Le bici per il pavè, diverse, ma non troppo

05.04.2023
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Il pavé e le corse del Nord in genere sono sempre interessanti anche per le soluzioni tecniche adottate sulle biciclette, ma le differenze con le bici usate nelle configurazioni standard sono sempre più sottili. Vediamo nel dettaglio cosa abbiamo documentato alla partenza della Ronde Van Vlaanderen 2023 con l’occhio che intanto si proiettava verso la Roubaix.

Le nuove Corima tubeless dell’Astana

Per la campagna del Nord 2023 fa il suo esordio la ruota Corima tubeless sulle Wilier Zero del Team Astana. Il cerchio è identico alla versione gravel Essentia. Abbiamo chiesto a Gabriele Tosello, meccanico del team.

«Le ruote tubeless che stiamo utilizzando – spiega – sono del tutto accostabili alle nostre classiche WS47, quelle che usiamo da sempre e con la predisposizione per i tubolari. Stesso mozzo e raggiatura, una tipologia di ruota apprezzata per la versatilità e leggerezza complessiva, ma anche per la guidabilità. Quelle tubeless hanno il cerchio sempre in carbonio, ma con un’altezza di 40 millimetri e un canale interno da 23. Hanno il cerchio più spanciato ed il canale interno più largo, in modo da poter alloggiare in modo ottimale i tubeless da 28 in avanti. I corridori che hanno deciso di usare i tubeless Vittoria sul pavé del Fiandre, hanno optato per la sezione da 28, nella versione Control. Una sezione più grande si potrebbe usare alla Roubaix, ma si valuterà anche in base al meteo».

Pidcock con i 28 e le ruote “basse”

Tutti i corridori del Team Ineos Grenadiers hanno optato per le ruote con il profilo da 50 (le Dura Ace C50) e quasi tutti hanno scelto la sezione da 32 per i tubeless Continental GP5000TR. L’eccezione tecnica è stata rappresentata da Tom Pidcock, che ha optato per le ruote dal profilo medio/basso, ovvero le C36, gommate con i tubeless larghi 28 millimetri.

Un’altra particolarità della sua bicicletta è rappresentata dal montaggio del plateau anteriore “vecchio” (power meter compreso), ovvero dalla guarnitura della generazione Dura Ace precedente con la combinazione 53-39.

70 millilitri di liquido anti-foratura

Non è una cosa inusuale anzi, possiamo considerare questa scelta tecnica come una sorta di standard usato da tutti i meccanici dei diversi team. In questo caso è interessante notare lo sticker applicato sulle ruote DT Swiss delle bici Dare, quelle del Team Uno-X, dove si vede anche la data dall’ultimo controllo degli pneumatici.

Sul pavè del Giro delle Fiandre è stata utilizzata una Dare VSRu nell’ultima versione per quanto concerne il telaio ed il manubrio integrato, ma non per la forcella.

Lo stem da 170 millimetri

Un attacco manubrio lunghissimo, quello montato sulla nuova Cannondale SuperSix Evo Lab71 del tedesco Rutsch in forza alla EF Education-Easypost. Si tratta di una versione anziana OS ed in alluminio dell’attacco FSA, lungo 170 millimetri e fatto su misura per l’atleta tedesco.

«Interessante, vero?», così dicono sorridendo i meccanici del team, appena prima della partenza della Ronde 2023: «Non è un attacco di dimensioni standard, ma il corridore si trova bene con questo setting e allora si è deciso di fare un attacco manubrio custom per lui».

Diversi corridori, di team diversi usano la sella Prologo Scratch NDR: qui casa UAE Emirates
Diversi corridori, di team diversi usano la sella Prologo Scratch NDR: qui casa UAE Emirates

Anche una sella da mtb

Si tratta della Prologo Scratch NDR, quella sviluppata con la collaborazione di Henique Avancini, campione del mondo marathon nel 2018: un prodotto usato parecchio anche in ambito strada, dai team e dagli atleti supportati dall’azienda lombarda.

Pogacar e Trentin, manubri agli antipodi

Il riferimento è diretto al cockpit. L’atleta sloveno usa un attacco manubrio in carbonio Enve (modello SES AR), abbinato ad una curva manubrio, sempre full carbon e con un profilo alare estremizzato.

«La bici è la stessa della Milano-Sanremo anche per quanto concerne le gomme – ci spiega Giuseppe Archetti, meccanico di Pogacar – ma rispetto alla Sanremo ci sono delle pressioni più basse dei tubeless. Anche per quanto riguarda la sezione, Pogacar ha scelto di usare sempre la stessa, la 30 millimetri, la stessa usata alla Parigi-Nizza, alla Sanremo e anche sul pavé».

Tornando al reparto manubrio, Trentin usa una combinazione attacco/piega in alluminio, scelta tecnicamente opposta a quella di Pogacar, anche perché il manubrio del corridore trentino è rotondo, soluzione che ormai è una rarità.

La bici di scorta con i tubolari, la Madone di Pedersen alla Trek-Segafredo
La bici di scorta con i tubolari, la Madone di Pedersen alla Trek-Segafredo

Una Madone con i tubolari

La bici di scorta di Pedersen, terzo sul traguardo di Oudernarde, riconoscibile anche per la catena ed il pacco pignoni dorati, ha i tubolari. Il forte corridore danese è stato tra i primissimi a prediligere l’utilizzo dei tubeless, a prescindere dalla bici, dalle condizioni meteo e dalla planimetria del percorso, ma una delle sue bici di scorta ha sempre i tubolari montati.

Canyon Aeroad R065

R065 è l’acronimo numerico specifico della Canyon Aeroad. Lo troviamo sulle biciclette dei compagni di Van Der Poel, lo troviamo anche sulla Aeroad del corridore olandese. Quella rossa usata al Giro delle Fiandre è la stessa bicicletta della Sanremo e non si tratta della nuova versione della Aeroad, come paventato da qualcuno. La bicicletta nella versione aggiornata potrebbe esordire ufficialmente al Tour de France. La bici di Van Der Poel ha anche un foro aggiuntivo nella parte superiore dell’orizzontale, per “irrobustire” ulteriormente il serraggio.

La vita delle terze bici

Oltre alle bici di scorta numero 2 di Van Aert e di Laporte, due Cervélo S5 (modello usato anche in gara), una delle ammiraglie del Team Jumbo-Visma portava anche le bici numero 3. Una Soloist per l’atleta francese, una R5 per il belga, con dei montaggi curiosi, con particolare riferimento al comparto ruote. Entrambi i corridori hanno optato per il profilo differenziato, 63 posteriore e 52 anteriore, con le gomme tubeless da 28.

Le S5 che hanno usato in gara avevano le ruote da 52, davanti e dietro. «Una terza bici pronta per ogni evenienza e nell’ottica di fornire un’alternativa in caso di bagnato, ma con assenza di vento – ci hanno spiegato dal team». Il Giro delle Fiandre 2023 verrà ricordato anche per il forte e gelido vento, soprattutto nelle fasi iniziali della gara.

I tubeless con la scritta “limata”

L’anno passato le Factor del Team Israel-Premier Tech montavano le guarniture Rotor, con i relativi power meter (qualcuno per la verità usava la combinazione Shimano Dura Ace). Le foto ritraggono la scelta di Sep Vanmarke sulla sua Factor Ostro pronta per il pavé, con le corone anteriori 54-40 ed il power meter PowerBox di FSA.

Sempre in merito alle Factor, tutte le bici pronte per il pavé, a prescindere dal corridore e dal profilo delle ruote, erano pronte con i tubeless Continental GP5000TR da 30 millimetri, ma con il logo “limato”, in quanto il team ha un sponsorizzazione diversa.

Ultra Bibshort: il pantaloncino tecnico e performante

28.03.2023
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Ultra Bibshort è il nuovo pantaloncino presentato da Sportful, un prodotto pensato per il mondo del gravel. Un modo per vivere le avventure in bici senza dover rinunciare al comfort e alle prestazioni di alta qualità. Questo pantaloncino rappresenta, per Sportful, l’evoluzione sotto ogni punto di vista, anche per quanto riguarda le esigenze tecniche di tutti i ciclisti.

Le tasche laterali servono per riporre scorte di barrette per le lunghe uscite in gravel
Le tasche laterali servono per riporre scorte di barrette per le lunghe uscite in gravel

Tecnica e prestazione

La comodità non esclude la tecnica e viceversa, il tessuto utilizzato da Sportful è elasticizzato, durevole e resistente. Nel creare l’Ultra Bibshort queste qualità garantiscono vestibilità, aerodinamica e una grande resistenza all’usura. Si tratta di un capo d’abbigliamento che ha nei dettagli la sua rivoluzione. Innanzitutto la capacità di carico è aumentata, le tasche laterali sono migliorate e cucite con tessuti elasticizzati, e si trovano su entrambi i lati e sui fianchi.

Sportful con gli Ultra Bibshort viene incontro alle esigenze di tutti i consumatori, in particolare alle cicliste. Questo prodotto è pensato per essere confortevole anche per loro, grazie ad una bella novità: una chiusura posteriore con calamita. Questo dettaglio garantisce una vestibilità facile e veloce in qualsiasi situazione. Le cuciture sono ridotte al minimo per evitare sfregamenti. 

I dettagli

La grande differenza e le prestazioni elevate si nascondono nei dettagli, un esempio è il fondello DMS. Più corto rispetto agli standard e realizzato utilizzando un’imbottitura con schiuma a cellule aperte. Le varie aree hanno tutte una densità differenziata per garantire maggiore comfort e sensibilità.  

Il nuovo Ultra Bibshort rappresenta la diretta evoluzione dei pantaloncini gravel: sviluppato per massimizzare l’efficienza durante la pedalata e per affrontare tutti i percorsi off-road, senza sacrificare le avventure su asfalto. Crescita tecnica permessa anche grazie alla continua collaborazione con il team professionistico della TotalEnergies di Peter Sagan.

Il prezzo al pubblico è di 199,90 euro. Le taglie vanno dalla S alla XXXL per la versione maschile, in quella femminile dalla XS alla XXL.

Sportful

Traverso, curva stretta e ostacoli. A lezione da Fruet

13.11.2022
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In questo primo scorcio di stagione, complice anche questo clima così mite, nel ciclocross abbiamo assistito a percorsi molto veloci. Le difficoltà tecniche non sono state tantissime nei vari circuiti, ma quando ci sono state hanno fatto la differenza. Specie nella seconda metà di gara quando le energie venivano meno. Con il maestro, nel vero senso della parola, Martino Fruet andiamo a capire quali sono i passaggi più significativi del cross e come si affrontano.

Ne abbiamo individuati tre: il traverso, le curve a gomito (o comunque molto strette) e gli ostacoli.

Martino Fruet
Martino Fruet (classe 1977) in azione sul fango e la neve. Il terreno gelato sotto e molle sopra, per lui è il più difficile da interpretare
Martino Fruet
Martino Fruet (classe 1977) in azione sul fango e la neve. Il terreno gelato sotto e molle sopra, per lui è il più difficile da interpretare

Giovani e tecnica

Prima di analizzare quei tre punti, abbiamo posto una domanda al grande specialista dell’offroad. Ed stata: «Oggi i ragazzi curano la tecnica? O prevale la componente atletica?».

«I ragazzi di oggi curano moltissimo la tecnica – spiega Fruet – soprattutto per quel che riguarda il salto degli ostacoli. Noi delle vecchia scuola scendiamo e cerchiamo di essere più veloci possibili, ma dagli allievi in su ormai si cresce con la mentalità di saltare l’ostacolo, anche se a volte, crono alla mano, si è più veloci se si scende. Ma fa “tanto figo”…

«Mentre noto che non prestano la stessa attenzione sulle linee. In questo caso preferiscono puntare sulla componente atletica».

Il traverso

Quando c’è una contropendenza laterale spesso le cose si complicano, specie se il fondo è scivoloso. E infatti Fruet parte proprio da questa discriminante.

«Se è asciutto – spiega Fruet – e la bici tiene non ci sono problemi. Vai tranquillo con entrambi i pedali attaccati e quello a monte sollevato e ci si sposta con il bacino a valle. In questo modo il peso va sulla gomma». 

«Discorso diverso quando è bagnato o c’è fango. In quel caso come si dice in gergo, si “zappa”. Si stacca il piede a monte e si spinge. Appoggi e spingi, appoggi e spingi…

«Se nei giorni precedenti ha piovuto parecchio si creano i canali. Se ne punta uno e si cerca di restare lì dentro stando in equilibrio… ma non è facile. Nei traversi si dovrebbe entrare sempre dal punto più alto e mano mano sfruttare la pendenza verso il basso. Altrimenti se si entra subito bassi si va a fettuccia e si perde molto tempo. Invece stando alti si cerca il primo canale e poi si “scivola” in quello sempre più in basso, ma si fa velocità. Stando però sempre attenti a non scendere fino alla fettuccia.

«Ma se il traverso è molto lungo è difficile restare alti. Quello di Namur (nella foto di apertura, ndr) per esempio è famoso per la sua lunghezza e anche perché è in discesa».

Le curve

Per le curve più ampie quelle da 90° in su per Fruet non dovrebbero esserci problemi. O almeno un crossista non dovrebbe averne. Il focus pertanto è sul tornante o la curva molto stretta.

«Prendendo il classico fettucciato in pianura – riprende Fruet – bisogna puntare la piccola striscia interna di verde, cioè di erba, che spunta dal marrone».

«Anche in questo caso molto dipende dal fondo. Il peggiore è quello gelato con la superficie che molla un po’. devi essere un artista. E si può fare una grossa differenza. In questi casi ci sta anche che si arrivi forte sulla curva e poi si scenda, mettendo il piede appunto sul filo d’erba e magari fare perno sul paletto con la mano. E poi risalire in sella. 

«Altrimenti bisogna fare un “disegno”, una traiettoria particolare. Non è il classico: allarga, chiudi, allarga. Bisognerebbe allargare ma senza chiudere subito, in modo tale da ritrovarsi nel punto di corda su quel po’ di erba all’interno. Non si esce troppo larghi. Il disegno della curva sarebbe sbagliato, ma la velocità in teoria non è bassissima».

«In caso di fango estremo, tipo 20 centimetri, per me è meglio scendere. Spesso quando facciamo le prove con il cronometro alla mano si è più veloci che restare in sella».

«Come accennavo, il terreno più brutto è quello con fondo ghiacciato e superficie più molle. Se sotto è duro per davvero il sopra è scivolosissimo. Bisogna essere davvero sensibili. Tuttavia le differenze non sono enormi perché di base la velocità è bassa».

E su sabbia? «Su sabbia serve prima di tutto tanta potenza. Non si va troppo stretti e si deve giocare con peso e cambio. Non si deve essere troppo duri. Ricordo che uno che riusciva a fare certe curve così con il rapportone era Franzoi. Ma lui aveva una potenza incredibile».

L’ostacolo… a piedi

Infine c’è il salto o “bunny hop” (il salto del coniglio), vale a dire il superare gli ostacoli a terra. E qui Fruet dà il meglio di sé.

«Come accennavo – dice Fruet – oggi la scuola dice che vanno superati in bici, ma non sempre è vantaggioso. Ai miei tempi si diceva di scendere e di correre veloci, chiaramente era importante essere fluidi nell’azione. Scendere, saltare, correre e risalire in bici.

«Anche per questo è importante non far rimbalzare la bici, perché poi se per rimontare si salta e non si trova subito la sella sono dolori. Meglio andare a cercare la sella con l’interno coscia e poi lasciarsi andare con il sedere. A volte, se la distanza degli ostacoli lo consente, si appoggia la bici a terra e la si fa scorrere per quei due passi, prima dell’ostacolo successivo.

«Scendendo di bici si arriva più veloci sull’ostacolo e la stessa velocità determina il punto in cui si doveva scendere».

I ragazzi oggi spesso “cercano” l’asse con le ruote. Più l’ostacolo è basso e più la velocità con cui vi si arriva è alta. E viceversa.
I ragazzi oggi spesso “cercano” l’asse con le ruote. Più l’ostacolo è basso e più la velocità con cui vi si arriva è alta. E viceversa.

L’ostacolo… in bici

«Ci sono poi i salti. Per me – osserva Fruet – ci sono tre tecniche, anche se viste da fuori sembrano tutte uguali.

«C’è il bunny hop classico, in cui tiri su con le braccia e fai una sorta “d’impennata d’inerzia” abbassando il sedere e portando avanti le spalle. Il tutto senza pedalare. Ma con la bici da cross è difficile, non hai il telescopico e la sella ingombra, dà fastidio».

«C’è il salto “tipo belga”, come l’ho chiamato io, perché l’ho visto fare dai belgi soprattutto. In pratica salti l’asse con tanto, tantissimo carico sulle braccia e senza usare le gambe Spesso toccano con la ruota. Io, che da 20 anni sono maestro di Mtb ti boccerei all’esame. Ma nel cross è così».

«E poi c’è il salto “alla mtb”, che prevede il carico, la tirata con le braccia, ma anche con le gambe».

Rispetto a qualche anno gli ostacoli sono tendenzialmente più bassi
Rispetto a qualche anno gli ostacoli sono tendenzialmente più bassi

Una riflessione

Il cross nasce per saltare gli ostacoli e prevede dei tratti a piedi, se non si scende mai di sella è un po’ come se si snaturasse. Forse anche per questo riguardo ai salti Fruet è davvero interessato. Con il suo occhio e la sua esperienza il trentino studia anche questi aspetti e fa una riflessione.

«Una volta – conclude Fruet – gli ostacoli erano da 40 centimetri, ora li mettono a 30. Fosse per me li farei da 70 centimetri, così che tutti sarebbero costretti a scendere di bici».

Le “Nibalate tecniche”. Tosello racconta…

30.10.2022
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Lubrificanti, pedivelle, ruote, movimenti centrali… pezzi che vanno e che vengono. Che si montano e si smontano. Pezzi che Vincenzo Nibali portava a Gabriele Tosello, il suo meccanico per tanti anni all’Astana.

Fa strano sapere che lo Squalo non sarà in gruppo e per questo ci fa ancora più piacere ritornare sulle storie, anche divertenti, che lo riguardano. E sì perché nella ricostruzione delle “Nibalate tecniche”, passateci questo termine, c’è anche da ridere. Chiaramente non mancano momenti seri.

Gabriele Tosello fotografa il suo pupillo. E’ stato il meccanico di Nibali per tutti gli anni in cui lo Squalo è stato all’Astana
Gabriele Tosello è stato il meccanico di Nibali per tutti gli anni in cui lo Squalo è stato all’Astana
Gabriele, tanti anni con Nibali. Alla fine sei tu il “suo” meccanico. Quanto ti ha fatto impazzire?

No, dai… non sono impazzito! Richieste strane ne ha sempre fatte. Lui è maniacale, pignolo e anche un ottimo meccanico. Gli piaceva trafficare. Quante volte ha portato dei pezzi che non erano nostri. Andava sempre alla ricerca di nuovi componenti, di ricambi… Voleva provarli anche solo per curiosità. Anche quando sapeva che non andavano bene. Come quella volta con le corone ovali.

Corone ovali, racconta…

Eravamo al Passo San Pellegrino. In quegli anni Froome era forte e le usava, così le volle provare. Gli sistemai il deragliatore alzandolo un po’ e aggiungendo uno spessore affinché cambiasse bene. Era un set 54-42 con le pedivelle da 172,5 millimetri. Settimane a parlarne e dopo quell’allenamento non le usò più.

Pedivelle: mi sa che vi ha dato da fare con questo componente…

Una volta accadde una cosa un po’ “strana”. Si parlava di pedivelle messe in modo non perfettamente opposte, cioè non a 180° ma leggermente disassate, asimmetriche. Si diceva per eliminare il tempo morto. Noi all’epoca avevamo Campagnolo, che nel movimento centrale aveva i “dentini” per serrare le pedivelle. Con Slongo, si decise di spostarle… senza dirgli nulla. Lui salì in bici e dopo 20 metri mi disse: «Se lo fai ancora ti licenzio!». Scherzava, ovviamente, ma se ne accorse in un attimo.

La guarnitura Campagnolo Ultra Torque. Slongo e Tosello misero i dentini delle pedivelle affinché non fossero asimmetriche
La guarnitura Campagnolo Ultra Torque. Slongo e Tosello misero i dentini delle pedivelle affinché non fossero asimmetriche
Che poi il discorso delle pedivelle non fu isolato. Giusto?

Giusto, ci fu il periodo in cui si diceva che quelle più lunghe migliorassero la resa.

E tu e Slongo gliele cambiaste…

Io ho fatto il lavoro manuale, fu Slongo a decidere! Così eliminammo la scritta 172,5 millimetri e senza dirgli niente le provò. Fece i test, gli allenamenti… lui non disse nulla. Ma non sentì quei benefici. Poi venne fuori questa storia e fu montato un caso, ma stavamo facendo solo delle prove.

Del Nibali meccanico invece cosa ci dici? E’ mai capitato che venisse a lavorare con te?

Ah, quasi sempre! Quando finiva con Pallini passava dal lettino dei massaggi al motorhome dei meccanici. E così veniva là, curiosava. «Ma questo fallo così. Questo fallo in questo modo…». Alla fine gli dicevo: «Fallo te, che tanto sei bravo». E allora prendeva le chiavi e faceva il lavoro manuale, che poi gli piaceva ed era bravo per davvero. Una precisione eccellente.

Con l’evoluzione tecnica, negli anni ha cambiato un po’ il suo approccio? Apprezzamento o meno di questa o quella soluzione, nuove misure…

Diciamo che si è sempre adattato e in tempi rapidi. Come il passaggio al freno a disco, per dire. E guardate adesso con la mtb. Quest’anno per esempio all’inizio dell’anno aveva scelto la Wilier Filante, poi alla fine è passato alla Wilier 0 Slr. La sentiva più sua, poteva rischiare qualcosa di più in discesa.

E la posizione è mai cambiata?

Sostanzialmente no, era sempre quella: salita, pianura, sterrato, gare a tappe o di un giorno… Solo negli ultimi periodi aveva abbassato di 3-4 millimetri la sella. Una posizione più comoda… Ma Vincenzo aveva le idee chiare. Se ti diceva che voleva quelle ruote e quei rapporti, quelli erano. Non era tipo che si faceva influenzare perché aveva sentito Tizio o Caio che avevano montato queste o quelle ruote. No, in tal senso ad avercene come lui! C’erano due cose sulle quali era sensibilissimo e intrasigente: altezza sella e tacchette. Sentiva ogni cosa. Se avesse potuto, avrebbe usato sempre la stessa sella e le stesse scarpe. E poi controllava o chiedeva della pressione delle gomme.

Della sella ce lo avevi detto anche prima del Lombardia quando aveva quella nuova bici…

Sì, sì, se ne accorgeva subito. E ancora più pignolo era con le tacchette. Non parliamo del millimetro, ma del mezzo millimetro. Noi abbiamo uno strumento che copia la posizione e la replica, ma la scarpa non mai del tutto identica al 100%. Se non quadrava di un soffio… le regolavamo e regolavamo ancora. Per sella e tacchette era micidiale.

Nella cronoscalata di Polsa, usò la bici da strada con le protesi. Cambiò l’attacco manubrio che restò montato anche il giorno dopo
Nella cronoscalata di Polsa, usò la bici da strada con le protesi. Cambiò l’attacco manubrio che restò montato anche il giorno dopo
Hai detto che ti portava tanti pezzi: qual è stato quello più strano?

Ad averci la lista sarebbe infinita! Togliamo oli, cuscinetti e lubrificanti, che ne proponeva uno “ogni 3×2”, aveva sempre la sua prova da fare. Ha portato reggisella ammortizzati, molti movimenti centrali, dei bilancieri… Alcuni effettivamente erano anche validi, ma non si potevano usare e la cosa finiva lì. Il fatto è che gli stavano dietro i marchi. Il concetto era: se lo usa Nibali vuol dire che funziona.

Ma se dovesse scegliere la “Nibalata tecnica” per eccellenza Tosello quale direbbe?

Ah – ride il “Toso” – Giro d’Italia 2013. Prima della cronoscalata di Polsa, c’erano da montare le protesi sul manubrio normale. Si mise in testa di cambiare l’attacco. Ne volle uno più corto, da 100 millimetri. Glielo cambio e fa la sua crono. Il giorno dopo la tappa era partita da un bel po’, quando per radio mi fa: «Ma ci siamo dimenticati qualcosa?». Io aspettavo che lui mi dicesse di rimontare l’attacco da 120. E lui aspettava che lo facessi io. Fatto sta che fece tutta la tappa con un attacco più corto di 2 centimetri! A fine tappa disse: «Credevo di essere io che non mi sentivo bene sulla bici. Poi ho capito che era l’attacco». Comunque non andò male. Disse che se la sentiva un po’ corta solo in discesa. Ma a quei tempi gli potevi mettere sotto di tutto: lui guidava e basta.

Strada vs gravel: approccio e guida. Parola a Oss

15.10.2022
6 min
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Giusto ieri si è corsa la Serenissima Gravel. C’è stato l’esordio del campione del mondo Gianni Vermeesch, ma non c’era il vice: Daniel Oss. “Danielone” è già proiettato verso il il 2023. Visite mediche, test… e non vi ha potuto prendere parte suo malgrado.

Con l’atleta della TotalEnergies torniamo sui dettagli tecnici di questa specialità di cui tanto si è parlato e tanto riscuote curiosità, soprattutto per quel che potrà essere. Chiara Teocchi ha tirato in ballo persino le Olimpiadi. Con Oss però cerchiamo soprattutto di fare un paragone tecnico con la strada.

Daniel, partiamo dalle tue sensazioni: cosa ti è parso di questo evento e di questa disciplina?

Sono stato contento di esserci. Avevo la curiosità di vedere questa aria nuova che veniva dagli Stati Uniti. Non sapevamo se era un’avventura o una gara vera… alla fine è stata una gara vera.

Quale è stato il tuo approccio?

L’ho presa con serietà, ma al tempo stesso con quella leggerezza di quando non sai ancora bene dove vai. Era tutto nuovo. E così anche quella voglia di attaccare. Dopo aver visionato il percorso, il background da stradista, mi ha consigliato di stare davanti. E per stare avanti devi “menare”. Anche alla partenza è stato particolare. Non avevamo i bus, eravamo tutti mischiati. Non si sapeva se scaldarci o no… Per non parlare dell’arrivo: pazzesco! Tutta quella gente, un grande seguito… E a Cittadella c’era il delirio. Ci sarà un bel futuro, è stata una figata! Molto bello anche l’ambiente della nazionale con questo mix di giovani, biker, stradisti…

Tu avevi fatto anche delle esperienze in America…

Sì e infatti è stato ben diverso da un gravel tipo Unbound da 400 chilometri. Quella è più un’avventura che una gara. Alla fine è gravel, ma oggi chi può dire cos’è il gravel?

Che tipo di sforzo è stato?

Direi molto somigliante ad una Strade Bianche o a una Roubaix. Non avevo il power meter, ma parlando con Vermeesch e facendo un piccolo confronto con i suoi dati adattati al mio peso, dovrei essere stato sui 330-340 watt di potenza media (non normalizzata). Quindi li paragono a percorsi “facili” dal punto di vista altimetrico, ma più difficili tecnicamente: una curva su un prato, sul ghiaino, sui sassi. E poi cambia la pedalata in gruppo.

Cioè?

Devi spingere sempre, se c’è vento non stai a ruota facilmente, non crei i ventagli… Anche una rampa in più non sarebbe servita a molto vista la selezione che c’è stata. Noi siamo andati via tra due o tre ponticelli, un paio di cambi di direzione e siamo riusciti a scappare. Poi mettiamoci anche che correndo per nazionali e non per squadre questa dinamica diventava più appetibile.

Certo, organizzare un gioco di squadra era più complicato… E da lì all’arrivo?

Alla fine prendere il via ad una corsa WorldTour o della Coppa di Francia non è meno faticoso, anzi… Fare 330 watt per cinque ore a 37 e passa di media in due su quel fondo vi assicuro che non è stato un gioco.

Che rapporti avevi?

Avevo il 53-39, un filo più corto di quanto ormai siamo abituati su strada. Il 54 è la normalità, ma al Saudi Tour viste le velocità ho montato il 56 e in qualche altra occasione il 55. Al mondiale gravel avevo la classica guarnitura 53-39 e 11-28 al posteriore. E andavano bene. Le rampe iniziali erano dure. Lì ho usato il 39×25, se fosse stato su asfalto avrei usato un 39×19. Ma tornando al discorso dello sforzo, bisogna valutare anche le ruote.

Spiegaci meglio…

Avevo le Roval Rapid alte, ma non c’erano coperture tubeless da 28 millimetri, bensì da 32 millimetri che non sono così leggere, devi spingere per fare velocità. Noi andavamo a 45 all’ora, ogni tano dopo qualche rilancio si toccavano i 50. A quelle velocità con un 53×11 sei sulle 100 rpm e non ti imballi, ma devi spingere appunto.

Stare a ruota è importante come su strada?

Se sei secondo, massimo il terzo, sì, altrimenti diventa un bel problema. Ad uscita di curva già se sei il decimo della fila ti ritrovi con 10” perché c’è chi frena di più, chi sbaglia traiettoria… Anche i tempi di visualizzazione della curva sono diversi. Non è facile a spiegare. Su strada ti metti a ruota, più vicino possibile e vai. Sullo sdrucciolevole non puoi farlo. Per noi stradisti sono dinamiche tutte nuove. E quindi anche se non ci sono salite bastano poche curve che si creano dei gruppetti. Poi magari rientri, ma spendi tanto.

Hai utilizzato una Specialized Roubaix, bici da strada che meglio digerisce i terreni più accidentati, hai tuttavia toccato qualcosa per quanto riguarda le misure?

No, erano esattamente quelle che avevo su strada. L’unica differenza, come detto, erano le gomme. Ho utilizzato un tubeless Pathfinder da 32 millimetri con il “salsicciotto”, gonfiate a 4,2 bar all’anteriore e 4,4 al posteriore.

Parecchio!

Sì, ho pompato bene perché comunque bisognava far scorrere la bici. Preferivo perdere qualcosina nelle curve sdrucciolevoli, ma avere una bici più scorrevole nei lunghi rettilinei.

Mondiale gravel, le curiosità dai box

13.10.2022
7 min
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Il mondiale gravel, organizzato da Pippo Pozzato e vinto da Gianni Vermeersch, ci lascia anche un’importante eredità tecnica, un bagaglio di soluzioni adottate dagli specialisti della categoria, ma anche dagli stradisti. Siamo andati a curiosare nei vari momenti che hanno anticipato la rassegna iridata, tra normalità e scelte interessanti.

Il punteruolo di Haas

Inserito nel terminale della piega della Colnago di Nathan Haas abbiamo visto una sorta di punteruolo. Il corridore australiano usa questo strumento (già impiegato nella mtb) in caso di foratura, ma ha adattato il supporto integrandolo nel manubrio.

Per lui inoltre 3 centimetri di spessori tra stem e battuta dello sterzo, per respirare meglio e non sovraccaricare la parte lombare, oltre a voler guidare meglio nei tratti di sconnesso estremo. Sempre la corona singola da 40 denti, per essere pronto a rilanciare costantemente e cercare di non appesantire la pedalata anche dopo tante ore di competizione.

SuperSix Evo SE per Lachlan Morton

Tutto quello che serve per stare in giro ed in totale autonomia. Sacca sopra l’orizzontale, ma montata vicino al seat-post, manubrio aerodinamico della Vision e trasmissione ad 11 rapporti con doppia corona anteriore (con il power meter). Ruote Metron ad alto profilo e tubeless della Vittoria gonfiati a 2 bar. Tasche della maglietta colme di barrette e giubbino per ogni evenienza, oltre ad un marsupio con musica a palla. Questo è Lachlan Morton.

Il 105 meccanico di Eva Lechner

La Trinx della campionessa altoatesina era montata con uno Shimano 105 ad 11 rapporti e meccanico (ad esempio anche Sagan aveva la trasmissione meccanica, però Dura-Ace). Interessante anche la scelta delle ruote Reynolds con cerchio full carbon dal profilo medio, ovviamente tubeless.

Bombolette e scanner anche al Mondiale gravel

Buona parte dei corridori, a prescindere dalla nazionalità hanno nastrato le bombolette di schiuma, al reggisella oppure al telaio. Lo hanno fatto in modo importante, senza lesinare sulla quantità dell’adesivo. Ma anche tante pompette e camere d’aria posizionate in ogni punto della bicicletta.

Qualcuno ha fatto stringere i portaborraccia, non molti a dire la verità.

Doping meccanico, molti controlli. In particolare prima delle partenze delle categorie femminili, sono stati eseguiti diversi controlli con gli scanner dei giudici.

E’ anche stato bello vedere due atlete afgane al via della competizione elite femminile e speriamo di vederne di più in futuro. Diversi anche gli atleti africani maschi al via, per un ciclismo che si sta aprendo sempre più nella direzione di tutti i continenti.

I copriscarpe di Pauline

La Prevot è partita con i copriscarpe da crono, quelli lisci nella parte bassa e costruiti con la calza dalla caviglia in su. Calzature comunque da off-road, visto il pedale Time. Che abbia utilizzato delle scarpe non convenzionali?

La campionessa francese ha usato la nuova BMC Kaius, con trasmissione Sram Red eTap AXS. Particolare la scelta delle ruote Duke, con profilo basso ed in carbonio.

Team Bardiani-CSF, presenza in grande stile
Team Bardiani-CSF, presenza in grande stile

Non solo nazionali

Al mondiale gravel 2022 era nutrita anche la presenza degli staff dei team, qualcuno con una presenza massiccia di uomini e mezzi. E’ giusto ricordare che il ciclismo professionistico questa settimana avrà il suo ombelico proprio in Veneto.

Tubeless Challenge, molti utilizzati al Mondiale Gravel
Tubeless Challenge, molti utilizzati al Mondiale Gravel

Gomme Challenge e compressorini

Tra le gomme più utilizzate, le Vittoria in versioni diverse e le Challenge, queste ultime spesso presenti sulle ruote di atleti e palesemente oltre le sponsorizzazioni tecniche. I compressorini portatili ormai sono una costante.

La bici di Oss
La bici di Oss

Oss con il power meter

Sulla Specialized S-Works Roubaix di Daniel Oss c’erano i pedali da strada, la trasmissione road e il power meter. Le ruote alte e i tubeless Specialized Pathfinder da 36 (gomma utilizzata da quasi tutti gli atleti Specialized)

Deda Alanera anche per il gravel
Deda Alanera anche per il gravel

Alanera anche nel gravel

Diversi atleti del Team Bardiani (Italia Team) hanno utilizzato le nuove bici gravel Cipollini Ago e hanno riportato su questo mezzo anche il manubrio Deda Alanera normalmente utilizzato in ambito road. Questo cockpit integrato è parecchio rigido.

Una Wilier Rave SLR speciale

E’ quella che l’azienda di Rossano Veneto ha voluto dedicare ad Ivar Slik e che in un certo senso celebra il mondiale gravel in terra veneta. La foto è stata scattata all’IBF di Misano lo scorso settembre e non pubblicata per rispettare l’embargo di Wilier. La Wilier Rave SLR che Slik ha utilizzato per la competizione era montata con trasmissione Shimano e gomme Schwalbe.

Davide Rebellin al termine della gara
Davide Rebellin al termine della gara

L’eterno Rebellin tra i ragazzi

Avrebbe potuto correre il mondiale gravel e probabilmente stravincere nella sua categoria “age group”, che ha corso sabato al pari della competizione femminile e invece ha onorato se stesso, la sua carriera e terra di origine. Davide Rebellin, classe 1971 ha preso il via con gli elite, classificandosi 39° a poco più di 12 minuti dal vincitore (classe 1992).

gravelworldchampionship

Le scelte tecniche per il tricolore gravel di Argenta

18.09.2022
6 min
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Il bello di un evento che in qualche modo è pionieristico, almeno a questi livelli, è che si è visto di tutto e di più dal punto di vista tecnico. Siamo ad Argenta, per il primo campionato italiano gravel. Al via anche alcuni pro’ della strada, parecchi crossisti e anche qualche biker.

Una terra di mezzo, quella del gravel, che non ha confini ben delineati e anche sulle scelte tecniche ci si orienta molto su esperienza, disponibilità di materiali e chiaramente sulla tipologia del percorso.

E forse proprio perché il percorso è altimetricamente facile si è vista una grande varietà di soluzioni. Ci fosse stata una salita monster per dire, tutti avrebbero badato ad utilizzare rapporti adeguati, riducendo lo spettro delle soluzioni disponibili.

Varietà in Bardiani

I corridori della Bardiani Csf Faizanè, tra i più attesi al via, hanno bici praticamente tutte diverse, almeno nel setup. Filippo Fiorelli utilizza la nuova Cipollini Ago. I suoi compagni invece si sono orientati sulla più collaudata precedente versione.

Ma quel che più ci ha colpito in casa Bardiani è stata la differenza dei rapporti. C’è chi utilizza il monocorona da 42 denti e chi la doppia con il classico 52-39, entrambi di Sram.

Questa soluzione ha un po’ spiazzato i crossisti che si aspettavano rapporti ben più lunghi da parte dei pro’ più potenti del lotto al via. Loro hanno optato per il monocorona, ma da 50 denti…  visto che non ci sono salite se non qualche rampa degli argini.

Riguardo alla componentistica, tutti utilizzano dei portaboraccia in plastica, che essendo meno rigidi riescono a trattenere meglio le borracce e forse sono più ideali per il gravel.

I manubri invece sono totalmente a scelta degli atleti. C’è chi ha preferito il classico set attacco e piega da strada, e chi quello con la piega “aperta” nella parte bassa con la campanatura specifica per il gravel. E anche chi ha optato per il manubrio aero integrato. Soluzione quest’ultima che qualche dubbio sinceramente ce lo ha lasciato.

Ma se gli stradisti brancolavano un po’ nel buio persino sul modello, Luca Cibrario, crossista della Beltrami Tsa era indeciso se utilizzare la piega da 42 o da 44 centimetri. Ben altra sensibilità insomma.

«Questione di feeling», ci aveva detto.

Gomme e pressioni

Quando si parla di offroad il tema delle gomme resta centrale. Più o meno tutti si sono attestati sulle 2 bar all’anteriore e 2,5 al posteriore, con coperture che oscillano fra i 35 e 38 millimetri per la maggiore. Ma si sono viste anche gomme più “cicciotte”, come quelle di Chiara Teocchi per esempio, da 42 millimetri.

Ma se gli stradisti tendono a gonfiare di più, i crossisti viaggiano un filo più bassi. Loro sono scesi sotto la soglia delle 2 bar. Mattia Viel, che tra l’altro correrà il mondiale con la maglia azzurra, ha optato per una pressione di 1.9 bar all’anteriore e 2.2 al posteriore.

Carino il siparietto in cui Fiorelli, che di certo su certi terreni è meno a suo agio di Viel, ha chiesto al collega quanto avesse gonfiato le sue gomme. Una volta ottenuta la risposta ha riferito tutto al suo meccanico.

In autonomia…

Le ultime annotazioni tecniche riguardano gli equipaggiamenti relativi a cibi e strumenti per le riparazioni. Ad Argenta si corre in semi autonomia, nel senso che sono stati previsti sei punti di ristoro/assistenza, ma nel mezzo non c’è l’ammiraglia al seguito. Così più di altre volte abbiamo visto tasche piene di barrette e gel.

Per quanto concerne le forature il 90 per cento aveva con sé solo la bomboletta del “gonfia e ripara”. Anche perché il percorso non presenta terreni sui quali si possa squarciare la copertura. In caso di foratura la bomboletta dovrebbe bastare.

Consideriamo anche che almeno i top rider avevano tutti i tubeless e già il liquido interno dovrebbe essere abbondantemente sufficiente.

I tipi di fondo sono diversi: asfalto, erba, strada bianca, tratti ghiaiosi, ma nel complesso non ci sono salite. Il tracciato è filante
I tipi di fondo sono diversi: asfalto, erba, strada bianca, tratti ghiaiosi, ma nel complesso non ci sono salite. Il tracciato è filante

Alla scoperta…

C’è quindi fermento, attesa. Si respira un giusto mix tra agonismo e divertimento. Di fatto il gravel, almeno a livello agonistico, è qualcosa di nuovo, specialmente per il panorama italiano. E’ intrigante, come ci ha detto anche Marco Aurelio Fontana, questa commistione fra stradisti e fuoristradisti.

E alla fine gli stessi pro’ che noi siamo soliti vedere sono interessati. Magari fino a qualche giorno fa non ci pensavano, ma li abbiamo visti confabulare prima del via. Si scambiavano pareri. Si confrontavano sul fatto che altri avessero montano questi o quei rapporti. E un po’ di tensione saliva…

Tour de France, il terzo riposo e le ultime curiosità

18.07.2022
5 min
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Il terzo riposo ci offre ulteriori spunti e curiosità della tecnica al Tour de France, in vista dei Pirenei, della crono e dei Campi Elisi. Il caldo, la ricerca della leggerezza (non solo in merito alle biciclette) e i tanti prodotti che vedremo disponibili in futuro, sono i veri protagonisti.

Diamo uno sguardo alle immagini che hanno attirato la nostra attenzione nei giorni scorsi.

Una Ultimate tutta nera per Mas

Il fatto che buona parte degli atleti del Movistar Team utilizzi la nuova versione della Ultimate non è più una novità. Carlos Verona e compagni hanno in dotazione una bicicletta di colore azzurro, ma ha attirato la nostra attenzione la bicicletta di Enric Mas. E’ una Canyon Ultimate di nuova generazione, questo è evidente, ma rispetto a quella dei compagni la livrea è nera. Una verniciatura più leggera per lo scalatore spagnolo? Sembrerebbe di si, in quanto la bicicletta appare opaca, senza flatting e vernice.

La nuova Foil RC per Bardet
La nuova Foil RC per Bardet

Bardet con la Foil RC

La vera particolarità non è il nuovo modello di bici di Scott, presentata qualche giorno prima dell’inizio del Tour de France, ma il fatto che Bardet utilizzi una bici aero concept. Al di la dei fattori legati all’immagine e considerando le conoscenze tecniche del corridore francese, abbiamo anche una sorta di conferma della versatilità della nuova Foil. Bardet la sta utilizzando con le ruote Shimano C36 con predisposizione tubolare.

Le calzature super light di Mollema
Le calzature super light di Mollema

Scarpe super ventilate per Mollema

Quelle indossate dall’atleta olandese sono delle Bontrager XXX più leggere grazie a degli inserti in mesh sulla tomaia vicino alla punta e nella zona dell’arco plantare. Non di rado i corridori usano delle scarpe più ventilate e alleggerite per le giornate più calde del Tour de France, talvolta gli stessi prodotti trovano uno spazio anche nei vari listini delle aziende, in altre occasioni la produzione è specifica per gli atleti. Questa versione usata da Mollema non compare nel catalogo Bontrager.

Le ruote bassissime sulla Factor di Fuglsang
Le ruote bassissime sulla Factor di Fuglsang

Le ruote “bassissime” di Fuglsang

Sono le Black Inc, prodotto comunque nell’orbita Factor e avevano già attirato la nostra attenzione al Tour of the Alps, a quel tempo montate soltanto sulla bicicletta di Froome. Sono le Carbon Twenty e sono presenti nel catalogo Black Inc. Hanno il cerchio in carbonio da 20 millimetri con i raggi Sapim in carbonio, hanno la predisposizione al tubolare (montate con gli pneumatici Maxxis). Ancora una conferma a riguardo del fatto che le ruote medie e basse stanno tornando sempre più di moda.

La Prototipo di Pogacar, 6,8 chilogrammi come da regolamento (foto Fizza/UAE)
La Prototipo di Pogacar, 6,8 chilogrammi come da regolamento (foto Fizza/UAE)

La Prototipo “standard” per Pogacar

Le Colnago Prototipo utilizzate dal corridore sloveno non hanno nulla di diverso rispetto a quelle dei compagni, livree cromatiche e setting a parte. Sia quella con tutti i loghi bianchi, che quella utilizzata con le scritte gialle hanno le specifiche tradizionali del modello Prototipo. La bicicletta, con l’allestimento utilizzato da Pogacar, come da regolamento, non scende sotto i 6,8 chilogrammi di peso.

La ricerca del freddo

Ghiaccio dove è possibile, sotto le calze, al di sotto dei pantaloncini e anche i nuovi giubbotti raffreddanti. Prendiamo ad esempio quelli utilizzati da Van Aert e Pogacar, ma la lista di questi accessori è lunga e varia. L’evoluzione è arrivata anche in questo segmento e le soluzioni sono diverse.

Ci hanno colpito quelli utilizzati da Jumbo-Visma e dal corridore sloveno, con alcune zone scaricate e altre dove si posizionano i ghiaccioli, vicino alle sezioni muscolari e lontano dalla parte addominale ed il ventre. Nel caso degli Jumbo, il giubbino è quello prodotto dall’azienda olandese Inuteq ed è il modello Xtreme.

I segni della sudorazione estrema e della fatica
I segni della sudorazione estrema e della fatica

Il corpo che brucia

Solo al termine della tappa e visti da vicino, gli indumenti danno l’idea di quanto il fisico dei corridori è messo sotto stress, per la fatica della prestazione e per mantenere costante la temperatura.

All’Inferno con bici speciali: il nostro taccuino tecnico

18.04.2022
8 min
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Quest’anno, purtroppo non ci sono corridori italiani sul podio, ma la vittoria di Van Baarle porta una Pinarello sul gradino più alto, una bici diametralmente opposta a quella vittoriosa tra le donne. La Parigi-Roubaix, l’Inferno del Nord, è anche molta tecnica legata alle biciclette, ai componenti e alle scelte fatte dai team. Abbiamo fatto una selezione e ci sono anche delle curiosità molto interessanti.

La Roubaix di Pinarello

Una Dogma F per il vincitore, con pneumatici tubeless, manubrio full carbon integrato (il Most di Pinarello) e una sella Fizik che ad oggi non compare sul catalogo. Ha il design della Vento Argo (quella short nose) ed ha i rails in lega d’alluminio, ma non è una Vento Argo. Prima della partenza le biciclette esterne, erano di Rowe, Turner e proprio Van Baarle, quella di Ganna era al centro del tetto dell’ammiraglia. Un segno questo che va ad identificare il capitano/capitani designati dal team.

Tubolari e tubeless per la BikeExchange

Giant TCR Advanced SL per tutti i corridori del team australiano, con un paio di Propel (modello aero) sulle ammiraglie. Fin qui nulla di strano. Ma come ci aveva anticipato Fausto Oppici, meccanico del team, i corridori avevano libertà di scelta tra i tubeless e i tubolari. Le bici in effetti avevano tutte le medesime ruote Cadex con profilo da 42 millimetri, ma con predisposizione differente. Gli pneumatici erano palesemente Vittoria, ma con il logo ed il modello non visibili.

Sezioni differenziate Movistar

Solo Ivan Cortina ha utilizzato la CF SLX, mentre gli altri corridori hanno usato la Aeroad, diciamo lo stesso modello usato da MVDP (ma con allestimento differente). Curiosa la scelta riferita agli pneumatici, tutti tubeless Continental GP5000 S TR e montati sulle Zipp. I corridori del team iberico hanno usato un 28 anteriore, 30 oppure 32 per la ruota posteriore.

Le Cube di Kristoff e Pasqualon

La Cube Litening TE rimane davvero impattante in fatto estetico, aggressiva e muscolosa. Le immagini televisive spengono nettamente la livrea di frame e forcella, mentre “dal vivo” compare la trama del carbonio, sotto un trasparente blu lucido. Le scelte tecniche però, sono quelle che devono trovare menzione.

Andrea Pasqualon ha montato le ruote con profilo da 42 e tubeless da 32. Kristoff invece ha optato per due profili da 65, tubeless Continental da 25 con dicitura hookless. Il design è perfettamente identico a quelli standard TR. “Il range delle pressioni varia tra le 2,5 e 4,5 bar, in base alle preferenze del corridore e alla scelta tecnica della gomma”, queste le poche parole dello staff.

Due power meter sulle Cannondale EF

Una SuperSix Evo per tutti, con ruote Vision e doppio misuratore di potenza. Due power meter? Evidente il pedale SpeedPlay che integra il power meter sviluppato in collaborazione con Wahoo, ma le guarniture hanno lo spider P2M. I pedali potrebbero essere quelli dedicati al misuratore, ma senza il power meter al loro interno. Ottima la scelta, in termini di efficienza (oltre al colore anodizzato), quella di usare il braccetto del cambio posteriore con una sorta di aletta per evitare di far cadere la catena all’esterno del telaio.

Corima tubeless per le Wilier

Wilier Zero SLR per il Team Astana, con le ruote Corima e una scelta degli pneumatici tra tubolari e tubeless. I tubeless Vittoria Control da 30 millimetri di sezione, sulle ruote Corima non è una cosa scontata. Inoltre sulla bicicletta di Boaro compare una sella Prologo Proxim PAS, con rails TiRox, modello dedicato agli utilizzatori di e-bike. Il suo design è paragonabile a quello della Scratch M5, ma ha un’imbottitura maggiorata.

Cervélo con Vittoria Dugast

Van Aert e compagni erano equipaggiati, tutti, con i tubolari da 30 millimetri di sezione, montati sulle ruote Dura-Ace da 60 millimetri. La particolarità è negli pneumatici con il logo Dugast ben visibile. Se è vero che Dugast fa parte del gruppo Vittoria, è pur vero che la novità c’è, per un brand maggiormente conosciuto per le produzioni legate al ciclocross di altissima gamma. Tutti gli pneumatici Dugast sono fatti a mano.

Scott e Dare

Nessuno dei corridori del Team DSM, con bici Scott, ha utilizzato il mozzo Atmoz di Scoope Cycling, per quella che ci è parsa, prima di tutto, un’operazione di marketing. Lo strumento non è stato utilizzato neppure in ambito femminile. Gli atleti hanno utilizzato le ruote Shimano Dura Ace in versione tubolare. Dare è il marchio di biciclette del team norvegese UnoX, praticamente sconosciuto nell’Europa latina. Telai corti e molto compatti, muscolosi e voluminosi, considerando anche le taglie piuttosto grandi. Ruote DT Swiss ARC, quelle con mozzi 240 e tubeless Schwalbe Pro One.

Specialized

Gli atleti Bora-Hansgrohe e Total Energies hanno utilizzato le Specialized Roubaix S-Works, con ruote Roval e tubeless S-Works. Buona parte degli atleti aveva dei setting “comodi”, in particolare per l’avantreno (gli spessori sotto l’attacco manubrio sono l’elemento ammortizzante anteriore). Stem allungati e molti spessori tra attacco manubrio e cap del sistema ammortizzante in dotazione alla bicicletta. Jonas Koch (Bora) ha montato anche la GoPro.