La Roubaix di Van Baarle nata dall’argento di Leuven

17.04.2022
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«Dopo il secondo posto di Leuven – dice Van Baarle – mi è scattato il clic giusto nella testa. Quella medaglia d’argento è stata un momento per me importante. Ho parlato a lungo con il cittì Moerenhout. Mi ha ripetuto fino allo sfinimento che dovevo credere di più in me stesso. Ho ascoltato le sue parole. Ed ecco che cosa è successo».

Un’anca fratturata

C’è di più. Il vincitore della Roubaix, trent’anni il 21 maggio, racconta e intanto un collega olandese ci rivela un piccolo aneddoto che dà la misura della fiducia con cui Dylan Van Baarle ha sbranato gli ultimi chilometri della Roubaix.

Alla Vuelta dello scorso anno Dylan era caduto, riportando una piccola frattura dell’anca. Il mondiale per lui era finito prima ancora di cominciare, invece per qualche strano motivo, Moerenhout ha iniziato a dirgli di crederci. A due settimane dal mondiale, Van Baarle non riusciva neppure a camminare e alla fine quella medaglia d’argento si è trasformata nel lasciapassare per una nuova vita.

Van Baarle ha tagliato il traguardo con 1’47” su Van Aert. Nel 2021 era finito fuori tempo massimo
Van Baarle ha tagliato il traguardo con 1’47” su Van Aert. Nel 2021 era finito fuori tempo massimo

«Sto ancora realizzando quello che mi è successo – dice – quando sono entrato nel velodromo, mi sono voltato per controllare che fosse tutto vero. Gli ultimi metri sono stati super speciali, ma non sapevo se fidarmi della radio. Ti dicono i distacchi, ma non volevo festeggiare troppo presto. Io non ero mai entrato per primo in un velodromo, semmai per ultimo. L’anno scorso sono finito fuori tempo massimo. Poi ho visto Dave sulla riga (David Brailsford, general manager di Ineos Grenadiers, ndr) e ho capito che era vero. Non so descrivere quello che mi è successo. Quasi non so (sorride, ndr) cosa ci faccia questa pietra davanti alla mia faccia».

Mentalità speciale

Le labbra sottili, lo sguardo fisso che in certi momenti trasogna. Un metro e 87 per 78 chili, il perfetto tipo da Roubaix. L’accenno di pizzetto e la calma nel raccontarsi. Ritirato dalla Vuelta per la caduta di cui abbiamo detto. Secondo al mondiale di Leuven. Fuori tempo nella Roubaix di Colbrelli. Quest’anno, secondo al Fiandre e primo alla Roubaix. Quando nella testa scatta l’interruttore giusto, davvero non ci sono limiti.

«Potrei scrivere un libro sulla mia mente – dice – quello che mi viene in mente di dire adesso è che su quello scatto di fiducia ho costruito il mio inverno. Serve una mentalità speciale per entrare bene nelle corse, il ciclismo è cambiato molto negli ultimi due anni. Ora si attacca da lontano per fare la corsa dura e mettere i rivali sulle ginocchia per quando si farà la vera selezione. E questo modo di fare è diventato il mio punto forte. Quando ho capito che avrei potuto attaccare, Ben Turner è venuto a dirmi che lui era completamente vuoto, mi ha passato un gel e ha fatto l’ultima tirata perché potessi tornare davanti».

Ganna ha ottenuto il 35° posto, con la sensazione che la squadra lo abbia un po’ abbandonato
Ganna ha ottenuto il 35° posto, con la sensazione che la squadra lo abbia un po’ abbandonato

Il setup vincente

Il Team Ineos ha fatto la corsa dura dal secondo settore di pavé. La vittoria ora fa passare tutto in secondo piano, ma certo vedere Ganna abbandonato dai compagni mentre era alle prese con una foratura e poi con un salto di catena sarebbe parsa una nota stonata, se Van Baarle non avesse vinto.

«Cercavamo la grande vittoria nelle corse del pavé – dice – Thomas ci era arrivato vicino, Moscon ce l’aveva quasi fatta. Quest’inverno abbiamo provato i materiali e ormai abbiamo un setup all’altezza dei team migliori e questo fa la differenza per competere al massimo. Abbiamo iniziato a crederci e questo è quello che è successo. Intendiamoci, se posso scegliere tra l’asfalto e il pavé, scelgo l’asfalto. Ma adesso so che posso muovermi bene anche sui sassi. Ho deciso di attaccare prima dell’Arbre, a capo di una giornata in cui non c’era qualcuno da guardare in particolare. In una Roubaix così veloce, era importante essere nel posto giusto, senza guardare nessuno».

Per tutta la durata della conferenza stampa, Van Baarle non ha mai neanche guardato il sasso della Roubaix
Per tutta la durata della conferenza stampa, Van Baarle non ha mai neanche guardato il sasso della Roubaix

Malinconia Van Aert

L’ultima battuta è per la pietra, che per tutto il tempo della conferenza stampa non ha mai guardato né toccato, quasi in segno di rispetto. Invece adesso si ferma. Ci poggia sopra una mano e fa un sorriso da bambino felice.

«Non ho ancora pensato a dove la metterò – ammette – ma visto che a Leven non mi hanno dato nessun trofeo, devo trovare il modo di sistemarla vicino alla mia medaglia d’argento. Forse dovrò comprare un tavolo apposta».

Mentre si alza, incrocia Van Aert che sopraggiunge. Un saluto fugace, una punta di malinconia e poi un sorriso nello sguardo del belga. Van Baarle ha vinto la Roubaix, ma nella conta dei secondi posti – lui non ne sarà certo contento – il belga è davvero imbattibile.

Kwiatkowski fa il bagno nella birra. E Van Aert rinvia ancora?

10.04.2022
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L’anno scorso la beffa fu cocente. E quando il fotofinish attribuì l’Amstel Gold Race a Wout Van Aert a scapito di Tom Pidcock, alla Ineos Grenadiers rimasero piuttosto male. Così questa volta Kwiatkowski è rimasto freddo, preferendo pensare di aver perso, mentre pochi metri più in là Cosnefroy festeggiava sicuro del fatto suo. Come Alaphilippe alla Liegi del 2020, ma senza l’ombra della squalifica.

«Ho imparato da Pidcock che bisogna sempre aspettare il fotofinish – ha detto il polacco – ma ammetto che è stato tutto molto confuso. Prima delusione, poi gioia. Soprattutto dopo una gara così dura».

Kwiatkowski ha giocato benissimo lo sprint e ha dato un colpo di reni magistrale
Kwiatkowski ha giocato benissimo lo sprint e ha dato un colpo di reni magistrale

Ritorno dal Covid

Kwiatkowski non è uno qualunque da portarsi fino a un arrivo ristretto. E se vinse il mondiale da giovanissimo arrivando da solo, quando si ritrovò allo sprint della Sanremo del 2017 con Alaphilippe e Sagan, la giocò da mago della pista e li lasciò a leccarsi le ferite. Invece all’Amstel del 2015, con la maglia iridata indosso, piegò in volata Valverde e Matthews. Però questa volta il polacco ha ammesso di aver finito davvero al limite.

«Gli ultimi quindici metri – ha detto – sono stati immensamente difficili. Ero fiducioso di vincere, ma è stata davvero dura. Mi ero reso conto che Cosnefroy aveva lavorato molto. Con Pidcock dietro di noi, non spettava a me fare il ritmo. Ad ogni modo, questa vittoria è molto gratificante. Ho avuto il Covid, ho avuto molta febbre, le persone intorno a me si sono ammalate. E’ stato un periodo difficile. Poter vincere questa gara che amo così tanto per la seconda volta è fantastico per me e per il team».

A ben vedere per il team Ineos Grenadiers il momento è d’oro, dopo gli squilli di Martinez e Rodriguez dai Paesi Baschi.

Vdp verso Roubaix

Chi invece ha mostrato il fianco a una condizione non ancora ottimale e senza troppe corse nelle gambe, è stato Mathieu Van der Poel, fresco vincitore del Fiandre e arrivato quarto a 20 secondi dal vincitore.

«Alla fine – ha commentato l’olandese, che proprio vincendo l’Amstel si presentò al grande ciclismo – ero dove dovevo essere in finale, ma in una gara del genere devi davvero essere super. Soprattutto quando sei nel gruppo di testa e devi reagire a ogni imprevisto. E io oggi non ero super. L’Amstel ha salite più lunghe dei muri del Fiandre. Sono stato bravo, ma non abbastanza».

Van der Poel sarà anche al via domenica prossima alla Parigi-Roubaix per provare a mettere per la prima volta nel suo palmares l’Inferno del Nord.

E Van Aert cosa fa?

«Un’altra triste domenica», ha scritto Wout van Aert su Instagram, costretto a saltare anche l’Amstel Gold Race dopo il Fiandre. E siccome da queste parti non si aspetta altro che il duello tra lui e Van der Poel, la Roubaix è parsa a lungo l’occasione giusta. Invece forse non sarà così.

«Ho letto da qualche parte – ha spiegato Richard Plugge, tecnico della Jumbo Visma – che le possibilità di partecipazione per Wout sono cinquanta e cinquanta, ma non si può dire così. Stiamo esaminando come si sviluppa ulteriormente la situazione e in base a ciò prenderemo una decisione. Preferirei che i miei corridori si prendessero altre due, tre o anche cinque settimane di riposo dopo il Covid, in modo da essere al top più tardi. E’ ancora molto difficile stimare l’impatto della malattia. Io stesso ho avuto il Covid due anni fa e mi ha infastidito molto. Quindi dobbiamo davvero essere sicuri che tutto sia a posto a tutti i livelli. Anche con il cuore».

Ganna, Viviani e Pidcock: le loro bici per la Sanremo

19.03.2022
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Abbiamo assistito alle operazioni preliminari per il set-up delle bici Pinarello Dogma F Disc del Team Ineos-Grenadiers, in vista della Milano-Sanremo 2022. Matteo Cornacchione e lo staff dei meccanici puliscono le bici, montano i componenti richiesti dai corridori ed eseguono gli ultimi controlli. Tutto deve essere perfetto.

Lavaggio, controllo e set-up dopo la sgambata del mattino
Lavaggio, controllo e set-up dopo la sgambata del mattino

Soluzioni in comune

Tutti gli atleti sono partiti con pneumatici tubeless Continental e la sezione scelta è quella da 28. La variabile è legata alle pressioni di esercizio, che dipende principalmente dal peso del corridore e dalle preferenze soggettive. Tutti gli atleti Ineos usano i manettini in linea alla piega manubrio, non curvati all’interno. Tutte le Pinarello Dogma F Disc hanno un chain-catcher per evitare la caduta della catena tra le corone e la scatola del movimento centrale. A questo si aggiunge una sorta di spessore nella parte bassa del telaio, una sorta di salva fodero basso, lato catena. Tutti gli atleti utilizzano la medesima scala pignoni, ovvero 11-30.

La Dogma F di Ganna

Ganna utilizza una taglia 59,5 e la bici configurata per la Milano-Sanremo 2022 è la numero 1 (tra quelle di TopGanna). Il campione del mondo a cronometro utilizza una sella Fizik Arione R1, con rails in carbonio. Il manubrio è full carbon Most, con stem da 130 millimetri e largo 40 centimetri. L’attacco manubrio è in battuta sullo sterzo

Ganna ha optato per le ruote C60 Shimano Dura-Ace, con cerchio tubeless. Gli pneumatici sono i Continental GrandPrix 5000S TR, con sezione da 28. La pressione di gonfiaggio varia tra le 5 e 5,5 atmosfere. Il doppio plateau anteriore 54-39, mentre i pignoni hanno la scala 11/30. La guarnitura è Shimano Dura-Ace, ma della versione ad 11v e comprende il power meter (vecchio modello). Le pedivelle sono lunghe 175 millimetri. Nel complesso la trasmissione è Shimano Dura-Ace 12v.

La bici di Viviani

Anche Elia Viviani usa una Dogma F Disc, nella misura 53. Un set-up molto simile a quello di Ganna, per cockpit, ruote e coperture. Il manubrio integrato è in battuta sullo sterzo, senza spessori. La sella è una Fizik Arione, ma nella versione 00, la più leggera e con un’imbottitura risicata.

E’ molto interessante la scelta dei rapporti, perché il corridore veneto userà i pignoni con scala 11-30 e le corone 52-36. Una scelta non usuale per un velocista e considerando le tendenze attuali. La lunghezza delle pedivelle è di 172,5 e la guarnitura, misuratore incluso, si riferisce all’ultima release Dura-Ace.

Il setting di Pidcock

Il corridore britannico utilizza una taglia 46,5, con la trasmissione Shimano Dura-Ace 12v (53-39 e 11-30). Le pedivelle sono lunghe 170 millimetri, con la guarnitura e il power meter della versione Dura-Ace precedente a quella 2022. Il manubrio integrato ed in carbonio è il Most Talon Ultra (110×40). La sella è una Antares R1 di Fizik ed è piuttosto scaricata verso il retrotreno, un setting che ricorda quello usato nel cross. Tra lo stem e lo sterzo, Pidcock preferisce far inserire uno spessore di 1 centimetro. Passando al comparto ruote, ci sono le nuove Dura-Ace C50 tubeless. Anche in questo caso abbiamo le coperture Continetal da 28 millimetri di sezione.

Kask Wasabi, quello con la cover integrata

23.12.2021
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Il Kask Wasabi è il primo casco della gamma con una cover che slitta dal basso verso l’alto e viceversa. E’ un meccanismo che identifica il prodotto ed ha una valenza tecnica ben precisa, ovvero personalizzare il flusso d’aria nella sezione frontale e cambiare la temperatura nella zona della nuca. Wasabi ha un design e un DNA propri. Lo abbiamo provato e questi sono i nostri feedback.

Il Kask Wasabi visto di lato e con la cover in modalità “aperta”
Il Kask Wasabi visto di lato e con la cover in modalità “aperta”

Difficilmente paragonabile

Non si tratta solo di argomentare un casco per la bici, ma di snocciolare le diverse particolarità di un casco tecnicamente molto interessante. Kask Wasabi fa collimare il design aerodinamico ad un concept protettivo che riduce e/o consente l’aumento della temperatura interna di 1,5°. Questo avviene con una soluzione meccanica e grazie alla calotta superiore. Quest’ultima scivola verso il retro (e verso l’anteriore basso) con un semplice gesto e con una pressione ridotta della mano. E poi ci sono le imbottiture, morbide e con uno spessore importante, con la superficie a contatto della pelle (o dei capelli) che è in Lana Merino. Questa soluzione garantisce una termoregolazione migliore, rispetto ai pads tutti sintetici. La cura dei dettagli e alcune soluzioni di alto livello, lo rendono vicino agli altri della gamma Kask, al Protone e all’Utopia, ma non accostabile in fatto di performances.

Il protocollo Kask WG11

E’ un acronimo che identifica il sistema di valutazione dei test d’impatto, una procedura alla quale sono sottoposti i prodotti Kask. Si inizia proprio con l’assemblaggio che avviene con tre parti ben distinte e poi unite tra loro. Il mold interno è un blocco unico, compatto e ben protetto grazie alla calotta esterna e a quella inferiore perimetrale. Questa soluzione è favorevole anche alla longevità tecnica della zona interna. Nell’insieme si ha anche un casco ben rifinito ed estremamente curato nei dettagli. Il design arrotondato fa il resto, perché aumenta il potere di scivolamento e distribuisce le forze negative che si generano in caso d’impatto.

Le nostre impressioni

A nostro parere “relegarlo” al solo utilizzo stradistico è riduttivo, perché conferma la sua versatilità in diverse fasi.

  • Quando la slitta è abbassata, la testa è protetta dal freddo, dall’aria in entrata e non si ha quella sensazione di raffreddamento che passa dalla nuca al collo. Al tempo stesso sono rare le occasioni nelle quali il calore aumenta in modo esponenziale, perché le feritoie superiori e posteriori non bloccano lo scambio dell’aria. Questo è un fattore da considerare per un eventuale impiego in un contesto off-road, gravel e ciclocross. Si, lo abbiamo utilizzato anche nel cx, beneficiando del posteriore arrotondato, senza code e spigoli, che limitano le interferenze quando si corre con la bici in spalla. Anche la zona sopra le orecchie non crea compressioni, così come i due punti a ridosso della zona sfenoide.
  • Quando la cover è sollevata si apre un’ampia “bocca”, alla quale va aggiunta un’asola superiore. L’insieme sembra voler comprimere l’aria aumentando la velocità del flusso, rispettivamente verso la fronte e la nuca. In aggiunta ci sono le comode imbottiture (quella centrale più grande è impercettibile), che tengono la parte rigida del casco ben sollevata. A nostro parere mancano due “garage” per inserire le aste degli occhiali. Eccellente il sistema di regolazione della taglia, che si sviluppa grazie alle fibbie con la chiusura a buckle (il cinturino in eco-pelle è un valore aggiunto non da poco, perché oltre al resto non trattiene il sudore) e alla gabbia posteriore, regolabile su tre posizioni: altezza, orizzontale e perimetrale.

In conclusione

Scriviamo di un casco da 300 euro (prezzo di listino). Il prezzo non è di quelli popolari, ma è pur vero che la qualità del Kask Wasabi è superiore alla media della categoria. Il suo design “tuttotondo” è funzionale alla sicurezza e alla performance, ma deve piacere e deve essere capito. In parallelo abbiamo un casco che una volta indossato è compatto, perfettamente aderente, con quel fit che non ha punti di pressione ed è ampiamente regolabile. Uno dei vantaggi di questa sua forma è la capacità di “vestire” l’utilizzatore, che non è per forza e solo l’agonista e il professionista. Il comfort è quel valore aggiunto che, ti aspetti quando la ventilazione è completa, ti colpisce in maniera molto positiva quando la calotta è ribassata ed il casco è chiuso e non si tratta di limitare esclusivamente l’ingresso dell’aria fredda.

La storia di Thomas, gallese orgoglioso, all’assalto del Tour

23.06.2021
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La prima volta che Geraint Thomas andò al Tour de France aveva 21 anni, era campione del mondo nell’inseguimento a squadre e indossava la maglia della Barloworld in cui l’anno dopo sarebbe approdato Chris Froome. Sono passati 14 anni e il gallese che si accinge a correre per l’undicesima volta la corsa francese nel frattempo ha fatto strada e conquiste, anche se per qualche inspiegabile motivo qui da noi si tende a sottovalutarlo.

Nel 2008 e nel 2012, Geraint ha conquistato l’oro olimpico nell’inseguimento a squadre e al pari di Wiggins è poi riuscito a vincere il Tour. Solo al Giro gli è sempre andata male, non si capisce se per sfortuna o l’attitudine non spiccata alla guida sulle più nervose strade italiane. E ora che il Team Ineos Grenadiers lo schiera alla Grande Boucle come leader accanto a Carapaz (sembrando però preferirgli l’ecuadoriano) siamo andati a rileggerne la storia attraverso le sue parole.

Thomas debutta al Tour nel 2007: ha 21 anni, corre alla Barloworld
Thomas debutta al Tour nel 2007: ha 21 anni, corre alla Barloworld

La bici per caso

Thomas è nato a Cardiff il 25 maggio del 1986 ed è arrivato al ciclismo dopo aver giocato a calcio, rugby e aver fatto nuoto.

«Stavo nuotando nel Maindy Leisure Centre – racconta a People’s Collection Wales – e ho visto un annuncio pubblicitario per l’avvio di un club per bambini, il Maindy Flyers. Mi sono iscritto e intanto giocavo ancora a rugby e un po’ a calcio. Crescendo, i colpi nel rugby iniziavano a farmi male, così smisi. Ho iniziato a diventare abbastanza forte nel nuoto e mi proposero di andare la mattina prima della scuola, alle 5,30. Pensai che fosse folle e puntai tutto sul ciclismo. Me la cavavo, ma su scala locale. Quando poi sono diventato uno junior e ho vinto i mondiali nello scratch a Los Angeles, ho davvero pensato: “Posso guadagnarmici da vivere”. Fino a quel momento, c’erano solo delle persone che mi dicevano: “Hai talento”. Ma una cosa è crederci, un’altra è farlo davvero».

Nel 2008 a Pechino vince il primo oro nel quartetto con Clancy, Manning e Wiggins. Si ripeterà a Londra 2012
Nel 2008 a Pechino vince il primo oro nel quartetto. Si ripeterà a Londra 2012

La scoperta del mondo

La bicicletta è la chiave per conquistare il mondo, scoprendolo a piccoli passi. Prima i dintorni di casa, poi attraverso sfide sempre più lontane.

«Il Galles è decisamente buono per fare ciclismo – dice – ho corso e pedalato in tutto il mondo, ma è fantastico tornare a casa e allenarsi. I percorsi sono duri, va bene, ma bastano pochi chilometri e sei fuori Cardiff e puoi andare ovunque. Il bello di questo sport è nel fatto che sei libero di andare dove vuoi, soprattutto quando sei giovane. Puoi esplorare. E’ bello uscire e trovare strade nuove che non conosci. Che nevichi o piova, dobbiamo uscire e allenarci. Mi piace mantenere una buona routine. Esco sempre verso le 9-9,30 qualunque sia il tipo di lavoro che devo fare. Amo andare in bicicletta, anche se ovviamente alcuni allenamenti specifici, come le ripetute, non sono troppo divertenti. Sono difficili, ma ci sono lavori molto più pesanti, quindi sono abbastanza fortunato».

Chili in più, chili in meno

Lavoro duro e alimentazione corretta: correre nel team che ha riscritto la letteratura dell’allenamento significa avere un punto di vista privilegiato sul tema.

«La dieta è estremamente importante su strada – spiega – mentre se porti un chilo o due in più su pista, non importa perché è tutta una questione di potenza e di girare veloce nel velodromo, quindi il peso non è troppo importante. Ma, una volta che devi correre un Tour de France, il ruolo dell’alimentazione è enorme. Se porti uno o due chili in più per tutta la gara, allora spendi tanta energia in più. Nel team abbiamo da anni un nutrizionista con cui lavoriamo a stretto contatto. E sembra funzionare…».

Nel 2017 sta già cambiando pelle. Ha già vinto la Parigi-Nizza 2016, ora tocca alla Tirreno
Nel 2017 il gallese sta già cambiando pelle, vince la Tirreno

Dalla pista alla strada

Dalla pista alla strada, il passo non è niente affatto semplice. Hai voglia di tirare Ganna per la manica, se bastasse convincersi di poterlo fare, il gioco sarebbe fin troppo banale.

«La pista è dove sono cresciuto – dice Thomas – e ho vinto le mie medaglie d’oro olimpiche. E’ molto più veloce, il tempo è strettissimo. Quando passi alla strada e magari val al Tour, si tratta di passare tutto il giorno in bicicletta. Eppure si completano. La pista è veloce e nervosa, hai bisogno di una buona capacità di guida. Questa però aiuta molto quando si tratta di stare in gruppo al Tour. Al contrario, la strada ti dà la forza e la resistenza per la pista. L’allenamento in pista è scientifico e preciso. Su strada, è tutto più libero e tutto può succedere».

Nel 2017 vince il Tour of the Alps, punta al Giro, ma cade sul Block Haus
Nel 2017 vince il Tour of the Alps, punta al Giro, ma cade sul Block Haus

Il miracolo del Tour

Il primo Tour è stato pazzesco. Dice di non aver mai sofferto tanto e ben si comprende se l’abitudine è quella delle gare in pista appena descritte.

«Ogni giorno – racconta – tagliavo il traguardo e pensavo: “Non c’è modo che io possa partire domani. Non riesco assolutamente a salire sulla bici”. Poi andavo a letto, mi svegliavo la mattina dopo e dicevo: “Devo iniziare. Ci provo ancora”. Salivo in bici e non volevo più arrendermi. E alla fine ce l’ho fatta e mi ha dato tanto, mentalmente e fisicamente».

Quante cadute…

Thomas cade spesso. E’ caduto al Delfinato aspettando Porte e anche al Giro dello scorso anno nella tappa dell’Etna, perché si fece trovare a centro gruppo in un tratto di pavé dove le borracce iniziarono a saltare. Il limite di essere cresciuto senza un campione esperto accanto è proprio questo. Wiggins è stato un modello, ma cosa vuoi imparare se anche lui aveva gli stessi problemi?

«Ho avuto cadute – dice – più volte. Nel 2005, eravamo a Sydney, andando in pista. Sulla strada c’erano dei detriti metallici, uno è schizzato dalla bici del corridore davanti a me, è finito nella mia ruota anteriore e sono stato sbalzato. Cadendo ho colpito il manubrio, che mi ha rotto la milza. Hanno provato a salvarla, ma nella notte la asportarono. Ho una grande cicatrice lungo tutto il petto. All’epoca fu piuttosto spaventoso, soprattutto perché ero lontano dalla mia famiglia e dai miei amici. Per fortuna la federazione fece venire i miei genitori e mio fratello, che rimasero con me per la settimana in cui uscii dall’ospedale. Penso che mio fratello sperasse che rimanessi in ospedale un po’ più a lungo perché amava starsene in spiaggia».

Altro incidente al Giro del 2009, nella crono delle Cinque Terra vinta da Menchov. Thomas cadde in discesa e si ruppe il bacino e lo scafoide della mano destra. Altro Giro, altra caduta, ma questa non per colpa sua: era il 2017, finì contro una moto sulla salita del Block Haus, tenne duro per qualche giorno poi si ritirò. Quello stesso anno, ma al Tour, cadde con Porte e si ritirò nella discesa de Mont du Chat verso Chambery.

Nel 2019 scorta Bernal a Parigi, dopo essere stato a lungo leader Ineos
Nel 2019 scorta Bernal a Parigi, dopo essere stato a lungo leader Ineos

La bandiera del Galles

L’appartenenza gallese batte forte nel suo petto e racconta che il suo più grande rammarico fu non aver potuto avere la sua bandiera alle Olimpiadi di Pechino. La portò però sul podio di Parigi quando nel 2018 vinse il Tour (foto di apertura)

«Ricordo di essere gallese – dice –  soprattutto quando oltrepasso il confine con l’Inghilterra. Se entri in un pub e sei gallese, li senti fare battute sul rugby o sulle pecore. Penso che il solo partire dal Galles rafforzi la passione per il Galles. Te lo senti dentro che rappresenti il tuo Paese, come quando vai alle Olimpiadi. A Pechino, la prima volta, ero lì per la Gran Bretagna, ma anche per il Galles, perché non ci sono molti atleti gallesi che hanno avuto questo onore. Quando scoprii che non avrei potuto sventolare la mia bandiera, sono rimasto deluso, perché sarebbe stato bello fare un giro d’onore con la bandiera gallese, per mostrare alla gente da dove vengo».

Al Delfinato 2021, il gallese batte Sagan in volata a Saint Vallier, poi aiuta Porte
Al Delfinato 2021, il gallese batte Sagan in volata a Saint Vallier, poi aiuta Porte

La valigia già pronta

Da sabato questo ragazzo divertente di 35 anni sarà al via del Tour. Negli anni, oltre ad averlo vinto, ha scortato al successo Froome e Bernal. Vedremo quest’anno come finirà con Carapaz, scheggia di cultura latina nel blocco di sudditi della Regina, che oltre a Thomas vede anche Yates e Porte.

«Tre parole per descrivermi? Rilassato – sorride – felice per la maggior parte del tempo. Mi piace il cibo. Non so se c’è una parola per questo! Amante del cibo! Sì, un po’ più di tre parole, ma ci siamo. Questo sono io».

Il Giro con i latini, il Tour con i britannici. E Carapaz cosa fa?

14.06.2021
5 min
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Dal tripudio rosa ai sogni in giallo. Dopo aver trionfato con Egan Bernal al Giro d’Italia, la Ineos Grenadiers sta cominciando a prendere confidenza con il colore più prestigioso al Tour de France, grazie alle fresche vittorie di Richie Porte al Delfinato e a quella di Richard Carapaz al Giro di Svizzera (foto di apertura).

Al Giro, grande fiducia di Bernal nel team: si metteva a ruota di Ganna e lasciava fare
Al Giro, grande fiducia di Bernal nel team: si metteva a ruota di Ganna e lasciava fare

Lo Stelvio per Tokyo

Di ritorno dal Passo dello Stelvio, dove ha seguito la ripresa post Giro di Filippo Ganna e Gianni Moscon, il direttore sportivo e allenatore Dario David Cioni ci ha raccontato l’estate della squadra tra gli obiettivi a cinque cerchi e la campagna in terra trasalpina.

«Con Filippo e Gianni abbiamo lavorato in ottica Tokyo – dice – era il primo blocco di lavoro dopo il Giro, in tempi leggermente sfasati perché non sono andati su lo stesso giorno, però è andata bene. Anche perché l’avvicinamento all’Olimpiade sarà diverso, visto che Filippo sta facendo anche dei lavori specifici in pista, mentre Gianni è rimasto allo Stelvio più a lungo».

Se Top Ganna sogna l’accoppiata aurea tra strada e pista, il trentino spera nella chiamata del ct Cassani per dare il suo contributo nella prova in linea.

Moscon sullo Stelvio preparando le Olimpiadi dopo un bellissimo Giro (foto Instagram)
Moscon sullo Stelvio preparando le Olimpiadi dopo un bellissimo Giro (foto Instagram)

Un super Giro

Entrambi sono stati fondamentali nelle tre settimane trionfali della Corsa Rosa, in cui i Grenadiers hanno corso con un’anima latina.

«Fino al ritiro di Sivakov, utilizzavamo soprattutto l’inglese – continua Cioni – dopodiché la musica era italiana o colombiana e gran parte delle comunicazioni erano in quelle lingue, salvo qualche riunione in inglese visto che il personale della squadra lo capisce meglio. La mentalità latina è stata però uno dei segreti di un gruppo fortissimo. In un grande Giro nascono legami molto forti, soprattutto quando c’è fiducia reciproca.

«Uno dei punti di forza come leader di Egan, nonostante sia ancora giovane, è che quando dice a un gregario: “Vai”, lui non molla la ruota. Lo si è visto con Filippo nella tappa delle strade bianche, ma anche con Gianni nelle frazioni finali, in cui era incollato a lui. Nonostante un uomo in meno, abbiamo fatto una grande impresa. Abbiamo preso la maglia subito con Filippo e poi per tanti giorni con Egan, con i ragazzi che, pur con un uomo in meno, l’hanno difesa senza grossi patemi».

Porte, terzo al Tour 2020, ha mostrato grande gamba al Delfinato. Dalla Svizzera, la risposta di Carapaz
Porte ha mostrato grande gamba al Delfinato. Dalla Svizzera, la risposta di Carapaz

Melius abundare

Al Tour, Cioni non sarà in ammiraglia come al Giro, ma ci ha raccontato un po’ che cosa dovremo aspettarci, con un’anima questa volta di madrelingua inglese, nonostante una variabile da non sottovalutare, come l’ecuadoriano Richard Carapaz.

Le alternative non mancheranno vista la presenza di assi del calibro di Geraint Thomas, già trionfatore nell’edizione del 2018, e Tao Geoghegan Hart, vincitore del Giro d’Italia nel 2020, senza dimenticare Richie Porte, terzo lo scorso anno alla Grande Boucle e galvanizzato dal successo al Delfinato.

«Le scelte finali – prosegue Cioni – non sono ancora state fatte, però una delle impostazioni sin dall’inverno è di presentarsi con una squadra con più di un leader, poi deciderà la strada chi sarà il corridore su cui puntare. Per quel che mi riguarda, meglio avere l’imbarazzo della scelta che nessuno per la classifica. Alla fine, abbiamo visto che anche Porte può dire la sua, non solo i più attesi come Thomas, Carapaz e Tao.

«D’altronde però, gli avversari sono forti. Se pensiamo a Roglic, che non ha ancora mostrato nulla quest’anno e si è nascosto, o Pogacar, che invece è già super competitivo, vedendo anche l’ultimo Giro di Slovenia. Sarà un Tour interessante, senza dubbio».

Anche Tao Geoghegan Hart ha fatto vedere belle cose in Francia
Anche Tao Geoghegan Hart ha fatto vedere belle cose in Francia

Il leader designato

E gli appassionati non vedono l’ora di assistere alle guerre stellari tra gli assi del pedale. Ai Grenadiers toccherà il ruolo di guastafeste, come conferma il quarantaseienne ex ciclista italo-britannico, che nel 2004 si piazzò quarto al Giro. E in caso di foratura di uno dei big, chi si ferma e chi va aspettato?

«Dipende da caso a caso e da tappa a tappa – dice – però ognuno ha un uomo dedicato di supporto, specialmente in caso di problemi meccanici, che gli sta sempre vicino. E’ chiaro che non puoi dividere la squadra in due, perché poi diventa ancor più difficile da gestire. Meglio decidere in quel preciso momento in corsa, anche perché sono tutti grandi professionisti e sanno cosa vuol dire dare supporto al leader designato. Questa volta magari toccherà a loro dare aiuto al capitano scelto, ma sanno che quando avranno l’opportunità in futuro, il supporto verrà ricambiato».

In pratica quello che è successo al Delfinato, con Thomas che ha spalleggiato Porte per il trionfo finale, augurandosi uno scambio di favori alla Grande Boucle. 

Giro del Delfinato, Geraint Thomas anticipa Sonny Colbrelli
Giro del Delfinato, Geraint Thomas anticipa Sonny Colbrelli

La variabile fughe

La superiorità numerica che per tanti può sembrare difficile da gestire, secondo Cioni apre scenari interessanti.

«Nel ciclismo moderno – dice – stanno tornando gli attacchi da lontano, per cui se si hanno più carte da giocare, si può davvero mettere in difficoltà altre squadre che hanno un leader unico. Avere più corridori capaci di vincere un grande Giro non è semplice in certi frangenti, ma in altri, soprattutto se non sei tu a guidare la corsa, dà la possibilità di inventare qualcosa di interessante. Quando, invece, indossi la maglia di leader, a volte sei immobilizzato sotto il punto di vista tattico». Alla strada l’ardua sentenza.

Porte, il Delfinato, Ineos e uno spicchio di Toscana

13.06.2021
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Dopo aver conquistato lo scorso anno il podio al Tour, al termine di una carriera da solista iniziata quando lasciò il Team Sky nel 2016 per passare alla Bmc poi alla Trek-Segafredo, Richie Porte è tornato nel team britannico e ha raccontato di essersi sentito di colpo come a casa. E i compagni hanno fatto di tutto perché accadesse. Si è visto benissimo al Delfinato, conquistato con l’auto di Geraint Thomas e Tao Geoghegan Hart.

«Avere un vincitore del Tour e uno del Giro che ti aiutano – ha commentato – è stato esaltante. Avevo un conto aperto con questa corsa e mi ero già trovato con la maglia di leader alla vigilia dell’ultima tappa, ma Fuglsang organizzò una bella imboscata e io abboccai alla grande. Vincere il Deflinato a 36 anni con certi compagni è il bello del ciclismo».

Lo scorso anno ha conquistato il podio del Tour, prima volta in un grande Giro
Lo scorso anno ha conquistato il podio del Tour, prima volta in un grande Giro

Origine toscana

Una storia singolare quella del tasmaniano, arrivato in Italia al Gruppo Lupi della famiglia Tamberi nel 2007, poi passato alla Mastromarco e alla Bedogni, prima del contratto con la Saxo Bank. Veniva dal duathlon e, ricorda Giuseppe Di Fresco che lo ebbe alla Mastromarco, correva sempre all’esterno o in coda al gruppo, per paura di cadere. Eppure cadde ugualmente, tanto che si ruppe il bacino e rimase per un mese a letto nel ritiro della squadra toscana, in cui correvano fra gli altri Damiano Caruso e Stefano Borchi.

«Una persona bravissima – ricorda Di Fresco – che imparò subito l’italiano. Ce lo aveva segnalato Stefano Fiori, il giornalista. Così lo portai da Pino Toni per fargli un test e decidemmo di lavorarci. Era tondetto, lo facemmo dimagrire. E quando si riprese dall’infortunio, vinse cinque corse, fra cui il Gp di Cerreto Guidi che per noi era molto importante. Poi arrivò Tafi, lo prese sotto la sua ala e lo portò alla Bedogni».

Sesto nella crono di Roche La Moliere, Porte ha iniziato la scalata a due tappe dal termine
Sesto nella crono di Roche La Moliere, Porte ha iniziato la scalata a due tappe dal termine

Senza stress

Cadute da allora Richie ne ha avute diverse, che gli hanno impedito di ottenere i risultati che sperava sebbene andasse davvero fortissimo. E adesso, libero dalla pressione del dover vincere, il suo approccio con le corse sembra più lieve.

«Quando hai numeri come quelli che avevamo noi al Delfinato – ha raccontato – gli altri possono solo inseguire. Si trattava di lanciare uno di noi all’attacco e a La Plagne è toccato a me, nel giorno in cui ho preso la maglia. Chiaramente questa corsa serviva come test per il Tour. E considerato che abbiamo ancora Carapaz in Svizzera, credo che siamo in una buona posizione. Speriamo anche alla Grande Boucle di avere la possibilità di giocare carte diverse».

Al Tour del 2017, Porte cadde nella discesa del Mont du Chat e Caruso ebbe via libera
Al Tour del 2017, Porte cadde nella discesa del Mont du Chat e Caruso ebbe via libera

Cambio bici

Il finale del Delfinato, proprio negli ultimi chilometri verso l’ottavo traguardo a Les Gets, ha avuto un tocco di dramma, raccontato però col sorriso dello scampato pericolo.

«Però ammetto – ha detto – di aver pensato a quando nel 2017 in pochi chilometri si è scatenato l’inferno e questo dimostra che per vincere una gara come questa serve avere una grande squadra. Sul Col de Joux Plane ho dovuto cambiare la bici e ho avuto qualche problema nel mettere il Garmin sulla bici di scorta. Ci ho messo troppo e a pensarci ora dico che forse si dà troppa importanza a quello strumento, anche se ti indica ogni cosa. E mentre io armeggiavo, Thomas si è voltato per cercarmi ed è caduto. Per fortuna non si è fatto niente, è rientrato e ha tirato a un ritmo tale che nessuno ha potuto attaccare. Se fossi stato da solo, forse avrei avuto dei problemi con i ragazzi dell’Astana».

Nell’8ª tappa sul Cold de Joux Plane, gran lavoro per Porte di Geoghegan Hart e Thomas
Nell’8ª tappa sul Cold de Joux Plane, gran lavoro per Porte di Geoghegan Hart e Thomas

Tour per Thomas

Il Tour chiama e sebbene lo scorso anno sia arrivato terzo, Porte (forse) non ha grilli per la testa. Quando torni in una squadra come il Team Ineos, spazio per improvvisare te ne lasciano poco.

«Ho firmato questo contratto per tornare e aiutare Thomas – dice – che mi ha aiutato a vincere il Delfinato, la gara più importante della mia carriera. Quindi glielo devo e questo è il piano. Ma allo stesso tempo, immagino che Roglic e Pogacar non potranno inseguire tutti, quindi potremmo avere tutti delle chance. Le loro squadre non sono imbattibili, anche se Pogacar non ne aveva una imbattibile neppure l’anno scorso. Credo che noi abbiamo un collettivo migliore e che Thomas sarà a un livello superiore».

Sul podio finale di Les Gets, Porte ha preceduto Lutsenko e il compagno Thomas
Sul podio finale di Les Gets, Porte ha preceduto Lutsenko e il compagno Thomas

Amore Ineos

Il programma immediato ha previsto il necessario recupero, rifinitura e alcune prove sui percorsi del Tour, prima dell’ultimo ritiro.

«Abbiamo fatto un paio di giorni di ricognizione – dice – e dopo qualche giorno a Monaco, ci sposteremo a Isola 2000, quindi neanche troppo lontano da casa. Da qui passeremo ancora un po’ di tempo in famiglia, poi Tour e dalla Francia direttamente a Tokyo. Diciamo che le prossime sette settimane saranno piuttosto impegnative. Il Team Ineos-Grenadiers è una squadra fantastica ed è quasi come se non fossi mai andato via. Dicano quel che vogliono, ma penso che sia per questa organizzazione che si vincono le gare in bicicletta. Ne ho avuto la prova vedendo in che modo mi sono stati accanto».

E venne finalmente la prima tappa di Nizzolo

21.05.2021
4 min
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Mentre Nizzolo veniva scortato verso il palco, nel marasma dopo l’arrivo i suoi compagni del Team Qhubeka-Assos si abbracciavano con uno slancio raro a vedersi. La squadra aveva già vinto due giorni fa la tappa di Montalcino con Schmid e la volata con il milanese ha prolungato il momento pazzesco per un team rinato dal poco, che nei giorni scorsi aveva perso con Pozzovivo l’uomo per la classifica. Mentre raccontava il finale ai colleghi belgi, Campenaerts è parso commuoversi. Quando lo raccontiamo a Giacomo, anche lui ha il groppo in gola.

La pelle d’oca

«Mi viene la pelle d’oca – dice – adesso che hai menzionato questa cosa. Ho sentito attorno una fiducia estrema e questa cosa mi ha dato tantissima motivazione nei giorni scorsi. Probabilmente abbiamo sbagliato qualcosa, ma sentivo grandissima fiducia da parte loro. Tutti erano concentrati nei minimi dettagli, per portarmi al meglio negli ultimi metri. E devo dire che li ringrazio tantissimo perché oltre all’aspetto fisico, anche dal punto di vista mentale mi hanno dato tantissima fiducia. E spero si possano godere questa vittoria».

Victor Campenaerts dopo l’arrivo era davvero contentissimo
Victor Campenaerts dopo l’arrivo era davvero contentissimo

Lampi negli occhi

Il racconto ha perso forse lo slancio della grande emozione e Nizzolo sembra molto controllato nei suoi slanci. Nei giorni scorsi avevamo raccontato del suo casco e della sua bicicletta, ma questa volta è diverso. Però nel lampeggiare degli occhi sopra il bordo della mascherina, si capisce che la vittoria ha messo a posto tutti i tasselli. Arrivare secondo magari non peserà tanto, ma di certo un po’ fastidio lo dà.

E’ una lettura giusta?

La vittoria mette in ordine tutti i pezzi, dà un senso al cammino fatto finora. Averla vinta chiude il cerchio di tutto quello che c’è stato prima. 

Sull’arrivo con il fiato corto e l’emozione: prima vittoria al Giro
Sull’arrivo con il fiato corto e l’emozione: prima vittoria al Giro
Già una volta prima di oggi avevi esultato, invece la vittoria ti fu portata via…

Se parlate di Torino nel 2016, la sentivo mia, ma la valutazione dei giudici è stata diversa (Giacomo tagliò per primo il traguardo, ma venne declassato per aver chiuso Modolo alle transenne, ndr). Ci sono state parecchie occasioni in cui ho sentito di poter vincere eppure ho sbagliato qualcosa nel finale. Però sapevo di avere il potenziale di poter vincere una tappa al Giro. Oggi non ero particolarmente teso, mi sono concentrato sulla mia volata. Poteva essere oggi, come un altro giorno

L’allungo di Affini ti ha offerto un riferimento?

Il mio obiettivo di oggi era riuscire a esprimere il mio potenziale senza rimanere chiuso. In realtà questo finale era quello che meno mi piaceva, per la strada larga e dritta, mentre io preferisco gli arrivi tecnici. Ho preso come riferimento prima Gaviria e poi Affini, che mi ha dato un punto di riferimento e che ha fatto una sparata davvero notevole. Il mio obiettivo era non rimanere chiuso. Ho preso probabilmente un po’ troppa aria, ma è andata bene così.

I compagni lo hanno abbracciato e hanno festeggiato con rara commozione
I compagni lo hanno abbracciato e hanno festeggiato con rara commozione
C’erano tutti i tiuoi tifosi, ma questa volta non c’era tuo padre…

E’ vero, il mio fan club è un insieme di amici e parenti che mi seguono ogni volta che possono. Oggi mancava mio papà Franco perché ha subìto un’operazione pochi giorni fa, niente di grave, ma è ancora in ospedale. Una menzione speciale va a lui, spero di avergli dato un motivo per sorridere.

E alla fine è arrivata anche la tappa al Giro.

Perché non avessi mai vinto è una bella domanda, alla quale non saprei dare una risposta. In volata non è mai semplice trovare la quadra. Il mio motto è fare il meglio, se taglio il traguardo sapendo di aver fatto il massimo, allora non ho rimpianti. Oggi per vincere ho rischiato di perdere, perché mi sono esposto al vento molto presto e mi è andata bene.

I tifosi erano con lui, mancava solo suo padre Franco
I tifosi erano con lui, mancava solo suo padre Franco
Si può dire che ora il grande obiettivo di stagione, soprattutto dopo il secondo posto alla Gand, sia il mondiale nelle Fiandre?

Ho assolutamente la motivazione di farmi trovare nelle migliori condizioni possibili nel periodo del mondiale. Farò un programma di avvicinamento adatto a questo. Ho visionato il percorso, mi piace molto, però devo farmi trovare al top della condizione per farmi trovare competitivo ai mondiali.

Cassani, che continua a sfilare accanto a loro da giorni e per tutto il giorno, avrà certamente annotato il suo nome. Fece di Giacomo il leader per i mondiali del 2016 a Doha, quando era ancora un ragazzo di 27 anni, pieno di promesse, ma molto meno solido di adesso. Un posticino per lui nel personale elenco degli azzurri, probabilmente a prescindere da questa vittoria, crediamo fosse già stato previsto. Diciamo che ora probabilmente potrebbe essere un posto più comodo.

Quando Egan si perse con la bici da crono: Ellena racconta…

21.05.2021
4 min
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L’unico sterrato che finora abbia mai respinto Egan Bernal, ricorda Giovanni Ellena, è quello che si trovò sotto le ruote con la bicicletta da cronometro in un giorno del 2016.

«Mi telefonò da un punto sperduto a 10 chilometri da casa – ricorda il direttore sportivo piemontese della Androni – dicendomi che non riusciva più a tornare a casa. In effetti aveva imboccato una strada che di colpo era diventata sterrata e che non lo avrebbe mai ricondotto all’hotel in cui viveva. Così andai a riprenderlo con la Peugeot di mia figlia. Non ricordo perché non avessi l’ammiraglia, ma ricordo benissimo il percorso di ritorno con quella macchina così piccola e la bicicletta da cronometro caricata dentro».

Nei mesi alla Androni Giocattoli, Egan ha vissuto a lungo in PIemonte
Nei mesi alla Androni Giocattoli, Egan ha vissuto a lungo in PIemonte

Il sorriso giusto

Negli ultimi mesi secondo Ellena qualcosa è cambiato. Aveva incontrato il suo ex corridore nei giorni del Trofeo Laigueglia, quando aveva approfittato del passaggio in Italia per visionare qualche tappa del Giro, e lo aveva trovato teso e incupito. Adesso invece è evidente che Egan abbia ritrovato la voglia di divertirsi, il sorriso giusto e soprattutto stia finora tenendo a bada il mal di schiena.

«Nei giorni scorsi – prosegue Ellena – è venuto qualche volta all’ammiraglia per parlare scambiare qualche battuta. Ci siamo anche scritti dei messaggi. Io credo che aver corso a marzo la Strade Bianche gli abbia dato la fiducia per fare quella tappa verso Montalcino, avendo per di più accanto una squadra così forte che gli ha permesso di gestire a proprio piacimento la tattica. Ha la faccia di quando finalmente può fare le cose a suo modo e si ha la sensazione che si stia davvero divertendo».

La coppia colombiana, Bernal-Sosa, ora entrambi alla Ineos
La coppia colombiana, Bernal-Sosa, ora entrambi alla Ineos

Istinto da biker

Neppure Ellena si è troppo meravigliato dell’ottimo comportamento del colombiano prima sullo strappo di Campo Felice e poi sugli sterrati toscani.

«Non dimentichiamoci – dice – che viene dalla mountain bike. Ha partecipato anche ai mondiali e non solo per onor di firma, ma prendendo medaglie. Al punto che quando arrivò da noi, mantenemmo per lui una posizione più alta e vicina a quella della bici da fuoristrada. Soltanto dopo il Lombardia del 2016, che lui non corse a causa della caduta al Beghelli, lo portammo da un biomeccanico e passò definitivamente alla posizione da strada, abbassandosi di quasi 2 centimetri nella parte anteriore».

Il colombiano è di ottimo umore: si vede anche dal modo di correre
Il colombiano è di ottimo umore: si vede anche dal modo di correre

Quella tacchetta

La biomeccanica è un pallino di Giovanni Ellena, così anche lui sentendo parlare di mal di schiena e degli spessori che il colombiano ha sotto la scarpa destra, ha un po’ storto il naso.

«Volendo essere puristi – dice – qualche appunto si potrebbe fare. Però la sensazione è che per ora le cose funzionino e, se sta bene lui, sta bene anche a noi. E’ nuovamente un piacere vederlo correre e credo anche che per lui si possa tirare fuori la definizione di fuoriclasse. A ben vedere, è un corridore che può vincere i tre grandi Giri e anche classiche dure come la Liegi. A questo si aggiunga la sua grande intelligenza. Aveva sempre detto di voler correre la Strade Bianche, ma sono certo che in quel giorno di marzo mentre pedalava verso il podio, si è reso conto che quel percorso gli sarebbe andato bene anche al Giro d’Italia. E per lo stesso motivo, fatte tutte le proporzioni, a marzo ci abbiamo portato anche Cepeda. Finì fuori tempo massimo, ma almeno l’altro giorno a Montalcino si è salvato alla grande».