Gandin: sogni ed ambizioni con la Corratec

22.07.2022
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Per Stefano Gandin questa è una stagione da all-in, da dentro o fuori. Il suo anno alla Corratec lo sta vivendo così: sul filo del rasoio. Per il 26enne veneto le possibilità rimaste per dimostrare il proprio valore erano poche, anzi quasi nulle. La Zalf era diventata una squadra fin troppo “stretta” per un elite come lui, uno che ancora voleva dimostrare il suo potenziale. L’occasione ha bussato e sul biglietto da visita aveva scritto: Team Corratec, la neonata continental che sogna in grande. 

Stefano con la maglia amaranto della squadra guidata da Serge Parsani ha conquistato prima la maglia di miglior scalatore al Giro di Sicilia. Invece, poche settimane fa ha messo in saccoccia la prima vittoria, al Sibiu Tour (in apertura, foto Focus Photo Agency), sulle strade che hanno incoronato Aleotti per la seconda volta di fila. Nell’ultima tappa, divisa in due: al mattino cronoscalata, nel pomeriggio la frazione in linea.

La giornata era iniziata con un problema tecnico nella crono, ma nel pomeriggio si è preso la rivincita (foto Focus Photo Agency)
La giornata era iniziata con un problema tecnico nella crono, ma nel pomeriggio si è preso la rivincita (foto Focus Photo Agency)

La prima vittoria tra i grandi

Vincere è sempre un’emozione particolare, soprattutto se si tratta della prima vittoria nel ciclismo dei grandi. In particolar modo se non ci credevi, o per lo meno il destino sembrava avverso.

«L’ultimo giorno di corsa al Sibiu Tour – ci spiega Stefano – avevamo in programma due semitappe, prima una cronoscalata e nel pomeriggio l’ultima frazione in linea. Io partivo per la cronoscalata con delle buone sensazioni ed intenzioni, ma durante la prova mi si è rotta la bici e ho addirittura rischiato di finire oltre il tempo massimo. Il pomeriggio avevo voglia di riscattarmi e sono partito con il coltello fra i denti, ho cercato in tutti i modi di entrare a far parte della fuga, che è uscita di prepotenza.

«Una volta tagliata la linea del traguardo ero incredulo ma felicissimo, vincere una gara con sei squadre WorldTour e tante professional non me lo sarei mai aspettato. E’ stata una vittoria che mi ha dato consapevolezza dei miei mezzi, mi ha fatto capire che posso correre tra i professionisti. Alla fine quest’anno, al netto della maglia al Giro di Sicilia e questa vittoria, ho sempre corso davanti, sono andato spesso in fuga, diciamo che mi sono fatto vedere».

Ora Gandin si trova al Giro del Venezuela: aveva già corso laggiù a gennaio nella Vuelta al Tachira (foto Anderson Bonilla)
Ora Gandin è al Giro del Venezuela, dove aveva già corso a gennaio la Vuelta al Tachira (foto Anderson Bonilla)

Un’estate esotica

Ora Gandin si trova a Caracas, pronto per correre la Vuelta Ciclista a Venezuela. Domani mattina prenderà un altro aereo per arrivare a Puerto Ordaz, sede di partenza della prima tappa. 

«Siamo venuti a correre in Venezuela – ci racconta Gandin dall’altra parte del telefono, con la connessione che va e viene – perché uno dei nostri sponsor è di qui, di conseguenza la squadra ci tiene a far bene. Non è una corsa molto adatta alle mie caratteristiche, ha un percorso fin troppo semplice, ma serve anche per mettere chilometri nelle gambe. Una volta finito qui, il 31 luglio andremo a Guadalupe a fare un’altra corsa a tappe di una decina di giorni. Essendo un’isola francese ci saranno tante continental, quindi il livello sarà alto.

«Fare 20 giorni di corsa fra luglio e agosto non è da tutti, anche perché ora in Europa il calendario presenta solo gare WorldTour. Da un certo punto di vista devo ringraziare la Corratec e il ciclismo, senza di loro non avrei mai avuto modo di visitare luoghi come questi».

Gandin 2022
Gandin aveva già conquistato la prestigiosa maglia pistacchio per il leader della classifica dei GPM al Giro di Sicilia
Gandin 2022
Gandin aveva già conquistato la prestigiosa maglia pistacchio per il leader della classifica dei GPM al Giro di Sicilia

Tutto o niente

Quando a 25 anni ti trovi ancora nel limbo tra il dilettantismo ed il professionismo, non è facile prendere una decisione. Continuare diventa un rischio, ma smettere non è mai facile, anzi, fa male. Questa situazione ti porta a cogliere tutte le occasioni che ti si presentano davanti.

«Quando la Corratec mi ha contattato ero in Zalf – ci dice il corridore veneto – il motivo che mi ha spinto qui è stato quello di correre tanto all’estero e con i professionisti, ero al bivio. Non aveva senso correre con i dilettanti, la Zalf è una grande squadra ma ha più senso per un corridore giovane, un under 23, che ha la possibilità di mettersi in mostra fin da subito. La Corratec mi ha promesso un calendario più denso, impegnativo, l’obiettivo di questa squadra è ben figurare in mezzo a corridori più maturi.

«Mi sento di essere cresciuto, le prove con i professionisti, soprattutto quelle a tappe, ti permettono di alzare sempre più il livello. Gli anni scorsi disputavo una o due corse a tappe all’anno e le finivo stremato. Quest’anno sono alla sesta e sento di migliorare costantemente anche nel recupero. Dopo uno o due giorni sono pronto per rimettermi subito in gruppo».

La chiamata della Corratec è arrivata nel momento giusto, quello del riscatto (foto Jorge Riera Flores)
La chiamata della Corratec è arrivata nel momento giusto, quello del riscatto (foto Jorge Riera Flores)

Una futura professional?

A marzo, nell’intervista fatta a Serge Parsani, era emerso come la Corratec avesse intenzione di fare la squadra professional già nel 2022, per diversi motivi questo non è accaduto. Non è quindi da escludere che la prossima stagione il neo nato team possa fare il salto di categoria.

«Si parlava già dallo scorso anno che la Corratec avrebbe voluto fare la squadra professional – dice Gandin – e qualche voce di rimbalzo è arrivata anche a noi corridori. Queste voci ci danno maggior motivazione per continuare a far bene. Qui in Corratec la mentalità e il sostegno che la squadra offre ai corridori è da team professional. Anche queste trasferte fanno capire quanto gli investimenti e la voglia di crescere siano importanti. Il mio obiettivo è quello di passare professionista, non lo nego. E se dovessi farlo con la Corratec ne sarei ancor più felice».

Pogacar Tirreno 2022

Se Pogacar è come Merckx, gli altri corrono per il secondo posto?

17.03.2022
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Le parole rilasciate alla stampa qualche giorno fa da Lefevere hanno aperto una visione diversa sul clamoroso avvio di stagione di Pogacar. All’indomani del trionfo dello sloveno alla Tirreno-Adriatico, il patron della Quick Step aveva sentenziato non senza un pizzico di mestizia: «Quando è passato pro’, si diceva che Remco Evenepoel fosse il nuovo Merckx, ma la verità è che questi è Pogacar».

E’ chiaro che fare i paragoni fra corridori di epoche diverse è sempre improponibile, ma qualcosa che accomuna campioni così lontani nel tempo c’è, soprattutto quest’anno che il corridore del Uae Team Emirates sembra non lasciare che le briciole ai suoi avversari ed è dato proprio dall’atteggiamento di questi ultimi. Rispetto agli anni scorsi, sembra che essi si sentano battuti in partenza, che quando Tadej scatta non se la sentano di rispondere (foto di apertura alla Tirreno-Adriatico) e inizino già a pensare al secondo posto.

Parsani 2021
Serge Parsani ha vissuto l’epopea di Merckx e ora valuta Pogacar con l’esperienza del diesse
Serge Parsani ha vissuto l’epopea di Merckx e ora valuta Pogacar con l’esperienza del diesse

L’importanza della testa

Abbiamo preso quindi spunto da queste e altre considerazioni per confrontare i due campioni. Non per entrare nel merito di chi sia più forte, ma per capire come venivano e vengono affrontati. Serge Parsani ha condiviso i suoi primi anni in carovana da corridore con Merckx, correndo assieme a Felice Gimondi. Oggi guida il Team Corratec dopo oltre trent’anni in ammiraglia, quindi può fare un raffronto.

«Sono corridori con un talento naturale – spiega – che hanno una marcia in più, ma soprattutto sanno come farla fruttare. La forza di Pogacar non è solo nelle gambe, ma nella testa. Sa ragionare in corsa e questo gli permette di scattare al momento giusto».

Che cosa accomuna due esperienze così lontane nel tempo? «A mio parere è la consapevolezza di avere al fianco un grande team. Merckx non era solo estremamente superiore agli altri, ma aveva a disposizione una squadra fortissima. Almeno 6 corridori sarebbero stati capitani in ogni altro team. Questo gli consentiva di viaggiare al coperto e al sicuro fino al momento nel quale decideva di fare la differenza. Ora anche Pogacar ha un grande team alle sue spalle e alla Tirreno-Adriatico si è visto. Questa è una differenza fondamentale rispetto a qualche anno fa».

Merckx De Vlaeminck
Merckx inseguito da De Vlaeminck: quando il Cannibale scattava, era davvero dura tenergli dietro…
Merckx De Vlaeminck
Merckx inseguito da De Vlaeminck: quando il Cannibale scattava, era davvero dura tenergli dietro…

Tutto nasce dal Tour 2020

Parsani entra più nello specifico: «Io credo che allo sloveno sia servito molto il primo Tour – dice – quello vinto praticamente senza squadra. Lo ha aiutato a crescere mentalmente. Allora doveva togliersi le castagne dal fuoco da solo, ora ha compagni in grado di aiutarlo fino a quando serve e questo gli dà sicurezza. Ma non basterebbe se non avesse lui la capacità di ragionare e “leggere” la corsa in ogni momento».

Qual è però l’atteggiamento degli avversari? «Un po’ quella sensazione di impotenza c’è. C’era anche ai tempi di Merckx – ammette – ma non posso dire che Gimondi ad esempio partisse battuto, cercava sempre di lottare e infatti le sue grandi vittorie se le è prese. Il fatto è che quando Merckx scattava era come buttare un sasso in uno stagno con i pesci che fanno il vuoto. Si apriva gli spazi dietro di lui. Stringeva i cinghietti e capivamo che di lì a poco sarebbe finita…».

Pogacar Almeida 2022
Pogacar con Majka e Almeida, fondamentali ora nelle sue vittorie
Pogacar Almeida 2022
Pogacar complimentato da Almeida, un’altra pedina importante nello scacchiere Uae

Gli altri non vincono così…

Avviene lo stesso con Pogacar? «In questo momento sì – prosegue Parsani – perché collimano tante cose: la forma fisica e mentale, il morale, anche la fortuna. Tutto ciò gli dà la convinzione per tentare imprese come quella della Strade Bianche. Chi lo guardava pensava che fosse una pazzia, invece…

«Anche Roglic vince, ma non allo stesso modo. A Siena, ad esempio, Pogacar ha vinto anche di testa. Sapeva che nel gruppo ormai quasi tutti erano isolati, al massimo potevano avere un compagno e quindi trovare un accordo per l’inseguimento sarebbe stato difficile. E’ come con la Formula Uno: sai che la Mercedes ha il motore più potente e quindi le possibilità di vincere per gli altri scendono notevolmente».

L’idea di Adorni

Eppure… A ben pensarci, proprio la storia di Merckx insegna che anche contro lui che vinceva dalla grande classica alla corsetta in circuito, si poteva sperare. Una considerazione che fa parte dei ragionamenti di Vittorio Adorni, che ci ha corso insieme e lo ha poi guidato dall’ammiraglia.

«C’erano anche giorni che non era in condizione – dice – che in un grande Giro veniva da noi a dire che aveva mal di gambe e a chiederci di aiutarlo. Ricordo quando lo conobbi. Arrivò in squadra dopo il ritiro pre-stagionale perché si era sposato, ma vidi subito che, anche se non aveva le nostre ore di preparazione, aveva qualcosa in più. Al Giro lo misero in camera con me ed ebbi modo di parlarci: aveva una forza fisica soverchiante, ma doveva crescere come testa. Ogni mattina ci diceva “io attacco”: noi a frenarlo, a dirgli di aspettare e in corsa ce lo chiedeva di continuo se era il momento. Poi, quando andava via, faceva il vuoto».

Adorni Faema
Adorni alla Faema, dove accolse un giovanissimo Eddy Merckx
Adorni Faema
Adorni alla Faema, dove accolse un giovanissimo Eddy Merckx

Nessuno è imbattibile

L’aspetto mentale, già sottolineato da Parsani, è fondamentale anche per Adorni nel vedere le imprese di Pogacar.

«Ha una potenza fisica enorme – dice – ma si vede soprattutto che corre con tranquillità, divertendosi. Lui “sente” la corsa, percepisce sempre la situazione e la condizione degli avversari e questo gli permette di attaccare quando sa che può scaturirne qualcosa d’importante. Si conosce bene, sa che cosa il suo motore può dargli».

Fin qui Pogacar, ma gli altri? «Gli altri soffrono, perché non riescono a capire se e quando lo sloveno va in difficoltà. E bisogna considerare anche che, nel caso, adesso c’è un team che può supportarlo al meglio. E’ chiaro poi che vittoria dopo vittoria crescono la sua consapevolezza e il suo entusiasmo, mentre si affievoliscono quelli degli avversari, anche inconsciamente. Inoltre quest’anno Tadej ha dimostrato che può vincere in vari modi e fare la differenza sia in salita che in pianura, proprio come faceva Eddy».

Non c’è quindi spazio per cambiare lo spartito? «Al contrario – ribatte Adorni – come ho detto, non sempre tutto fila liscio. Per vincere deve collimare tutto. Ora è soverchiante, ma che cosa succederà quando di fronte a un avversario al top lui sarà non al meglio? Come si gestirà? Le cose possono cambiare da una corsa all’altra e questa è la bellezza del ciclismo».

Team Corratec: una “nuova” continental, ce la racconta Parsani

08.01.2022
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Serge Parsani torna nel mondo del ciclismo, all’età di 69 anni, con gli ultimi tre passati “a riposo” a Bergamo. Rientra in gruppo grazie a Frassi ed alla sua nuova squadra: il team Corratec, patrocinato dal comune di Montecatini Terme. Frassi esce dall’esperienza con la Vini Zabù che ha chiuso i battenti al termine della scorsa stagione.

Cosa ti ha spinto a sposare un progetto come quello di Frassi?

Sono stato contattato da lui dopo il Giro di Lombardia e mi ha chiesto di intraprendere questa nuova avventura. Ero fuori dal giro da tre anni, ma la passione è troppo forte ed appena ne ho avuta l’occasione sono tornato. Non ero però molto sicuro di ricominciare.

Come mai?

Perché avevo la mia vita tranquilla qui a Bergamo, non ero molto dell’idea di tornare a viaggiare e stare lontano da casa. Poi però Frassi mi ha detto che il mio sarebbe stato un ruolo manageriale, da svolgere dietro la scrivania.

Con Frassi avevi mai lavorato precedentemente?

No mai, ne avevo sentito parlare e lo conoscevo di nome.

Frassi (a sinistra) è il principale artefice della nascita del team Corratec
Frassi (a sinistra) è il principale artefice della nascita del team Corratec
Dovrai trasferirti in Toscana o svolgerai il tuo ruolo da casa?

Qualche volta andrò giù, ma non è necessario, ora si lavora molto a distanza. Ci siamo incontrati già a Montecatini per svolgere le visite mediche dei ragazzi a metà dicembre.

Il progetto è quello di una continental. Era quello a cui puntavate?

Non precisamente, avevamo presentato le carte, la fideiussione e la garanzia all’UCI per aprire una professional. Poi però non ci hanno dato l’autorizzazione per fare la squadra e abbiamo virato sulla continental. Avremmo preferito la prima opzione visto che ci sono più possibilità di mettersi in mostra potendo partecipare a Tirreno-Adriatico e Giro d’Italia. Molte squadre promettono agli sponsor di partecipare a queste gare anche se poi non è sempre così…

Con bici Corratec alla Vini Zabù nel 2021 ha corso anche Jakub Mareczko, oggi alla Alpecin
Con bici Corratec alla Vini Zabù nel 2021 ha corso anche Jakub Mareczko, oggi alla Alpecin
Che rosa sarà quella del team Corratec?

Abbiamo otto under 23 che dovrebbero diventare nove, cinque elite e due ex pro’. Avremmo in realtà un altro ex pro’ da aggiungere in rosa ma le regole ne prevedono solamente due, stiamo aspettando di capire se la federazione ci darà una deroga.

Gli ex pro’ chi sono?

Veljko Stojnic che era alla Vini Zabù e Dusan Rajovic, lui arriva dalla Delko Marseille.

E gli altri corridori?

Avendo chiuso la squadra all’ultimo non abbiamo una rosa estremamente competitiva. Anche tra i ragazzi under 23 abbiamo preso qualche corridore sul quale nutriamo dei dubbi. Come anche gli elite, ci sono ragazzi che fanno fatica a trovare posto nel professionismo anche a causa della mancanza di squadre.

Con la chiusura della Vini Zabù le squadre professional italiane sono tre (Eolo Kometa, Drone Hopper e Bardiani CSF Faizanè)
Con la chiusura della Vini Zabù le squadre professional italiane sono tre
Non sarebbe stato meglio aspettare un anno e costruire una squadra più competitiva puntando direttamente alla professional?

Avremmo rischiato di perdere molti sponsor ed anche qualche corridore. Una cosa è certa, da metà primavera in poi inizieremo a lavorare per fare la professional nel 2023.

Il calendario invece, lo avete delineato?

Faremo sicuramente la doppia attività distinguendo under 23 ed elite. Partiamo con la Vuelta al Tachira in Venezuela che dovrebbe partire tra una quindicina di giorni. Poi voleremo in Turchia a febbraio e ci rimarremo tre settimane. Per gli under 23 il debutto dovrebbe essere alla San Geo. Non abbiamo ancora il calendario definito perché è difficile ottenere gli inviti essendo una squadra appena nata.

La Corratec nasce a Montecatini Terme, a 20 chilometri da San Baronto, sede della Vini Zabù. Le bici sono le stesse: Corratec, sponsor tedesco che dà il nome anche alla squadra. Lo staff è rimasto praticamente identico: direttore sportivo (Frassi), massaggiatori e meccanici in primis, e come detto sono rimasti due corridori: Masotto e Stojnic. Lo stesso Parsani ha alle spalle delle stagioni con le squadre di Citracca. Si potrebbe quasi pensare che si tratti dello stesso gruppo che ha trovato un’altra veste per continuare.

Evenepoel sfruttato male. Parsani la pensa come Gilbert

29.09.2021
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Serge Parsani di Belgio e di corse se ne intende. Per tanti anni è stato il diesse di grandi squadre, tra cui la mitica Mapei, fino alla Wilier Triestina di Citracca. Con lui analizziamo alcuni aspetti tattici di questo mondiale ancora effervescente.

In particolare lo chiamiamo a rispondere a Philippe Gilbert il quale ha criticato con la stampa Belga la gestione tattica dei suoi connazionali e l’utilizzo di Remco Evenepoel, che in pratica secondo lui, è stato il gregario di tutti. E a rincarare la dose ci ha pensato il giorno dopo anche Patrick Lefevere. Il team manager della Deceuninck-Quick Step ha detto: «Remco ha lavorato bene… per Alaphilippe».

Serge Parsani (69 anni) dopo un buon passato da pro’ è stato per quasi 30 anni sull’ammiraglia
Serge Parsani (69 anni) dopo un buon passato da pro’ è stato per quasi 30 anni sull’ammiraglia
Serge, come giudichi la tattica belga?

Io non so cosa avessero preventivato. Ma far muovere a 180 chilometri dall’arrivo uno come Remco è un suicidio. In un finale del genere che non è durissimo più compagni hai e meglio è. Specie un corridore come lui. E’ proprio quello che è mancato al Belgio. 

Però il suo attacco ha fiaccato molte squadre…

Ha lavorato da lontano okay, ma per cosa? Sì, ha eliminato Sagan e altri corridori simili… Sarebbe stato molto più utile che quell’azione l’avesse promossa negli ultimi 50-60 chilometri. La sua azione è stata più di disturbo che altro. E non ha creato un reale aiuto alla squadra.

Però non era uno dei leader designati…

Evenepoel non è un corridore qualsiasi. E’ comunque un leader e cosa ti muovi a fare? Doveva scattare più tardi e giocarsi il mondiale. Anche perché quando è andato via non è scappato con i più forti e poi tirava sempre lui. Insomma, io non mi sarei mosso così. Dici le radioline non servono? Servono eccome. Se fossi stato il cittì del Belgio lo avrei fermato subito. Anche perché cosa sarebbe successo? Al massimo avrebbero tirato altre nazionali per rincorrere i francesi e uno come lui poteva aspettare. Poi è anche vero che è facile parlare a posteriori però… resta il però.

Remco ha tirato per tantissimi chilometri in due fasi ben distinte della gara iridata
Remco ha tirato per tantissimi chilometri in due fasi ben distinte della gara iridata
Quindi tu lo vedevi leader? 

E’ un giovane forte e il finale era adatto alle sue caratteristiche. Correva a casa sua. E’ stato osannato e criticato. E’ stato gestito male in ogni senso, dovevano farlo stare più tranquillo. Bisognava parlarci e fargli fare un’azione che non penalizzasse Van Aert ma con la quale potesse cercare il risultato per sé stesso. E magari avrebbe davvero lavorato per il team così facendo.

Magari proprio perché è stato al centro di tante polemiche sul fatto che avrebbe corso per sé stesso, Remco ha voluto mostrare che poteva essere un uomo squadra ed è sconfinato in un eccesso di zelo…

La Deceuninck aveva non so quanti corridori in gara (17, era il team più rappresentato, ndr) e a quel punto doveva cercare alleanze con un Honorè, uno Stybar, un Senechal

Ma Senechal era uomo di Alaphilippe…

Okay, certo lui no, ma nel finale un corridore in più, al Belgio faceva comodo. Si sa come vanno certe cose. Ragazzi, un uomo che scatta da solo a 17 chilometri dall’arrivo non si lascia andare via. C’erano quei quattro a bagnomaria e dietro giravano senza convinzione. Gli unici che potevano stare a ruota erano i francesi.

Van Aert e gli altri hanno detto che non avevano abbastanza gambe per chiudere su Alaphilippe…

Non sono del tutto d’accordo. Colbrelli quando ha forzato gli ha mangiato 15” e se quello sforzo lo avessero fatto altri due o tre corridori sarebbero andati a chiudere. Okay, Julian ha fatto uno scatto che mi ha ricordato Saronni a Goodwood, però si poteva rientrare collaborando.

Le alleanze trasversali sono sempre attuali secondo Parsani. Qui l’abbraccio tra Stybar e Alaphilippe (compagni in Deceunink) a fine gara
Le alleanze trasversali sono sempre attuali secondo Parsani. Qui l’abbraccio tra Stybar e Alaphilippe (compagni in Deceunink) a fine gara
Gilbert ha ragione, insomma?

Sì! Io non capisco perché un ragazzino come Remco sia stato caricato di così troppe responsabilità. Solo perché sembrava che Van Aert avesse una marcia in più. 


Eppure i belgi erano “soddisfatti” della loro tattica: erano arrivati nel finale con chi volevano loro davanti: Stuyven e Van Aert…

Io il ragazzino, ripeto, lo avrei lasciato libero. Magari non gli avrei dato il completo appoggio della squadra nelle prime fasi della corsa, ma lo avrei tenuto più tranquillo.

Carta bianca a Remco: non ti sembra “pericoloso” pensando ai piani prestabiliti dalla squadra?

Ma se fa la sua corsa non disturba nessuno. Purtroppo la verità è che per me Remco ha paura di stare in gruppo. E in qualche modo cerca di “scappare”. E dovrà aspettare ancora un po’ prima di diventare un grandissimo. Deve imparare a stare davanti e a lottare nelle prime posizioni. Questo è il suo tallone d’Achille. Se guardate sta sempre all’esterno del gruppo o ha qualcuno che lo porta avanti. Non ha ancora una super dimestichezza con la bici. E in una gara importate come quella iridata stare davanti può fare la differenza. Ci sono state tante cadute e il top era stare nelle prime trenta posizioni… ma coperti.

Parsani, il Timone d’Oro nell’anno del Covid

28.01.2021
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Avevamo sentito Serge Parsani il primo dell’anno, appena rientrato a casa da una visita e una partita a carte con sua madre Rosetta di 99 anni. Ed è stato così con piacere scoprire alla fine del mese che l’Associazione dei direttori sportivi professionisti (Adispro) ha riconosciuto al tecnico bergamasco il Timone d’Oro per quanto ottenuto in carriera (nella foto di apertura, da sinistra Mario Chiesa, Davide Goetz, Serge Parsani, Luca Guercilena). Un riconoscimento istituito nel 2012 e consegnato in precedenza ad Antonio Salutini, Giuseppe Martinelli, Fabrizio Fabbri, Franco Gini, Vittorio Algeri, PIetro Algeri e Gianluigi Stanga.

Osservatore critico

«Quello che fa il tecnico è da capire – ci aveva detto Parsani osservando i suoi colleghi – anche quando ci sono tanti soldi. Quando vedo che una squadra WorldTour ha 10-12 direttori, la figura perde di centralità e importanza. Non sei più il punto di riferimento per i corridori. Fai pochi giorni con ognuno, non riesci nemmeno a capire che carattere abbiano. Il corridore di 20 anni fa ti diceva che il tale direttore sportivo era stato o non era stato importante per la sua crescita e i suoi risultati, oggi fanno fatica a ricordarseli».

Paolo Bettini, Serge Parsani 2006
Serge Parsani con Paolo Bettini alla prima uscita con la maglia iridata nel 2006
Paolo Bettini, Serge Parsani 2006
Parsani con Bettini, neo iridato nel 2006

Grande carriera

Nonostante il Covid abbia costretto l’Adispro a cancellare il convegno annuale, la cerimonia di consegna del Timone d’Oro, pur posticipata, è stata mantenuta.

«Sono davvero onorato – ha dichiarato Serge Parsani, che in carriera ha diretto fra gli altri Argentin, Bettini, Bartoli e Cipollini – mi fa sicuramente molto piacere aver conseguito questo premio, ma avrei preferito condividere questo momento in mezzo a tutti i miei ex colleghi, che ringrazio di cuore. Purtroppo questa situazione non ce lo permette».

A testa alta

L’avvocato Davide Goetz, presidente dell’associazione, presso il cui studio si è svolta la consegna, ha motivato la scelta di Parsani con il suo impegno nelle attività di Adispro.

«Serge – ha detto – è stato infatti presidente dell’Associazione internazionale dei tecnici, un ruolo che ha ricoperto a testa alta, anche sacrificando le proprie situazioni professionali. Non è semplice, in nessun ambiente, coniugare l’attività sindacale con i rapporti di lavoro. Proprio dalle difficoltà che ha dovuto sopportare, nacque l’idea di affidare la presidenza di Adispro a un soggetto indipendente».

Serge Parsani, Paolo Bettini 2006

Stanno schiacciando il direttore sportivo

01.01.2021
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A Bergamo fa freddo, Parsani si ripara dietro alla barba bianca da direttore sportivo in pensione e torna a casa dopo la visita a mamma Rosetta, che ha da poco compiuto 99 anni.

«Le dico sempre di arrivare alla tripla cifra – sorride – poi potrà andare dove vuole. A volte molla un po’, come un velocista in salita. Poi però rientra. Quando giochiamo a scopa, non la faccio vincere perché così reagisce. Non le piace perdere. E’ la mia vita da pensionato. Non mi annoio, a casa trovo sempre qualcosa da fare. In più ho un nipotino che si chiama Leonardo e ha stravolto la mia vita, ma mi distoglie da tutti i problemi. Vado a prenderlo all’asilo e passo ogni giorno due ore con lui. E non penso ad altro…».

Serge Parsani, bergamasco nato in Francia, classe 1952. Nella foto di apertura è con Bettini dopo il mondiale di Salisburgo 2006. Da professionista ha corso dal 1974 al 1983 alla Bianchi-Piaggio, accompagnando Felice Gimondi negli ultimi 6 anni di carriera. Poi è salito in ammiraglia, guidando alcune fra le squadre più importanti degli anni 90: Gewiss-Bianchi e Mg-Gb, l’Ascis-Cga, la Mapei, la Quick Step e la Katusha, chiudendo poi la carriera con Scinto.

Nelle ultime settimane abbiamo parlato con qualche team manager e parecchi direttori sportivi, rendendoci conto di quanto sia cambiato il mondo. C’è chi li considera il cuore della squadra. Chi (a microfoni spenti) ti dice che la loro unica funzione è impedire che i corridori rompano le scatole. Chi li mette al centro del progetto e chi si accontenta che guidino l’ammiraglia. Rispetto al resto del mondo, l’Italia è ferma a un retaggio antico, ma il nuovo non è sempre garanzia di qualità. Per questo abbiamo chiamato lui. Perché è nato nelle squadre del primo Ferretti. Ha visto nascere la Mapei, antesignana degli squadroni di oggi. Ha vissuto le ingerenze straniere alla Katusha. E alla fine ha fatto i conti con i mezzi limitati della Farnese.

Mapei, Coppa del mondo 2002
Bettini conquista la Coppa del mondo 2002 e la Mapei si scioglie. Sul palco del Lombardia anche i compianti coniugi Squinzi e Aldo Sassi
Mapei, Coppa del mondo 2002
Lombardia 2002, Bettini festeggia la Coppa e la Mapei si scioglie
Dicci Serge, come la vedi oggi la figura del direttore sportivo?

Partiamo da com’era. I miei inizi sono stati un po’ in sordina alla Gewiss-Bianchi, alle spalle di Ferretti, dato che ero ancora dipendente Bianchi. Oggi uno come Giancarlo non c’è più, direi purtroppo, pur rendendomi conto che sarebbe impossibile. Giancarlo era manager, direttore sportivo, responsabile del marketing. Faceva tutto lui. Oggi nelle squadre si sono differenziati i ruoli, probabilmente è necessario, ma in tanti casi manca il collante fra gli stessi.

In Italia siamo ancora fermi alla figura che accentra…

In Italia purtroppo ci sono soltanto quattro squadre professional. Se il ciclismo mondiale fosse solo questo, allora sarebbe uno sport molto povero, perché parliamo di manager incapaci di restituire allo sponsor tutto quello che il ciclismo riesce a dare. Del resto non si spiega perché non abbiamo più squadre WorldTour, visto che prima i campioni erano tutti qua. Bisognerebbe che tanti si facessero un esame di coscienza.

All’estero è diverso?

Ci sono manager all’altezza, che non vogliono essere dentro in tutto. Magari informati, ma lasciano le decisioni ai responsabili delle singole aree. Il modello Ferretti poteva funzionare in quegli anni, con lo sponsor che sceglieva la persona e gli dava carta bianca. Il ciclismo di oggi si è allargato, quello italiano no. E lo stesso mi viene da applaudire chi riesce a mettere insieme queste piccole squadre, perché pur senza grosse sostanze offre la possibilità a qualche giovane di farsi vedere.

Senza grosse sostanze, il tecnico riesce ancora a progettare o ha poco margine?

Quello che fa il tecnico è da capire, anche quando ci sono tanti soldi. Quando vedo che una squadra WorldTour ha 10-12 direttori, la figura perde di centralità e importanza. Non sei più il punto di riferimento per i corridori. Fai pochi giorni con ognuno, non riesci nemmeno a capire che carattere abbiano. Il corridore di 20 anni fa ti diceva che il tale direttore sportivo era stato o non era stato importante per la sua crescita e i suoi risultati, oggi fanno fatica a ricordarseli.

Qualcuno bravo però si distingue ancora…

Vedo Martinelli, che è un bravo diesse e non deve più fare le veci del manager, ma spesso è schiacciato dall’entourage kazako. Puoi programmare quello che vuoi, formare il gruppo, ma se i capi decidono che vogliono tre dei loro nella squadra del Tour, devi portarli. A me è successo in Katusha, quando bisognava dare spazio ai russi, perché a loro fa più comodo un russo che fa decimo, di uno spagnolo che vince. Come fai a conquistarti la fiducia dei corridori, se all’ultimo momento devi lasciarli fuori per queste imposizioni? E poi ci sono tutti gli altri…

Serge Parsani 2020
Così oggi Parsani con la sua barba. Il bergamasco ha compiuto 68 anni ad agosto
Serge Parsani 2020
Serge Parsani e la sua barba bianca
Di chi parli?

Allenatore. Nutrizionista. Osteopata. Mental coach. Il direttore sportivo deve mettersi in fila e non vengano a raccontarmi che basta una videoconferenza. Il rapporto con i corridori sanno tenerlo in pochi. Alla Mapei, ciascuno col suo gruppo, si riusciva ancora.

Ecco bravo, la Mapei. E’ stata la prima squadra di un certo tipo.

La Mapei è stata il moderno senza tralasciare l’antico. C’erano tutte le strutture, di preparazione e tecniche, ma riuscimmo a mantenere il ruolo delle persone. La squadra era nata dalla visione di Aldo Sassi. Squinzi magari entrava nel merito dei risultati, ma non ha mai interferito sulla gestione degli atleti, pur volendo sapere tutto. Quando eravamo in Australia, face il conto del fuso orario e mi chiamava per sapere come stessero i ragazzi.

Ora lo sponsor è lontano, in effetti.

Sono meno coinvolti. Non so se per loro disinteresse o per scelta. Il ciclismo ha sempre dato una visibilità esagerata. L’inverno dopo la chiusura della Mapei, fummo invitati alla festa di fine anno dell’azienda. E Squinzi disse che per l’assenza della squadra il fatturato era calato del 15 per cento. Non so se Segafredo sia più appassionato al basket o al ciclismo, ma è strano che un’azienda così faccia il secondo nome in una squadra americana.

Perché strano?

Perché nonostante l’allargamento dei confini, i grandi Giri e le classiche più importanti le abbiamo noi, la Francia e la Spagna. L’Italia merita di avere 3 squadre WorldTour, altro che storie…

Ammettilo, ti manca la vita del direttore sportivo?

Adesso non più tanto. All’inizio, quando cominciai a vedere che arrivavano le corse giuste, un po’ mi pesò essere fuori. Poi capisci che il momento è finito e te ne fai una ragione…