Ventoux e Angliru: i “mostri” di Tour e Vuelta aspettando il Giro

10.01.2025
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Il Tour e la Vuelta hanno già presentato il percorso 2025, il Giro d’Italia solleverà il velo lunedì a Roma. In attesa di sapere quali saranno le salite clou della corsa rosa, e soprattutto la sua Cima Coppi, in Francia e Spagna spiccano gli inserimenti del Mont Ventoux e dell’Alto de Angliru, due autentici mostri sacri. Qual è l’approccio di un corridore di fronte alla montagna-icona di un Grande Giro? Provare a immaginare che cosa significa sapere di dover affrontare una montagna imponente sia per caratteristiche che per storia e tradizione. Certo, ci sono tante altre salite prestigiose e noi con la corsa rosa lo sappiamo bene, ma Ventoux e Angliru, in confronto alle altre delle due corse estere, hanno un sapore particolare.

L’uscita dal tunnel del Ventoux presenta sempre un paesaggio quasi lunare, che stordisce
L’uscita dal tunnel del Ventoux presenta sempre un paesaggio quasi lunare, che stordisce

Salite da affrontare mentalmente

Stefano Garzelli le conosce bene e le ha viste anche da osservatore. Conosce lo spirito che pervade la mente di chi deve superarle solo con la forza delle proprie gambe. In attesa di conoscere quali saranno nel dettaglio le grandi salite della prossima edizione del Giro d’Italia, parliamo dei “mostri” che i corridori si troveranno ad affrontare nelle altre due grandi corse del 2025.

«E’ un tema interessante – ammette Garzelli – che riporta alla mente tanti ricordi anche se io personalmente conosco bene l’Angliru e il Ventoux l’ho affrontato solo parzialmente. Ma parliamo di salite talmente famose che sono davvero sulla bocca di tutti».

Vento e sole a picco sono i principali ostacoli del Mont Ventoux, asperità icona del Tour (foto Eurosport)
Vento e sole a picco sono i principali ostacoli del Mont Ventoux, asperità icona del Tour (foto Eurosport)
Com’è il Ventoux?

Innanzitutto dal punto di vista geografico: è una montagna che non fa parte di Alpi, Pirenei, Massiccio Centrale, è davvero a sé stante e lo è anche tecnicamente. Perché a dir la verità non ha grandissime pendenze, di per sé è piuttosto facile, ma in quel caso influiscono tantissimo le condizioni atmosferiche. Il vento laterale diventa un ostacolo pesantissimo per la mancanza di vegetazione e può scatenare la bagarre. Poi c’è il fattore caldo, il sole che picchia d’estate e proprio l’assenza di ombra è un fattore. Per carità, non sono più gli anni Sessanta e i tempi di Simpson, ma un influsso sull’evoluzione della corsa lo può avere.

A te piace?

Mi affascina per certe caratteristiche che ha, come il suo paesaggio lunare, il panorama che ti trovi improvvisamente di fronte. Ripeto, non è una scalata lunghissima e impegnativa come pendenze, ma va affrontata con molta attenzione, perché può fare danni e in tanti lo sanno, ci sono cascati.

Niente vegetazione, di ombra neanche a parlarne. Il sole sul Ventoux diventa un nemico implacabile
Niente vegetazione, di ombra neanche a parlarne. Il sole sul Ventoux diventa un nemico implacabile
Quanto può essere utile l’apporto della squadra per quel capitano che punta, per la classifica generale o anche solo per il prestigio della tappa, a un risultato importante?

Moltissimo, proprio perché siamo in presenza di una scalata dove il vento può giocare un ruolo essenziale. Due-tre gregari che ti accompagnano il più possibile, che ti proteggono dalle folate soprattutto laterali possono essere in alcuni casi decisivi soprattutto se sei in crisi e non devi perdere eccessivamente terreno.

Che cosa dici invece dell’Angliru?

Ecco, questa invece è una scalata che non ho mai amato. E’ tosta davvero, una di quelle che ami oppure odi e io faccio parte della seconda categoria. Le sue pendenze oltre il 20 per cento sono pane per scalatori puri. Anzi è forse una delle poche salite rimaste che mette ancora in evidenza chi ha caratteristiche fisiche e tecniche per emergere in salita. Perché devi stare sempre sui pedali, non riesci ad andare su di ritmo come fanno i passisti, vai avanti a 7-9 chilometri l’ora anche se sei un professionista. Lì rischi davvero la giornataccia che ti butta fuori dalla classifica.

L’Angliru fa sempre grande selezione alla Vuelta, grazie alle sue pendenze anche oltre il 20 per cento
L’Angliru fa sempre grande selezione alla Vuelta, grazie alle sue pendenze anche oltre il 20 per cento
In questo caso quanto conta il team?

Poco perché su quelle pendenze sei solo con te stesso e con le tue gambe. Se ne hai puoi anche fare la differenza, ma io dico sempre – e questo vale anche per il Ventoux – che su salite del genere la grande corsa forse non la vincerai, ma sicuramente puoi perderla…

Qual è l’approccio psicologico a salite del genere, nella mente di un corridore impegnato in un Grande Giro fanno ancora la differenza, nel senso che ci pensi sin dalla prima giornata?

Sì, considerando che una corsa di tre settimane la devi affrontare e vivere prima di tutto di testa. Devi imparare a non soffrire la “giornata clou”, quella attesa da tutti. Anche per questo certe salite si affrontano prima della grande corsa, si va a esplorarle anche se le hai già affrontate più volte in carriera, perché un ripasso della memoria fa sempre bene e scaccia fantasmi. Se l’assimili al meglio sei avvantaggiato.

Una foto a suo modo storica: Roglic, Vingegaard e Kuss tutti Visma sull’Angliru nel 2023
Una foto a suo modo storica: Roglic, Vingegaard e Kuss tutti Visma sull’Angliru nel 2023
Scatenano tensione?

Più che tensione, emozioni contrastanti. Ma non solo in corsa, anche quando ci vai in ricognizione, all’inizio sei sempre un po’ più nervoso del solito. Poi, pedalando, inizi anche a godertela, ti tornano in mente passaggi, cominci a costruirti nella mente la tattica per il “grande giorno”. A me piaceva, quella settimana precedente il Giro o il Tour per entrare in sintonia con le grandi salite.

C’è differenza nell’approccio tra chi ci punta per la classifica e chi vuole fare il colpo a sensazione?

No, anche perché in salite del genere è ben difficile che riesca a emergere chi non è direttamente interessato alla classifica. D’altronde queste tappe sono inserite in momenti strategici, l’organizzatore stesso ha interesse che su quelle strade siano coloro che lottano per il simbolo del primato a emergere. E’ comunque vero che quando metti quella data tappa nel tuo mirino, ti giochi tutto. Io nel Giro 2004, quando ormai non guardavo più alla classifica, avevo scelto la tappa del Mortirolo e della Presolana, l’avevo detto che attaccavo lì e lo feci. Alla fine arrivai con Simoni che battei allo sprint, avevo tenuto fede ai miei propositi.

Contador a Navacerrada, una salita che è stata quasi dedicata a lui (foto Sanchez/AS)
Contador a Navacerrada, una salita che è stata quasi dedicata a lui (foto Sanchez/AS)
Del Tour tutti sanno quali, oltre al Ventoux, sono le grandi salite presenti anche in questa edizione, della Vuelta si parla sempre meno, ma per te che oltretutto conosci bene la realtà spagnola quali sono gli altri spauracchi oltre l’Angliru?

Innanzitutto Lagos de Covadonga, ma nel complesso tutte le salite delle Asturie sono molto dure e fanno spesso la differenza. E’ sbagliato però pensare che ci si giochi tutto al Nord, sui Pirenei. Al centro ad esempio c’è Navacerrada, quest’anno alla ventesima tappa sarà l’esame forse decisivo, la salita che Contador amava più di tutte. A sud Sierra Nevada, dove ai 1.500 metri c’è il centro di alto rendimento. Quest’anno ci sarà addirittura una crono di 28 chilometri tutta in salita…

E che ricordi hai del Ventoux?

Al Ventoux non ero in una giornata eccezionale, ricordo tanta fatica per venire su proprio perché faceva caldo. Per me il Tour è identificabile più con il Galibier, dove vinsi il mio unico premio al Tour per essere transitato primo davanti a Jalabert. Anche quella è una salita simbolo che mi ha lasciato un bel ricordo. E un trofeo al quale tengo particolarmente.

Valencia cade, ora diamole una mano per rialzarsi

05.11.2024
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Le immagini che arrivano dalla provincia di Valencia mettono davanti a una realtà cruda e difficile da digerire. Di tutto quello che esisteva ora non rimangono che macerie e fango. Il conto delle vittime sale di giorno in giorno, non ci sono più case, negozi, vite. La Spagna è in ginocchio, consapevole che rialzarsi sarà faticoso sia moralmente che economicamente. Ci sono persone che in pochi giorni hanno perso tutto. Anzi in poche ore. Una vita da ricostruire, riadattare. Consapevoli che per ripartire non basteranno le proprie forze, ma servirà appoggiarsi sulle spalle degli altri. Di chi questa tragedia l’ha vissuta, per cancellare il dolore, e su chi ha a cuore le vite degli altri, qualunque sia il suo angolo di mondo. Chi volesse dare una mano trova in fondo all’articolo il link della raccolta fondi messa in piedi da Garzelli e sua moglie. 

Scrivere e dire: «Può succedere a tutti» è scontato e inefficace. Certe tragedie colpiscono e fanno riflettere solamente una volta avvenute. E’ difficile immedesimarsi in un qualcosa di talmente grande che nemmeno chi lo ha vissuto riesce a descriverlo. Serve affidarsi alle parole, al racconto e al ricordo di attimi indelebili. 

Macerie e detriti sono accatastati per strada in attesa di essere sgomberati
Macerie e detriti sono accatastati per strada in attesa di essere sgomberati

La distruzione

Stefano Garzelli ha legato una grande fetta della sua vita a questa terra, Valencia. Sua moglie è spagnola, i suoi figli vanno a scuola qui e sulle strade che non ci sono più si allenavano. L’ex ciclista professionista, ora commentatore tecnico per la RAI, qui ha fondato una scuola di ciclismo. Quei ragazzi ora faticano a pensare che un giorno potranno andare di nuovo in bicicletta. Sono talmente tante le cose da ricostruire che il ciclismo diventa forse l’ultima cosa a cui pensare. Per prime ci sono la vita e la voglia di ripartire. Stefano Garzelli ha vissuto una tragedia simile 12 anni fa, quando una tempesta portò via tutto, compresa la casa dove abitava. 

«A questo giro la mia famiglia e io siamo stati più fortunati – dice al telefono – perché a casa nostra non è arrivata tutta quella pioggia. Basta spostarsi di un paio di chilometri che la situazione cambia parecchio. Da me, a Betera, sono arrivate solamente forti raffiche di vento che non hanno fatto grandi danni. Ma basta uscire di poco per arrivare in una situazione che non ha aggettivi o parole per essere descritta. Ci sono paesi e città distrutte, la gente ha perso tutto, i morti aumentano di giorno in giorno (al pomeriggio di lunedì, giorno in cui stiamo scrivendo, ammontano a 217, ndr). Quello che più spaventa, forse, è il futuro. Migliaia di case sono state distrutte, non ci sono più negozi o attività commerciali».

Si contano più di 80.000 auto distrutte dall’alluvione
Si contano più di 80.000 auto distrutte dall’alluvione

Rialzarsi

Sono passati cinque giorni dalla bomba d’acqua che ha devastato tutto. I soccorsi sono arrivati prima dalla gente e poi dal governo. Come spesso accade i primi a muoversi sono stati i cittadini colpiti dal danno. 

«Ora quello che stanno facendo – prosegue Garzelli – è distribuire cibo e acqua. I supermercati e i negozi non ci sono più, quindi rifornirsi è impossibile. In più le autorità consigliano di non uscire, se non per andare al lavoro. Per chi ancora ce l’ha. Le strade sono bloccate dai mezzi pesanti oppure totalmente distrutte. In Spagna ora la polemica è contro l’intervento tardivo del Governo. I militari sono arrivati solamente quattro giorni dopo il disastro. Si rimbalzano le colpe ma sinceramente interessa poco. Per prime si sono mosse le persone colpite e i volontari: 12.000 cittadini sono scesi in strada a spalare il fango.

«La cosa che mi preoccupa maggiormente – aggiunge – è il futuro. Dei detriti, si contano tra le altre cose 80.000 auto distrutte, non si sa cosa farsene. Come fai a smaltire una così grande quantità di oggetti? Le scuole sono chiuse e anche tra i ragazzi non si parla che dell’alluvione. I miei figli con i loro amici non riescono a discutere di altro e li capisco. Uno dei miei ragazzi della scuola di ciclismo è stato preso dall’acqua, per fortuna è rimasto illeso. 

I cittadini sono scesi in strada per dare una mano, all’appello hanno risposto 12.000 persone
I cittadini sono scesi in strada per dare una mano, all’appello hanno risposto 12.000 persone

Ricordare e ricostruire

La memoria in certe situazioni conserva il dolore, lo rimpasta come fango e lo attacca alle pareti della nostra testa. La tragedia che stanno vivendo a Valencia continuerà a rimanere salda negli occhi di chi l’ha vissuta

«Dimenticare certe cose è impossibile – spiega ancora Stefano Garzelli – io e la mia famiglia lo sappiamo bene. Quando si è saputo che sarebbe arrivata questa perturbazione ero a Filottrano per lo Scarponi Day. Appena ho letto le previsioni e visto quanto successo a Bologna, dato che doveva essere la stessa perturbazione che poi sarebbe arrivata da noi, mi è venuta l’ansia. Da quel fatidico giorno di 12 anni fa ogni volta che piove forte mi prende questo stato emotivo. Anche i miei figli hanno la stessa reazione. 

«Per ripartire è necessario l’aiuto di tutti – conclude – Valencia e la sua provincia non possono farcela da sole. I cittadini sono in ginocchio. Mia moglie Maria ha ideato una raccolta fondi. Con le donazioni andremo a comprare alimenti di prima necessità, successivamente porteremo quanto acquistato nei differenti punti di raccolta nel nostro paese (Betera, ndr) e poi organizzeremo e distribuiremo il tutto casa per casa».

Chiunque abbia voglia di dare una mano può farlo a questo link.

Italia, Francia e Spagna: le grandi salite a confronto

22.08.2024
6 min
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La salite hanno sempre un certo fascino nel mondo del ciclismo. La maggior parte del pubblico, specie quello non abituale, associa la bici e i campioni alle montagne, alle Alpi soprattutto. Chi va in bici sa bene che le salite possono essere diversissime tra loro. Non si tratta solo di pendenze, ma c’è tanto altro a caratterizzarle. Fattori esterni, vedi il vento, la tipologia di gara, che solo un esperto può cogliere.

Giro d’Italia e Tour de France sono alle spalle, mentre la Vuelta si sta correndo proprio in questi giorni. Ognuno dei tre grandi Giri propone scalate e gruppi montuosi diversi. Per conoscerli meglio ne parliamo con chi di salite e grandi corse a tappe se ne intende, Stefano Garzelli.

Pantani e Garzelli sullo Zoncolan. Entrambi sono legatissimi, in modo diverso, anche al Mortirolo
Pantani e Garzelli sullo Zoncolan. Entrambi sono legatissimi, in modo diverso, anche al Mortirolo
Stefano, in onore alla Vuelta che si sta correndo, iniziamo a parlare dei Pirenei…

Tra le grandi catene montuose sono, mediamente, più facili. Più facili rispetto alle salite italiane e a quelle più note delle Alpi. Ma attenzione, comunque non ti regalano niente. Le salite dei Pirenei in generale sono abbastanza costanti, non presentano grosse pendenze e per questo sono abbordabili. Anche se i puertos dei Pirenei francesi, che tecnicamente non sono diversi da quelli spagnoli, con il caldo e il ritmo del Tour de France diventano selettivi.

Passiamo in Italia. 

Ne abbiamo molte, ma le prime che mi vengono in mente sono le Dolomiti, però anche nomi come Gavia, Stelvio, Mortirolo, Zoncolan: tutte queste sono le più difficili, anche tecnicamente. A volte sono strette, chi deve fare classifica cerca di prenderle in testa. Lo Zoncolan per 10 chilometri non scende quasi mai sotto al 15 per cento (e ha punte del 22 per cento da una parte e del 23 dall’altra, ndr). L’Italia ha davvero salite di tutti i tipi e tutte sono bellissime e impegnative. E per questo il Giro è la corsa più dura del mondo.

Visto che ci siamo parliamo degli Appennini, allora. Cosa ci dici di queste scalate?

Una catena montuosa tanto lunga, quanto variegate sono le sue salite. Le prime scalate appenniniche a cui penso sono il San Pellegrino in Alpe, il Terminillo, dove ho anche vinto, l’Abetone. Già queste tre sono molto differenti tra loro. Il San Pellegrino in Alpe è duro, mentre una scalata come Terminillo se fatta ad alto ritmo può fare male e selezione. 

Ad eccezione di alcune scalate, la strade alpine francesi sono ampie e pedalabili. Sono progettate così secondo le vecchie indicazioni di Napoleone, che voleva srade accessibili per gli eserciti. Qui il Lautaret
Ad eccezione di alcune scalate, la strade alpine francesi sono ampie e pedalabili. Sono progettate così secondo le vecchie indicazioni di Napoleone, che voleva srade accessibili per gli eserciti. Qui il Lautaret
La tua scalata appenninica preferita?

Direi il San Pellegrino in Alpe: particolare e anche a livello paesaggistico mi ricorda un po’ una salita alpina.

Andiamo in Francia, sulle Alpi…

Queste sono salite storiche. Le salite del Tour de France. Penso alla Bonette che dall’alto dei suoi 2.802 metri propone un paesaggio fantastico. Rispetto alle scalate alpine italiane, specie quelle dolomitiche, non hanno pendenze proibitive. Anche se alcune sono dure, vedi l’Izoard, il Galibier, l’Alpe d’Huez… Sono dure non tanto per le pendenze, ma perché non danno respiro. Alcune invece sono velocissime: Les Arc, la Rosiere, Isola 2000… sono salite al 6-7 per cento sulle quali oggi si va su con il 54. Merito anche delle nuove cassette posteriori che ti consentono di girare bene un 54×28. Un rapporto così ti fa fare tanta velocità.

Vosgi e Massiccio Centrale. Cosa ci dici?

Per certi aspetti, quelli tecnici almeno, mi ricordano un po’ gli Appennini, soprattutto i Vosgi anche se forse in media sono salite un po’ più corte. Salite che al massimo arrivano a 10 chilometri. Di solito hanno pendenze costanti e sono, sempre facendo un paragone con gli Appennini, molto più verdi sul piano del paesaggio. Non vorrei però dimenticare il Mont Ventoux…

Secondo Garzelli, i Vosgi e il Massiccio Centrale francese sono paragonabili ai nostri Appennini
Secondo Garzelli, i Vosgi e il Massiccio Centrale francese sono paragonabili ai nostri Appennini
Giusto: il Gigante di Provenza, che però non fa parte di nessun gruppo montuoso.

Premetto che non l’ho mai fatto in bici. Né da corridore, quando ho fatto il Tour non era mai stato inserito nel percorso, e neanche da commentatore Rai. Infatti per motivi logistici il compound è sempre montato in basso. Però questa salita andava menzionata. Una particolarità assoluta: lunga, impegnativa ma soprattutto spoglia, nuda. E’ affascinante.

Insomma dovrai farla prima o poi! Chiudiamo con la “tua” Spagna. Ci sono molte altre montagne oltre ai Pirenei…

Tante e non solo nella terra ferma. La Spagna ha le salite anche sulle isole, Gran Canaria (con il Pico de la Nieve, ndr), Tenerife dove c’è il Teide. Questa salita con i suoi quattro versanti è una magia. Ha tutto quello che serve: distanza, varie pendenze, quota… per me è il posto migliore per allenarsi. Lì davvero riesci a trovare la concentrazione giusta. Il Teide va vissuto.

E nella Spagna vera e propria?

Altre salite sono poi nella zona a Sud della Spagna, quella di Granada. Lì c’è il grande massiccio della Sierra Nevada. In teoria si può arrivare in bici fino a 2.850 metri, ma gli ultimi 10 chilometri sono sterrati. Anche in quella zona ci sono tante salite. Sono quasi tutte lunghe, perché partono da molto in basso, ma non sono quasi mai pendenti. Le strade sono anche piuttosto larghe e sono regolari.

Il Teide è un vero paradiso per allenarsi. Anche se non ci sono gare è comunque a pieno titolo una salita dei grandi campioni
Il Teide è un vero paradiso per allenarsi. Anche se non ci sono gare è comunque a pieno titolo una salita dei grandi campioni
Ma non sono finite le salite spagnole, giusto?

C’è la Nava Cerrada, vale a dire le montagne nei dintorni di Madrid, in pratica le salite di Alberto Contador. Sono abbastanza lunghe e regolari, molto stile Tour, vanno su al 7-8 per cento. E poi ci sono le scalate delle Asturie e queste sono le più dure di tutta la Spagna. Sono scalate lunghe, ma non lunghissime. Molte sono irregolari e quasi tutte hanno pendenze in doppia cifra. Sono salite paragonabili al nostro Mortirolo.

Qualche nome?

Quelle famose della Vuelta e che tanto le hanno dato: Angliru, Lagos de Covadonga, Pico del Buitre. Sono scalate di 10 massimo 15 chilometri, su strade strette spesso anche scoperte al sole e al vento. E con pendenze micidiali (anche oltre il 25 per cento, ndr).

Nelle Asturie scalate molto dure. Qui i Lagos de Covadonga (foto queverenasturias)
Nelle Asturie scalate molto dure. Qui i Lagos de Covadonga (foto queverenasturias)
Stefano, quali sono le tue salite preferite per ognuna delle tre Nazioni dei grandi Giri?

In Francia il Galibier, perché oltre che affascinante di suo ho anche un bel ricordo. Transitai per primo da solo nel 2003 e vinsi il premio Henri Desgrange. In Spagna direi i Lagos de Covadonga: non ci ho mai corso, ma nei tre anni in cui ho collaborato con l’organizzazione della Vuelta ogni volta che si arrivava lassù restavo a bocca aperta con tutti questi laghi che ti si aprono una volta terminata la salita. Davvero bello. 

Resta l’Italia…

In Italia il Mortirolo – risponde senza indugio Garzelli – perché è una grande salita e perché è quella dedicata a Pantani. E’ lì che Marco staccò Indurain e quelle per me sono immagini e ricordi da giovane. Pensate che qui in Spagna, dove vivo, se a qualche cicloamatore chiedi delle salite italiane ti dice subito: “Mortirolo”. E’ amatissimo.

Garzelli sulla Vuelta. Almeida favorito e intanto McNulty…

17.08.2024
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Con la cronometro di Lisbona si è aperta oggi la Vuelta Espana. Il terzo grande Giro dell’anno vede al via un buon lotto di partenti. Un lotto che analizzeremo con Stefano Garzelli, spagnolo d’adozione.

Intanto Brandon McNulty della UAE Emirates gioisce per la prima maglia roja. Ma in classifica generale i big sono tutti molto vicini: il primo è Roglic e a 2″ Almeida, poi man mano tutti gli altri fino a Landa che ha incassato ben più del previsto, ma conosciamo bene lo scalatore spagnolo.

McNulty (classe 1998) ha vinto la crono di apertura, precedendo di 2″ sia Mathias Vacek che Wout Van Aert. Ovviamente è anche maglia rossa
McNulty (classe 1998) ha vinto la crono di apertura, precedendo di 2″ sia Mathias Vacek che Wout Van Aert. Ovviamente è anche maglia rossa
Stefano, a te la parola…

Un buon parterre, non eccezionale, ma di un livello medio alto. Come spesso capita alla Vuelta, per molti è un appello di recupero. Non vedo un favorito su tutti, Primoz Roglic forse, ma c’è un grande punto di domanda sulle conseguenze della sua caduta al Tour, come starà?

Però la Red Bull-Bora si presenta con una grande squadra: oltre a Roglic, ci sono Vlasov, Lipowitz, Martinez…

Ma siamo sicuri che a questo punto della stagione sia positivo? Io credo che Martinez abbia preparato appositamente la Vuelta, mentre Vlasov e Roglic ci arrivano dall’infortunio al Tour. Il colombiano è arrivato secondo al Giro d’Italia, vorrà un suo spazio. Di contro, guardando al lato positivo questa squadra potrebbe giocare con 2-3 punte.

E così potranno scontrarsi con il blocco della UAE Emirates? Che ancora una volta è un team formidabile: Adam Yates, Joao Almeida, Isaac Del Toro…

Fortissimi, nulla da dire, ma in parte anche per loro vale lo stesso discorso di prima. Pensiamoci un attimo. Yates e Almeida già volano da metà giugno. Ve li ricordate al Giro di Svizzera? Primo e secondo nelle ultime quattro tappe. Hanno fatto benissimo al Tour e ora siamo a metà agosto e la Vuelta finisce l’8 settembre. Insomma, da tre mesi al top della condizione. Non vorrei potessero pagare qualcosa nella terza settimana. Però sono forti.

E Del Toro? Lui ha fatto un altro cammino…

E infatti lui potrebbe essere la sorpresa di questa Vuelta. Ragazzo fortissimo.

Ci eravamo lasciati così, con Seppe Kuss re dell’ultima Vuelta, oggi un po’ in ritardo rispetto agli altri uomini di classifica
Ci eravamo lasciati così, con Seppe Kuss re dell’ultima Vuelta, oggi un po’ in ritardo rispetto agli altri uomini di classifica
Kuss e la Visma-Lease a Bike. Cosa ne pensi?

Loro partono con un leader, che è appunto l’americano. Non ha corso né il Giro, né il Tour e da quel che ne so io è da cinque mesi che prepara questa Vuelta. E guarda caso ora che deve andare forte ha vinto Burgos e ha conquistato anche l’unica tappa in salita. Lui è il leader della Visma-Lease a Bike e in seconda battuta c’è Uijtdebroeks, con Van Aert solito battitore libero.

Guardiamo in casa nostra e veniamo ad Antonio Tiberi.

Per Antonio questa Vuelta sarà un banco di prova molto importante. L’anno scorso fece una grande Vuelta soprattutto nella terza settimana, al Giro ha confermato di avere le doti per un grande Giro e ora tutti lo aspettano ed è proprio qui che le cose cambiano.

Cioè?

Che adesso è più difficile. Adesso ha delle pressioni. E questo sarà un momento per capire se è già maturo. Io sono convinto che farà bene. Anche per come ha superato vicende complicate… Non era facile per un ragazzo della sua età e alla lunga credo che un fatto del genere lo abbia aiutato a formarsi caratterialmente. Senza contare che fisicamente c’è. A Burgos è stato terzo nella crono, significa che stava in condizione. Non era ancora al top, e va bene, perché da Burgos a fine Vuelta c’era quasi un mese, ma vuol dire che ha lavorato nel modo giusto.

L’obiettivo per lui può essere il podio?

Sì, anche se non sarà facile, perché come dicevo prima non c’è un faro, come Pogacar al Giro che indirizzava la corsa e dietro di lui una manciata di atleti sulla stessa linea. Qui in Spagna ci sono almeno una decina di atleti quasi tutti sullo stesso piano.

Mikel Landa di nuovo leader: saprà tenere la pressione? Per ora non è partito bene: 92° a 1’05” da McNulty
Mikel Landa di nuovo leader: saprà tenere la pressione? Per ora non è partito bene: 92° a 1’05” da McNulty
E poi, Stefano, c’è lui. L’oggetto più misterioso del ciclismo moderno: Mikel Landa…

In teoria, per come è andato al Tour, è il favorito! In Francia è andato fortissimo, ma lì era gregario, bisognerà vedere come renderà nel ruolo di capitano. E qui sta la grande differenza tra un ottimo corridore e un campione. Bisognerà vedere come avrà gestito tutti i fattori tra Tour e Vuelta, se non si è rilassato troppo, e ci sta dopo un Tour. Lui è davvero un’incognita ed è difficile da giudicare, lo ammetto.

Un altro oggetto misterioso, ma per altre ragioni, è Tao Geoghegan Hart. Cosa ci dici dell’inglese?

Bisogna vedere come sta dopo l’ennesima caduta a Burgos. Su Tao pende un bel punto di domanda per se stesso e per la squadra. Vicino a Skjelmose e Ciccone, che puntano alle tappe, vedremo lui cosa farà.

Marco Frigo è uno dei 16 italiani al via. Il più atteso di loro è Antonio Tiberi, che può ambire al podio
Marco Frigo è uno dei 16 italiani al via. Il più atteso di loro è Antonio Tiberi, che può ambire al podio
Vamos in Espana: Carlos Rodriguez, prima, e il blocco Movistar poi…

Carlos lo conosco bene: ragazzo d’oro, professionista esemplare, mi piace tantissimo. Mi aspettavo qualcosa di più dal suo Tour, ma in una top cinque ci può rientrare. Altri suoi compagni come Arensman, De Plus… magari potrebbero rientrare nei primi dieci, ma torniamo ai discorsi di prima. E cioè che il livello è molto simile per tanti atleti e che siamo all’ultimo grande Giro dell’anno, bisogna vedere come si ci arriva non solo fisicamente, ma anche mentalmente.

Movistar?

Una squadra più per fare “casino” che per la classifica vera e propria. Mas esce da un Tour anonimo, forse non sa più neanche lui che corridore è. Almeno prima emergeva “da dietro”, nel senso che quando i big acceleravano lui poi resisteva, questa volta niente. Magari qui proverà a tenere ma non sono così convinto su di lui. Per il resto la Movistar ha diversi attaccanti, tra cui Quintana che può puntare ad una tappa. 

Quindi quale potrebbe essere il podio finale di Stefano Garzelli?

Nell’ordine: Almeida, Kuss, Roglic. Joao mi piace tanto. E’ un “duraccio”, non molla mai, va bene in salita e va forte a crono e se si guarda magari al lato romantico della questione con la Vuelta che parte dal Portogallo, la vittoria di un portoghese ci starebbe bene.

Doppietta Giro-Tour. E’ possibile nel 2024?

05.11.2023
5 min
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Non c’è niente da fare, l’eterno discorso della doppietta Giro-Tour tiene sempre banco. Fa discutere, sognare, pensare… Se in oltre cento anni di storia ci sono riusciti solo in sette, un motivo ci sarà. E quest’anno più che mai, con due percorsi più accessibili, magari è la volta buona. Ma ecco che spunta il terzo “incomodo”, le Olimpiadi, a frenare la doppietta. Doppietta che Stefano Garzelli, in passato ha visto realizzarsi da vicino, grazie al compagno di squadra e capitano Marco Pantani.

Stefano Garzelli (qui con Alessandra De Stefano) ha vinto il Giro del 2000. Dal 2016 è commentatore tecnico per la Rai
Stefano Garzelli (qui con Alessandra De Stefano) ha vinto il Giro del 2000. Dal 2016 è opinionista per la Rai
Stefano, doppietta Giro-Tour, ma con vista sulle Olimpiadi…

Credo che possa riguardare soprattutto Pogacar questo discorso, ma penso anche che l’Olimpiade poi non vada ad incidere così tanto sull’eventuale doppietta. Il Tour de France resta obiettivo primario per un atleta di quel calibro, di quelle caratteristiche e di quella squadra.

Quest’anno i due percorsi per te favoriscono la doppietta?

Su carta sì, perché non sono due percorsi impossibili (qui quello del Giro e qui quello Tour, ndr). Tutti e due hanno un avvio molto tecnico, molto impegnativo e poi hanno una settimana finale molto impegnativa. Il Tour forse è un po’ più facile nella parte centrale. Il Giro d’Italia, tolto il tappone di Livigno che suera i 5.000 metri di dislivello, non ha frazioni impossibili. E anche in quella tappa, gran parte del dislivello si accumula con Aprica, prima, che non è dura, e con la Forcola soprattutto. La Forcola è lunga, ma non è a ridosso dell’arrivo e concede ampi recuperi e non credo farà grandissima selezione.

Al Tour certi tapponi non ci sono proprio… Molti hanno detto che Vegni ha disegnato questo percorso proprio per lui. Cosa ne pensi? Sarebbe l’occasione giusta?

Io credo che ancora per quest’anno, Tadej imposterà la sua stagione sul Tour de France. Viene da due secondi posti e vuole rivincere. Fisicamente potrebbe anche riuscirci e provarci, ma poi con un Vingegaard così deve essere al top del top. Non puoi fare il Giro prima del Tour, oltre al dispendio energetico ti esponi a rischi di cadute, infortuni… Hai un mese e poi ti devi far trovare subito pronto, perché come detto, la partenza è dura.

I tracciati di Giro e Tour non sono impossibili, ma le partenze non prevedono tappe di pianura come una volta, specie in Francia
I tracciati di Giro e Tour non sono impossibili, ma le partenze non prevedono tappe di pianura come una volta, specie in Francia
Prima invece si poteva non essere al 100 per cento….

Esatto. E poi con Vingegaard che è diventato un killer, sarebbe troppo rischioso. Quest’anno senza la caduta di Liegi (il riferimento è a Pogacar, ndr) credo che se la sarebbero giocata sul filo dei secondi fino alla fine, ma anche per un fenomeno come lo sloveno stare 25 giorni fermo in quel momento dell’anno non è facile. Anzi, solo lui poteva riuscire a fare secondo in quelle condizioni.

E a Stefano Garzelli sarebbero piaciuti questi due tracciati per tentare la doppietta?

Se avessi dovuto vincere il Tour, no. Rispetto ai miei tempi il ciclismo è cambiato ed è cambiato ancora di più negli ultimi 3-4 anni. E’ tutto più esponenziale, tutto vissuto al massimo. Pantani nel 1998 si ritrovò in quel Tour con le prime dieci tappe piatte. Non c’era neanche una salita. Nella crono di apertura arrivò tra gli ultimi (181° su 189, ndr). Poi, per una serie di circostanze e perché si chiamava Pantani, è riuscito a vincerlo. Marco andò in Francia senza troppa pressione. Aveva vinto il Giro. Ma oggi è diverso e il Tour è troppo importante.

Purtroppo per il Giro…

Purtroppo per il Giro, esatto. Se Pogacar questa estate avesse vinto la maglia gialla, magari al Giro ci sarebbe venuto, anzi forse lo avrebbe fatto al 100 per cento. Ma oggi più che mai sembra che conti sempre di più solo vincere. Come se un secondo posto in certe corse fosse da buttare, specie nella sua squadra. Sono arabi, hanno un’altra cultura. Sì, ne hanno messi due sul podio… ma non hanno vinto.

Marco Pantani sigla l’impresa a Montecampione e di fatto vince il Giro, 54 giorni dopo sarà in giallo a Parigi
Marco Pantani sigla l’impresa a Montecampione e di fatto vince il Giro, 54 giorni dopo sarà in giallo a Parigi
Hai parlato spesso delle due partenze, impegnative per entrambi i Giri: i percorsi vecchio stile con molta pianura all’inizio avrebbero favorito la doppietta?

Sul fronte della preparazione di certo è complicato. Al via del Giro devi farti trovare pronto. In più la corsa rosa ormai ha delle caratteristiche per le quali ogni giorno può esserci un’imboscata, un imprevisto, ogni tappa ha la sua storia… Al Tour c’è nervosismo. Sì, forse con due percorsi più facili in fase di avvio, la doppietta poteva essere un po’ più facile. E poi noi stiamo dando per scontato che vincere la corsa rosa sia facile, ma non lo è affatto. In più c’è da considerare che mentalmente è dura stare concentrati e sotto pressione 21 giorni e poi altri 21 giorni.

Inoltre nel 2024 ci sono le Olimpiadi, che forse riguardano più Pogacar che Vingegaard…

Come ho detto, non credo che le Olimpiadi incidano sulla doppietta. Chi esce dal Tour in questo caso o dalla Vuelta per il mondiale va sempre forte. Il tracciato dell’Olimpiade da quel che so non è durissimo e ci sono atleti come Philipsen, Van der Poel, Van Aert che ormai non sono solo velocisti, vanno forte anche su tracciati più tecnici.

E possono sfruttare il percorso per prepararsi al meglio. Pensiamo a Vdp quest’anno…

Chi va al Tour… va al Tour. Poi l’Olimpiade avrà un andamento tattico diverso, con pochi atleti per squadra. Pogacar correrà con la Slovenia, non con la UAE Emirates. La corsa pertanto sarà più difficile da controllare, specialmente se il percorso non sarà duro. Difficile per certi corridori puntare tutto su una corsa così.

Portogallo per allievi, con Garzelli e i suoi ragazzi

22.08.2023
8 min
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Uno scambio di messaggi con Garzelli nell’ultimo sabato di Glasgow, quando ormai non si vedeva l’ora di rientrare a casa, ci ha permesso di scoprire che appena dopo il ritorno a casa, Stefano si sarebbe imbarcato in una nuova avventura.

«Domani finisco – ha scritto – lunedì riparto, poi il bello sai qual è? Che giovedì parto io con la mia ammiraglia e vado al Giro di Portogallo con cinque allievi, tra cui mio figlio (in apertura il varesino con i due figli, Marco e Luca), a fare il direttore sportivo. Mille chilometri per arrivare alla partenza, tre tappe, poi domenica ritorno e finalmente muoio».

Quanti spunti in tre righe? Una corsa a tappe per allievi e un direttore sportivo che guiderà suo figlio dall’ammiraglia. Per questo gli abbiamo chiesto di prendere nota di tutto e fare foto, che di certo lo avremmo richiamato. Siamo stati di parola.

Tre tappe, dal 18 al 20 agosto: dopo i mondiali, per Garzelli un altro bell’impegno (foto UVP)
Tre tappe, dal 18 al 20 agosto: dopo i mondiali, per Garzelli un altro bell’impegno (foto UVP)
Com’è andata questa trasferta?

E’ andata bene. E’ la terza volta che vado in Portogallo con gli allievi, tramite un aggancio avuto tre anni fa con l’organizzatore Sergio Sousa, grazie a Joao Correia, il manager di Almeida e Geoghegan Hart. Era stata ed è stata ancora una bella esperienza, perché hanno un modo differente di correre rispetto agli allievi qui in Spagna. Anche più chilometri e dinamiche simili a quelle dei professionisti.

In che senso?

C’è un bel tempo massimo, quindi anche se vai in crisi può raggiungere il traguardo. Però le tappe sono più lunghe. In Portogallo li fanno crescere più rapidamente, vogliono il risultato prima.

Luca Garzelli, Javier Martínez, Oscar Vila, Ander Almajano, Javier Cubilla: al via col sorriso sulle labbra (foto UVP)
Garzelli, Martínez, Vila, Almajano, Cubilla: al via col sorriso sulle labbra (foto UVP)
E’ già abbastanza interessante che si faccia una corsa a tappe per allievi, no?

Ce ne sono tante anche in Spagna, di due-tre giorni, anche quattro. Una cosa che in Italia non c’è, anche se in certi momenti forse è troppo. La prima tappa era di 80 chilometri, ma facile. La seconda erano 78, ancora facile. La terza tappa era di 80 chilometri, con arrivo duro in salita. Non l’avevano mai fatto. La prima volta che sono andato, vincemmo la prima tappa perché avevamo una squadra molto forte. Poi piazzati nella seconda. Invece saltammo nella terza.

Andiamo con ordine, cosa hai fatto dopo i mondiali?

Lunedì sono andato a Milano, mercoledì sono arrivato a Valencia e il giovedì sono partito in macchina con i miei due figli: Luca il corridore, e Marco il più grande, che mi ha fatto da assistente. Il venerdì è arrivata un’altra persona che mi aiuta e poi sono venuti anche i genitori degli altri corridori, che l’hanno presa come una piccola vacanza.

Quanto è durato il viaggio? 

Dieci ore. Siamo partiti giovedì mattina alle 6,30 perché alle 15,30 c’era la punzonatura e dovevo esserci. Quindi ho dovuto fare una tirata unica. 

Che cosa rappresenta un viaggio così per una squadra di allievi?

Un regalo che gli faccio. Vai a correre in un Paese diverso, è stimolante. Dormivamo quasi tutti in grandi camerate, i corridori mangiavano tutti insieme, è qualcosa di nuovo. Per me è stato impegnativo, però penso che come esperienza sportiva sia molto utile per crescere.

E come è andata?

Abbiamo fatto quinti nella generale e per due giorni abbiamo avuto il leader del GPM, poi abbiamo fatto un altro quinto posto. Purtroppo alla fine c’era via una fuga di 15 con tre minuti e sull’ultima salita ha attaccato Goncalo Rodriguez, che è arrivato con 40 secondi, staccando tutto il gruppo. Così noi per 20 secondi non siamo arrivati sul podio e per 40 non abbiamo vinto la corsa.

Si corre con un andamento simile a quello dei pro’ e non nell’anarchia della categoria allievi (foto UVP)
Si corre con un andamento simile a quello dei pro’ e non nell’anarchia della categoria allievi (foto UVP)
Com’è la gestione del gruppo?

In Portogallo le radioline non ci sono, ma radio corsa ha lavorato molto bene, perché cadute ce ne sono state e non poche, idem le forature. Ne ho approfittato per insegnare ai miei ragazzi dove andare per il rifornimento, il fatto di alzare la mano quando fori, restando in coda al gruppo e segnalando a radio corsa se è la ruota anteriore o la posteriore. Stare dietro è un bello stress, però se imparano la gestione di questi momenti delicati, ne escono più maturi.

In Spagna si usano le radio anche fra gli allievi?

Sono l’unico che negli ultimi tre anni ha continuato a fare senza, ma in Spagna è così. Io ho detto di no, perché voglio che imparino a correre. Se gli dico ogni cosa, non impareranno mai a parlare tra loro, a capire come gestire le situazioni.

A che ora partivano le tappe?

Eravamo in una zona del Portogallo dove di mattina fa anche fresco, invece nel pomeriggio si arrivava a 35-38 gradi. Si partiva alle 10 e si correva fino alle 12,30-13. Quindi sveglia per lo staff alle 6 per preparare le macchine e per i corridori alle 7. Colazione e viaggio verso la partenza. Nel pomeriggio invece hanno corso le donne U19 e in questa settimana tocca agli juniores.

Colazione da corridori?

Mangiavano una via di mezzo, perché alla fine devono fare 80 chilometri. Cercavamo di impostarla come una buona colazione, magari se c’era anche con un po’ di riso, tanto per iniziare a prendere degli stimoli nuovi. E dopo ci trovavamo sotto, si caricavano le macchine, si andava alla partenza, presentazione delle squadre, firma, controllo rapporti e poi si correva.

Tanti misuratori di potenza?

Devo dire di sì. La categoria allievi è molto orientata sul professionismo. Io non sono d’accordo, stanno bruciando le tappe, però adesso funziona così e loro si adattano. Mio figlio è allievo di secondo anno e ancora non ce l’ha, ma l’anno prossimo passa nella squadra juniores della Electro Iper Europa, l’unica continental spagnola, quindi inizierà a lavorare per forza con il misuratore di potenza. Piuttosto, in Portogallo i rapporti erano ancora limitati.

In Spagna no?

No, da quest’anno in Spagna hanno i rapporti liberi, gli allievi usano il 53×11, come gli juniores. Prima c’era il 52×16, mentre in Portogallo abbiamo trovato il 52×14, quindi si vedeva gente cambiare i pignoni, bloccare i cambi, mettere il nastro isolante sul pacco pignoni. Abbiamo dovuto adattarci alle regole locali.

Interviste alla partenza. La squadra di Garzelli era qui per la terza volta (foto UVP)
Interviste alla partenza. La squadra di Garzelli era qui per la terza volta (foto UVP)
Sei riuscito a passare del buon tempo con i tuoi figli?

Abbastanza. Marco, il grande che aveva fatto questa corsa due anni fa, mi ha aiutato veramente tanto. Ha sofferto, ha vissuto per la prima volta una corsa della macchina, avendo in gruppo il fratello che tra l’altro è caduto. Era la seconda tappa, è andato giù a 60 all’ora a 4 chilometri dall’arrivo. Ha preso botte alle ginocchia, però non si è pelato per niente. Devo dire che è stato particolare anche per me…

Perché?

Quando sei dietro la corsa, ci sono tantissime cadute e tante problematiche. Io sono direttore sportivo, ma anche padre, quindi molte volte vado in conflitto con altri, perché vedo pericoli che altri non vedono. Perciò il giorno della caduta, Marco è sceso, ha aiutato suo fratello a cambiare la bicicletta, perché la sua era rotta. Sono stato momenti molto intensi.

Per i tre Garzelli, il viaggio ha permesso di passare insieme del bel tempo, parlando molto
Per i tre Garzelli, il viaggio ha permesso di passare insieme del bel tempo, parlando molto
Hai parlato delle famiglie dei corridori che sono venute con voi.

La nostra non è una mega squadra con chissà quali strutture. Abbiamo una macchina, un furgone e tanta voglia di andare a correre in bici. Vista la passione, i genitori vengono e aiutano. Li mando a fare rifornimento, ad altri passo le borracce per andare all’arrivo ad aspettare i corridori.  Alle mamme faccio mettere quattro sedie nella zona dove ci sono tutti i furgoni. Abbiamo sempre fatto così, è il modo che abbiamo avuto in questi anni io e mia moglie di gestire la squadra.

Più pesante il viaggio di andata o il ritorno?

Quello di andata, perché nel ritorno hai ancora l’adrenalina della corsa. Parli di come è andata, analizzi le cose. Il ritorno, devo dire, è stato proprio un bel viaggio. Sarà stato anche pesante, ma è la vita che mi piace. Adesso ho delle cose da fare a Valencia, tornerò in Italia per le corse in Lombardia…

Vingegaard alla Vuelta, cosa pensano Roglic ed Evenepoel?

26.07.2023
5 min
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Sarà rimasto peggio Roglic o Evenepoel? Garzelli sogghigna, per rispondere c’è comunque bisogno di sbilanciarsi. «Entrambi – dice – secondo me il fatto che alla Vuelta arrivi anche Vingegaard, per motivi diversi dà fastidio a entrambi».

Il Tour è finito da tre giorni. In Belgio impazzano i criterium, gli inviati resettano il cervello ed entrano in clima mondiali, ma la prospettiva della Vuelta con Roglic, Vingegaard ed Evenepoel tiene già alta la fiamma sotto la pentola. Probabilmente sono cose che capisci a fondo soltanto quando ci passi, ma non è difficile immaginare che l’annuncio del danese abbia colto di sorpresa i due campioni attesi alla sfida spagnola.

Garzelli ha commentato il Tour assieme ad Andrea De Luca. Il 16 luglio ha festeggiato i 50 anni (foto Instagram)
Garzelli ha commentato il Tour assieme ad Andrea De Luca. Il 16 luglio ha festeggiato i 50 anni (foto Instagram)

Motivazioni diverse

Magari il discorso di Remco è diverso: lui non è contento perché pensava di avere rivali già noti e… misurati, invece gli arriva fra capo e collo il vincitore del Tour. Mentre Roglic, che da giugno lavora per essere leader nella corsa già vinta per tre volte, si ritroverà allo stesso tavolo un ex gregario, ormai diventato capitano. Come successe a Simoni con l’arrivo di Cunego. Come quando Armstrong piombò in casa di Contador. E come quando al Giro del 2000 di Garzelli capitano, all’improvviso saltò fuori Pantani.

Stefano, qual è la ricetta perché la coppia funzioni?

E’ difficile che funzioni. Io sono sempre stato dell’idea che se vuoi vincere un grande Giro, devi andare con un capitano, altrimenti ogni volta si creano situazioni particolari. Nel mio caso, Marco arrivò all’ultimo momento. Insomma, era Marco Pantani e io ero un ragazzo giovane. Poi strada facendo la situazione si andò delineando, ma neppure allora fu troppo facile. Alla fine io sapevo bene che con Marco in corsa, non sarebbe stata la stessa cosa. Sia per me, sia per tutta la squadra. Non sarà facile per Roglic e Vingegaard.

Al Giro del 2000, Garzelli era il capitano, poi arrivò Pantani. Non fu facile, ma alla fine vinse Stefano
Al Giro del 2000, Garzelli era il capitano, poi arrivò Pantani. Non fu facile, ma alla fine vinse Stefano
Perché?

Perché nel ciclismo moderno è cambiato il modo di correre, si sta sempre tutti molto vicini. Però se ci sono situazioni particolari, devi stare vicino a due capitani, che magari per qualche necessità corrono in modo differente. Penso al Tour del 2022 nella tappa del pavé quando Vingegaard rimase senza bici e Roglic cadde. Insomma, la gestione si fa difficile. Diciamo che sarà bello vederli, sarà divertente…

Di solito in questi casi si dice che il polso della situazione deve averlo l’ammiraglia.

In teoria è così. Però se guardate, l’inizio del Tour per la Jumbo-Visma non è iniziato benissimo. C’erano anche lì due capitani – Vingegaard e Van Aert – sia pure con obiettivi differenti e già il secondo giorno Van Aert si è ritrovato senza appoggi. La situazione era complicata, Wout non era contentissimo. E anche se sono due corridori diversissimi, hanno rischiato comunque una piccola rottura iniziale, che per fortuna è stata subito chiarita.

Le tensioni fra Van Aert e Vingegaard al Tour si sono sciolte a Cauterets. La vittoria di Pogacar ha unito la Jumbo-Visma
Le tensioni fra Van Aert e Vingegaard al Tour si sono sciolte a Cauterets. La vittoria di Pogacar ha unito la Jumbo-Visma
Sono bocconi faticosi da mandare giù…

Infatti alla fine rimane sempre qualche piccola spina. Non è semplice, ci sono otto corridori, due fanno i capitani… Vedremo alla Vuelta! Chiaramente loro sono superiori. Io penso che Vingegaard, anche con una condizione inferiore a quella del Tour, può vincere la Vuelta.

C’è da capire quanto la sua presenza possa infastidire Roglic…

Io penso che un po’ sia scocciato. Loro vogliono entrare nella storia, vincere Giro, Tour e Vuelta nella stessa stagione, quindi forse per questo motivo hanno deciso di portare anche Vingegaard. E Jonas è coraggioso, è bello vedere che viene alla Vuelta e si mette in gioco nuovamente. Ha solo da perdere. Ha già fatto una stagione straordinaria: tranne la Parigi-Nizza, in cui è arrivato secondo, ha vinto tutte le corse cui è andato. Io credo che il suo obiettivo sia diventare il numero uno al mondo a fine 2023 e con la Vuelta e magari il Lombardia, potrebbe riuscirci. 

Alla Vuelta Roglic ritroverà Thomas e la sorpresa inaspettata del compagno Vingegaard (foto Instagram/Ineos Grenadiers)
Alla Vuelta Roglic ritroverà Thomas e la sorpresa inaspettata del compagno Vingegaard (foto Instagram/Ineos Grenadiers)
Anche perché ha detto: vado in Spagna a fare il capitano…

Assolutamente. Roglic ha vinto il Giro, lo ha gestito bene, però sarà una Vuelta durissima, la più dura degli ultimi quarant’anni. Gli organizzatori hanno approfittato del fatto che i mondiali ci saranno già stati, per disegnare una Vuelta spettacolare, per scalatori. Gli altri anni avevano un occhio di riguardo nei confronti degli uomini per il mondiale, questa volta invece nessuna pietà. E Vingegaard, come pure Pogacar, sono di un altro pianeta.

Pensi che Roglic pretenderà che Vingegaard lo aiuti?

Ora il capitano è Jonas, poco da dire: ha vinto il Tour. Il livello del Giro era più basso rispetto al Tour e la dimostrazione è stata comunque anche il Tour dell’anno scorso. Erano partiti alla pari e alla fine ha vinto Vingegaard, anche per la caduta di Roglic. Il danese va in Spagna da capitano, poi sarà la strada semmai a dire cose diverse.

Evenepoel ha vinto la Vuelta 2022, su un percorso non particolarmente impegnativo. Quest’anno sarà molto più dura
Evenepoel ha vinto la Vuelta 2022, su un percorso non particolarmente impegnativo. Quest’anno sarà molto più dura
Invece con Evenepoel come la mettiamo?

L’anno corso ha vinto la Vuelta, ma una Vuelta di due settimane, perché la terza era veramente facile. Dopo Sierra Nevada, che era la quindicesima tappa, il resto scorreva via facile, con Navacerrada e salite pedalabili. Lui ha vinto la crono di Alicante, però a Sierra de la Pandera è andato in crisi, anche perché era caduto due giorni prima. Insomma, eravamo tutti a chiederci quando incontrerà Pogacar al Tour e si ritrova con Vingegaard alla Vuelta. Quest’anno sarà un bel banco di prova.

Monte Lussari: per Garzelli qualcosa di mai visto

27.05.2023
6 min
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E’ oggi che si decide il Giro d’Italia. E stavolta non si potrà rimandare a domani. La scalata del Monte Lussari è l’ultima vera fatica di questa edizione della corsa rosa. E tutto è ancora in ballo.

Con Stefano Garzelli si ragiona su chi potrà essere il vincitore finale. Questi ragionamenti si facevano ieri pomeriggio in attesa dell’arrivo della tappa delle Tre Cime di Lavaredo. «Attaccheranno oggi – ci si chiedeva – rimanderanno tutto a domani». E soprattutto chi vincerà il Giro?

Garzelli in avanscoperta sulle rampe del Lussari
Garzelli in avanscoperta sulle rampe del Lussari

Lussari, un muro

Sono bastate queste due domande e “Garzo” è partito.

«Non ho mai visto qualcosa di simile, di più duro – ha detto il varesino – l’altro giorno siamo andati a provarla Contador ed io. Alberto per Eurosport e io per la Rai. Il tratto centrale è qualcosa d’incredibile. La pendenza non scende mai sotto il 17 per cento, il 15 in qualche tratto ma con punte superiori al 20 in altri. E’ un muro. Ed è così per 5 chilometri».

«Tutto si potrà decidere perché se si va in crisi è finita. E’ tanto, tanto particolare. Strada strettissima. Fondo in cemento. Gli hanno fatto questa lingua di cemento in mezzo al bosco». 

Due moto per i leader

Garzelli ci parla con fascino di questa scalata, ma anche con i dubbi che può portare con sé una prova tanto particolare come lui stesso l’ha definita. E le incertezze che di conseguenza genera negli atleti. 

Per esempio, i capitani avranno due moto al seguito ma gli altri no. E questo significa correre anche senza radio, in quanto sulla moto c’è solo il meccanico con in spalla la bici di scorta.

«Questi ragazzi – va avanti Garzelli – oggi senza radio sono spersi. Non sanno come regolarsi bene. Però mi hanno detto che i leader avranno una seconda moto per il direttore sportivo. So che Baldato, per esempio, sarà in contatto con Almeida».

«E poi c’è il cambio bici. Svolti a destra e passi dalla bici da crono a quella da strada in un attimo e subito su una rampa al 17 per cento. Non solo la muscolatura si deve abituare, ma anche la testa… E ancora: come affronti la parte in pianura? La fai a tutta? Non è facile».

C’è tanta incertezza dunque. E forse non sarà solo una questione di gambe. Chiaramente quelle conteranno, ma gli altri fattori che ha messo sul piatto Garzelli non vanno sottovalutati.

Roglic o Thomas

Chi vincerà dunque? Resta questo il quesito principale. Sulla bilancia anche in questo caso ci sono diversi elementi. Da una parte le pendenze estreme dovrebbero favorire Primoz Roglic, dall’altra lo stesso sloveno potrebbe rivivere i fantasmi del 2020 al Tour quando perse il Tour nella crono della Planche des Belles Filles. Però questa volta il leader non è lui. 

Un Ineos-Grenadiers, Geraint Thomas, che perde un grande Giro a crono noi non lo vediamo, sinceramente. E tutto sommato anche Garzelli fa la nostra stessa analisi. Il tutto poi dando per scontato che Joao Almeida non faccia il numero.

«Vero – dice Stefano – sappiamo quanto in Ineos lavorino su questa disciplina e suona strano che uno esperto come Thomas perda un Giro a crono. Però questa non è una crono normale. E le salite del Giro, specie queste salite, non sono quelle del Tour. Certe pendenze Thomas potrebbe soffrirle.

«E quella sua posizione poi… Tutto in avanti. Penso anche al discorso del cambio di bici, alla sua muscolatura e al discorso fatto prima dell’abituarsi al cambio in pochissimi secondi».

Su pendenze dure, Roglic in teoria è favorito, ma Thomas ha dimostrato di essere in palla
Su pendenze dure, Roglic in teoria è favorito, ma Thomas ha dimostrato di essere in palla

Fattori da valutare

Tanti sono i punti di domanda. Il discorso della pendenza è vero. Su carta il gallese soffre queste pendenze, anche in virtù della sua pedalata più dura e del suo fisico che non è da scalatore, ma sin qui ha dimostrato di andare forte sulle rampe più dure. Anche ieri sulle Tre Cime ha risposto bene a Roglic, salvo poi “impiccarsi” da solo quando ha voluto scattare. Ha capito che non può permettersi tali fuorigi su certe pendenze.

«E quelle del Lussari oltre che dure, ripeto, sono anche rampe lunghe. Per darvi un’idea, io salivo a 4-5 chilometri orari. Loro potranno fare gli 8-9».

Tanti aspetti che non fanno che alimentare la sfida e l’attesa della sfida. Non ultimo la scelta della monocorona da parte di Roglic fatta ieri. Scelta che oggi potrebbe replicare. Noi, per esempio, non sono siamo certi che la mono abbia avvantaggiato Primoz sulle rampe delle Tre Cime. E tutto sommato, tornandoci brevemente dopo la tappa, anche Garzelli nutre qualche dubbio.

Dalle immagini in tv si vede chiaramente come in certi frangenti lo sloveno sia super agile e in altri piuttosto duro. La scala posteriore (10-44) fa salti di 3-4 denti per ingranaggio, non è progressiva. Tutto è da scrivere. 

Giro 2003, rileggiamo il romanzo con Garzelli

30.04.2023
6 min
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Rivivere a distanza di vent’anni quel che successe al Giro d’Italia del 2003 ha un che di romantico. E’ come un bel romanzo che si dipana capitolo dopo capitolo fino a svelare solamente alla fine il suo epilogo, incerto fino alla conclusione. Fu una bella edizione, quella, con protagonisti di primissimo piano e il fatto che fossero pressoché tutti italiani dà al tutto un pizzico di malinconia.

Uno di quei protagonisti al Giro c’è ancora, ma in altra veste. Stefano Garzelli, colonna della Rai, viene da giorni intensi, dopo aver fatto la spola fra il Belgio per seguire le classiche e le ricognizioni per le varie tappe della corsa rosa. Ripensare a quell’esperienza così lontana nel tempo, pietra miliare della sua giovinezza prima ancora che della sua carriera, riaccende antiche emozioni e lo allontana dalle frenesie quotidiane.

«E’ vero, ripensandoci è come un romanzo – afferma il varesino – ed è normale che viva i ricordi con un po’ di nostalgia perché fu un’edizione piena di significati, molti anche acquisiti dopo, ripensandoci perché fu l’ultima edizione con al via Marco Pantani».

Pantani e Garzelli sulle dure rampe dello Zoncolan. La gente è in visibilio…
Pantani e Garzelli sulle dure rampe dello Zoncolan. La gente è in visibilio…
Di primo acchito qual è l’immagine che ti viene subito in mente?

Se chiudo gli occhi è come se mi vedessi da fuori, mentre salgo sulle rampe dello Zoncolan insieme a Marco. Era la prima volta che si affrontava la dura salita friulana, erano rampe molto dure. Io e Marco affiancati, quelle due “teste smerigliate” sotto il cielo, uno di fianco all’altro, con la gente che ci incitava. Poi quella tappa la vinse Simoni, ma il primo ricordo che mi viene è proprio legato a quest’immagine. La più bella, la più indelebile nella memoria.

Che Giro fu?

Davvero molto bello e lo dico senza averlo vinto. Sulle prime ci rimani male, è logico che sia così, ma a distanza di tanto tempo credo sia stata una bella pagina di sport, tre settimane molto intense che disegnarono un’edizione rimasta nella storia, godibile dalla prima all’ultima tappa proprio come un romanzo, la definizione è esatta.

Prima tappa a Lecce, Petacchi batte Cipollini. Alla fine vincerà 6 tappe, 2 invece per l’iridato
Prima tappa a Lecce, Petacchi batte Cipollini. Alla fine vincerà 6 tappe, 2 invece per l’iridato
Anche tu hai subito citato Marco. Quella fu la sua ultima edizione prima della tragedia di Cesenatico. Che Pantani era quello contro cui ti confrontavi?

E’ stato probabilmente l’ultimo momento di spicco della sua carriera. Partì che non era ancora al massimo, ma trovò la condizione strada facendo e a tratti sembrava tornato quello di un tempo. Diede vita a prestazioni di alto livello, ma non aveva ancora la costanza di prima. In certi momenti però, quando scattava sui pedali era un’emozione vederlo anche per chi come me era in lotta con lui.

Non eravate più in squadra insieme…

No, eravamo avversari, ma questo non influiva sul nostro rapporto. Parlavamo tutti i giorni, in corsa e fuori, ci si incrociava al mattino prima del via. Si vedeva che finalmente era tranquillo e voleva essere competitivo. Aveva ancora la voglia di faticare per tornare il campione che era.

Pantani affranto dopo la caduta di Sampeyre. Eppure quello fu un Giro positivo per il Pirata, alla fine 14°
Pantani affranto dopo la caduta di Sampeyre. Eppure quello fu un Giro positivo per il Pirata, alla fine 14°
La prima settimana fu dedicata prevalentemente alle volate…

Sì, ma ci fu spazio anche per i capitani che puntavano alla classifica. Io mi aggiudicai la terza frazione, quella di Terme Luigiane dove si arrivò con un gruppo ampio, ma non era uno sprint per velocisti. Anticipai la volata e vinsi su Casagrande e Petacchi che conservò la maglia rosa. Io salii al secondo posto a 17” e cominciai a fare un pensierino al simbolo del primato.

Quattro giorni dopo un’altra vittoria, al Terminillo.

Di ben altra pasta, quella fu una giornata durissima, con distacchi enormi. A 5 chilometri dal traguardo eravamo rimasti in 4: io, Simoni, Noè e Tonkov. Si vedeva però che io e Simoni eravamo superiori, lui dava strattonate forti ma io tenevo. Mi affiancavo a lui e lo guardavo, per fargli capire che non mi faceva male. Poi in volata la spuntai e mi presi la maglia, gli altri presero belle botte (Casagrande oltre 2 minuti e mezzo, Pantani un altro in aggiunta, ndr).

L’acuto del Terminillo, il secondo al Giro 2003 valse a Garzelli la conquista della maglia rosa
L’acuto del Terminillo, il secondo al Giro 2003 valse a Garzelli la conquista della maglia rosa
Che cosa successe dopo?

A Faenza, Simoni si prese la maglia per soli 2” nella tappa vinta dal norvegese Arvesen. Sullo Zoncolan il campione trentino era rimasto staccato dopo la mia azione con Pantani, ma si riprese e conquistò altri 34”, ampliando poi il vantaggio nella frazione dell’Alpe di Pampeago, vinta ancora da lui, e nella cronometro di Bolzano. Era però ancora tutto da giocare, fino alla tappa di Chianale.

Quella della grande caduta…

Già, uno dei momenti più duri della mia carriera. Discesa, Simoni è davanti. La giornata è terribile: pioggia, grandine, asfalto che dire scivoloso è poco. Fa talmente freddo che la sensibilità alle mani è quasi nulla. Ma devo recuperare, quindi affronto la discesa del Sampeyre a tutta. Solo che prendo una curva a sinistra troppo forte, le ruote non tengono e volo via. Attaccato a me c’è Pantani e anche lui fa un bel ruzzolone. Siamo messi male, ci rialziamo dopo tempo e finiamo a 7 minuti. Il Giro in pratica finisce lì.

La terribile discesa del Sampeyre, con ghiaccio sulla strada. In 34 finirono fuori tempo massimo
La terribile discesa del Sampeyre, con ghiaccio sulla strada. In 34 finirono fuori tempo massimo
Rimpianti?

A dir la verità no, dovevo provarci. Le cadute fanno parte del ciclismo, anche quelle ne diventano la storia. Mi arrabbiai, tanto. Ma ora riguardo a quei momenti con uno stato d’animo diverso, per certi versi anche romantico.

Ci sono punti in comune tra quel Giro e quello che sta per partire?

Fare paragoni fra gare distanziate di vent’anni è troppo difficile. Il ciclismo è cambiato molto più di quanto dica il tempo, sono due epoche completamente diverse. Potrei dire che anche quel Giro nasceva sotto il marchio della sfida a due fra Simoni e me come effettivamente fu e come dovrebbe essere il prossimo incentrato sul confronto Evenepoel-Roglic. Ma le differenze sono enormi.

Simoni con Garzelli, i due favoriti della vigilia onorarono il pronostico finendo ai primi due posti
Simoni con Garzelli, i due favoriti della vigilia onorarono il pronostico finendo ai primi due posti
Tu hai lavorato alle ricognizioni delle tappe. Da quel punto di vista, come disegno generale, trovi affinità?

Il Giro è diverso ogni anno. Ci sono edizioni più dure ed edizioni meno, anni con salite storiche e anni con nuove ascese. Quest’anno ad esempio tornano le Tre Cime di Lavaredo e il Bondone che non è stato affrontato molto spesso. Quell’anno ci fu il Terminillo e stavolta si sale a Campo Imperatore. Ogni anno si cambia, ogni anno lo spettacolo si rinnova.

E l’atmosfera vissuta è diversa da quella di allora?

Quando la vivi da corridore ha un sapore diverso, sei parte di un grande show. Ora con il lavoro che faccio non riesco a godermi tanto quel che succede intorno, ho troppi pensieri a cui far fronte, ma non nascondo che quando sono all’arrivo, vedo la gente, la carovana che arriva qualcosa alla gola mi prende. E quando guardo la luce negli occhi di chi vince e di chi indossa la maglia rosa, mi accorgo che quella luce è la stessa di allora e di sempre.