un giorno indicativo per valutare la gamba. Perché è uno sforzo che non ti consente di respirare. Devi impostare un pacing giusto e spingere forte. E devo dire che anche per questo sono eccitato, non vedo l’ora di farla.

Quanto ti senti più leader adesso, Joao? Hai acquisito questo senso di leadership sia dentro di te che nei confronti della squadra?

Io credo di sì. E’ una cosa che tutti gli anni cresce in me. In questi ultimi anni ho cominciato a vedere quello che funziona e quello che funziona meno per me. Allenamento, alimentazione… tutte queste cose. Capire come funziona il mio corpo, come devo fare l’allenamento. In questo momento sono in una posizione di consapevolezza. E questo ti dà fiducia per arrivare alle gare e dire: “Sto bene, la gamba c’è”.

La vittoria ai Paesi Baschi di quest’anno è stata una grande iniezione di fiducia per il portoghese
La vittoria ai Paesi Baschi di quest’anno è stata una grande iniezione di fiducia per il portoghese
Chi saranno i rivali principali per questo Tour de Suisse?

Ben O’Connor: io credo che lui andrà forte. Anche Ben ha fatto un ritiro a Sierra Nevada e quindi si è allenato bene. Poi penso a Aleksandr Vlasov. Doveva esserci anche Mattias Skjelmose, ma non ci sarà perché è malato. Questi per me erano i più forti. Poi vediamo giorno per giorno, perché sicuramente c’è tanta gente che sta bene. In tanti si sono allenati forte prima di questa gara e potrebbero anche esserci sorprese.

Chiudiamo con una curiosità. Nei giorni del Giro d’Italia, sulle tue pagine fan dei social – soprattutto i portoghesi – dicevano che era l’occasione di Joao al Giro. Ci hai mai pensato un pochino?

Sì – ride Almeida – alla fine puoi pensare a tante cose. Il Giro d’Italia mi piace tanto.
E non vedo l’ora di tornarci un giorno. Vedendo il Giro, pensavo che fosse in effetti un bel percorso per me. Due crono, salite giuste e anche l’ultima tappa sul Colle delle Finestre mi è piaciuta molto. La squadra è stata brava, hanno fatto una bella gara, alla fine siamo stati un po’ sfortunati. E qualche nostro corridore è caduto, ma nonostante tutto siamo stati lì per vincere. Dai, vediamo se un giorno tornerò: io lo spero tanto!

Del Toro in rosa: una maglia storica, che fa discutere

19.05.2025
6 min
Salva

SIENA – Juan Ayuso non si ferma dopo l’arrivo. Tira dritto e se ne va. La sua bici da crono, che lo attendeva per il defaticamento nel retro del palco, perché forse già pregustava la maglia rosa, non la userà mai. La maglia rosa è finita sulle spalle del compagno di squadra, Isaac Del Toro, che adesso è il nuovo leader del Giro d’Italia proprio davanti a lui.

Se ieri abbiamo assistito al grande ritorno di Wout Van Aert, è anche vero che bisogna parlare del messicano e della tattica della UAE Emirates. E’ fuori dubbio che almeno qualche incomprensione ci sia stata. Se poi sia stata più o meno involontaria, si vedrà strada facendo. Ma è un fatto che mentre uno davanti era in fuga, l’altro dietro tirava. Ed i soggetti in questione avevano la stessa maglia.

Del Toro e la Ineos hanno dato il maggior impulso all’attacco dopo la caduta di Turner, Roglic e Pidcock
Del Toro e la Ineos hanno dato il maggior impulso all’attacco dopo la caduta di Turner, Roglic e Pidcock

Una rosa storica

Bisogna però andare con ordine e rendere comunque omaggio alla nuova maglia rosa, appunto Del Toro. Una maglia rosa affatto banale. Questo, ragazzi, è un campione con la C maiuscola. Ha vinto l’Avenir, ha mostrato doti enormi in salita. Va forte a crono, guida bene la bici. E soprattutto è un classe 2003!

«Indossare questa maglia è qualcosa di incredibile – racconta Del Toro – la maglia rosa la sogni da bambino quando inizi a pedalare. Non ci avrei mai creduto».

Isaac appare frastornato. Le domande insistenti sulla tattica adottata dalla sua squadra lo spiazzano. Sembra una gioia col freno a mano tirato. Come di chi sa di averla fatta grossa? Per rispondere a questo punto di domanda bisognava essere delle mosche in casa UAE ieri sera.

E ora cosa cambia per Del Toro e la UAE? E’ normale porsi certi quesiti. «Io leader? No – smentisce Del Toro – i capitani sono Adam Yates e Ayuso. Io sto bene, ma loro sono più forti. Io ho sfruttato una situazione di corsa. Ero davanti nel momento della caduta e non mi sono reso conto. Quando mi sono ritrovato davanti, all’inizio ho pensato che quello in maglia bianca fosse Ayuso, invece era Bernal. E infatti poi non ho più tirato. Poi la squadra mi ha detto di restare lì, proprio perché Bernal poteva essere pericoloso, e ho continuato. Era troppo rischioso fermarsi. Sapevo poi che dietro c’erano dei compagni».

«Sono pronto ad aiutare i capitani – ripete Del Toro – ho molto rispetto per loro. Intanto sono qui davanti, ma loro sono più bravi. Però non posso neanche fermarmi o non avere fiducia in me stesso. Voglio credere in me stesso, perché sono l’unico che può. Se non lo faccio io, chi lo fa?».

Auyso ha cercato collaborazione, ma non tutti hanno tirato come ci si poteva immaginare per chiudere su Bernal o incrementare su Roglic
Auyso ha cercato collaborazione, ma non tutti hanno tirato come ci si poteva immaginare per chiudere su Bernal o incrementare su Roglic

Tattica contraddittoria

La squadra gli avrà anche detto di restare lì, e ci sta, visto che dietro con Ayuso c’erano anche Arrieta (per un po’), McNulty e Adam Yates. Solo che lo spagnolo continuava a dannarsi l’anima e per lunghi tratti il messicano davanti accelerava forte. Faceva la selezione.

Poi a un tratto ha smesso di tirare, ma dietro Ayuso continuava a scalpitare e non sempre trovava l’appoggio dei compagni: chi si staccava, chi restava in coda (vedi Yates), chi era palesemente ferito ma non mollava (vedi McNulty).

Sono andati a singhiozzo. A volte spingeva Ayuso. A volte McNulty. E solo nel finale si è visto timidamente Yates. Insomma, la UAE Emirates ha dominato, ma non ha corso alla perfezione come spesso accade.

E poi una frase di Del Toro ci ha fatto riflettere. In conferenza stampa gli è stato chiesto cosa si fossero detti con Van Aert quando erano rimasti in due. Lui aveva attaccato e il belga l’aveva seguito.

«A Wout – spiega Del Toro – ho chiesto di tirare, ma mi ha detto che non poteva perché dietro aveva il suo leader, Simon Yates». La domanda è legittima: e allora tu perché hai tirato? Non avevi forse dietro il tuo, anzi, i tuoi leader? Un bell’enigma. Bisogna vedere cosa diceva la squadra.

Anche Del Toro guarda indietro. In fuga con Van Aert, il messicano (a suo dire) cerca collaborazione
Anche Del Toro guarda indietro. In fuga con Van Aert, il messicano (a suo dire) cerca collaborazione

Più Isaac che Juan?

E poi ci sono le scene, i movimenti dal vivo da valutare. Quel che si osserva nei giorni di gara nella zona dei bus, la villaggio, nel dopo arrivo… Quando Del Toro è arrivato ha festeggiato, ma senza esagerare. Ci sta anche che fosse stanco e, da campione qual è, fosse dispiaciuto per aver perso la tappa.

Ma poi vedi McNulty sorridere per la maglia rosa. Adam Yates quasi euforico. E Ayuso, appunto, che non c’è.

E qui ecco subito i mormorii tra giornalisti e addetti ai lavori. Con la mente che torna al caso del Galibier all’ultimo Tour de France, quando Ayuso non tirò a dovere per Pogacar e Almeida e Yates non ne furono felici.

Ieri prima del via Ayuso era seduto sul bus a parlare con la sua compagna. Nulla di che, sono congetture, ma perché non era con gli altri sul bus? Ayuso è ambizioso. E’ forte, è un cannibale quando può, e questo Giro potrà ancora farlo suo. Ma deve in qualche modo attaccare il compagno o sedersi sulla riva del fiume ad aspettare che succeda qualcosa.

Ayuso ha tagliato il traguardo in settima posizione. Ora nelle generale è secondo a 1’13” da Del Toro
Ayuso ha tagliato il traguardo in settima posizione. Ora nelle generale è secondo a 1’13” da Del Toro

Due punte

Sereno era anche Filippo Baroncini. Col “Baro” abbiamo scambiato giusto una battuta fugace. «Una bella giornata per noi. Adesso ne abbiamo due davanti. Sono contento per Isaac». Baroncini era uno dei più freschi all’arrivo e il motivo è presto detto.

«Mi sono ritrovato nel drappello con Roglic e chiaramente non ho tirato mai. Avevo il compito di stare lì, vedere cosa succedeva e riferire i suoi movimenti al team».

Matxin, manager e tecnico della UAE, esperto qual è, sfrutta a suo favore la situazione. «Adesso ne abbiamo due davanti, per gli altri sarà più complicato attaccarci. Non c’è nessun problema. Isaac si è ritrovato davanti ed era giusto che continuasse a stare lì», sono le parole che ha detto alla Rai.

Non tutti hanno preso bene questo modo di correre. Persino la stampa spagnola si chiede se Ayuso abbia il nemico in casa. Come sempre sarà la strada a dare il verdetto, e la strada dice che già domani ne vedremo ancora delle belle. La crono di Pisa sarà senza esclusione di colpi.

«Per me sarà difficile – ha concluso Del Toro – Juan è più bravo di me a crono. E poi si tratterà della prova contro il tempo più lunga che ho mai fatto».

Dal video alla realtà. I piani sulla Cipressa in casa UAE

26.03.2025
5 min
Salva

E’ impossibile non parlare ancora di Milano-Sanremo, vista l’edizione superba alla quale abbiamo assistito. E se questa è stata così memorabile, il merito è quasi del tutto di Tadej Pogacar, cosa che ha sottolineato anche Van der Poel, poi vincitore in via Roma. Il campione del mondo ha attaccato sulla Cipressa e lo ha fatto con una violenza inaudita. Un attacco frutto non solo di gambe e fantasia, ma anche di un piano ben progettato.

E torniamo proprio a quel momento, grazie alla UAE Emirates. La squadra di Pogacar, infatti, ha pubblicato un video (appena in basso) davvero coinvolgente: il retroscena della Sanremo visto dall’interno del team.

In particolare, vogliamo soffermarci su quanto accaduto nella riunione pre-gara, che nel video va dal minuto 2’15” al minuto 4’56”. Parlano i protagonisti. E allora facciamo un parallelo tra quanto detto in riunione e quanto accaduto nella realtà.

Cipressa in vista

Partiamo dalle parole del direttore sportivo Andrej Hauptman. «La corsa misura 239 chilometri con un dislivello di 2.000 metri. Non è la gara più difficile, ma il finale sarà sicuramente duro. Almeno questo è il nostro obiettivo. Dobbiamo risparmiare energie, arrivare freschi fino ai Capi, ma non dobbiamo spendere tanto per stare davanti e poi arrivare così (col dito sotto al mento, come a dire “col collo tirato”) all’imbocco della Cipressa».

E così è andata. Sino ai Capi, la UAE Emirates quasi non si è vista. Tanto è vero che Dillier, di cui abbiamo parlato, si è sciroppato oltre 220 chilometri d’inseguimento individuale (o quasi) per contenere il ritardo della fuga entro i 5’.

Ancora Hauptman: «La Cipressa sarà il nostro punto principale domani: 5,6 chilometri a una media del 4,4 per cento. Il primo chilometro e mezzo non è così facile, ma è comunque “facile” al 5 per cento. Non dobbiamo pensare a cosa faranno gli altri. La Cipressa va presa “a fuoco”, in avanti. E quando il tutto si farà molto difficile, Tadej andrà».

Ancora una volta, quel che è stato detto in riunione ha corrisposto con la realtà.

Pogacar spiega a Del Toro come e quando entrare in scena sulla Cipressa. Spiegazione perfetta, ma il messicano ha mancato l’appuntamento
Pogacar spiega a Del Toro come e quando entrare in scena sulla Cipressa. Spiegazione perfetta, ma il messicano ha mancato l’appuntamento

Pogacar sale in cattedra

Sul grande schermo all’interno del bus, dopo i dati generali della corsa, appare la planimetria della Cipressa. Importantissima per incrociare segmenti, curve e pendenze. A questo punto, sale in cattedra proprio sua maestà Pogacar. E lo fa con la spontaneità di chi è leader per natura.

«Questo – indica Pogacar rivolgendosi a Del Toro – è il momento perfetto. Siamo a 2 chilometri, ma ne resta uno ancora di salita e uno e mezzo di falsopiano. Qui (punto 1 nella mappa in basso, ndr) devi già essere avanti prima e questa è la parte difficile fino a qui».

La planimetria della Cipressa e i punti nevralgici indicati da Pogacar
La planimetria della Cipressa e i punti nevralgici indicati da Pogacar

In questo segmento, però, la riunione non ha combaciato con la realtà. Questo lavoro infatti non è stato svolto da Del Toro, ma da Narvaez. Nella foto di apertura si nota l’esatto momento in cui l’ecuadoriano si sposta e scatta Pogacar. Nel post-gara, Gianetti ci aveva spiegato che Del Toro era rimasto dietro all’imbocco della Cipressa. Come dicevano in riunione, infatti, non sarebbe stato facile presentarsi freschi in quel punto.

«Io – riprende Pogacar – qui (punto 1, ndr) sarò ancora a ruota. Questa parte è più facile (punto 2, ndr). In questa curva (punto 3, ndr) fai un respiro profondo, Isaac, e fuori da questa curva fai 25” secondi a tutta, “full gas”. Qui (4a, ndr) o qui (4b ndr) scatto io. Cercherò di partire stretto, dopo la curva a destra. In quel punto se prendi 5”, il gruppo non ti vede».

E Tadej è scattato esattamente in quel pezzetto di strada (4a), dopo la curva. Pazzesco! Pogacar dice anche dove respirare profondo, come e quanto deve durare il lancio del suo attacco. E’ evidente che, dopo i sopralluoghi, hanno incrociato i valori degli atleti e i tempi degli attacchi.

Il forcing mostruoso di Wellens sulla Cipressa, seguito dopo 2 chilometri da quello di Narvaez
Il forcing mostruoso di Wellens sulla Cipressa, seguito dopo 2 chilometri da quello di Narvaez

I rischi di Wellens

Spiegata, almeno per quel che si vede nel video, la Cipressa, la riunione prosegue. Stavolta a parlare è Tim Wellens, altra punta e soprattutto uno degli atleti più esperti in casa UAE Emirates. Questo il senso delle sue parole.

«Per ricapitolare all’inizio non lasciamo tracce, non ci facciamo vedere. Se in fuga ci sono fino a 10 ragazzi non è la fine del mondo. Al limite bluffiamo e vediamo cosa succede. Sul Turchino stiamo davanti solo se è freddo o piove. Se è asciutto rilassiamoci. Prendiamo il rischio di arrivare davanti solo da Alassio (poco prima di Capo Mele, ndr). Lì ci saranno delle cadute, la corsa è nervosa, ma prendiamoci il rischio comunque di non spendere. Io credo sia meglio: magari perdiamo un ragazzo per niente».

Anche le parole di Wellens hanno trovato riscontro nella realtà. La UAE Emirates infatti si è affacciata davanti solo in prossimità dei Capi. E lì è entrato in scena proprio Wellens che ha dato una “trenata” pazzesca sulla Cipressa, riducendo il gruppo a una trentina di unità, prima dell’affondo di Narvaez e dello scatto di Pogacar.

Il video della riunione si conclude con una voce, forse quella di Hauptman, che dice: «Questo è il piano, facciamolo! A domani». Il tutto accompagnato da applausi di incoraggiamento.

Pogacar stanco (e deluso) ma non molla. «Tornerò ancora»

22.03.2025
5 min
Salva

SANREMO – Saranno contenti i suoi detrattori, quelli che “tanto vince sempre lui”. Oggi Tadej Pogacar non ha vinto, ma che corsa ci ha regalato? Se questa è stata una delle Milano-Sanremo più belle di sempre, il merito è anche e soprattutto suo. Forcing incredibile sulla Cipressa, i tre favoriti che scappano e ancora scatti nei denti. Fa-vo-lo-sa.

Ma se la Classicissima numero 116 è stata bellissima, lo stesso non si può dire delle reazioni in casa UAE Emirates. Attenzione, lo ribadiamo prima di ogni benché minima polemica: nessun funerale, nessuna tragedia. Anzi, sempre massima disponibilità nel parlare, cosa non scontata in certi momenti, ma è chiaro che il terzo posto non basta. E questo dimostra quanto Pogacar e i suoi ci tenessero… e ci tengano ancora. La battuta strappata già a microfoni spenti prima di uscire dalla mix zone vale oro: «Ci riproverò ancora».

L’azione di Pogacar, VdP e Ganna è iniziata sulla Cipressa
L’azione di Pogacar, VdP e Ganna è iniziata sulla Cipressa

Terzo posto

Dunque anche i supereroi possono non vincere. La Sanremo sfugge ancora una volta a Pogacar, che da tempo non vedevamo così stanco. Quando parte lo sprint è ormai troppo schiacciato e quei cinque metri regalati a Van der Poel, forse per lanciarsi, gli risultano fatali.
«Secondo me – dice il team principal di UAE Mauro Gianetti – Mathieu se ne è accorto ed è partito. Ma non è facile». A quel punto, forse Van der Poel e soprattutto Pogacar si aspettavano che Ganna tirasse dritto. Invece, tutto si è mischiato.

Forse il terzo posto è figlio di uno scatto di troppo sul Poggio o di aver tirato troppo dopo essere scappati sulla Cipressa. Forse, forse… quanti sono. Troppi. E la storia non si fa con i “se” e con i “ma”. A mettere le cose in chiaro è stato proprio Pogacar.

«Io credo – ha detto lo sloveno stanco come poche volte lo abbiamo visto – di aver disputato una delle migliori gare della mia carriera. Nelle prime tre ore e mezza di corsa mi sono sentito davvero bene. L’ultima parte è stata bellissima. Sono felice di come abbiamo corso con la squadra. Ci abbiamo provato in ogni modo. E’ stato un ottimo lavoro. Ho dato il 100 per cento e sono arrivato terzo».

Sul Poggio scollinano in due: i tre tentativi di Pogacar non sono bastati a fare la differenza
Sul Poggio scollinano in due: i tre tentativi di Pogacar non sono bastati a fare la differenza

Nessun rimpianto

«Negli ultimi 300 metri tutti e tre abbiamo avuto le stesse possibilità di vincere. Rivedendo la volata, abbiamo iniziato a sprintare allo stesso tempo. Ripeto, non si poteva fare nient’altro, né io, né la squadra. Sono molto orgoglioso di come abbiamo corso oggi. Ogni anno facciamo meglio. Mostriamo più aggressività e volontà. Analizzeremo il tutto e vedremo se abbiamo sbagliato. Ma oggi semplicemente c’è stato qualcuno più forte».

La folla resta accalcata attorno al bus della UAE Emirates. E’ incredibile quanta gente ci sia. Tutti con gli smartphone in mano, pronti per una foto o magari un selfie con Pogacar. La gente lo ama e forse questa sconfitta lo rende ancora più grande.
«Non ho rimpianti – conclude Pogacar, che man mano ritrova un timido sorriso – Sono felice di essere riuscito a dare tutto. Per un tratto sulla Cipressa avevo cinque metri? Sì, ma non è facile fare la differenza. Dovrò aggiungere un po’ di muscolatura».

Sprint tirato, alla fine VdP che aveva quei 5 metri di vantaggio li ha mantenuti. I tre sono arrivati nell’ordine in cui erano posizionati ad inizio volata
Sprint tirato, alla fine VdP che aveva quei 5 metri di vantaggio li ha mantenuti. I tre sono arrivati nell’ordine in cui erano posizionati ad inizio volata

Che finale

«Siamo comunque soddisfatti – dice Gianetti – è stata una gara bellissima in cui tre grandissimi campioni si sono scattati nei denti senza risparmiarsi e alla fine siamo contenti. Non corriamo da soli. Certo, nei primi cinque minuti dopo l’arrivo, mentre si cambiava, non era soddisfattissimo, ma ora già va meglio».

Gianetti spiega come, in fin dei conti, si aspettassero una corsa così. Sapevano che avrebbero trovato un grande Van der Poel.
«Alla fine questa rivalità fa bene allo sport. Tadej è consapevole che non è da solo e che non è facile staccare certi corridori su certe salite. Salite che si fanno a più di 40 all’ora e a ruota si sta bene. Anche risparmiare solo 10 watt in questo ciclismo può fare la differenza. Anzi, oltre a Ganna e VdP, ci aspettavamo anche Pedersen, che alla Parigi-Nizza ha lavorato benissimo. Sapevamo che VdP ci sarebbe stato. Anche se non ha fatto una Tirreno brillante, lui è un cecchino nel centrare gli appuntamenti cerchiati in rosso e si sa preparare molto bene».

Forcing mostruoso di Wellens, prima (in foto), e Narvaez, poi, sulla Cipressa
Forcing mostruoso di Wellens, prima (in foto), e Narvaez, poi, sulla Cipressa

Cipressa diversa?

La Sanremo è andata, insomma, come si aspettava la UAE. Magari non si aspettavano il contrattacco di VdP sul Poggio, ma quello scatto poteva anche costare caro all’olandese stesso in volata. Torniamo al discorso dei “se” e dei “ma”.

Tuttavia qualcosa di più concreto c’è invece riguardo alla Cipressa. A Gianetti, infatti, abbiamo chiesto se gli è mancato un uomo, Del Toro nello specifico.

«In parte è mancato, ma non corriamo da soli. Prenderla davanti non è stato facile per nessuno: né per Tadej né per Del Toro. A quel punto, se anche lui fosse stato lì, ne avremmo avuti ben quattro che potevano giocarsi la Sanremo. Chiaro che Narvaez non avrebbe quella trenata così forte e dietro, di rimessa, ci sarebbe stato uno fra Del Toro, Wellens o Narvaez stesso. Noi volevamo fare la corsa dura sulla Cipressa e l’abbiamo fatta».

Milano-Torino a Del Toro, “figlio” di Pogacar e Ayuso

19.03.2025
4 min
Salva

TORINO – Un inchino a Superga lancia Isaac Del Toro tra i grandi e fa sorridere i suoi capitani. Non fosse bastato l’incessante supporto a Juan Ayuso alla Tirreno-Adriatico della scorsa settimana, ecco la fiammata nella classica più antica della storia che fino a oggi non era mai stata vinta da un corridore messicano. Una fiammata che arriva proprio nella settimana che porta alla Milano-Sanremo, obiettivo dichiarato dell’iridato Tadej Pogacar. 

Il ventunenne del UAE Team Emirates fa sul serio e il successo ottenuto nella Milano-Torino che ritrovava l’arrivo più classico di fronte alla Basilica è un segnale forte. Basti pensare che qui aveva trionfato gente del calibro di Alberto Contador (2012) e Primoz Roglic (2021). Senza dimenticare anche il secondo sigillo tricolore di Vincenzo Nibali al Campionato Italiano del 2015.

Prima parte di gara piatta, poi nel finale il doppio passaggio (con arrivo) a Superga
Prima parte di gara piatta, poi nel finale il doppio passaggio (con arrivo) a Superga

Sulla rotta dei grandi

In attesa di diventare grande come i nomi appena citati però, Isaac si concentra sui suoi capitani. Fa esplodere in una fragorosa risata la sala stampa quando gli chiediamo le differenze del correre per due fenomeni come Pogacar o Ayuso, rispondendo con una battuta che va a braccetto con la festività di San Giuseppe. 

«Sono due persone troppo diverse, è un po’ come parlare delle differenze tra il tuo papà e la tua mamma – racconta con un sorriso in un ottimo italiano – sono due amici e sono contento di lavorare e offrire la mia versione di me per loro. In questo momento sono i più forti e l’hanno visto tutti. Uno ha vinto le Strade Bianche su una gamba e l’altro è stato il migliore alla Tirreno. Io sono lì per loro e per me essere l’ultimo o il penultimo uomo mi riempie di felicità».

Lo scorso anno tutti si ricordano il suo forcing sulla Cipressa che mise alla corda gran parte dei favoriti della Sanremo. Tutti lo considerano una pedina fondamentale nei sogni di gloria del campione del mondo, prima di rimettersi al servizio delle ambizioni rosa del fresco re dei due mari.

Ma Isaac non ha fretta e prende una corsa alla volta: «Adesso voglio pensare soltanto alla Milano-Sanremo. Al Giro d’Italia manca ancora tanto, per cui non voglio stancare troppo la testa. Sono pronto a prendermi la responsabilità, voglio fare un bel lavoro e fare una bella figura con Tadej. Da lui cerco di imparare tutto il possibile, è una persona normale. Quando è con me cerca di caricarsi anche tutta la responsabilità che può esserci su di me e lo fa sempre con grandissima tranquillità.

«Correre con lui è un divertimento, scherziamo sempre molto, lo considero un amico e soltanto dirlo mi sembra qualcosa di incredibile».

Lorenzo Fortunato, come spesso capita, è stato il migliore degli italiani, ottavo
Lorenzo Fortunato, come spesso capita, è stato il migliore degli italiani, ottavo

Famiglia UAE

Tutte le squadre World Tour vorrebbero in rosa un gregario così. Un gregario capace di trasformarsi all’occorrenza in capitano di giornata, con classe da vendere e grandissima umiltà.

«Sono giovane, per cui mi rende felice la fiducia che mi dà la squadra e che l’esempio qui ho avuto gente come Covi o come Adam (Yates, ndr) che si è messa al mio servizio. E’ davvero un sogno quello che sto vivendo. Credo sia la prima gara che vinco qui in Italia, vincere qui è incredibile. Sono arrivato in questo Paese a 16-17 anni, sono cresciuto tanto come ciclista, ora vivo e mi alleno a San Marino».

A chi gli chiede che cosa si aspetta dal 2025 iniziato nel migliore dei modi, replica così: «L’obiettivo essere costante. Vediamo che libertà avrò con la squadra. Voglio solo divertirmi in bici. È tutto così incredibile, per tutto il mio Paese e per la mia famiglia».

Isaac Del Toro (classe 2003) è alla prima vittoria stagionale. E’ una pedina fondamentale per Pogacar in ottica Sanremo
Isaac Del Toro (classe 2003) è alla prima vittoria stagionale. E’ una pedina fondamentale per Pogacar in ottica Sanremo

Superga messicana

Superga è Del Toro. In molti accostano il suo nome alla mitica squadra granata che il 4 maggio del 1949 divenne immortale in seguito alla tremenda tragedia aerea che la portò via da questo mondo. Il talentuoso messicano ascolta con attenzione la storia, ma ammette candidamente di non seguire il calcio, prima di spiegare il perché della sua esultanza.

«L’inchino – dice Del Toro – è stato un ringraziamento a tutti i tifosi che ho in giro per il mondo. È davvero incredibile avere questo seguito in Italia, Francia e Spagna per me che vivo tanto lontano dal mio Paese. In tanti mi supportano e ho voluto ringraziarli così». 

La maglia aperta, il sorriso sornione e poi quello scatto nelle ultime centinaia di metri che non ha lasciato spazio né a Ben Tulett né a Tobias Johannessen. E’ così ha fatto sua la Milano-Torino 2025.

«Non sempre mi sveglio con la fiducia giusta, ma oggi avevo la gamba giusta – conclude Del Toro – Nel finale mi sono trovato con due corridori molto diversi. Sapevo che Johannessen era veloce in volata, mentre Tulett era temibile in caso di allungo. Io sapevo di essere più cattivo e ho cercato di essere intelligente». 

Lo abbiamo visto e sicuramente lo hanno fatto anche Ayuso e Pogacar, che si coccolano il loro “figlio” e se lo tengono ben stretto.

Baroncini: a blocco verso il Nord con tanta voglia di rivincita

18.03.2025
6 min
Salva

Dopo l’apertura dell’Omloop Het Nieuwsblad e Kuurne, le classiche del Nord entrano nel vivo, e Filippo Baroncini è pronto a fare la sua parte. L’ex campione del mondo under 23, ora alla UAE Emirates, arriva lassù con un conto aperto e tanta determinazione. In una squadra già piena di campioni, anche lui vuole dimostrare di che pasta è fatto.

Dopo nove giorni di gara, i risultati finora non sono stati clamorosi, ma il ciclista italiano sa che il meglio deve ancora venire. Il suo obiettivo? Far bene nelle classiche, soprattutto dopo una stagione 2024 segnata da alti e bassi dovuti principalmente alle sfortune. Ora lo attendono nell’ordine: Nokere Koerse, GP Denain, Bredene Koksijde Classic, De Panne, Gand-Wevelgem…

Baroncini lo scorso anno a Denain poco prima di cadere. Ha un conto aperto con la gara francese
Baroncini lo scorso anno a Denain poco prima di cadere. Ha un conto aperto con la gara francese
Filippo, come stai? Com’è la condizione?

Ora sto bene. Fino alla Strade Bianche sono stato un po’ giù a causa di un virus, anzi, di due virus che mi hanno un po’ messo ko. Però adesso mi sono ripreso bene. Mi sento decisamente meglio.

L’inizio di stagione è stato come te lo aspettavi? Oppure è stato tutto parte di un piano per le classiche che stanno arrivando?

L’obiettivo principale è sempre stato quello di andare forte nelle classiche, quindi sì, la preparazione è tutta indirizzata a queste gare. Tuttavia mi aspettavo sicuramente più fortuna, in termini di salute e di risultati favorevoli, visto che le opportunità sono sempre poche e non è facile. Ma l’importante è che ora sono in forma e pronto a dare il massimo.

Di queste gare che arrivano, ce n’è qualcuna a cui punti particolarmente? In cui avrai più spazio?

Mi piacerebbe avere il mio spazio in tutte, ma quella a cui tengo di più è sicuramente la rivincita al GP di Denain, dove l’anno scorso mi sono rotto il gomito. E’ stata una grande sfortuna e vorrei tanto riscattarmi. Per quanto riguarda i ruoli di capitano, vedremo: correrò al fianco di corridori come Wellens, Pollitt e Morgato, che stanno crescendo molto.

A livello tecnico, hai già fatto sopralluoghi come nel 2024 o testato qualche novità come gomme e assetti?

Quest’anno no, perché i materiali sono praticamente gli stessi dell’anno scorso. So già come settare la bici, soprattutto conosco già le pressioni delle gomme che utilizzerò. Non c’è stato bisogno di particolari test.

Baroncini con Nils Politt durante un sopralluogo dello scorso anno (foto UAE Team Emirates)
Baroncini con Nils Politt durante un sopralluogo dello scorso anno (foto UAE Team Emirates)
Con chi condividerai la stanza durante queste gare?

Per ora non so ancora con chi starò in camera. Non c’è un compagno fisso. Le formazioni cambiano spesso, soprattutto per queste gare minori, quindi vedremo più avanti.

Quanto ti senti diverso rispetto al Filippo di un anno fa in questo periodo?

Mi sento cresciuto tantissimo. Già a gennaio sentivo una differenza nella fatica che facevo rispetto a prima. Penso che sia dovuto all’esperienza acquisita con il primo grande Giro che ho fatto, la Vuelta. Credo mi abbia dato una base solida.

Queste differenze le hai notate nei picchi di sforzo (watt) o nel recupero dopo le varie sgasate?

Sicuramente nel recupero, ma più in generale direi nella tolleranza allo sforzo. E’ molto più facile gestire l’intensità, specialmente quando fai sforzi ripetuti e prolungati durante le corse.

Baroncini con Ayuso alle spalle, i due furono grandi protagonisti della stagione U23 del 2021. A uno il mondiale all’altro il Giro Giovani
Baroncini con Ayuso alle spalle, i due furono grandi protagonisti della stagione U23 del 2021. A uno il mondiale all’altro il Giro Giovani
Filippo, prima abbiamo accennato ad alcuni tuoi compagni importanti. Tra questi c’è Juan Ayuso, con cui hai corso alla Colpack. Come è ritrovarsi insieme nella squadra numero uno al mondo?

L’esperienza nella Colpack è stata fondamentale, ma qui il livello è un altro. La UAE è una squadra di professionisti top e quindi anche l’approccio tra di noi è molto diverso. Lì c’era un ambiente più familiare, dove si stava insieme anche per lungo tempo, magari scherzando a tavola. Oggi, il ciclismo è diventato più simile a un lavoro d’azienda. Ognuno ha il suo ruolo e bisogna rispettare certi ritmi. Il livello competitivo e il lavoro di squadra sono incredibili. Per quanto riguarda Juan, certo si scherza ogni tanto e lui non è cambiato per nulla è il solito animale di gara!

Appartenete anche a due gruppi di lavoro diversi, immaginiamo: tu in quello delle classiche, lui in quello dei grandi Giri. Magari vi vedete poco….

Esatto, capita che ci si scambi qualche messaggio, ma per scherzare. Ma non più di tanto, sinceramente. La vita è cambiata. Il ciclismo è diventato molto più improntato sul lavoro e il recupero. Non ci si ferma più a fare chiacchiere, si pensa più a concentrarsi a tutto quello che ruota attorno alla performance.

Tornando alle tue classiche: ci hai detto di Denain, ma tecnicamente ce n’è qualcuna che pensi si adatti particolarmente alle tue caratteristiche?

Per quanto riguarda le gare di questa settimana, penso che la Gand-Wevelgem sia una corsa che si avvicina un po’ di più alle mie caratteristiche. Ma tutte queste corse in Belgio, a parte le grandissime classiche, richiedono un mix di velocità e resistenza. La mia speranza è di riuscire ad evitare imprevisti come forature, cadute… E se tutto va bene, le sensazioni sono buone.

Le classiche più grandi, come il Fiandre o la Roubaix, ci sono possibilità già da quest’anno?

Sì la possibilità c’è, ma mi piacerebbe riuscire a fare bene nelle gare minori prima di concentrarmi su quelle corse. E’ importante perché i risultati nelle semiclassiche dimostrano che si può competere anche nelle classiche maggiori, quindi cerco di prendere le cose giorno per giorno.

L’emiliano alla Vuelta lo scorso anno. Il suo primo grande Giro
L’emiliano alla Vuelta lo scorso anno. Il suo primo grande Giro
Come vivi questi giorni di gare una dietro l’altro?

Dopo queste prime corse torno a casa in Italia, ma giusto un paio di giorni. Mi serve recuperare e vedere come va il meteo, ma poi si riparte subito per la prossima ondata di corse. Il calendario delle gare cambia rapidamente, quindi si va sempre un passo alla volta. Però in generale mi piace molto. Alla fine devi essere concentrato, non ti devi allenare, e poi lavori tanto proprio per questi momenti.

Non ci si allena, ma diventano importanti altre cose…

Il recupero è fondamentale. Cerco di dormire il più possibile, di avere un buon sonno e di concentrarmi sulla nutrizione. Non mi faccio troppi problemi. Sì magari non ingolfarsi troppo di carbo nei giorni di scarico o riposo, però è anche vero se mangio 20 grammi in più di pasta alla fine non è una tragedia: quassù le energie servono.

E il Filippo uomono, il “non-corridore” come vive i momenti di pausa tra le gare? Cosa fai per passare il tempo lontano dalla bici?

Quando sono a casa, mi piace passare del tempo con il mio cagnolino e la mia ragazza. Sono una persona tranquilla, quindi preferisco fare passeggiate o magari farmi un massaggio per rilassarmi. In trasferta, cerco di non pensare troppo al ciclismo. Come accennavo poi è tutto molto cadenzato oggi. A meno che non si è una squadra con un gruppo più latino in cui magari ci si sofferma a chiacchierare un po’ di più, tutto scorre via velocemente.

Magari leggi un libro, giochi con la Play…

La Play ormai la detesto: ci ho giocato troppo da piccolo! Se ho un po’ di tempo libero, mi piace guardare una serie thriller su Netflix per rilassarmi un po’. Magari un thriller, qualcosa che dia suspence, ansi… Come se l’ingresso in un settore di pavé non ne portasse abbastanza!

Pogacar alla Roubaix, sembra fatta. E Colbrelli ci dice la sua

03.03.2025
5 min
Salva

Svegliateci pure, è (quasi) tutto vero. Ieri Ciro Scognamiglio della Gazzetta dello Sport ha lanciato la news: Tadej Pogacar alla Parigi-Roubaix. Manca l’ufficialità, ma la non smentita del team vale quasi altrettanto. L’avevamo lasciato in quel video in cui “volava” sulle pietre della Foresta di Arenberg. Sembrava non avesse fatto altro prima di allora. E quando ne è uscito, ci aveva raccontato Baldato, era contento come un bambino al parco giochi.

Alla luce di tutto questo abbiamo parlato con Sonny Colbrelli. I due hanno una cosa in comune: presentarsi alla prima Roubaix con serie possibilità di vittoria. Sonny ci è riuscito, Tadej vedremo. L’attuale direttore sportivo della Bahrain-Victorious ha un possibile erede del quale non poteva non parlare.

Sonny Colbrelli in quella gloriosa Roubaix del 2021. Anche per lui si trattava della prima partecipazione
Sonny Colbrelli in quella gloriosa Roubaix del 2021. Anche per lui si trattava della prima partecipazione
Sonny, Pogacar alla Roubaix…

Guardate – parte d’entusiasmo Colbrelli – quando un campione come Pogacar va a provare le corse e vede che può farcela, sicuro che vuole provarci. Sinceramente non pensavo che lo facesse già quest’anno, però dicono che ormai sia certa la sua presenza. Di certo è più facile che vinca una Roubaix che una Sanremo, perché la Sanremo è sempre più difficile.

Per di più ad inizio stagione con tanti campioni con le gambe piene…

Esatto, Pogacar a Sanremo deve arrivare da solo, ma con corridori così esplosivi come Van Aert, Van der Poel, Philipsen e gli altri è davvero complicato per lui. Però la sua presenza sul pavé mi incuriosisce molto perché può dare filo da torcere a tutti, anche a gente come Van der Poel. La notizia fa rumore, perché un corridore come lui si adatta a ogni gara.

Tu vincesti al debutto. Vedi similitudini tra te e Pogacar?

Sì e no. Lui ha la stoffa. Io quello che ho ottenuto l’ho costruito con gli anni, con maturità ed esperienza. E persino guardando le corse in tv. Lui invece è il Maradona del ciclismo, il Messi, il Ronaldo. Sono talenti che sbocciano così, a cui serve la metà o un quarto dell’allenamento o dei tentativi per ottenere risultati che altri raggiungono in una vita. Il paragone è molto diverso. Pogacar non ha eguali, entusiasma sempre. Quando attacca, è un altro sport.

Tadej il giorno in cui ha provato la Roubaix. Eccolo nella mitica Foresta di Arenberg, quasi sempre settore cruciale della corsa
Tadej il giorno in cui ha provato la Roubaix. Eccolo nella Foresta di Arenberg, quasi sempre settore cruciale della corsa
Quando si muove un corridore così, che succede in gruppo. Davvero ha delle chances concrete?

Sì, sì… Chiunque deve aver paura, che sia Van der Poel, Van Aert o chiunque altro. Quando si muove Pogacar, tutti devono stare attenti, anche il suo stesso team.

Quale potrebbe essere la sua difficoltà alla Roubaix?

Quando hai gambe come le sue è difficile sbagliare. Forse l’unico timore è una caduta, una foratura. In quel caso serve anche fortuna, oltre a delle buone gambe.

Tadej ha provato la Roubaix con Wellens, in teoria il capitano. Cambieranno i ruoli?

Giocheranno su più frangenti. Penso che anche Florian Vermeersch possa essere un’opzione per la UAE Emirates. Non so se sia stato preso come gregario o come capitano, ma è già arrivato secondo alla Roubaix quando ho vinto io. Hanno una squadra fortissima. Meglio avere due capitani che uno solo. Se uno ha una giornata no, si punta sull’altro. Se uno cade o fora, c’è l’altro. Sempre meglio avere più opzioni, specie in una gara del genere.

Pogacar va molto bene con il maltempo e la pioggia, ma alla Roubaix potrebbe essere un problema? Un problema diverso?

Magari Tadej non avrà l’occhio di un corridore da classiche o di uno che corre sul fango come Van der Poel e forse un po’ gli si complicheranno le cose. Forse… Però, ripeto, parliamo di Pogacar, l’eccellenza del ciclismo. Quello che tocca è oro. Che sia pioggia o sole, lui si adatterà, ne sono sicuro.

Pogacar al Tour 2022 (Lille-Wallers Arenberg) finì 7°. Il posizionamento nei primi settori potrebbe essere complicato per un peso leggero come lui
Pogacar al Tour 2022 (Lille-Wallers Arenberg) finì 7°. Il posizionamento nei primi settori potrebbe essere complicato per un peso leggero come lui
Quindi ti stupirebbe se vincesse subito?

No, assolutamente no. Uno che fa certi numeri al Fiandre e in tante altre corse può fare tutto.

In effetti non è nuovo ai tratti in pavé, giusto?

No, ha già corso su pavé, ha già capito, e vinto il Fiandre. E non solo (il pensiero va alla tappe del pavé al Tour del 2022, ndr). La stoffa ce l’ha.

Sonny, tu dici che ce la può fare, che ci sa fare e che si adatterà. Ma ci deve pur essere un dettaglio per chi non è del tutto uomo da classiche e che al debutto in una gara tanto complicata come la Roubaix che potrebbe metterlo in difficoltà?

Forse la poca conoscenza del percorso. Magari potrebbe cercare di evitare il pavé andando sul lato della strada, dove è vero che non ci sono le pietre e si scorre di più, ma al tempo stesso ci sono più insidie. Lì può esserci di tutto: buche, “crateri”, rischi di forature o cadute. Quella, se non hai esperienza, potrebbe essere l’unica vera incognita.

La sua presenza cambia l’economia della corsa?

Sicuro. Tutti lo guarderanno. Anche Van der Poel ci penserà. E le altre squadre lo aspetteranno. La corsa potrebbe ruotare su di lui.

Jebel Hafeet: l’attacco di Pogacar ai raggi X. L’analisi di Toni

27.02.2025
5 min
Salva

UAE Tour, 7,8 chilometri all’arrivo di Jebel Hafeet. Rune Herregodts si sposta e Tadej Pogacar parte (qui il video). Inizia lo show. Provano a tenerlo Oscar Onley e Giulio Ciccone. Ma resistono per meno di 400 metri, vale a dire 30 secondi. Trenta secondi terribili per gli altri, di progressione micidiale per Pogacar. Alla fine lo sloveno vincerà con 33″ di vantaggio sull’Abruzzese, ma mollando nel chilometro finale.

E noi quei 30 secondi (e non solo) li andiamo ad analizzare con Pino Toni. Con il coach toscano facciamo dell’asso della UAE Emirates un’analisi esattamente come avevamo fatto qualche giorno fa per lo sprint di Milan. Lo spunto tecnico e l’occhio del preparatore ci dicono qualcosa di più del “semplice” show di Pogacar e di quanto si stato forte per l’ennesima volta.

Pogacar domina Jebel Hafeet: secondo i dati di Velon ha fatto un picco di 920 watt sull’attacco e 491 watt nei 5’31” successivi allo scatto
Pogacar domina Jebel Hafeet: secondo i dati di Velon ha fatto un picco di 920 watt sull’attacco e 491 watt nei 5’31” successivi allo scatto
Pino, partiamo dall’attacco di Pogacar: cosa ha visto il tuo occhio esperto?

Per me non è stato uno scatto secco, non uno scatto di quelli che deve fare al Tour de France, tipo quello con cui ha attaccato Vingegaard. E’ stata più una progressione. E’ chiaro che aumenta la velocità in modo netto e va subito su wattaggi altissimi, ma è una progressione fatta con la sicurezza di non avere avversari al suo livello o lì vicino.

Cosa ti fa dire questo?

Che secondo me non era al massimo. Non è uscito dal gruppo con lo scatto più potente che avrebbe potuto fare per prendere quei due metri di vantaggio. Perché attenzione, gli altri hanno provato a seguirlo, ma alla sua ruota non sono mai arrivati. Non sono mai stati attaccati del tutto. Se qualcuno si fosse avvicinato davvero, avrebbe potuto dare ancora di più la mazzata. Per questo dico che non era uno scatto secco, ma in controllo.

Se avesse dovuto dare ancora di più, quando poi si è seduto, non avrebbe fatto il vuoto forse… Mentre lui ha iniziato a guadagnare.

Forse non avrebbe fatto la differenza in modo così netto. Quando si siede, continua a guadagnare. E’ un segnale chiaro che non ha raggiunto il suo limite massimo. Almeno giudicando da fuori senza avere accesso ai suoi dati diretti. Pogacar è uno che va forte in ogni condizione e gestisce perfettamente il proprio sforzo. Ora che ci penso, forse l’unica volta che ha avuto le gambe in croce è stato proprio nello sprint iniziale di questo UAE Tour.

Tadej con la nuova Colnago Colnago Y1Rs sembra essere ancora più corto e raccolto di posizione
Tadej con la nuova Colnago Colnago Y1Rs sembra essere ancora più corto e raccolto di posizione
E lo sprint rispetto alle sue qualità è quella meno forte…

Esatto, fra le sue caratteristiche lo sprint è quello che gli viene meno bene. Tanto più se sprinti contro i velocisti puri, c’è una differenza di almeno 15 chili. Ma parliamo di un corridore che può fare tutto e migliorare in ogni ambito.

Ecco, parliamo di questi miglioramenti. Dagli Emirati sono giunte voci attendibili circa il fatto che sia ancora più corto con la posizione.

Di certo Pogacar è uno che sperimenta molto. E chi sperimenta è destinato a crescere.

Quanto margine ha ancora Pogacar? Il suo preparatore a dicembre disse che ne aveva ancora…

Io anche credo che non sia ancora arrivato al suo limite assoluto. Vedete, ci sono due limiti: quello giornaliero, legato alla condizione del giorno, e quello generale, ovvero la miglior prestazione possibile. Non vediamo mai Pogacar brutto in faccia, scomposto o davvero in difficoltà? Questo è un indizio importante sul fatto che può ancora migliorare.

La voglia di sperimentare lo aiuta a crescere?

Sì, come ho detto: chi sperimenta cresce. Se non sperimenti, resti indietro. Ci sono stati campioni fortissimi che non hanno seguito le innovazioni e non sono più cresciuti. O almeno non lo hanno fatto quanto potevano. E uno l’ho vissuto da vicino quando iniziarono ad arrivare le prime vere innovazioni su alimentazione, ketogenesi, alcuni allenamenti. Pogacar non è uno di questi. Basti vedere le sue pedivelle da 165 millimetri, la sua posizione molto avanzata, l’attenzione ai dettagli aerodinamici. E’ sempre alla ricerca di qualcosa che possa fargli fare un altro passo avanti. Poi magari può sbagliare e non migliorare, ma ci ha provato e di sicuro non ha perso terreno.

Nella 5ª frazione Pogacar ha attaccato. E’ opinione di molti, tra cui Toni, che lo sloveno lo abbia fatto per allenarsi
Nella 5ª frazione Pogacar ha attaccato. E’ opinione di molti, tra cui Toni, che lo sloveno lo abbia fatto per allenarsi
Invece Pino, un’altra considerazione molto interessante che serpeggia direttamente dagli Emirati è che la sua azione nel deserto, l’attacco in pianura a 110 chilometri dall’arrivo, non era solo per spettacolo ma anche per allenarsi. Tu che ne pensi?

Ed è vero. Lì c’è molta pianura e la corsa scorre tranquilla, specie se c’è la fuga. Se in una corsa come quella si resta nel gruppo a 38-40 all’ora, atleti normali girano a battiti bassi, uno come lui ancora di più e non fa niente. In queste condizioni, se un corridore di una continental arriva a fare 0,76 di intensity factor, Pogacar in 4 ore forse arriva a 0,65, cioè non si allena.

E qual è un limite per considerare l’uscita come allenante?

Diciamo che 0,75 di intensity factor corrisponde ad una giornata di carico normale. Attaccare gli ha permesso di mantenere un’intensità adeguata per non perdere la condizione. E presentarsi bene al giorno della salita. Se lo metti nel gruppo a fare tappe di pianura, non cresce. E lui deve crescere.

Incredibile…

Che poi alla fine la cosa che più mi colpisce di questo atleta non è tanto la prestazione in sé, ma la capacità di recuperare rapidamente e di adattarsi agli sforzi successivi. Un corridore normale, dopo un grande sforzo, ha bisogno di due giorni per recuperare. Pogacar, nel giro di 14 ore, è già a posto. Questa è la sua arma segreta: gestisce il proprio acido lattico e indirettamente quello degli altri (che in corsa sono costretti ad inseguire). Se volesse, potrebbe schiantare tutti in ogni tappa.