Il fisico da passistone belga Filippo Conca ce lo ha, quello è sicuro! Il comasco è alto un metro e novanta e quindi tutto lascia pensare che possa spaccare le pietre del Nord. In realtà è anche molto magro, sfiora i 70 chili, e avendolo anche seguito da dilettante possiamo dire che è anche un buono scalatore.
Filippo è da poco tornato dal ritiro ad Oliva, in Spagna, con la Lotto Soudal. Due settimane di prima vera esperienza nel WorldTour, due settimane in cui ha respirato grande ciclismo.
Primi contatti
«E’ andata molto bene – racconta Conca con entusiasmo – essere arrivato alla Lotto è stata la mia occasione. Dovevo andare con l’Androni ma poi si è presentata questa occasione e viste le difficoltà che ci sono, non solo nel ciclismo, ne ho approfittato. Ormai passano tutti da primo o secondo under 23, io ero già al quarto anno.
«Laggiù in Spagna c’erano tanti campioni, ma devo dire che tutti erano semplici. Ewan, Gilbert… nessuno si è mostrato vanitoso. Il rito di benvenuto? Eh sì, me lo hanno fatto… ma non si dice!».
Filippo quindi ha studiato i suoi compagni. In particolare è rimasto colpito da Roger Kluge, ex pistard tedesco: «Mamma mia come andava in discesa! Aveva un modo tutto suo. Entrava strettissimo, piegava la bici molto e usciva stretto. Poi in salita faceva una gran fatica. Io sono alto, ma lui è più alto ancora di me. Arriva a 1,93 metri».
L’inseguimento su strada
Filippo racconta il lavoro svolto in Spagna, un lavoro molto mirato al volume e meno alla qualità.
«Ci hanno diviso in tre gruppi, anche per controllare meglio il discorso delle bolle. Soprattutto nei primi giorni abbiamo fatto molti chilometri, poi nella seconda parte è aumentata anche l’intensità. Abbiamo fatto dei lavori, ma più che altro erano dei test per valutare la condizione. Delle prove su uno, cinque e dieci minuti.
«Hanno diviso i gruppi per caratteristiche tecniche, ma non era facile trovare una quadratura per numero e caratteristiche appunto. E infatti io e Oldani siamo finiti con i velocisti! Che non è proprio il nostro gruppo. Però per essere gennaio va bene. Alla fine i tre gruppi hanno fatto più o meno lo stesso lavoro».
In Spagna Conca deve essersi divertito. Oltre a ritrovarsi tra i grandi ha effettuato anche dei lavori particolari, come l’inseguimento a squadre.
«Esatto, dividevano il nostro gruppo in due squadre da quattro e facevamo delle sessioni di 7-8 minuti ad inseguirci. Quattro partivano e 20” dopo altri quattro gli davano la caccia. E nella seconda sessione si cambiava tra chi partiva prima e chi dopo».
Oldani apripista
«Paure? No, non ne avevo una in particolare, semmai è stato difficoltoso raggiungere la Spagna. Per due volte ci hanno annullato il volo, la prima perché non si sa, la seconda perché a Madrid nevicava e l’aeroporto era chiuso. Sapete, arrivare al primo ritiro in ritardo non era il massimo!
«Poi Stefano (Oldani, ndr) mi ha aiutato. Con un altro italiano in squadra è stato più semplice ambientarsi. Lui l’anno scorso era l’unico italiano ed era neopro’, mi ha raccontato che non è stato per nulla facile all’inizio. Con Stefano ci conosciamo da quando avevamo 6-7 anni, nelle prime gare da bambini in Lombardia. Lui è di Varese e già avevamo legato. A volte se viene a fare il giro del Lago di Como ci incontriamo in allenamento, altrimenti no perché tra casa mia e casa sua ci sono quasi 100 chilometri di distanza».
Pronto per l’avventura
Conca dovrebbe esordire l’11 febbraio in Provenza, ma come dice lui stesso, covid permettendo e incrociando le dita.
«Eh sì. Sia perché stanno annullando diverse corse, sia perché essendo un neopro’ se bisogna far spazio ad un leader che magari doveva correre da un’altra parte, il primo che tolgono sono io. Dopo la Provence dovrei andare in Belgio: Het Nieuwsblad e Kuurne».
Chissà che emozione arrivare lassù con indosso una maglia particolare, quella di un team belga e con Gilbert in squadra.
«Io e Oldani siamo in due gruppi diversi – spiega Conca – Stefano arriverà alle classiche passando per la Parigi-Nizza. Per ora dovremmo correre insieme solo in Provence.
«Cosa mi aspetto da questo primo anno da pro’? Di definire bene il mio ruolo in squadra, di aiutare e migliorare, sono convinto di avere margini. Da under 23 sono sempre migliorato un po’, altri ho visto che sono migliorati meno, forse perché erano già più spremuti da juniores, cosa che sempre di più impone il sistema di oggi. Il rischio è di non emergere e infatti anche io ho fatto fatica». Ma intanto Filippo è lì…