Turgis, l’anno giusto per capire quanto vale

21.03.2022
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«Eravamo venuti per vincere – ha detto Anthony Turgis prima di salire sul pullman della TotalEnergiesquando vedi che la vittoria è a portata di mano e nelle gambe, è un po’ frustrante lasciarla andare. E’ stata anche una giornata molto buona, non bisogna vedere solo il negativo. Questo fa ben sperare per il futuro. La corsa è andata molto velocemente, in cima alla Cipressa eravamo più di quaranta corridori, sapevo che sarebbe stata molto dura. Avevo due compagni con me, perché sapevamo che il posizionamento era molto importante. Quando ho visto Mohoric attaccare, ho pensato che gli altri non avrebbero lasciato troppo spazio. Invece ai piedi della discesa erano un po’ fermi…».

Sul podio un Turgis affranto, rivedendo il finale e cosa avrebbe potuto fare in modo diverso
Sul podio un Turgis affranto, rivedendo il finale e cosa avrebbe potuto fare in modo diverso

Sagan, pro e contro

Eterno secondo oppure eterna promessa? Il francese della TotalEnergies non è nuovo al gesto del pugno sul manubrio, come già accaduto alla Sanremo. Nel 2019 celebrò così il piazzamento dietro Van der Poel alla Dwars door Vlaanderen, in una lunga lista di risultati a un passo dalla gloria. A 27 anni tutto può ancora cambiare, ma forse così vicino al grande risultato come in via Roma non c’era mai arrivato.

Chi è dunque il compagno di Sagan che ha conquistato il secondo posto alla Sanremo? Quando lo slovacco si è fermato per un problema meccanico prima dell’attacco della Cipressa, chi avrebbe immaginato che la squadra avesse qualcun altro su cui puntare?

Invece l’aria che si respirava nella zona dei pullman era più vicina alla delusione che alla sorpresa. Dopo il quarto posto nel Fiandre del 2020, battuto da Kristoff nella volata per il podio alle spalle Van der Poel e Van Aert, il secondo posto di Sanremo brucia molto di più, ma forse dà la misura del talento e indicherà la strada.

«Quando ho saputo che Sagan avrebbe firmato con noi – racconta Turgis – ho fatto l’elenco dei pro e i contro e ho subito visto che avevo molti vantaggi da trarne. La sua esperienza. Le Specialized che fanno davvero la differenza. E ho capito di dover smettere di porre barriere fra me e certi risultati. Si può provare, almeno…».

Turgis assieme a Sagan, Boasson Hagen e Bonifazio durante il ritiro di gennaio (foto TotalEnergies)
Turgis assieme a Sagan durante il ritiro di gennaio (foto TotalEnergies)

A portata di mano

Il pugno sul manubrio dopo il traguardo è stato la risposta a questa nuova consapevolezza. Va bene esultare per il secondo posto, ma la sensazione è che il capolavoro di Mohoric, oltre alla discesa da kamikaze, sia stato quello di aver scelto il tempo in modo che i contendenti dovessero scegliere fra vincere e perdere. Sapendo che chiunque avesse tirato per chiudere sullo sloveno, avrebbe consegnato la vittoria a un altro.

«Negli ultimi metri – ha confermato Turgis – ho visto la vittoria da vicino, più vicino che mai in effetti e ho avuto quel moto di rabbia perché ho capito che davvero avrei potuto vincere. Ancora una volta la Cipressa è stata fondamentale ed ha eliminato buona parte dei velocisti. Lo scenario si è messo come avevamo programmato venerdì sera. Sul Poggio ci sarebbe stata tanta gente, tutti i big, ma questo non doveva essere un problema come l’anno scorso, quando mi trovai con le gambe bloccate. Alla fine, ho aspettato il più a lungo possibile per uscire dal gruppo, non potevo muovermi prima senza che venissero a prendermi. E quando Mohoric ha tagliato il traguardo, stavo per prenderlo. Non mancava niente…».

Turgis sa bene cosa significhi arrivare a un passo dalla vittoria. Qui alla Dwars door Vlaanderen 2019 con Van der Poel
Turgis sa bene cosa significhi arrivare a un passo dalla vittoria. Qui alla Dwars door Vlaanderen 2019 con Van der Poel

Il quinto assalto

Anche per lui, che ha 27 anni e non vince dal 2019 (da under 23 si era portato a casa la Liegi-Bastogne-Liegi), l’avvicinamento non è stato dei migliori.

«Mi ero ritirato dalla Parigi-Nizza il venerdì sera – ha raccontato – a causa di problemi digestivi e bronchite, il virus che nelle ultime settimane ha causato tanti abbandoni. Ho passato dei giorni complicati, con l’impressione di non avere gambe, che le mie forze stessero andando via. Ho fatto la prima uscita mercoledì, cinque ore in bicicletta intorno a casa mia e sono tornato esausto. Solo venerdì ho sentito che le cose stavano migliorando. Era la mia quinta Milano-Sanremo, sapevo che si sarebbe giocata negli ultimi 30-40 chilometri e che avrei resistito».

Forse tornerà e riuscirà a vincerla, forse non la vincerà mai: l’elenco dei corridori che sono arrivati a sfiorarla è lunghissimo. La sfida è rinviata al prossimo anno, il suo diesse Lebreton ha raccontato a L’Equipe che Turgis ha finalmente smesso di porsi limiti. Ma se alla fine del viaggio via Roma non lo vedrà sul gradino più alto, il racconto di questo secondo posto cambierà sapore e col tempo acquisterà dolcezza.

Tonelli e Rivi, l’apertura più bella per lo show dei giganti

20.03.2022
5 min
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Tonelli e Rivi in fuga fino al Poggio. Come le band che aprono il concerto delle rockstar, anche alla Sanremo le professional hanno scelto la fuga come solo modo per avere ribalta e inquadrature. E’ l’unico spazio che viene loro concesso dalle WorldTour, per la disciplina non scritta e non necessariamente elegante che vige nel gruppo. Fa eccezione la Alpecin-Fenix che alla massima categoria approderà presto per merito. Per il resto, il gruppo esige che i più… piccoli restino al loro posto nelle retrovie. Al punto che l’undicesimo posto di Albanese e quel Fiorelli capace di prendere la Cipressa in venticinquesima posizione sono da annotare tra i fatti rilevanti della giornata.

Ieri lo scampolo di maggior gloria è spettato a Samuele Rivi e Alessandro Tonelli, partiti dall’inizio e capaci con il passare dei chilometri e delle ore di liberarsi dei due corridori della Drone Hopper, dei due Astana e di Conca, stremato dai crampi.

La fuga ha preso il largo in partenza, ma non ha guadagnato più di 7 minuti
La fuga ha preso il largo in partenza, ma non ha guadagnato più di 7 minuti

Un conto aperto

Alessandro Tonelli corre con la Bardiani-Csf-Faizané, ha 29 anni ed è professionista dal 2015. Con la Sanremo aveva un conto aperto e ieri probabilmente ne ha saldato una parte.

«Non pensavo di arrivare così avanti – ha detto dopo la doccia e poggiandosi all’ammiraglia – volevo almeno scollinare la Cipressa, perché è il quarto anno di fila che andavo in fuga e ogni anno sono arrivato più avanti. L’anno scorso mi hanno preso a metà salita, quest’anno volevo scollinarla, invece sono arrivato alle prime curve del Poggio, meglio di così non poteva andare…». 

Ricordi lontani

Rivi di anni ne ha 23 ed è professionista dallo scorso anno con la Eolo-Kometa. Lui la Sanremo l’aveva vista solo in televisione e quando si è ritrovato nella fuga, ha pensato che il gruppo avrebbe lasciato minuti a grappoli.

«Invece non ci hanno lasciato tanto spazio – ha ammesso – mi ricordavo quando le guardavo in tv, che alla fuga lasciavano anche 12 minuti. Invece ne abbiamo avuti al massimo 7, perciò mi sono detto che ci avrebbero preso presto e mi sarebbe toccato fare fatica anche dopo. La mattina mi hanno lasciato via libera, non vedevo l’ora. E’ stata una sorpresa arrivare così lontano, lo è stato per tutti. Il Poggio sarebbe stato comunque decisivo…».

Sul Capo Berta, è stato Rivi a forzare i tempi, tagliando fuori i due della Drone Hopper
Sul Capo Berta, è stato Rivi a forzare i tempi, tagliando fuori i due della Drone Hopper

Destini intrecciati

Dal momento dell’attacco, la loro giornata è stata parallela e intrecciata da scelte comuni. Come quando si sono resi conto che il resto della compagnia non aveva più gambe.

TONELLI: «Abbiamo sempre collaborato, poi la fatica si è fatta sentire e gli altri hanno iniziato a saltare i cambi. E’ salito un po’ di nervosismo, così Rivi ha voluto fare forte il Capo Berta e si sono rimescolate le carte. Sulla Cipressa invece ho accelerato io da metà in poi e siamo rimasti in due. Ho anche provato a staccarlo, ma non ci sono riuscito, però è stato meglio così, perché tra Cipressa e Poggio ci siamo dati due cambi».

RIVI: «Si è visto che cominciavano a tirare poco. Non avevano grandi gambe, però portarseli in giro non fa mai piacere. Abbiamo accelerato un po’ perché il gruppo si avvicinava. La visibilità in tv per una squadra come la nostra è sempre utile».

Il forcing della UAE Emirates sulla Cipressa ha iniziato a intaccare il vantaggio della fuga
Il forcing della UAE Emirates sulla Cipressa ha iniziato a intaccare il vantaggio della fuga

Un giorno lunghissimo

Una giornata interminabile, da dividere in frazioni per farla passare meglio. Anche se il vento ha reso ogni corsa frenetica e anche il tempo alla fine è passato.

TONELLI: «Quand’è così, si parla o vado nei miei pensieri e basta. Questa volta siamo stati molto fortunati, perché c’era vento a favore e siamo andati veloce. La prima parte mi è passata molto veloce fino al Turchino. Mi sembrava di non andare avanti da Genova ad Albenga e poi è volata. Sul Poggio non mi ero accorto che li avevo a ruota. Ho fatto la curva larga e nel rilanciare mi sono guardato dietro e c’era Laporte che tirava. Fuga finita. Se fossimo stati due in più, potevamo pensare di arrivare, ma così era impossibile».

RIVI: «Non abbiamo parlato tantissimo, un po’ sul Turchino, perché c’erano le condizioni migliori per fare due chiacchiere, per il resto siamo andati forte tutto il tempo. Il vento non è mai stato del tutto a favore. Siamo partiti ed era laterale, poi ci sono stati dei tratti a favore, ma sul mare e lungo la costa non era sempre da dietro. A volte venivano delle ventate contro che rendevano l’azione non troppo regolare. A tratti andavamo a 40 all’ora, a volte a 55. Era un po’ strano. Questo ha reso la corsa più facile soprattutto per noi in fuga, perché ci ha permesso di avere un ritmo più alto e il gruppo avrebbe dovuto andare troppo forte per chiuderci subito. Anche con un minuto in più non sarei riuscito ad arrivare davanti, ma è stato bello così».

Tonelli e Rivi si sono ritrovati sull’Aurelia dopo la Cipressa e sono arrivati al Poggio
Tonelli e Rivi si sono ritrovati sull’Aurelia dopo la Cipressa e sono arrivati al Poggio

Entrambi sono ripartiti acclamati dai compagni e dai tifosi che li hanno riconosciuti. Per Rivi si tratterà ora di correre la Coppi e Bartali, Tonelli andrà al Nord. Di certo le loro immagini rimarranno ancora per un po’ negli occhi del pubblico che ha seguito la diretta integrale e dei tifosi che lungo la strada aspettavano la corsa. Una fuga così non passa inosservata, degno antipasto per un finale da gran gourmet.

Pogacar Belgio 2022

Pogacar fa “mea culpa” e pensa già alle altre classiche

20.03.2022
4 min
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Seduto sugli scalini del suo bus, con gli occhi rossi, ma il suo solito sorriso sbarazzino, Tadej Pogacar racconta la sua Sanremo. L’epilogo a ruota del connazionale Mohoric, le sue sensazioni, la folle discesa, le altre classiche in arrivo e persino i suoi errori…

Sì, avete capito bene: errori. Anche Tadej Pogacar sbaglia. E forse lo si ama anche un po’ di più per questo. Lo sloveno racconta tutto con una lucidità pazzesca.

Pogacar è scattato tre volte sul Poggio, più una quarta per chiudere su Kragh Andersen
Pogacar è scattato tre volte sul Poggio, più una quarta per chiudere su Kragh Andersen

“Mea culpa”

La sua analisi non fa una piega. Sapeva di essere super marcato e che oggettivamente non era facile scappare via sul Poggio, come sul Carpegna o forse sarebbe meglio dire come a Bellante nella recente Tirreno. Altra salita e altri avversari.

«Sapete – dice Pogacar – quando ci si controlla a vicenda, ci si annulla anche a vicenda. E’ stata una marcatura stretta.

«Il nostro piano era quello, ma in realtà ho sbagliato. Ho attaccato troppo presto. C’era vento contrario. E’ stato un errore e adesso non posso rimediare. Ho provato altre due volte spingendo forte per davvero, ma sono stati tutti troppo bravi oggi».

Il corridore del UAE Team Emirates avrà pure sbagliato, però ha ben impresso ogni momento della corsa. Aveva tutto sotto controllo e lo si capisce anche da come racconta. E anche la doppia sosta in fondo al Turchino, da molti interpretata come un segno di giornata no, ne è un esempio. Lui invece si stava spogliando nel momento giusto. Quando ancora la corsa non era esplosa. Prima una sosta fisiologica e poi quella dell’abbigliamento.

«Alla fine con me in fondo al Poggio c’erano tutti i velocisti, non che io vada male in volata ma…», come a dire se c’erano loro, come potevo fare la differenza io? Sono contento della mia prestazione e del mio quinto posto».

Lo sloveno ha imboccato davanti la discesa del Poggio. Poco dopo è piombato Mohoric, arrivato sul drappello di testa allo scollinamento
Lo sloveno ha imboccato davanti la discesa del Poggio. Poco dopo è piombato Mohoric, arrivato sul drappello di testa allo scollinamento

Follia Mohoric 

Dallo scollinamento del Poggio a Via Roma è stato tutto un tumulto. Un soffio, un brivido… Un brivido anche per Pogacar che ha visto in prima persona i rischi presi dal connazionale Mohoric.

«Non ho mai pensato di andare dietro a lui – riprende Pogacar – Matej mi ha sorpassato in discesa e ho visto subito che ha preso davvero tanti rischi. Ad inizio gara mi aveva detto di non seguirlo giù dal Poggio perché aveva questo reggisella particolare! Alla prima curva mi ha superato e ho notato che era già con la sella più bassa. Un qualcosa che ha fatto la differenza. E capisci perché i downhiller lo usano. Ho visto che all’ingresso del secondo tornante è uscito fuori strada sulla sinistra. E’ stato pazzesco!».

«Mi sono detto: non posso seguirlo e ho pensato che potevano lavorare anche gli altri ragazzi. C’erano corridori più veloci dietro di me, quindi non avevo niente da perdere. In quel momento non spettava a me fare qualcosa: dovevo solo salvare le gambe il più possibile».

Alla vigilia, la UAE aveva dichiarato di fare corsa dura. Con Tadej anche le altre classiche probabilmente saranno interpretate così
Alla vigilia, la UAE aveva dichiarato di fare corsa dura. Con Tadej anche le altre classiche probabilmente saranno interpretate così

Sanremo mon amour

«Se tornerò alla Sanremo? È possibile, sì – conclude Pogacar – Due anni fa ho fatto questa gara per la prima volta e mi dissi che poi non era così brutta, credevo fosse noiosa. Da oggi (ieri per chi legge, ndr) penso che sia una delle più belle».

Insomma tutti pronti a divertirsi con Pogacar in corsa. I suoi scatti, le sue azioni. Adesso si entra nel vivo delle classiche. Lo sloveno sarà presente quasi in tutte. Ardenne, chiaramente, ma anche Giro delle Fiandre.

«Adesso ho bisogno di tre giorni senza bici! Voglio divertirmi un po’ e poi penserò alle altre classiche. Sta arrivando un mese divertente».

Schiena a posto, la solita classe: Van der Poel è tornato

20.03.2022
5 min
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«Un’occasione persa», dice Van der Poel scendendo dal pullman. E’ accigliato, poi però sorride. «Sono ancora deluso, ma anche soddisfatto. Due o tre giorni fa avrei firmato per questo risultato. Ho vinto lo sprint per il terzo posto sui grandi favoriti, purtroppo non è stato possibile farlo per la vittoria. La Milano-Sanremo è già finita così altre volte, è una gara difficile da vincere. Ma è stata una bella giornata con tanto sole. Spero che questo sia di buon auspicio per ciò che verrà. Ho notato di stare bene durante gli ultimi allenamenti, altrimenti non sarei venuto qui».

Van der Poel e Pogacar sfiniti in fondo al rettilineo, mentre Mohoric faceva festa
Van der Poel e Pogacar sfiniti in fondo al rettilineo, mentre Mohoric faceva festa

Notizia in un baleno

La notizia della sua presenza si è sparsa di venerdì senza conferme da nessuna parte, ma si è diffusa alla velocità della luce, cogliendo alla sprovvista anche la squadra, già in Italia dalla Milano-Torino vinta da Cavendish.

«Siamo stati fra gli ultimi a saperlo – diceva Sbaragli dopo l’allenamento del venerdì – eravamo qui in sette, ma uno si è ammalato e ieri sera hanno detto che veniva Mathieu. Normalmente era confermato che sarebbe ripartito alla Coppi e Bartali, quindi in ogni caso sabato o domenica sarebbe venuto in Italia. Vista la necessità è arrivato un giorno prima, ma senza nessuna pressione».

Sbaragli ha corso per Philipsen, come tutta la Alpecin, ma il velocista è rimasto attardato
Sbaragli ha corso per Philipsen, come tutta la Alpecin, ma il velocista è rimasto attardato

Corsa per Philipsen

Eppure la sua sagoma era sempre in mezzo ai primi. Inconfondibile, con quei calzini bianchi e lunghi sulle gambe affusolate e le spalle larghe. Apparentemente sempre in controllo, al punto da rispondere in prima persona agli scatti di Pogacar e Van Aert sul Poggio. Motivato a mille dalla presenza del rivale di sempre e chissà se godendo per il fatto di essere di nuovo lì a dargli fastidio, dopo cinque mesi di black-out.

Van der Poel ha scollinato sulla Cipressa nella scia dei migliori, senza scomporsi troppo
Van der Poel ha scollinato sulla Cipressa nella scia dei migliori, senza scomporsi troppo

«Si correva per Philipsen», spiega Sbaragli trafelato dopo l’arrivo, tagliato in 39ª posizione, nel gruppo dei velocisti regolato da Kristoff. «Poi la corsa è venuta diversa. La Cipressa è stata dura, ma tutto il giorno è stato impegnativo per il vento a favore, la media alta, la gamba sempre in tiro. Non c’è mai stata una fase di relax. Quando Mathieu corre, è perché va forte. Allenarsi, si allena a casa. Naturalmente gli manca un po’ di ritmo, ma penso che nessuno si sia stupito più di tanto. Non ha chiesto niente, si è messo a disposizione. Se qualcuno scattava, si poteva seguire ed è andata così…».

Poca collaborazione

Stupore no, solo la conferma delle attese, abituati a vederli andare forte anche dopo lunghi periodi di allenamento. Come Van Aert, primo alla Het Nieuwsblad, tre giorni dopo essere sceso da due settimane in altura. E così la corsa si è decisa per l’attacco di Mohoric e non per una lacuna atletica di Mathieu.

Sul Poggio ha risposto agli scatti e un paio di volte Vdp ha allungato a sua volta
Sul Poggio ha risposto agli scatti e un paio di volte Vdp ha allungato a sua volta

«Sapevamo che Mohoric va forte in discesa e che lo avrebbe fatto – commenta l’olandese – ma pensavo che l’avremmo preso. Non molti però hanno tirato. Van Aert e Pedersen ci hanno davvero provato, ma ci volevano uno o due compagni in più oltre il Poggio. Ma anche questa è la corsa. Il tempo passa (sorride, ndr), sto invecchiando anch’io, quindi questa è un’altra occasione persa. Però la schiena sta bene, non ho avuto problemi. E questa è la cosa positiva di oggi, era molto tempo che non riuscivo a correre senza sentire dolore».

Nello sprint per il terzo posto, Van der Poel ha quasi agganciato Turgis, secondo all’arrivo
Nello sprint per il terzo posto, Van der Poel ha quasi agganciato Turgis, secondo all’arrivo

Dal Fiandre all’Amstel

Il suo programma ora procede come indicato prima dell’arrivo inatteso a Milano: Coppi e Bartali per trovare ritmo e brillantezza e finalmente il Nord. 

«No, non farò la Gand-Wevelgem – ha detto – resto in Italia per la Settimana Coppi e Bartali. Dato che gareggerò per cinque giorni di seguito, il prossimo test sarà il Giro delle Fiandre, in cui spero di stare bene. Poi Amstel Gold Race e Parigi-Roubaix».

Sul podio, con Mohoric e Turgis, un sorriso a mezza bocca
Sul podio, con Mohoric e Turgis, un sorriso a mezza bocca

Fra un sorriso e l’altro, la smorfia di delusione ha continuato a fare capolino nel suo sguardo da monello. Il bello di quando si è campioni a questo modo è che davvero si ha la sensazione che l’impossibile non esista.

La frenata c’è stata, il senso di onnipotenza magari s’è attenuato oppure semplicemente aspetta per uscire. Ma anche il venire alla Sanremo senza chiedere supporto e con le antenne basse è stato a suo modo un segno di carisma e forza. Osservarlo la prossima settimana sulle strade fra la Romagna e la Toscana sarà certamente uno spettacolo.

La Sanremo di Mohoric e quel reggisella telescopico

19.03.2022
6 min
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Mohoric ha vinto la Milano-Sanremo. Caruso che lo abbraccia. Tratnik che non sta nella pelle. Attorno al pullman del Team Bahrain Victorious si respira la sbornia per il secondo Monumento consecutivo, dopo la Roubaix di Colbrelli.

Al settimo cielo

Matej arriva a parlare con la stampa un’ora e mezzo dopo l’arrivo, ma il suo sorriso non è per questo meno raggiante e in certi momenti incredulo. Ha vinto la Milano-Sanremo con un attacco nella discesa del Poggio e grazie a una di quelle intuizioni che fanno di lui un corridore speciale.

La gioia di Damiano Caruso, che ancora una volta ha lavorato per la squadra
La gioia di Damiano Caruso, che ancora una volta ha lavorato per la squadra

«Non dico che gli altri non siano lucidi – spiega Pellizotti al settimo cielo – ma lui sin da ragazzino ha sempre messo in ballo una grande capacità di analizzare le cose».

Accanto a lui c’è Volpi, alla sesta Sanremo vinta. Il diesse lombardo aspetta Mohoric impegnato nella conferenza stampa e ne custodisce gelosamente la bici.

«Ha fatto lui tutte le prove di questo reggisella – dice indicando il tubo telescopico – e io mi sento come Claudio Villa (ride, ndr) che vinceva sempre il Festival di Sanremo. L’ho vinta in ammiraglia con Petacchi, Nibali e Mohoric. Da corridore insieme a Bugno, Furlan e Colombo».

Il reggisella telescopico

Il reggisella telescopico sulla Merida, il segreto dell’attacco in discesa. E’ venuto di proposito su queste strade per provarne i settaggi e non si è fermato finché non ha avuto la certezza di aver trovato la giusta misura. Ha usato la Scultura, perché compatibile con il componente attualmente in commercio e dopo aver ottenuto l’autorizzazione dell’UCI.

«Era da tutto l’inverno che pensavamo a questo piano – spiega il vincitore – e i nostri partner Merida e Vision hanno lavorato perché fosse possibile. Un reggisella telescopico da mountain bike, niente di strano. Le prime prove le abbiamo fatte con escursione da 20, ma era troppo e siamo scesi a 16, anche se in tutto può abbassarsi di 6-7 centimetri. C’è un comando grip shift sul manubrio, con un colpo lo abbassi, con un altro lo alzi. L’ho abbassato in cima al Poggio e qualche volta l’ho rialzato, nei tratti in cui dovevo pedalare. Per un fatto di sicurezza, credo che potrà essere il futuro di tante corse.

«Lo abbiamo comprato su internet e lo abbiamo montato sulla Scultura perché ha il reggisella tondo. Nessuno lo aveva mai montato in gara, perché pensava che non servisse. E io che abito a Monaco, quest’inverno sono venuto qua decine di volte con la macchina e facevo anche 4 ore salendo e scendendo dal Poggio. L’avrò provata tremila volte ed è andata bene. Stamattina, scherzando, andavo accanto ai favoriti e cantavo la sigla di James Bond, dicendogli che avevo l’arma segreta e di non seguirmi in discesa. Mi hanno guardato come fossi matto…».

Dopo la discesa capolavoro, Mohoric non si è mai voltato
Dopo la discesa capolavoro, Mohoric non si è mai voltato

Un sabato importante

Non era sicuro che potesse correre ed essere brillante. La caduta alla Strade Bianche appresso ad Alaphilippe gli ha provocato una brutta infiammazione al ginocchio, che gli ha fatto saltare la Tirreno-Adriatico.

«Sono tornato a casa – dice – e sono rimasto per 3-4 giorni senza pedalare, ma andando tutte le mattine a fare terapia. Tanto che un giorno il fisio mi ha chiesto perché diavolo ci tenessi tanto e io sorridendo gli ho risposto che avrei avuto una corsa importante questo sabato. Ho potuto allenarmi bene per quattro giorni e alla fine è andata meglio a me di tanti ragazzi che hanno corso e si sono ammalati».

Una sola chance

Quando ha capito di avere le gambe per resistere alle bordate di Pogacar, Van Aert e Van der Poel sul Poggio, nella sua testa è scattato il piano.

All’arrivo con 2 secondi di vantaggio su Turgis e Van der Poel
All’arrivo con 2 secondi di vantaggio su Turgis e Van der Poel

«Sapevo di avere una chance di prendere vantaggio – dice – e ho voluto fare la mia parte. Ho sprintato per la vita in ogni curva. Ero super concentrato. Scattavo a 450 watt e speravo che dietro si guardassero e non ci mettessero la stessa determinazione. In questa discesa ho messo a frutto tutte le acrobazie che facevamo da ragazzi in Slovenia quando costruivamo delle piste nei boschi e ci buttavamo giù. Questo, unitamente agli allenamenti sulla bici da strada, mi ha insegnato a spingermi oltre i miei limiti, imparando dai miei stessi errori.

«Ed è il motivo per cui dopo la brutta caduta del Giro scorso, non ho cambiato la mia mentalità. Non mi fermo per la paura, perché io so il motivo di quell’incidente. Il pedale che toccò e fece da perno. Non sono diventato più prudente, ma certo cerco sempre di essere nel mio limite. Anche se oggi in una curva a destra mi sono scivolate entrambe le ruote ed è stato difficile convincersi di essere in controllo (ride, ndr)».

Capolavoro Bahrain

La squadra ha fatto un capolavoro, senza Colbrelli con cui comunque non avrebbe corso diversamente.

«Avevamo una squadra forte – dice Pellizotti – ma di non avere un leader come la UAE. Sapevamo di giocarci le nostre carte in discesa e che in salita Matej non poteva staccare Pogacar e Van Aert. E’ già stato bravo se si pensa che non ha fatto la Tirreno a non staccarsi, perché oggi siamo andati fortissimo. Siamo venuti con la consapevolezza di non esser la squadra faro e di non doverci prendere la responsabilità della corsa come se ci fosse stato Sonny al cento per 100 e Matej stesso, che era un punto di domanda. Abbiamo aspettato dopo i Capi per sapere come stava. E comunque, anche con Sonny, avremmo corso così, perché Matej avrebbe giocato questa carta».

Simona Mazzoleni, l’addetta stampa sempre con il sorriso e l’Osmo che registra ogni cosa è al settimo cielo. Se tutto continuerà a girare a questo mondo, anche il 2022 promette di essere una stagione interessante.

Dopo Valverde saluta anche Gilbert (che sogna la Sanremo)

25.01.2022
6 min
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Non solo Valverde, quest’anno anche un altro gigante del pedale lascerà il gruppo. Due Liegi, quattro Amstel, una Roubaix, un Lombardia, un Fiandre, tappe al Giro, al Tour e alla Vuelta, un mondiale… è Philippe Gilbert. Il corridore della Lotto-Soudal è stato tra coloro che maggiormente hanno pagato l’avvento del Covid.

Nel 2020 ha corso davvero poco. Sono seguiti poi degli acciacchi dovuti principalmente alle cadute al Tour, sempre del 2020, ed ecco che a quasi 40 anni, Philippe è un classe 1982, il perdere continuità si è trasformato in un “bel” problema. Un problema che lo ha allontanato tantissimo dalla sua forma migliore. Intaccando persino la sua proverbiale grinta.

Gilbert in allenamento con la sua squadra ad Altea in Spagna durante questo inverno
Gilbert in allenamento con la sua squadra ad Altea in Spagna durante questo inverno

Consapevolezza e orgoglio

Gilbert è totalmente consapevole della sua situazione. Sa bene che tornare a vincere sarà molto difficile. Lui le corse alle quali punta, le classiche, le conosce bene e sa che richiedono una gamba supersonica. E sa anche che questa potrebbe non bastare. Servono testa, convinzione totale, un’ottima squadra. Anche se sotto quest’aspetto i movimenti manageriali (via Marc Sergeant e Herman Frison, dentro Allan Davis, Yana Seel e Cherie Pridham) sembrano aver rimesso il team sulla strada buona.

«Chiaramente vorrei vincere – ha detto Gilbert all’Het Nieuwsblad – ma prima ancora vorrei arrivare alla fine di una grande gara a giocarmela. Per me questa è la cosa più importante. Tornare competitivo è il primo obiettivo. Sarò contento se me la giocherò con i migliori sin dall’Omloop Het Nieuwsblad. Ricordo ancora la prima volta, 17 anni fa. Sono sempre motivato per questo evento anche se non so che in che stato mentale sarò. E ormai non so neanche più come potrei reagire di fronte ad una vittoria!».

«Però sono contento della mia carriera sin qui – ha detto ancora Gilbert – ho sempre accettato le sfide che mi sono capitate e ho sempre dato il massimo».

Ricordiamo ancora la sua tripletta nel 2011, quando in sette giorni si portò a casa Amstel, Freccia e Liegi. La Liegi, “casa sua”… Divenne il re del Belgio. Ai livelli, e forse anche di più, di quel che è oggi Wout Van Aert. Philippe scattava con una potenza unica: rapporto in canna, spalle oltre il manubrio e il divario con gli altri che si apriva in un lampo.

Primavera 2011: inizia la mitica tripletta. Sul Cauberg, Gilbert va talmente forte che stacca tutti e si gode la sua seconda Amstel
Primavera 2011: inizia la mitica tripletta. Sul Cauberg, Gilbert va talmente forte che stacca tutti e si gode la sua seconda Amstel

Liegi mon amour

Lo scorso anno durante la ricognizione sulla Redoute incontrammo i suoi genitori che aspettavano il suo passaggio. Sapevano bene che il loro ragazzo non era al massimo, ma loro c’erano. Così come c’era il Belgio. Tanto più lungo le rampe di quella mitica cote, la sua cote. Il suo passaggio era accompagnato dagli applausi. Un’onda che saliva di pari passo con lui. E alla sua ruota tanti corridori anche giovani e di altre squadre, pronti a scrutare qualcosa o semplicemente a godersi la Redoute con Gilbert.

«Sono stati due anni difficili, da dimenticare direi. Spero vada meglio quest’anno. È passato molto tempo da quando ho vinto e vorrei rivivere quelle vittorie, quei momenti di gioia. Ma se non dovessi essere all’altezza mi metterò a disposizione dei miei compagni di squadra.

«Non farò le classiche delle pietre per fare bene proprio nelle Ardenne – ha continuato Gilbert con Het Nieuwsblad – È una scelta logica e mi sto preparando appositamente per queste. La settimana delle Ardenne sarà speciale. Sarà un momento bellissimo. Conosco tutti e “giocherò in casa”».

Gilbert è arrivato due volte terzo alla Sanremo. Eccolo scattare sul Poggio nel 2015, scollinò davanti ma cadde e chiuse 55°
Gilbert è arrivato due volte terzo alla Sanremo. Eccolo scattare sul Poggio nel 2015, scollinò davanti ma cadde e chiuse 55°

Quella Sanremo…

Gilbert è uno dei pochissimi ad aver vinto quasi tutte le classiche monumento. Pochi giorni fa in merito proprio ai cinque monumenti si diceva di come Pogacar ne potesse vincere “tranquillamente” quattro su cinque. La Roubaix infatti sembra “off limits” anche per lui, ma con lo sloveno mai dire mai.

A Philippe per il prestigioso pokerissimo manca solo la Sanremo. Quella Classicissima che non è riuscito a vincere e che dice: «Sarà difficilissimo conquistare adesso. Certo, se potessi vincerla sarebbe un qualcosa davvero di speciale. Un premio alla mia carriera che in questo modo sarebbe ancora più prestigiosa.

«Però mai dire mai: l’anno scorso chi avrebbe previsto che Stuyven avrebbe vinto? Da parte mia cercherò di farmi trovare al massimo».

In ritiro grande grinta per il corridore della Lotto Soudal (foto Instagram – Facepeeters)
In ritiro grande grinta per il corridore della Lotto Soudal (foto Instagram – Facepeeters)

Da Calvia al Tour

Il vallone inizierà il suo 2022 agonistico domani al Trofeo Calvia, una delle cinque gare di Majorca. Questa gara di fatto dà il via alla sua ventesima stagione da professionista, 21 se si considerano le gare da stagista del 2002.

Quell’anno, tanto per ricordare chi correva, vinse la Liegi Peter Van Petegem e l’Italia piazzò nella top 15 gente come Baldato, Sacchi, Celestino e Commesso, oggi tutti diesse o commissari tecnici. L’anno dopo, al suo debutto nella Doyenne, Gilbert si ritirò, ma come in tutte le belle storie quella corsa, la gara che lo spinse più di altre a diventare corridore, la vinse nove anni dopo.

L’altro grande obiettivo di Philippe è il Tour de France: «Voglio andare al Tour per la decima volta. Un bel numero! L’anno scorso avevo detto che poteva essere il mio ultimo Tour. Quando però questo autunno ho visto il percorso sono stato subito ansioso di tornare. Mi piacciono la partenza in Danimarca, i tifosi, il pavè e il passaggio a Longwy (la sua zona natale, ndr)».

Le gambe dell’iridato 2012: la destra è leggermente meno grande della sinistra dopo le cadute al Tour (foto Instagram)
Le gambe dell’iridato 2012: la destra è leggermente meno grande della sinistra dopo le cadute al Tour (foto Instagram)

Quattro centimetri

Ma la storia ancora non è finita. Nel ritiro in Spagna Gilbert ha lavorato con una grinta che non si vedeva sul suo volto da un bel po’. Buoni test e finalmente un volume di lavoro importante e costante. In tutto 1.200 chilometri, 40 ore di sella e 20.000 metri di dislivello. Il tutto ha previsto anche esercizi particolari.

«Non mi sono ammalato e ho potuto tessere una buona base – ha concluso Gilbert sempre con Het Nieuwsblad – Sto meglio dell’anno scorso. Ho pedalato anche con una gamba sola. La mia coscia destra, infatti, ha una circonferenza di quattro centimetri in meno rispetto all’altra. Ho avuto davvero molti problemi dopo le mie due grandi cadute al Tour, nelle quali ho picchiato due volte il ginocchio. Per questo non sono più riuscito a raggiungere il livello che volevo».

Bramati, la sosta di Bennett e il piano che crolla

21.03.2021
3 min
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Bramati aveva per la Sanremo tutta un’altra tattica e questa non prevedeva la sosta di Bennett per foratura e che Alaphilippe scattasse sul Poggio: alla partenza Trentin aveva letto bene nei movimenti della sua ex squadra. Il piano della Deceuninck-Quick Step prevedeva di fare la corsa sui due uomini veloci, tenendo il campione del mondo come specchietto per le due grandi allodole del giorno: Van Aert e Van der Poel.

«Invece in meno di 20 chilometri è andato tutto in aria – ammette mestamente il bergamasco – prima con la sosta di Bennett fra i Capi e poi con Ballerini che ai piedi del Poggio ci ha detto di non sentirsi troppo bene. E a quel punto abbiamo detto a Julian di provare lui qualcosa, sapendo però che non fosse al livello del 2019 e soprattutto al livello degli altri due».

Alaphilippe era lo specchietto per le allodole, ma a causa della foratura di Bennett, alla fine è toccato a lui
Alaphilippe era lo specchietto per le allodole, ma alla fine è toccato a lui

Piano sfumato

Il dietro le quinte di una corsa come la Sanremo è spesso la parte più interessante da raccontare ed ha sapori diversi in base all’esito della gara. Se fossimo qui a parlare di una vittoria, ci sarebbe da tessere le lodi dello stratega. Invece siamo qui a commentare il 16° posto finale di Alaphilippe e il distacco di 29” di Ballerini e Bennett.

«Ha fatto un bello scatto – dice Bramati parlando di Alaphilippe – ma si sono mossi che il Poggio ormai stava finendo e partendo soprattutto da una velocità proibitiva per chiunque. Sapete chi ha scritto la storia della Sanremo, anche se alla fine non hanno portato a casa niente neanche loro? Ganna. Sul Poggio, Pippo ha fatto male a tutti, con la sua forza. Le sue accelerazioni hanno impedito a chiunque di scattare. Per questo là in cima non ci sono state differenze, si andava troppo forte. Non so che cosa avessero in mente».

Bennet come Ewan

E’ stata la sensazione di tutti, sebbene lo stesso Ganna alla partenza avesse detto di non sentirsi un granché e abbia invece scoperto lungo la strada di avere nelle gambe i cavalli giusti. Chissà che cosa sarebbe cambiato se avesse avuto in partenza la consapevolezza di tanta forza.

«Sapevamo che tutti aspettavano Julian – prosegue Bramati – e arrivare in cima al Poggio senza scattare era il quadro perfetto per portare gli altri due alla volata. Praticamente è riuscito tutto alla perfezione, solo che non avevamo gli uomini per la volata. Bennett ha speso davvero tanto per rientrare dopo la foratura. Si è mosso da solo fra le ammiraglie e poi con l’aiuto di Stybar, ma quando arrivi alla Cipressa già in affanno, poi si complica tutto. Però devo dire che senza quella foratura, Sam sarebbe stato là davanti. Insomma, se c’era Caleb Ewan, poteva starci benissimo anche lui».

Ballerini era una delle carte del team, ma ai piedi del Poggio ha scoperto di non stare bene
Ballerini ai piedi del Poggio ha scoperto di non stare bene

Ora Coppi e Bartali

La pagina è da voltare, in una stagione che ha dato lampi di vittorie che sarebbero state certo maggiori non dovendo fare i conti con i due fenomeni del cross.

«E infatti adesso ce ne andiamo al Coppi e Bartali – dice – dove avrò un po’ di ragazzi interessanti. Ci saranno Mauri Vansevenant e anche Honoré. E poi ci sarà anche Cavendish. La sfida sarà dura per lui, il percorso non è da velocisti, ma diciamo che nella prima tappa si potrebbe pensare di arrivare in volata. Invece Masnada è sceso dal Teide e andrà al Catalogna. E’ sceso anche Remco (Evenepoel, ndr), ma non sappiamo ancora dove correrà. Forse direttamente al Giro…».

Il ghigno di Adrie: «Traditi dalla primavera»

21.03.2021
3 min
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Adrie Van der Poel era in fuga con Chiappucci, quando Claudio attaccò nella discesa del Poggio e andò a prendersi da solo la Sanremo del 1991, in una giornata di pioggia e vento che la primavera non sapevi cosa fosse. Perciò quando ieri mattina ha aperto la finestra e visto quel bel cielo terso e l’aria che profumava di bella stagione, ha capito che la corsa sarebbe stata una frenetica rincorsa al traguardo con poche possibilità di inventare qualcosa.

Maledetta primavera

Quando lo abbiamo incontrato vicino al pullman della Alpecin-Fenix dopo aver parlato con suo figlio, aveva lo sguardo in pace.

«Lo avete visto anche voi – diceva – Mathieu è dispiaciuto, ma sapevamo che non sarebbe stato possibile fare troppo diversamente. Il ciclismo non è uno sport facile e con un meteo come questo, c’era poco da inventarsi. Sapeva dallo scorso anno che fra i Monumenti, la Sanremo è per lui la più difficile da vincere. Metteteci pure che le gambe non erano buone come la settimana scorsa ed ecco spiegato il risultato».

A ruota di Vergaerde, Vdp è stato al coperto nella prima parte di gara
A ruota di Vergaerde, Vdp è stato al coperto nella prima parte di gara

Abituato allo stress

Sul fatto che la gente, addetti e tifosi, si aspettasse l’attacco da lontano, il salto doppio e la piroetta, il vecchio Adrie ha quel sorriso ironico che sfoggiava spesso anche da corridore.

«Mi ricordo delle Sanremo decise da lontano – dice Adrie – ma serviva che almeno ci fosse cattivo tempo o qualcun altro con le stesse intenzioni. Invece ci siamo ritrovati con un bel gruppo compatto e strade veloci e dritte. Il terreno per attaccare c’era pure, non le condizioni. Ma escluderei che mio figlio si sia fatto condizionare dalla pressione. A quella direi che ormai è abituato…».

Mamma in ansia

Mathieu è identico a sua madre Corinne, figlia di Raymond Poulidor, che sposò Adrie sebbene la mamma le avesse fatto promettere che non avrebbe mai scelto un corridore. Per lei ogni corsa che finisce senza problemi è comunque una vittoria

«Sono sempre nervosa quando lo guardo in televisione – diceva poggiata a un’ammiraglia – preferisco andare alle corse e aspettarlo al traguardo. Siamo qui dalla quarta tappa della Tirreno-Adriatico, ho fatto in tempo – sorride – a vedere qualche bella vittoria. Ma ora andiamo a casa, prepariamo altri bagagli e ci prepariamo a seguirlo nelle classiche del Belgio. Sempre che il Covid ce lo permetta. Su da noi ci sono dei limiti molto stretti. E sono contenta perché potrò applaudire anche David, l’altro corridore di famiglia. Scusate per l’inglese, di solito chiedo a Roxanne (compagna di Mathieu, ndr) di tradurre per me».

Sua madre Corinne con suo padre Raymond Poulidor (foto La Montagne)
Sua madre Corinne con suo padre Raymond Poulidor (foto La Montagne)

La squadra c’era

Roxanne in quel momento era con il suo campione ai piedi del pullman, parlando come se non si fosse appena conclusa una classica di 300 chilometri. Mathieu aveva le braccia scoperte e le infradito, in attesa di fare il punto con il diesse Leysen e poi tornarsene a casa. Ma Leysen era con noi…

«La squadra si è mossa bene – diceva – sappiamo di non avere l’organico più forte, ma abbiamo portato Mathieu dove volevamo che fosse. La Ineos ha influenzato il finale e alla fine non ha ottenuto nulla, impedendo che ci fossero attacchi dalla parte bassa del Poggio. Era la tattica di chi aveva il velocista, non per chi voleva attaccare. Ma in ogni caso, sapevamo di non poter fare come alla Tirreno. La Sanremo è un altro tipo di corsa. Per gli attacchi basterà aspettare la prossima settimana, ad Harelbeke e poi la Gand-Wevelgem. Lassù troveremo di nuovo pane per i nostri denti».

Guercilena scatenato, Nibali sfortunato, Conci eroico

20.03.2021
3 min
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Luca Guercilena scende dall’ammiraglia parlando in inglese ed è al settimo cielo. La Tirreno era andata così male, che la vittoria alla Sanremo e il buon comportamento del team, con Conci in fuga e il gran finale, ha il sapore di una redenzione fantastica. Il tempo di rimettersi in sesto e di salutare ogni membro della squadra che gli passa davanti e poi racconta la sua giornata ascoltando le comunicazioni radio fra i corridori e guardando la corsa nel piccolo schermo dell’auto.

«Incredibile – ride – fantastica. Un ragazzo cui abbiamo creduto sin da quando è passato professionista, che è sempre stato lì. Piazzato. Lo merita e lo meritiamo noi come squadra. Abbiamo mandato un corridore in fuga perché sapevamo di non poter accettare lo scontro diretto con quei due. Sono proprio contento. E poi lo sapete, per me la Sanremo è la classica più bella…».

L’abbraccio con Jacopo Mosca, autore di un gran lavoro
L’abbraccio con Jacopo Mosca, autore di un gran lavoro
Grande Stuyven, ma te la aspettavi diversa?

Molto diversa. Pensavo che con certi fenomeni in giro, le altre squadre avrebbero corso diversamente all’inizio della corsa. Noi abbiamo messo Conci nella fuga, credevo che altri lo avrebbero fatto. Cosa posso dire? Noi ci abbiamo creduto, gli altri no.

Stuyven era l’uomo su cui scommettere?

Lui e Vincenzo (Nibali, ndr), che però ha avuto problemi al cambio prima della Cipressa. Si è toccato con qualcun altro, il cambio si è incastrato e noi eravamo troppo lontani per cambiargli la bici. Lo ha sistemato come poteva, ma a quel punto era tardi. Però è uscito molto bene dalla Tirreno e alla fine è stato importante per pilotare Stuyven sul Poggio.

Hai pensato che nell’ultimo chilometro Van Aert potesse rientrare e beffarvi?

Quando ho visto che agli 800 metri si è messo calmo a ruota di Kragh Andersen, ho pensato che avremmo vinto. Poi nella volata era sfinito, però credo che alla fine lo fossero tutti.

Forse non tutti lo conoscono, cosa puoi dire di Jasper Stuyven?

Ha vinto Kuurne e Het Nieuwsblad. Ha vinto diverse tappe nelle varie corse ed è spesso andato vicino a vincere nei grandi Giri. Nel 2018 è stato per 10 volte fra i primi 10 delle grandi corse. Gli mancava solo la vittoria importante. E sono contento che sia venuta in Italia. Abbiamo alle spalle delle grandi aziende e da questi risultati spero capiscano che siamo una squadra giovane che può arrivare a grandi risultati».

Conci in fuga fino alla Cipressa, ma le altre squadre non hanno colto l’occasione
Conci in fuga fino alla Cipressa, ma le altre squadre nn hanno colto l’occasione

Mentre Guercilena si tuffa nell’abbraccio del team, lentamente si avvicina al pullman Nicola Conci con lo sguardo sfinito e il sorriso di chi sa di aver partecipato in qualche modo alla vittoria della squadra. «Mezza è tua – gli dice infatti Adriano Baffi – sei stato grande».

Tutto secondo i piani?

Piani in una corsa come questa non si possono fare. C’erano dei corridori che sembravano imbattibili, ma anche noi avevamo Nibali e Stuyven. Vincenzo è Vincenzo, possono dire quello che gli pare, ma ha scritto la storia del ciclismo italiano e mondiale. E Jasper ci girava attorno da tanto e ha colto bene l’occasione.

C’era tanto vento?

Mi hanno fregato. Ero contento di andare in fuga, perché avevano detto che sarebbe stato a favore. Invece è stato sempre contrario. Dovevo arrivare il più avanti possibile, ma quando siamo scesi sul mare è stato il momento più difficile. Sembrava che volessero venirci a prendere, poi ci hanno lasciato lì e sono arrivati sulla Cipressa. Abbiamo vinto, è un giorno che ricorderò per sempre.