Pensieri e parole di Elisa Balsamo da Gand a Wevelgem

28.03.2022
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Le donne iniziano nel pomeriggio. E mentre Hailu Girmay ha già messo Wevelgem nel mirino, una coppia russo-olandese – Gulnaz Khatuntseva e Anne van Rooijen – cerca visibilità e improbabile gloria con un vantaggio massimo di tre minuti. A De Moeren è la Jumbo-Visma a suonare l’allarme, ma non c’è vento: primo errore. E se Marianne Vos inizia a capire di aver perso troppo presto alcune compagne di squadra, nella testa di Elisa Balsamo e sull’ammiraglia della Trek-Segafredo, il piano inizia a prendere forma. La coppia di testa lotta ancora a lungo, ma a 65 chilometri dalla fine è riassorbita. E la corsa inizia…

«Oggi ho vinto la mia gara preferita – esclama Elisa Balsamo dopo l’arrivo – è un sogno che si avvera. Sono molto, molto felice».

Riavvolgiamo il nastro però. Non è mai bello svelare il finale, la storia merita un racconto meno frettoloso. Fuga ripresa, Gand sul punto di esplodere.

Kopecky all’attacco

Lotte Kopecky mette fuori la testa per la prima volta sul Baneberg e fiuta l’aria. La fuoriclasse belga attacca con Katarzyna Niewiadoma (Canyon), Anna Henderson (Jumbo-Visma), Marta Lach (Ceratizit) e Liane Lippert (Team DSM). La gente le aspetta, seguendo un po’ la gara degli uomini dai telefoni e bevendo birra.

Al primo passaggio sul Kemmelberg, Kopecky forza ancora, mentre dal gruppo sono arrivate anche Marta Cavalli (FDJ), Labecki (Jumbo-Visma) e Olivia Baril (Valcar). Lorena Wiebes, la velocista terribile, è uscita anche lei dal gruppo di testa, ma presto si arrenderà.

«Il Kemmelberg è stato duro e ripido – dice Elisa Balsamo, al settimo cielo – ma giro dopo giro le mie compagne di squadra mi hanno aiutato a rimanere in una buona posizione. Ed essere in una buona posizione su queste strade è molto importante. Dopo l’ultimo passaggio lassù, abbiamo deciso di arrivare allo sprint».

In pezzi sul Kemmel

Ancora un passo indietro, riavvolgiamo la pellicola. Fuga ripresa, ma corsa non ancora chiusa. Sul Banenberg ci riprova infatti la giovanissima De Wilde rispondendo a un attacco di Chantal Van den Broek-Blaak. Nel tratto più ripido del muro simbolo della Gand, il gruppo va nuovamente in pezzi, con Grace Brown (FDJ) che cerca l’assolo. Gruppo ancora compatto.

Altro tentativo di Van den Broek-Blaak, Mackaij e Van Anrooij, ma questa volta è la Jumbo-Visma a chiudere per la Vos. La corsa è da mal di testa, spettacolo nello spettacolo delle Fiandre. A 3,5 chilometri dalla fine, ancora Brown che prova il colpo a sorpresa.

«Ci siamo un po’ fatte prendere dal panico – racconta ancora Balsamo – ma Ina (Teutenberg, diesse della Trek-Segafredo, ndr) è stata bravissima dall’ammiraglia e ci ha tenute calme. Poi Ellen Van Dijk è passata in testa e ha colmato il divario. E’ stata incredibile».

Finale furibondo

La campionessa europea Ellen Van Dijk e Rianne Markus, gregaria di Marianne Vos, fanno un capolavoro per riprendere l’ultima attaccante. Ce la fanno, ma a quel punto Elisa Balsamo deve mettere sulla strada tutta l’arte della pista per giocarsi lo sprint.

Festeggiamenti fiamminghi per Balsamo padre e figlia: il Belgio porta bene
Festeggiamenti fiamminghi per Balsamo padre e figlia: il Belgio porta bene

Marlene Reusser infatti pilota in modo eccellente l’inarrestabile Kopecky e Lotte prova ad anticipare, ma Elisa riesce nella rimonta ancora aiutata da una grande Van Dijk. E nello sprint arriva il terzo capolavoro in una settimana. Vos seconda, come a Leuven, 130 chilometri da Wevelgem. Confalonieri terza. Per Kopecky alla fine è arrivato il quarto posto.

«Dopo il Kemmelberg eravamo fiduciose – racconta finalmente Balsamo – ma non è stato facile. Negli ultimi chilometri ci sono stati tanti attacchi, ma il mio team è stato perfetto e ha chiuso tutto, hanno fatto un ottimo lavoro! Sono state tutte forti. Van Dijk, Elisa (Longo Borghini, ndr) e Shirin (Van Anrooij), soprattutto nel finale. Ho avvertito un po’ di pressione con una squadra così forte che lavora per me, ma mi sento bene. Sembra che il lavoro che ho fatto quest’inverno stia dando i suoi frutti. Abbiamo vinto perché eravamo la squadra migliore e abbiamo mostrato il miglior spirito di squadra».

Due su tre come a Leuven: prima Balsamo, seconda Vos. Terza questa volta Confalonieri
Due su tre come a Leuven: prima Balsamo, seconda Vos. Terza questa volta Confalonieri

Appuntamento ad Anversa

Con la maglia iridata sulle spalle e un buon vantaggio nella classifica del Women’s WorldTour, Elisa ora fa rotta verso il Giro delle Fiandre, mentre la stampa belga si interessa e le chiede quale sia la corretta pronuncia del suo cognome: se Balsàmo, come dicono quassù, oppure Bàlsamo. Ora l’attende il Fiandre, altro percorso e altra storia da scrivere. La sensazione è che il viaggio sia appena cominciato. La certezza è che una così ce l’abbiamo solo noi!

Balsamo, tempo di esami: da domani fino al Fiandre

26.03.2022
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Tre vittorie, le ultime due in gare WorldTour. Il 2022 di Elisa Balsamo è iniziato nel segno della grande condizione e probabilmente di un’ancora più grande convinzione. La piemontese al momento è in Belgio, alla vigilia di una delle sue gare preferite, la Gand-Wevelgem, a una settimana dal Fiandre, altra corsa che la fa sognare.

«Rispetto allo scorso anno – dice – credo di aver avuto una crescita fisica e anche mentale, di questo sono contenta. Continuo ad allenarmi in pista, questa è la sola settimana che non ci sono andata. Sono convinta che sia sempre utile, ma è un fatto che quest’anno io abbia voluto investire di più sulla strada. Bisogna essere realisti e non porsi degli obiettivi troppo alti. Posso lavorare per essere un’atleta da classiche, ma le salite lunghe non saranno mai adatte a me. Credo di essere abbastanza completa».

La Ronde Van Drenthe e il Trofeo Binda hanno evidenziato i progressi di Elisa in salita
La Ronde Van Drenthe e il Trofeo Binda hanno evidenziato i progressi di Elisa in salita

La più forte del mondo

Sta di fatto che la maglia iridata sta brillando di luce propria, al punto che prima il suo preparatore Arzeni e poi una rivale come Marta Bastianelli (ieri terza, dietro Elisa e la Wiebes), l’abbiano definita la più forte al mondo. Lei che è sempre incline a restare dietro le quinte, davanti all’affermazione scoppia a ridere.

«Nel ciclismo è difficile fare certe affermazioni – spiega – non è come nel nuoto in cui la più forte nei 200 metri stile libero è quella che fa il tempo più basso. Diciamo che nelle gare adatte me la posso giocare e già questa è una bella consapevolezza. La maglia iridata mi sta dando molta fiducia. Ha i suoi lati negativi e anche quelli positivi. Aver vinto ancora dà la convinzione che il mondiale non sia venuto per caso».

Dopo il 4° posto all’Het Nieuwsblad, giorno nero alla Strade Bianche. Poi il decollo…
Dopo il 4° posto all’Het Nieuwsblad, giorno nero alla Strade Bianche. Poi il decollo…

Studiare la Wiebes

Il primo che lo dice farà i conti con noi! Nel frattempo il livello della sfida si è alzato. E se nei giorni scorsi abbiamo ragionato con Capo Arzeni sulle qualità della rivale Wiebes, c’è da supporre che la stessa Balsamo sia concentratissima sulla rivale più pericolosa.

«Conoscere un’avversaria – conferma – è necessario. Riguardare le volate è una parte importante di questo lavoro. Alla fine è l’unico modo per cercare di batterle. Puoi partire con un’idea di tattica, anche se poi la corsa è capace di riscrivere tutto».

Dimensione WorldTour

Di sicuro è tutto più facile o se non altro meno difficile, avendo al proprio fianco uno squadrone come la Trek-Segafredo che, avendo perso per maternità Lizzie Deignan, si sta stringendo attorno a Elisa, avendone riconosciuto la solidità. Con i leader veri succede così.

«La differenza fra una squadra WorldTour e le altre – dice – si vede innanzitutto nell’organizzazione e nel numero delle persone che ci lavorano. Ognuno cura i dettagli del suo sapere, dall’alimentazione ai materiali. In gara poi, con le compagne che ho, mi rendo conto che siamo noi che possiamo decidere come far andare la gara. Non la subiamo, come capita se hai un organico meno forte. E’ difficile gestire il gruppo, ma a volte succede ed è molto bello.

Grande Balsamo a De Panne, battuta la Wiebes. Terza Marta Bastianelli
A De Panne, battuta la Wiebes. Terza Marta Bastianelli: grande Balsamo

Tempo di esami

E così, in attesa che l’ultimo esame le permetta di arrivare alla laurea, le prossime due domeniche la vedranno impegnata in due test molto severi.

«Gand e Fiandre – conferma – sono le mie due corse preferite, anche se tecnicamente molto diverse. Il Fiandre è più duro e c’è meno spazio tra l’ultimo muro e l’arrivo. La Gand parte piatta, poi ha un settore centrale con i muri e poi ci sono 30 chilometri fino al traguardo. Spero che in quel drittone domenica ci sia vento, che renderebbe tutto più… interessante. E poi si penserà anche all’università. In questo momento non c’è tanto tempo per studiare. Conto di finire, ma non voglio sbilanciarmi».

Quell’editoriale e la risposta di Guercilena. Bentornato, Luca

19.03.2022
6 min
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L’editoriale del 14 febbraio, in cui si invocava un’ammiraglia più decisa per il soldato Ciccone. Qualche osservazione da parte della Trek-Segafredo dopo averlo letto e la proposta di riparlarne con Luca Guercilena, il team manager, non appena fosse guarito. E alla fine il giorno è arrivato: ieri pomeriggio, alla vigilia della Sanremo. Luca è in splendida forma. Racconta la sua avventura fra ospedali e cure con la luce negli occhi. E poi il discorso finisce al motivo della visita, nel grande hotel di Cardano al Campo che ha ospitato la Trek e l’Arkea-Samsic.

Alla Leopard-Trek Guercilena ritrovò Cancellara, già suo atleta alla Mapei Giovani
Alla Leopard-Trek Guercilena ritrovò Cancellara, già suo atleta alla Mapei Giovani
C’è ancora posto per il direttore sportivo in queste grandi squadre?

E’ fondamentale, perché il numero delle persone è aumentato. Il direttore sportivo deve essere capace di non far pesare sui corridori tutto quanto li circonda. Deve avere una capacità di leadership superiore a prima.

E’ possibile creare un vero rapporto umano?

Da allenatore avevo con gli atleti un rapporto uno a uno. Da diesse il rapporto era migliore di adesso, ma era pur sempre di uno a 25. Oggi da dirigente, dovendo essere il filtro fra proprietà e squadra, quasi mi conviene essere più freddo, perché sono quello che poi dovrà dire i no. 

La figura del direttore sportivo che segue il campione tutto l’anno è sparita?

Se hai un corridore importante per le gare a tappe, serve un diesse dedicato. Ma per come è il calendario, diventa difficile che possa seguirlo tutto l’anno.

Popovych è uno dei diesse di riferimento di Ciccone: parola di Guercilena
Per Guercilena, Popovych è uno dei diesse di riferimento di Ciccone
Parliamo di Ciccone.

Su “Cicco” ci sono Rast e Popovych, che per ora ha chiesto di essere esentato e si sta dedicando alla causa ucraina. Lui soprattutto, parlando meglio l’italiano, è quello che gli garantisce il contatto giornaliero. In questa squadra, in barba alla tecnologia, il direttore fa il giro delle stanze con il programma dell’indomani scritto su un foglietto. Ma a questa volontà si contrappone l’abitudine dei corridori di isolarsi nel loro mondo. 

Non c’è rimedio?

Puoi imporre delle regole, come quella di non venire a tavola con il cellulare. La generazione precedente è cresciuta con il gusto di stare insieme dopo cena, quella attuale con il telefonino in mano. Ciccone dopo cena si ferma ancora al tavolo del personale. Anche Cataldo e Brambilla. In proporzione succede la stessa cosa con i direttori sportivi.

Cioè?

E’ un fatto di carisma, li vedo meno predisposti della generazione precedente. Alcuni hanno corso fino a ieri e hanno le stesse abitudini dei corridori. Ormai si parla su whatsapp, scambiandosi degli audio. Bisognerebbe bilanciare la modernità con la tradizione.

Perché non si spendono soldi per prendere un diesse vincente?

Si preferiscono tecnici cresciuti in casa. Ogni ambiente ha la sua mentalità e avere qualcuno già inserito funziona bene. E’ anche vero che a volte un elemento di rottura servirebbe per avere un beneficio. A differenza del calcio, qui si creano delle relazioni umane strette, valori che condividi, non è solo una questione economica.

Damiano Cunego, Giuseppe Martinelli, Claudio Corti, Giro d'Italia 2020
Nel 2002, Martinelli lasciò la Mercatone Uno e passò alla Saeco, vincendo il Giro con SImoni e Cunego (foto)
Damiano Cunego, Giuseppe Martinelli, Claudio Corti, Giro d'Italia 2020
Nel 2002, Martinelli lasciò la Mercatone Uno e passò alla Saeco, vincendo il Giro con SImoni e Cunego (foto)
Anche Ineos aveva il suo trend, poi è arrivato Tosatto…

Matteo lo vedevi anche quando correva, come lui Bramati: ne abbiamo già parlato. Per fare il diesse è fondamentale avere grande esperienza. Saper parlare senza paura con i capitani e saper motivare i gregari. La capacità di discutere con la dirigenza. Se devo immaginare che una squadra prenda il tecnico da un’altra, non penso che gli farebbe una grandissima offerta. E così, se la differenza di ingaggio è minima, nessuno sceglie di spostarsi.

Martinelli andò via dalla Carrera per la Mercatone Uno, poi passò alla Saeco, infine approdò all’Astana dopo aver lasciato la Lampre…

Di solito il tecnico cambia quando si conclude un ciclo. Il suo potenziale è relativo, perché nel ciclismo si inventa poco. Il bravo diesse è quello che riesce a fare risultato con il corridore meno dotato, piuttosto che con il campionissimo. In ogni caso, la responsabilità principale è del corridore.

Che cosa intendi?

Contador venne qui da solo e in pochi mesi mise insieme il suo gruppo di lavoro. Quando hai atleti di carisma, anche il diesse sembra più forte. Invece oggi si tende a deresponsabilizzare i corridori. Siamo tutti così presi a curare i più piccoli dettagli, che fra poco cercheremo anche qualcuno che pedali al posto loro.

Anche tu lasciasti la Quick Step…

Ma non per soldi, anzi mi toccò pagare la penale a Lefevere. Lo feci perché la Leopard-Trek mi offrì di lavorare come preparatore con corridori da corse a tappe, dopo anni a occuparmi solo di classiche. Non dico che non avrebbe senso fare mercato anche per i tecnici. Se identifico quello che mi permette di fare il salto di qualità, non mi giro dall’altra parte.

Tosatto ha smesso di correre e ha subito ricevuto la proposta del Team Sky
Tosatto ha smesso di correre e ha subito ricevuto la proposta del Team Sky
I diesse non sono tutti uguali…

Non tutti hanno la stessa capacità di leadership, soprattutto per gli ex atleti è difficile rimettersi in ballo. Alcuni non riconoscono i propri limiti. Non tutti sono in grado di essere sulla prima ammiraglia, però magari hanno altre capacità. E’ impossibile trovarne uno che possa fare tutto. Però ricordo che quando cominciai volevo diventare non dico il migliore al mondo, ma comunque volevo diventare bravo. Avevo una grinta incredibile.

Non tutti ce l’hanno…

Servirebbe più fame, ma servono atleti forti attorno a cui costruire il gruppo. E poi servirebbe una formazione diversa. In Italia per i primi due livelli gli si parla di fisiologia e non di management. Per il corso UCI invece ci sono insegnamenti così alti, che se uno non ha le basi, alla fine studi solo per passare l’esame e non per acquisire competenze.

Restiamo sulla grinta…

Una squadra come la nostra per vincere grandi corse deve fare dei capolavori, come la Sanremo 2021 di Stuyven o il Lombardia di Mollema. I diesse devono essere in sintonia. Un altro fattore decisivo è l’affiatamento fra il primo e il secondo. E’ la parte più complicata da assortire. Devono completarsi e andare d’accordo. 

L’intervista con Guercilena si è svolta a Cardano al Campo alla vigilia della Sanremo
L’intervista con Guercilena si è svolta a Cardano al Campo alla vigilia della Sanremo
Quindi concludendo?

Il direttore sportivo è come l’ingegnere di macchina della Formula Uno, che spesso è legato al campione e lo segue se cambia scuderia. Quanti diesse si legano al campione e restano con lui? L’ingegnere è al centro di tutto e coordina il team. Per avere un diesse all’antica che segua i corridori, servirebbe un altro dirigente che si faccia carico di tutte le incombenze extra sportive. E in ogni caso serve il fuoco dentro. Sul fatto che spesso manchi, sono d’accordo con voi…

Pirelli P Zero Race 4S, prosegue lo sviluppo con i team pro’

18.03.2022
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Il nuovo pneumatico Pirelli P Zero Race 4S non rappresenta solo una gomma quattro stagioni all-round. Questa è la prima copertura del segmento ciclo che è prodotta completamente nel nuovo sito produttivo di Bollate, nei pressi di Milano. L’avevamo scovata su alcune biciclette del team Trek-Segafredo e ora abbiamo l’ufficialità di questo nuovo ingresso nella gamma cycling di Pirelli. L’abbiamo provato anche noi in anteprima all’evento BCA di Massa Marittima.

Pirelli e i campioni

Nulla di nuovo se scriviamo che il DNA di Pirelli è marcatamente race oriented. La vicinanza al mondo dello sport di altissimo livello è qualcosa che accomuna tutte le categorie dell’azienda lombarda, pensando alla F1 e al motorsport in genere, ma anche alla bicicletta. Il suffisso P Zero identifica in maniera precisa l’appartenenza al segmento racing.

Il supporto dei pro’ e dei meccanici dei team, fondamentale per lo sviluppo (foto Ashley Gruber)
Il supporto dei pro’ e dei meccanici dei team, fondamentale per lo sviluppo (foto Ashley Gruber)

Il sito produttivo del comprensorio milanese non fa altro che confermare il fil rouge che lega Pirelli ad una produzione tutta italiana per qualsiasi prodotto che rientra nel top di gamma, a partire dalle auto, fino ad arrivare proprio alla bicicletta. Lo pneumatico Pirelli P Zero Race 4S fa parte del segmento top level. E’ stato sviluppato in diversi passaggi e con il contributo dei team professionistici.

Le caratteristiche principali

Sono state necessarie oltre 600 specifiche differenti, prima di arrivare alla configurazione finale del Pirelli P Zero Race 4S. Una cifra enorme e un impegno altrettanto grande, che coinvolge anche il nuovo sito produttivo (dove lavorano circa 200 persone). Il 4S di questa generazione sostituisce completamente il precedente modello e non è una semplice rivisitazione.

Partendo dalla carcassa, questa è costruita grazie al tessuto TechBelt Road da 120 Tpi (fili per pollice quadrato). E’ completamente in nylon e adotta delle sovrapposizioni dedicate. Questa soluzione ha un obiettivo multiplo: essere leggera, garantire longevità e protezione, adattarsi al meglio a varie configurazioni. Questo tessuto è più flessibile dell’aramide.

Il design del battistrada è quello della famiglia Pzero

La mescola è la SmartEvo Compound, che fa rientrare questo pneumatico nel segmento race, come scritto in precedenza. Significa che abbiamo un prodotto con un alto tasso tecnico e dedicato a diverse tipologie di condizioni meteorologiche. Non è una gomma “compromesso” e non sostituisce gli altri presenti in gamma.

Sono presenti degli intagli laterali (diversi rispetto al 4S della vecchia generazione) e hanno un compito ben preciso. Al contrario di quello che pensano in molti, le scanalature non hanno il compito di far scorrere l’acqua all’esterno, ma di far lavorare maggiormente la mescola in modo che questa si scaldi in movimento. Si genera una sorta di deformazione per un’impronta maggiore della gomma e un grip migliore, anche quando le temperature sono molto basse. Proprio in queste zone e ai lati del Pirelli P Zero Race 4S, la mescola raggiunge i 2 millimetri di spessore. Volendo fare un accostamento, il modello P Zero Race tube type, ha uno spessore di 1,5.

La struttura della carcassa con la bandella centrale di protezione
La struttura della carcassa con la bandella centrale di protezione

Tubeless in arrivo

Il lancio viene fatto con il modello copertoncino e in tre sezioni: 26 e 28 millimetri (prossimamente arriverà anche il 30). Per i primi due i pesi dichiarati sono 235 e 265 grammi.

I TLR (tubeless) arriveranno tra la fine dell’estate il termine di questo anno e saranno disponibili in tre larghezze: 28, 30 e 32.

I primi feedback

Abbiamo provato la versione tube type (copertoncino) con sezione da 28, con diverse ruote e su due biciclette differenti. Un test diversificato e voluto, anche in termini di pressioni di esercizio, proprio per sfruttare la gomma con vari set-up. Quello che emerge fin dalle prime pedalate e dai primi metri è che il Pirelli P Zero Race 4S è una gomma che punta alla performance, senza mezzi termini.

Il battistrada poroso e gli intagli “flash” laterali (foto Rupert Fowler BCA)
Il battistrada poroso e gli intagli “flash” laterali (foto Rupert Fowler BCA)

E’ versatile, di più se paragonata ad Pzero Race (a parità di sezione), grazie ad una robustezza maggiore e ad un grip ottimale anche su terreni molto vicini allo sterrato. E a nostro parere non è solo una gomma da inverno.

Nelle pieghe estreme

Concettualmente potremmo categorizzarla una gomma da training, ma votata a far mantenere un feeling parallelo a quello della configurazione gara. Inoltre emerge un grip eccellente in curva, anche nelle fasi più spinte, al pari di una guidabilità, scorrevolezza e sicurezza, accostabile al P Zero Race (quest’ultimo è più scorrevole nelle condizioni di asciutto).

E poi c’è quel perfetto abbinamento tra gomma e ruota, con le larghezze dello pneumatico che rispettano le specifiche del copertoncino stesso in base al canale interno del cerchio. E non è un semplice dettaglio.

In conclusione

Per provare a fondo una copertura del genere ci vorrebbero più ore ed un lasso di tempo più lungo. Pirelli P Zero Race 4S è una gomma che tra le sue corde ha la longevità e la capacità di confrontarsi anche con delle condizioni meteorologiche impegnative, ma non per questo vuole sacrificare la resa tecnica.

Il modello P Zero Race 4S, abbiamo provato la sezione da 28
Il modello P Zero Race 4S, abbiamo provato la sezione da 28

Il nuovo pneumatico di Pirelli, sviluppato e prodotto completamente in Italia (vale la pena sottolinearlo ancora una volta) è il simbolo di un’evoluzione delle coperture e delle dimensioni della categoria. Si punta sempre più in alto, non solo durante le competizioni, ma anche nelle sedute di allenamento e nelle uscite lontano dalle gare. Si pretende la scorrevolezza e si pretende una gomma che non subisca in modo eccessivo le diverse consistenze del terreno. Viene chiesto uno pneumatico che possa affrontare in sicurezza anche una strada bianca, limitando i danni al battistrada.

Il consumatore finale, così come il corridore professionista, vuole uno pneumatico che riesce a sfruttare fino in fondo per gli allenamenti, senza il pensiero di sostituirlo dopo un migliaio di chilometri. Questo di Pirelli è una sintesi quasi perfetta.

pirelli

Pirelli avvia in Italia la produzione dei P Zero Race

17.03.2022
4 min
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Nei giorni scorsi Pirelli ha ufficializzato un’importante novità. Lo stabilimento di Bollate, una sede produttiva storica per il brand, ha avviato la produzione di pneumatici cycling. La struttura si trova a a pochi chilometri a nord di Milano ed è stata inaugurata nel 1962. Da tempo è oggetto di un processo di modernizzazione e riorganizzazione per ospitare la produzione delle linee alto di gamma di Pirelli Cycling. Grazie a questa decisione, quella di Bollate diventa così l’unica fabbrica a realizzare su scala industriale pneumatici bici Made in Italy

La sede produttiva di Bollate risale al 1962 ed è da tempo oggetto di un processo di modernizzazione e riorganizzazione
La sede di Bollate risale al 1962 ed è da tempo oggetto di modernizzazione e riorganizzazione

Il massimo della tecnologia 

Nella sede produttiva di Bollate si lavorerà alla produzione di pneumatici ad alto contenuto tecnologico. Fra questi spiccano tutti i modelli della famiglia P Zero Race, nella versione aggiornata con marchio Made in Italy. I prodotti sono già in vendita da marzo. 

La vicinanza dello stabilimento agli Headquarters Pirelli e al dipartimento R&D sarà un acceleratore dello sviluppo dei prossimi prodotti Cycling. Un ruolo attivo sarà come sempre svolto dai team professionistici con i quali Pirelli collabora. Stiamo parlando di Trek-Segafredo, UAE Team Emirates, AG2R Citroën e di squadre MTB come Wilier Triestina-Pirelli e Canyon CLLCTV-Pirelli. Si tratta di collaborazioni molto proficue i cui risultati sono destinati a ricadere in positivo su tutti gli utenti.

La sede Pirelli di Bollate diventerà l’unica fabbrica a realizzare su scala industriale pneumatici bici “Made in Italy”
La sede Pirelli di Bollate diventerà l’unica fabbrica a realizzare su scala industriale pneumatici bici “Made in Italy”

Dalle auto alle bici 

Negli ultimi anni, Pirelli ha saputo trasferire nel mondo bici l’esperienza acquisita nello sviluppo di pneumatici car Ultra High Performance. La fabbrica di Bollate rappresenta oggi un caso unico in questo settore. L’innovazione è visibile a tutti i livelli a partire dalla robotizzazione dei processi, che garantisce estrema affidabilità qualitativa e precisione geometrica nel prodotto. Un aspetto quest’ultimo ancora più cruciale in un pneumatico di dimensioni e peso ridotti come quello da bici.

Altro fattore da non sottovalutare riguarda i semilavorati per i quali è stato sperimentato un sistema di estrusione unico nel suo genere e che concorre a ottenere precisione assoluta in termini geometrici e di peso. Le mescole invece sono state sviluppate con un sistema di continuous mixing. 

Ogni processo è stato ideato e realizzato coerentemente alle specificità del pneumatico Cycling, con i massimi standard di sicurezza e con elevata automazione. Grazie a macchinari certificati CE e unitamente alle consolidate competenze delle persone, sarà garantito un livello qualitativo tale da rendere i prodotti così ottenuti dei modelli di riferimento

Tra i modelli che saranno prodotti nella sede di Bollate ci saranno quelli della gamma P Zero Race
Tra i modelli che saranno prodotti nella sede di Bollate ci saranno quelli della gamma P Zero Race

Restyling completo 

Come dicevamo all’inizio la sede produttiva di Bollate risale al 1962 ed è da tempo oggetto di un processo di modernizzazione e riorganizzazione. Attualmente sono in fase di rifacimento gli spazi destinati ai dipendenti, per offrire un ambiente confortevole a chi opera nella fabbrica. E’ previsto un completo restyling degli edifici e degli esterni, con linee più contemporanee. Il risultato sarà un complesso industriale moderno, efficiente e ben integrato nel contesto urbano. Si prevede che il rinnovamento completo dell’impianto industriale sarà concluso entro l’inizio del 2023. 

Il progetto per la sede di Bollate sarà un complesso industriale moderno, efficiente e ben integrato nel contesto urbano
La sede di Bollate sarà un complesso industriale moderno, efficiente e ben integrato

Andrea Casaluci, General Manager Operations Pirelli, si è espresso con parole di grandi convinzione ed entusiasmo in merito alla rinnovata sede produttiva di Bollate.

«E’ una grande soddisfazione – ha detto – dare un nuovo volto e una nuova funzione alla fabbrica di Bollate riportando in Italia parte della produzione di pneumatici cycling. E lo è ancora di più nell’anno in cui festeggiamo i 150 anni dell’azienda. Per noi la bicicletta ha un grande valore storico e simbolico, dato che le gomme da bici inaugurarono la produzione di Pirelli. Oggi riportiamo a pochi chilometri dalla nostra sede questa parte dell’attività. Inoltre, il progetto di Bollate ci consente di aggiungere valore al territorio, attraverso interventi che mirano a rendere moderno e sostenibile tanto lo stabilimento, quanto il contesto circostante».

Mezzo gruppo ha la bronchite, per il dottore nessun mistero

16.03.2022
4 min
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Prima Colbrelli: bronchite alla Parigi-Nizza, niente Sanremo. Poi il freddo ha investito anche la Tirreno e in breve sono venute fuori le rinunce di Alaphilippe e ora di Guarnieri, mentre Cimolai ha saltato la Milano-Torino sperando di rimettersi per la corsa di sabato. Che cosa sta succedendo in gruppo? Come mai tante bronchiti?

Probabilmente niente di strano, anche se in epoca di pandemia si è portati a cercare spiegazioni più articolate. Felline, ad esempio, ha gettato sul tavolo la suggestione che l’uso reiterato delle mascherine potrebbe aver indebolito il sistema immunitario, favorendo l’insorgere della bronchite. In realtà sia in Francia sia in Italia ha fatto davvero freddo. Più di un massaggiatore, di quelli fermi sul Carpegna per passare le mantelline, ha raccontato l’impossibilità di consegnarle vista l’alta velocità del gruppo. E dato che in cima la temperatura era sotto zero e in basso appena sopra, si capisce che i corridori si siano ammalati.

Cimolai è stato costretto a saltare la Milano-Torino, sperando di recuperare per la Sanremo
Cimolai è stato costretto a saltare la Milano-Torino, sperando di recuperare per la Sanremo

La parola al medico

Nel dubbio, abbiamo chiesto il conforto di Gaetano Daniele, medico della Trek-Segafredo, presente alla Tirreno e oggi alla Milano-Torino sulla via di Sanremo.

«Per me non è un caso – dice – siamo comunque a metà marzo e le temperature sono ancora basse. Io continuo a dire da tempo che non c’è solo il Covid, ma ci sono le stesse cose che c’erano anche prima. Eravamo tutti alla Tirreno, abbiamo visto nella tappa di Carpegna che in cima c’erano 2 gradi sotto zero e sotto appena 3 sopra lo zero. All’arrivo, eravamo tutti intirizziti dal freddo a stare fermi, immaginate i ragazzi a mettere e togliere la mantellina, quei pochi che sono riusciti a prenderla».

Sanremo 2021, il dottor Nino Daniele soccorre e abbraccia il vincitore Stuyven, stremato
Sanremo 2021, il dottor Nino Daniele abbraccia il vincitore Stuyven
Felline ha lanciato la suggestione per cui l’uso protratto della mascherina potrebbe aver ridotto le difese immunitarie, pur ammettendo che si tratta di una sua ipotesi…

Direi di no, non credo che le mascherine incidano. Sono una barriera protettiva, nulla di più. Ci impediscono di venire a contatto con virus, batteri e così via. Nella pratica quotidiana rispetto al passato, da quando si usano le mascherine, l’incidenza delle malattie delle prime vie respiratorie è crollata. Questo è il periodo classico dell’influenza e pure l’influenza da quando usiamo le mascherine si è ridotta notevolmente.

I vostri corridori hanno fatto il vaccino antinfluenzale?

Non li abbiamo mai forzati nel senso di renderlo obbligatorio, però alcuni lo hanno fatto.

Problema saltato fuori in Italia e anche in Francia…

Anche noi abbiamo qualcuno che si è ammalato, direi più alla Parigi-Nizza che in Italia, perché comunque anche lì l’ultimo giorno ha fatto freddo ed era tutto un salire e scendere. Prendono freddo in discesa e poi fai presto ad ammalarti. Non sono forme gravi, almeno nel nostro caso. Qualche caso di infezione delle prime vie respiratorie l’abbiamo anche noi.

Ciccone ha vestito la mantellina al contrario nella prima discesa e ha messo un giornale sotto la maglia per la seconda
Ciccone ha vestito la mantellina al contrario nella prima discesa e ha messo un giornale sotto la maglia per la seconda
Freddo in discesa che è bestiale se non riesci a prendere la mantellina…

Noi alla fine avevamo nel primo gruppo solo Ciccone e lui comunque l’ha presa e aveva detto già sul bus che se la sarebbe infilata al rovescio per proteggersi almeno nel primo passaggio. Nel secondo non l’ha presa, si è messo il classico giornale.

Il Covid può entrarci qualcosa?

Non vedo perché, non in modo diretto. Chi ha avuto il Covid recentemente, a febbraio giù fra Mallorca o alla Valenciana, oramai ha recuperato. Alcuni di loro hanno avuto delle complicanze, magari non direttamente legate al Covid, ma probabilmente legate alla risposta immunitaria un po’ bassina. In questo caso, può insorgere una bronchite. Ad esempio alcuni di quelli che sono ripartiti troppo presto hanno avuto una reinfezione. Comunque per i corridori che lo hanno preso a febbraio è stata una forma decisamente meno impegnativa rispetto a chi l’ha fatto in autunno o l’anno scorso. Un po’ di raffreddamento, febbre rarissima, raffreddore, un po’ di mal di gola. Due-tre giorni senza sintomi e magari qualcuno ha ripreso troppo precocemente.

Alaphilippe nel gelo del Carpegna: anche l’iridato salterà la Sanremo
Alaphilippe nel gelo del Carpegna: anche l’iridato salterà la Sanremo
Un bel rischio…

In Italia, anche se siamo sempre i maestri delle regole ma in questo caso non mi sembra una cosa così deplorevole, gli atleti devono rifare l’idoneità agonistica dopo il Covid. Quindi una nuova visita medico sportiva anche approfondita, l’ecocardiogramma, gli esami del sangue e il test da sforzo. Quindi se non altro abbiamo la possibilità di escludere le complicanze più gravi. All’estero non c’è un obbligo come da noi, quindi da questo punto di vista siamo un pezzetto avanti. Ma è chiaro che una bronchite si può prendere ancora…

Simmons: barba rossa e maglia verde. Un americano sul Cippo

12.03.2022
5 min
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Capelli e barba rossa, lentiggini e un anello incastonato nel lobo dell’orecchio sinistro. I selfie col publico, il “dammi il cinque” con i tifosi e due occhi buoni. Quinn Simmons, 21 anni, è proprio il classico americano country. Gli manca solo la camicia di flanella a quadri!

Noi scherziamo, ma questo è un corridore vero. Il portacolori della Trek-Segafredo ha vinto il mondiale juniores al secondo anno in di categoria. E la scorsa stagione si è portato a casa una tappa e la classifica generale del Tour de Wallonie.

L’americano anche in corsa non ha lesinato “i cinque” col pubblico a bordo strada
L’americano anche in corsa non ha lesinato “i cinque” col pubblico a bordo strada

Obiettivo verde

E’ al terzo anno alla Trek-Segafredo ed è sempre cresciuto un po’. E la sua crescita è culminata oggi ai 1.367 metri del Cippo di Carpegna. Sulla salita dedicata a Pantani, con una grinta e una forza di quelle importanti, il barbuto americano man mano ha fatto fuori i suoi compagni di fuga. E parliamo di gente come Alaphilippe, Honorè, Aranburu… che sono ben più scalatori di lui. 

«E’ stata dura? Certo che è stata dura – racconta Simmons in zona mista – E’ stata una lunga giornata: 215 chilometri con così tanti metri di dislivello non sono mai facili. E’ stato un lungo viaggio tra queste montagne».

«Avevamo un obiettivo con la squadra. E l’obiettivo era mettere almeno uno di noi in fuga per andare a prenderci definitivamente questa maglia. Ce l’abbiamo fatta. Quando puoi conquistare una maglia in una gara del WorldTour è davvero bello. E per me è la prima volta. Quindi, ovviamente, sono felice».

«Sono soddisfatto della mia prestazione e di quanto sto facendo. Alla fine sono davvero solo al mio secondo anno da pro’. Penso che sia difficile contare il primo anno con il Covid e tutto il resto».

Con quel “tutto il resto”, probabilmente Simmons, fa riferimento alla squalifica impostagli dal team per un presunto Tweet a sfondo razzista. Ma evidentemente deve aver imparato la lezione. Tanto che la stessa Trek-Segafredo gli ha già prolungato il contratto di un anno, fino al 2023.

Simmons (classe 2001) in fuga durante la Apecchio-Carpegna. Alto 182 centimetri per 72 chili, non è uno scalatore puro
Simmons (classe 2001) in fuga durante la Apecchio-Carpegna. Alto 182 centimetri per 72 chili, non è uno scalatore puro

Motore grosso, grosso

Obiettivo centrato dunque. La maglia verde Simmons se l’è presa nel corso della quarta tappa di questa Tirreno-Adriatico e l’ha proprio cercata. Anche quel giorno, verso Bellante, c’era un circuito finale. Anche quel giorno era in fuga. E anche quel giorno Quinn è stato l’ultimo a cedere al ritorno del gruppo e a rilanciare proprio per andare a caccia di punti sui Gpm. 

«Questa maglia la cercavamo – spiega Paolo Slongo, uno dei diesse della Trek-Segafredo – oggi volevamo la fuga a tutti i costi. In realtà anche ieri Quinn ci aveva provato. E ci era pure riuscito, a dire il vero. Solo che sul primo Gpm si era toccato con Alaphilippe, aveva danneggiato una ruota e per fermarsi cambiarla aveva perso la fuga appunto. Ma soprattutto aveva perso i punti dei Gpm».

«Ha un gran bel motore questo ragazzo. Ha vinto da giovane e si è presto adattato al ciclismo dei grandi. Ha un grande potenziale anche in prospettiva. E’ un corridore da classiche. E’ uno da Fiandre, anche se tiene bene in salita ed è molto veloce. Gli piace un sacco la Strade Bianche (la scorsa settimana è stato settimo, ndr)».

L’americano è stato un’ottimo biker. E ogni tanto la usa ancora. Tra le sue passioni anche arrampicata e scialpinismo (foto Instagram)
L’americano è stato un’ottimo biker. E ogni tanto la usa ancora. Tra le sue passioni anche arrampicata e scialpinismo (foto Instagram)

Dna da biker

E questo non è un elemento da poco. Simmons infatti un po’, un bel po’, di offroad ce l’ha nel Dna. Questo ragazzo viene da Durango, Colorado, uno dei templi della Mtb. Una delle località dove è nata la ruote grasse. E con la quale lui stesso ha mosso le prime pedalate, tanto da prendere parte anche alla Coppa del mondo juniores e da vincere il titolo nazionale nel cross country.

Forse anche da questo si capisce il suo stile. Il suo modo di essere molto biker appunto.

«Eh sì – riprende Slongo – Quinn è un tipo naif. Ma nel senso buono! E’ un ragazzo a cui piace proprio andare in bici, stare nella natura. Lo vedete così grosso, con la barba, ma è un compagnone, in squadra scherza. Non è un taciturno».

Quinn dopo l’arrivo. Con 10 punti di vantaggio su Pogacar la maglia verde è matematicamente sua
Quinn dopo l’arrivo. Con 10 punti di vantaggio su Pogacar la maglia verde è matematicamente sua

Uomo squadra

E a questo giudizio di Slongo, si sposano bene le parole dopo l’arrivo (e i fatti in corsa) dello stesso Simmons.

«Ho fatto il mio lavoro – dice Simmons – Una volta presi i punti del Gpm, in discesa sono andato regolare e così al giro dopo ho anche potuto aiutare “Cicco” nella scalata finale. Anche per questo è stata una giornata di successo per noi della Trek».

Dicevamo un tipo naif. Poco prima del passaggio sotto la campana dell’ultimo giro, quando era già nel tratto transennato, Quinn ha messo il piede a terra. Ha visto un massaggiatore e all’improvviso ha fermato la bici. 

Cosa era successo?

«Oh – ribatte quasi stupito – come cosa era successo? I miei piedi erano freddi! Mi sono infilato i copriscarpe – mentre ce li indica – avevo visto quanto faceva freddo lassù e mi sono coperto».

Preparazione rivoluzionata. Adesso anche Elisa ha i suoi picchi

12.03.2022
4 min
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Aveva tagliato il traguardo della Strade Bianche da pochi secondi, ed Elisa Longo Borghini aveva subito voluto mettere le cose in chiaro circa la sua prestazione (un buon ottavo posto) e sul fatto che il ciclismo femminile fosse cambiato. «Il livello – disse Elisa – si è notevolmente alzato in campo femminile. Non è più come una volta, non posso pretendere di andare forte da febbraio a ottobre. Servono dei picchi di forma oggi anche per noi donne».

Effetto del WorldTour femminile. Tutto sta cambiando. E queste sue parole le abbiamo “girate” al suo preparatore, Paolo Slongo.

Paolo Slongo segue direttamente la preparazione della campionessa italiana
Paolo Slongo segue direttamente la preparazione della campionessa italiana

Tre picchi

«Beh sì, Elisa ha detto bene – spiega Slongo – non può essere in forma per tutto l’anno. Storicamente Elisa era sempre costante, in una buona condizione per tutto l’arco della stagione. In qualche appuntamento prefissato andava un pelo di più ed in altri un pelo di meno. Ma quest’anno abbiamo voluto cambiare qualcosa».

«Abbiamo deciso di partire un po più calmi, anche con un chiletto in più di peso. Una scelta ponderata proprio per partire con più energia, per arrivare progressivamente in forma».

Slongo ha previsto quindi un crescendo per la Longo Borghini. Ma presto già potrebbe andare bene, meglio di quanto fatto in Toscana.

«Penso – spiega il coach – che già dalle classiche del Nord, nelle Ardenne, farà un bello step. Però bisogna guardare a tutta la stagione, soprattutto a una stagione che aggiunge al già fitto calendario il Tour de France».

«E poi ci sarà il Mondiale in Australia, dove comunque per le donne potrà diventare una corsa dura e quello strappo vicino all’arrivo ne fa una corsa che le si addice».

Insomma i picchi dell’atleta della Trek Segafredo saranno tre: Ardenne, Giro-Tour che sono distanziati di una ventina di giorni l’uno dall’altro, e il mondiale a fine stagione. Ha ragione Elisa: il ciclismo femminile sta cambiando e sempre più somiglia a quello degli uomini.

Per Elisa Longo Borghini un 8° posto alla Strade Bianche
Per Elisa Longo Borghini un 8° posto alla Strade Bianche

Il cambio di ritmo

Ardenne, Giro, Tour… oggi per vincere serve esplosività, che è un po’ il tallone d’Achille della fuoriclasse piemontese. Ma Slongo assicura che stanno lavorando anche sotto quell’aspetto.

«Quel cambio di ritmo e la volata sono le cose che gli vengono un po’ a mancare, lo sappiamo. Ci stiamo lavorando, ma rendiamoci anche conto che ad un certo punto è anche una questione di fibre muscolari.

«Quindi sì: può sempre migliorare, però non si può cambiare quello che la natura ci ha dato. Penso che la forza di Elisa sia la resistenza».

Paolo Slongo ed Elisa proprio prima del via della corsa senese
Paolo Slongo ed Elisa proprio prima del via della corsa senese

Rivoluzione mentale?

E psicologicamente, un’atleta come Elisa, sempre pronta e “abituata” ad impostare in un certo modo la sua stagione agonistica come lo recepisce un cambio così importante? E’ una bella rivoluzione a ben pensare…

«Un bel cambio sì. Ne abbiamo parlato apertamente quest’inverno – ammette Slongo – per certi aspetti mi sembra di essere tornato un po’ con Vincenzo (Nibali, ndr). Il campione vorrebbe sempre essere competitivo e quando non lo è se ne dispiace. Comunque Elisa sa che c’è un progetto, un programma ben preciso e lo vive bene».

 

«E poi anche alla Strade Bianche non era molto distante dalle migliori, anzi. E’ arrivata sotto l’ultima salita con le migliori sei. E questo a mio avviso è molto importante, specie se si considera che di fronte a lei ci sono dei gradini di forma da acquisire. E’ un grande segno per il prosieguo della stagione. E credo che nella sua testa anche lei pensi questa cosa».

Elisa nella crono del Giro del Giro d’Italia Donne 2021
Elisa nella crono del Giro del Giro d’Italia Donne 2021

Giro sì, pressione no

Slongo ha parlato di Giro d’Italia e Tour de France. Giusto ieri si è saputo qualcosa di più sulla corsa rosa. Una corsa che sulla carta sembra meno dura degli altri anni con il suo arrivo in quota del Passo Maniva. Un percorso così può far sognare la Longo Borghini.

«La nostra idea – dice Slongo – è quella di non creare pressione per quel che riguarda la classifica generale delle corse a tappe. Noi non partiamo al Giro per fare classifica. Poi vedremo come andranno le cose. Però non starei qui a fare annunci, né dichiarazioni.

«Elisa è anche un’atleta da corse di un giorno e non è sempre facile fare bene anche nella generale. Intanto pensiamo a classiche tipo Liegi e non dimentichiamo che dopo il Giro ci sarà anche il Tour».

Tadej a mani basse. Ma zitto, zitto Ciccone…

10.03.2022
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La vera notizia che arriva da Bellante, quarta tappa della Tirreno-Adriatico, non è la vittoria di Tadej Pogacar, a quella ci siamo ormai “abituati” è il crudele destino che spetta ai super numero uno. Per loro c’è solo la vittoria. E lo sloveno non ha tradito le attese, ciò che molti danno appunto per scontato, ma che scontato non è.

Prima parte di gara tra l’Appennino reatino. Si è pedalato tra il Terminillo e il Monte Gorzano
Prima parte di gara tra l’Appennino reatino. Si è pedalato tra il Terminillo e il Monte Gorzano

Destini incrociati

Ma quindi qual è la notizia di giornata? La news del giorno è Giulio Ciccone. Finalmente si è rivisto l’abruzzese. Saranno state le strade di casa, sarà che le cose stanno finalmente girando per il verso giusto, ma Cicco si è incollato alla ruota di Pogacar e l’ha tenuta finché ha potuto.

Si vedeva proprio. Lo marcava stretto. Aveva battezzato la sua ruota, come di solito si vede fare tra i velocisti. Per i suoi (tanti) tifosi questa è musica.

Destini incrociati tra i due: uno condannato a vincere, l’altro che ha una voglia di riscatto incredibile. Un quinto posto che vale tanto. per certi aspetti più della vittoria di Tadej. Bisogna pensare anche che Cicco ha fatto molta base e pochissimi lavori esplosivi. I fuorigiri li ha fatti quasi solo in gara (oggi era il 10° giorno di corsa della stagione).

La lucidità di Tadej

I tre chilometri di salita finale verso Bellante sono stati poco meno di 8′ intensi. Quasi come un Poggio a San Remo. Pogacar il re che controllava, tutti gli altri erano coloro che cercavano di spodestarlo. Lui aspettava solo il momento dell’attacco. Ed è incredibile la descrizione che fa e la lucidità con cuoi la fa.

«Ci sono stati chilometri veloci nell ‘approccio all’ultima salita – spiega il capitano del UAE Team Emirates – ma Soler ed io abbiamo sempre risposto bene. Ho sempre controllato tutto. C’erano molti corridori che nel finale mi preoccupavano. L’ultima, era un tipo di salita che non lasciava spazio a distrazioni e se io non avessi seguito chi tirava, quello sarebbe potuto andare via.

«Aspettavo questo attaccato e quando ai 600 metri c’è stata un’accelerazione importante ho attaccato. In quel momento ho visto la possibilità di vincere e ho colto l’occasione». 

Pogacar che vince ovunque. Qualcuno inizia a rimproverargli di essere cannibale.

«Se la squadra ha lavorato durante il giorno – ed è vero – non posso lasciare andare la vittoria e vanificare il loro lavoro».

«E poi non tutti giorni le gambe rispondo allo stesso modo. Bisogna sempre valutare se attaccare o meno, se poter tirare il fiato».

La voglia di Giulio

E poi c’è Ciccone. Il corridore della Trek-Segafredo ha potuto beneficiare dell’attacco di Quinn Simmons. Il suo barbuto compagno è stato fuori tutto il giorno. Ed è stato anche l’ultimo a mollare nella fuga del mattino. Cicco ha corso se vogliamo un po’ come Pogacar: controllando, attendendo, ma facendo il tutto sulle ruote dello stesso sloveno.

Lo ha copiato per filo e per segno. E in questo caso il copiare non è una brutta cosa come a scuola. E’ segno hai forza, hai coraggio, hai voglia… se poi copi da uno come Tadej. Ciccone era concentratissimo.

«Speravo avesse una giornata no – dice Ciccone quasi ridendo sotto i baffi – ma in realtà sapevo già che aveva due marce in più. Siamo saliti entrambi con la moltiplica grande (si andava davvero forte e le pendenze non erano impossibili, ndr). Io forse ero un po’ più agile di lui.

«Il piano era chiaro: volevo fare il finale e la squadra ha corso al meglio con la fuga di Simmons, mentre dietro la squadra mi ha tenuto sempre in posizione perfetta».

«Sapevo però che Tadej stava bene. L’avevo capito subito, poi ha anche una grande squadra. Forse nel finale è calato un po’ anche lui, la volata praticamente è stata di 600 metri: è umano anche lui!

«Stare dietro a Pogacar e come andare in apnea per provare a resistergli. Tiene un ritmo a tratti irresistibile e dalla fatica che fai, non ti rendi quasi conto di essere alla sua ruota. Ti porta al limite e ti tiene lì, fino a quando non sei costretto a cedere».

«Domani e dopodomani saranno ancora più dure di oggi – conclude Ciccone – Spero di star bene come oggi e sicuramente mi inventerò qualcosa. Se conosco il Carpegna? Era la salita del Panta. Volevo andare, ma c’era la neve, era troppo freddo e quindi ho girato prima».