La gioia di Carapaz (e Pogacar), la delusione di Van Aert

24.07.2021
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Un podio regale per la corsa ai cinque cerchi. Con una cornice da favola come quella del Monte Fuji, che ha fatto capolino tra le nuvole proprio al termine della sfida olimpica, non poteva non essere una gara da ricordare. Non lo è stato, ahinoi, per l’Italia, ma per Richard Carapaz che si è goduto il primo boato dei Giochi di Tokyo 2020.

All’autodromo Fuji Speedway, infatti, le porte erano aperte per gli spettatori giapponesi, che hanno popolato le tribune del rettilineo finale, per gustarsi la seconda medaglia d’oro di sempre dell’Ecuador (la prima nel ciclismo) grazie all’acuto della Locomotiva del Charchi. 

L’arrivo di Carapaz fra il pubblico: l’oro olimpico è il suo. Ecuador in festa
L’arrivo di Carapaz fra il pubblico: l’oro olimpico è il suo. Ecuador in festa

Carapaz nella storia

Ecco la sua emozione, una volta che se l’è messa al collo: «È stata una giornata un po’ pazza. Una corsa dura, io ho avuto pazienza e aspettato il mio momento, poi ho trovato sulla mia strada un buon compagno di fuga (lo statunitense McNulty, ndr) e le gambe dei giorni migliori. Quando siamo arrivati ad avere 20” di vantaggio sugli inseguitori, sapevamo che erano in ballo le medaglie così ho dato il massimo. Una volta entrato nell’autodromo non mi sono mai voltato. C’erano tanti corridori buoni dietro, quindi ho pensato solo ad andare a tutta. In Ecuador saranno impazziti». Una festa destinata ad echeggiare fino al suo ritorno il patria.

E una festa che è già iniziata, almeno sui social. Il presidente dell’Ecuador, Guillermo Lasso, si è subito complimentato su Twitter esprimendo un senso di grande orgoglio. E anche le altre zone ecuadoriane lo hanno fatto: dal Charchi (la sua provincia) al Macará, dalle Ande all’Amazzonia e persino alle Galápagos.

Van Aert è stato colui che più di tutti ha lavorato per chiudere su Carapaz e McNulty
Il belga Van Aert ha lavorato più di tutti per chiudere su Carapaz e McNulty

Van Aert, ancora secondo

Al traguardo della prova in linea, situato nella prefettura di Shizuoka, si è respirata finalmente aria olimpica, dopo giorni in cui il pubblico era stato costretto a vedere le competizioni solamente in tv. In questa zona, infatti, il numero di contagi è decisamente più basso rispetto all’area di Tokyo e così si sono potute aprire le porte agli spettatori locali. Sorrisi nascosti dalle mascherine, bambini che corrono felici nel lungo corridoio antistante alle tribune: immagini che restituiscono uno sprazzo di normalità in questa situazione d’incertezza che ormai ci avvolge da più di un anno e mezzo. Un regalo del ciclismo all’Olimpiade.

Applausi per tutti, anche per i corridori più attardati, anche a meritare le urla più calorose, insieme, al trionfatore in solitaria, sono stati altri due grandi protagonisti del Tour de France, che si sono dati battaglia fino all’ultimo millimetro, a suon di colpi di reni. A spuntarla è stato il belga Wout Van Aert, arrabbiatissimo al traguardo per un altro argento proprio come lo scorso anno al Mondiale vinto da Julian Alaphilippe.

«Corro sempre per vincere – ha detto il belga – ma sono molto più felice che a Imola. Ho sempre un argento al collo, ma una medaglia olimpica ha un peso decisamente più importante di una mondiale. Oggi ho trovato sulla mia strada un ragazzo più forte, io ho fatto del mio meglio, fino allo sprint finale».

Ci riproverà tra tre anni a Parigi, qualunque sarà il percorso, considerata la sua poliedricità. D’altronde, Wout ha già dimostrato che la capitale francese e i suoi Campi Elisi gli piacciono proprio. Prima però l’attende la prova contro le lancette: «Per mercoledì penso di avere buone possibilità. Dopo il Tour de France, ho recuperato, mi sono adattato al fuso orario e al caldo, quindi anche nella prova contro il tempo punto al massimo risultato possibile». Top Ganna è avvisato.

Al termine della volata, Pogacar allunga il braccio verso Van Aert (che risponde all’abbraccio). Sono stati i più attivi
Al termine della volata, Pogacar allunga il braccio verso Van Aert (che risponde all’abbraccio). Sono stati i più attivi

Dal giallo al bronzo

Si è arreso al fotofinish, ma era contento del bronzo conquistato, invece, il padrone degli ultimi due Tour, Tadej Pogacar. L’incredibile sloveno ha corso come sempre all’attacco, dando spettacolo ed è stato ripagato, dimostrando di essere sempre più anche un uomo da corse di un giorno.

«Sono felicissimo per il terzo il posto – ha detto Pogacar – perché ho dato il massimo. Sono super, super contento di essere stato in grado di salire sul podio dei Giochi Olimpici. Ho attaccato da lontano perché mi sentivo bene, sono scattato senza pensarci troppo e un attimo dopo mi sono pentito. Ho pensato: ma quando finisce questa salita? Ad ogni modo non ho rimpianti, con il mio forcing ho selezionato il gruppo dei migliori con cui me la sono giocata fino alla fine, quindi va bene così».

Azzurri uniti ma con poche gambe: serviva andare al Tour?

24.07.2021
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«Forse il problema – scherza Nibali – è che vi ho abituato troppo bene. Abbiamo cercato di correre uniti ed è stato importante. Poi non siamo riusciti a finalizzare e questo è un altro discorso, però penso che noi tutti abbiamo cercato di dare il massimo per questo».

Ciccone non ha avuto una gran gioornata, ma ha provato a muoversi
Ciccone non ha avuto una gran gioornata, ma ha provato a muoversi

I crampi di Bettiol, primo degli azzurri: 14° a 3’38” (foto di apertura). La tattica degli azzurri, sempre uniti. Quelli del podio che arrivano dal Tour. Nella baraonda della zona mista i pensieri, le teorie e le interpretazioni si accavallano e poi si infrangono davanti alla stessa evidenza: gli altri sono andati più forte. Sono tre gli italiani che sfilano davanti ai giornalisti: soltanto Caruso e Bettiol non si fanno vedere, difficile dire se perché trattenuti da incombenze olimpiche o semplicemente perché sfiniti e con poca voglia di parlare. In attesa di raccontarvi del sogno di Carapaz, ecco le loro voci.

La via del Tour

«E’ stata stata una corsa durissima – dice Moscon – e il caldo ha fatto la differenza. Abbiamo provato a fare la corsa, giocarci le nostre carte per rompere un po’ i piani di  Belgio e Slovenia. Ci abbiamo provato, poi sul Mikuna Pass è diventata una questione di sopravvivenza. Alberto (Bettiol, ndr) davanti ha avuto dei crampi e ha dovuto fermarsi, mentre noi siamo arrivati nel secondo gruppo. Oggi era lui l’uomo protetto della squadra, stava bene. Io personalmente non ho avuto una gran giornata, ho cercato di difendermi.

Sin dalla firma, era chiaro che l’uomo da tenere al coperto fosse Bettiol (qui Caruso e Ciccone)
Sin dalla firma, era chiaro che l’uomo da tenere al coperto fosse Bettiol (qui Caruso e Ciccone)

«Si è visto che quelli del Tour alla fine sono andati meglio, mi pare che del gruppo davanti Alberto fosse l’unico che non aveva corso in Francia. Col senno di poi, correre al Tour sarebbe stato l’abbinamento ideale, però è andata così. Non so se stasera ci meritiamo il dolce, comunque non eravamo i favoriti. E’ brutto da dirlo, ma non era compito nostro tirare infatti non lo abbiamo fatto. Ci siamo giocati le nostre carte, ma gli altri sono stati più forti».

Una partita a scacchi

«E’ mancato poco – dice Nibali – avevamo giocato le nostre carte nel modo giusto con Bettiol che stava bene. Soltanto che poi nel finale le energie magari non erano proprio il massimo, in giornate calde con l’umido può succedere purtroppo anche questo. Nei giri finali ho provato ad anticipare la salita. Sono uscito al momento giusto, quando si è mosso anche Evenepoel. Però dietro hanno ricucito e alla fine abbiamo fatto il ritmo per prendere la salita del Mikuna nelle prime posizioni. Puoi anche stare bene, però se in una giornata così fai 2-3 accelerazioni, poi le paghi. E’ stata quasi più una partita a scacchi, non è mai semplice cercare di gestire al meglio una gara come questa. Come nazionale abbiamo corso benissimo, sempre uniti, ma non siamo riusciti a finalizzare. Carapaz e gli altri hanno fatto classifica al Tour e hanno dimostrato di avere una grande condizione.

Gli azzurri hanno corso uniti, cercando di anticipare Belgio e Slovenia
Gli azzurri hanno corso uniti, cercando di anticipare Belgio e Slovenia

«Come tutte le Olimpiadi è stata un’esperienza molto bella e come ogni volta diversa. Volevamo giocarci le nostre carte nel miglior modo possibile, sapevamo di non avere un leader unico, ma che ogni ruolo era fondamentale. Non ho l’amaro in bocca, sono contento si aver fatto il massimo».

Giornata storta

«Questa maglia e questa corsa andavano onorate – dice Ciccone –  quindi ho cercato di fare il massimo per i miei compagni e per la squadra e penso che abbiamo lavorato veramente bene. Bettiol era quello che aveva dimostrato di stare meglio e quindi volevamo tenere lui per il finale e noi muoverci diciamo un po’ random per cercare di mettere in difficoltà gli altri. E’ venuta fuori una gara strana, ma sicuramente non toccava a noi tirare. C’erano altre squadre che avevano i veri leader quindi toccava a loro.

Moscon seconda pedina azzurra, 20° all’arrivo, qui con Sivakov
Moscon era la seconda punta dopo Bettiol. E’ arrivato 20°

«La mia è stata una giornataccia però arrivare qui è stata comunque una grande emozione. Ho provato io. Ha provato Damiano. Ha provato Vincenzo e poi è esplosa la corsa. Siamo arrivati abbastanza bene ai piedi dell’ultima salita e alla fine il risultato ha dato ha dato ragione a coloro che hanno fatto il Tour. Però ripeto: è stata una gara veramente strana e con tanto stress».

Dogma F, buona la prima. Ma per Pinarello è solo l’inizio

24.07.2021
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Carapaz vince le Olimpiadi e si lascia dietro tutti i campioni più celebrati e attesi, togliendosi una bella rivincita rispetto a quelli che al Tour lo avevano preso a schiaffoni. Sulla sua bici, la nuovissima Dogma F, come su tutte quelle impegnate nelle prove su strada, Fausto Pinarello ha fatto aggiungere la bandiera della Nazione di appartenenza sulla forcella e quella del Sol Levante nella coda del carro posteriore per omaggiare il Paese in cui ammette di vendere un elevatissimo numero di biciclette. Per l’azienda veneta e per i colori italiani, Tokyo però è un momento molto importante. La vittoria dell’ecuadoriano forse non era prevedibile, ma ora che si va verso la crono e soprattutto la pista, l’asticella sale sempre più su. Prima Ganna e gli altri specialisti della Ineos. Poi i quartetti, la madison e l’omnium con gli azzurri. A ben vedere gli ultimi mesi sono stati belli pieni, fra la pista e la strada con il Team Ineos, che resta comunque l’impegno più oneroso: economicamente e tecnologicamente.

«In realtà è la seconda vittoria sulla Dogma F – dice Fausto Pinarello che è appena sceso in spiaggia dopo aver seguito la corsa – adesso si può dire. Al Giro di Svizzera tutta la squadra aveva la Dogma F mascherata da F12. Solo pochi se ne sono accorti. Quindi Carapaz aveva già vinto. Ha corso benissimo. Speravo che anche Kwiatkowski facesse la volata. E la prima cosa che ho fatto è stato mandare un messaggio a Ganna. Gli ho scritto: visto che il belga si può battere? E lui ha risposto: «Si deve battere». Certo che lasciarsi dietro Pogacar e Van Aert dopo il Tour, è proprio bello…».

Con Ineos hai vinto, quindi, ora tocca alla nazionale..

Economicamente e quantitativamente, Ineos è un grande impegno, ma è anche la base di tutto. Per la nazionale stiamo parlando di bici da pista, che sono obiettivamente meno. Però quest’anno per le Olimpiadi ci siamo impegnati di più e per ogni azzurro che è volato a Tokyo abbiamo realizzato un manubrio su misura. Li abbiamo scansionati tutti e il 100 per cento della squadra ha il suo manubrio sinterizzato in titanio, come Wiggins a suo tempo, Ganna e Viviani. Sulle bici da inseguimento, da madison e da omnium. Sono manubri che vanno in vendita sui 20 mila euro, un bell’impegno, ma sono contento di averlo fatto. E poi rimesso mano alla verniciatura.

La Bolide è alle ultime apparizioni: a Parigi avremo altri modelli
La Bolide è alle ultime apparizioni: a Parigi avremo altri modelli
Facendo cosa?

Tutte le bici azzurre sono blu e cromate, come per la Bolide da crono usata da Ganna al Giro. Si chiama Ego Blue, noi siamo azzurri e rimarremo azzurri tutta la vita.

La Bolide ha ormai la sua storia…

La Bolide discende da quella con cui Wiggins fece il record dell’Ora, con la variabile della forcella, larga o stretta in base alle ruote che usano. E poi c’è la Mate, il modello per le prove di gruppo, la cui aerodinamica discende ugualmente dalla Bolide. Ma sono bici arrivate al capolinea. Faranno ancora qualche gara nel 2022, ma l’obiettivo è cambiare tutto con nuovi modelli per Parigi. Hanno fatto la loro parte. Le novità arriveranno prima al Team Ineos e poi alla nazionale.

Il team resta grande fonte di sviluppo, insomma…

Oltre al fatto che hanno gli uomini capaci di vincere i grandi Giri, uno dei motivi per cui siamo rimasti solo con loro, lasciando la Movistar, è la possibilità di avere i feedback degli atleti e dei loro ingegneri da cui sviluppare le nostre biciclette. Va così da 6-7 anni e ci permette di poter fare le bici più performanti per la squadra e di conseguenza per il mercato.

La Bolide di Ganna deriva da quella usata da Wiggins per l’Ora. Una bici alle ultime uscite ufficiali
La Bolide di Ganna deriva da quella usata da Wiggins per l’Ora. Una bici alle ultime uscite ufficiali
Come si fa a rivoluzionare la gamma e tirar fuori modelli nuovi?

Certamente è più facile se parti da un modello già pronto, ma per la pista abbiamo una banca dati di trent’anni, per cui anche se è difficile, non sarà impossibile. Potendo anche contare sulla collaborazione di atleti come Ganna, Viviani e anche Paternoster per quanto riguarda i manubri.

Quante bici da pista sono volate a Tokyo?

Undici, più quelle di scorta, quindi direi che sono venti. Alcune nuove, alcune no. Non sono bici sottoposte a grande usura, che riguarda piuttosto tubolari e selle. Noi forniamo solo telai, forcelle, reggisella e manubri. Il resto, ruote e guarniture, fa parte della sponsorizzazione federale.

Quanto incide la pista sul mercato Pinarello?

Poco, è un mondo piccolo se non piccolissimo. Il 98 per cento della nostra produzione riguarda la strada, ma la pista è una mia passione sin da quando correvano ancora Villa e Martinello. Tecnicamente insegna tanto ed è spettacolare. La Fci è l’unica con cui abbiamo un contratto di sponsorizzazione, mentre alcune federazioni asiatiche hanno comprato qualche bici.

C’è tanta differenza di misure per Ganna fra la Bolide da crono e quella da pista?

Niente affatto, non deve esserci. Cambia leggermente l’inclinazione del piantone, ma il resto è identico.

Le bici del quartetto sono come bici da inseguimento individuale oppure cambia qualcosa?

Le bici sono quelle, a parte le ruote che usano. Hanno una serie di forcelle diverse: quelle per la madison e quelle per le prove di inseguimento. La Mate la facciamo in quattro misure, con cui copriamo tutti i corridori.

Torniamo per un secondo alla strada: Ineos comincerà a usare i freni a disco?

Cominceranno a provarli dopo le Olimpiadi, credo che i tempi siano maturi. Ma molto dipende dalla fornitura Shimano, perché hanno da dismettere un parco ruote incredibile che va rimpiazzato. Non a caso la Dogma F l’abbiamo fatta per la doppia versione. Dischi e freni tradizionali.

Se non ci fosse stato il Covid, saresti andato in Giappone a seguire i Giochi?

Probabilmente sì. Il Giappone mi piace molto e piace molto anche a mia moglie, potrei andare a viverci. Mi hanno sempre accolto bene. Per questo sulle bici da strada ho voluto anche la loro bandiera. Ma che bella mattinata, ragazzi. Mi dispiace per Gianni (Moscon, ndr) e anche per Bettiol, che forse non aveva corso abbastanza prima. Ma ripeto… che bella mattinata!

Ultima crono, Pogacar sicuro, gli altri no. Parla Malori

16.07.2021
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Domani si giocheranno il Tour a crono, anche se in realtà da giocarsi ci saranno la tappa e il resto del podio fra Vingegaard e Carapaz, poiché Pogacar là davanti ha poco da temere. Se infatti fra lo sloveno e il danese ci sono 5’45” incolmabili, fra il danese e l’ecuadoriano della Ineos ballano appena 6 secondi e a ben guardare il vero motivo di interesse sarà in questa sfida.

Quando si parla di crono, non c’è nome che tenga: un passaggio con Adriano Malori è il modo migliore per vederci più chiaro. Oltre ad essere stato uno dei migliori specialisti mondiali fino al dannato incidente del 2016, l’emiliano è attentissimo a ciò che si muove sotto il cielo del professionismo.

«E secondo me – dice – domani per la crono sarà un affare tra Pogacar e Van Aert. Ci sarebbe Kung, ma l’ho visto staccarsi in pianura il giorno che ha vinto Politt. Magari mi smentisce, ma non mi ha dato grandi sensazioni. In una crono di fine Tour non conta essere specialisti, ma aver recuperato bene. Pogacar in questo senso mi sembra il più fresco di tutti, mentre Van Aert lo vedo che si stacca sempre prima dei finali. Fa così dalla vittoria sul Ventoux, viene da pensare che non pensi ad altro che alla crono».

Nella prima crono del Tour, Vingegaard è stato 3° a 27″ da Pogacar
Nella prima crono del Tour, Vingegaard è stato 3° a 27″ da Pogacar
Se è un fatto di recupero, Pogacar ha già vinto…

La cosa incredibile è che sembra che giochi. Due giorni fa in salita ha allungato con due pedalate, ha una facilità che gli altri non hanno. Vingegaard non può insidiarlo per la tappa, almeno una ventina di secondi glieli concede. Gli unici che potevano metterlo in difficoltà sarebbero stati Roglic e Thomas. Ma Thomas non va. Tanti in passato sono caduti, poi però essendo in condizione, sono tornati su. Lui non si è mai ripreso, non credo stia così bene.

E’ una crono veloce di 30,8 chilometri.

La crono perfetta per Malori e Ganna (sorride, ndr). Sono curioso di vedere come se la caveranno i non specialisti.

Fra Carapaz e Vingegaard?

Bisognerebbe dire Carapaz che in teoria nella terza settimana ha più esperienza e recupera meglio, ma a vederli in salita in questi giorni, non ne sarei tanto sicuro.

Nella prima crono di 27,2 chilometri, Carapaz è finito a 1’44” da Pogacar
Nella prima crono di 27,2 chilometri, Carapaz è finito a 1’44” da Pogacar
Sei secondi li guadagni o li perdi anche grazie alla bici…

Ormai le bici sono come le auto. C’è sempre chi scopre qualcosa in più, ma è questione di tempo e arrivano anche gli altri. E’ come chiedere se sia meglio Audi o Mercedes. I livelli sono quelli, non so se Pinarello abbia fatto per Carapaz la stessa personalizzazione che ha fatto per Ganna. Parlando di pochi secondi, quella potrebbe essere una differenza interessante.

Ruote, rapporti… tutto come sempre?

Sì, non cambia niente. L’unica variabile di cui tenere conto anche nella scelta dei componenti è il vento. Che è determinante su due fronti. Quello della bici e quello della disidratazione. Se è frontale, rallenta gli atleti più grandi, per cui Vingegaard, che è più piccolo di Pogacar ma più o meno spinge gli stessi watt, potrebbe essere avvantaggiato. Mentre diventa causa di disidratazione, per cui è tassativo correre con la borraccia.

A Laval, Van Aert è arrivato 4° a 30″ da Pogacar
A Laval, Van Aert è arrivato 4° a 30″ da Pogacar
Come ci si scalda?

Altro fronte caldo, va fatto bene. La mattina, provando il percorso scioglierei le gambe dietro macchina. Poi al momento giusto farei 30 minuti di rulli con qualche progressione, senza esagerare. Il fisico è così stanco e i muscoli avranno memoria della tappa di oggi, che si scalderanno con un niente.

A causa di cosa Pogacar potrebbe perdere il Tour?

Di nulla, impossibile. Neanche una giornata stortissima ti fa perdere 5’45” in una cronometro. L’unico corridore che poteva contendere il Tour a Pogacar era Roglic, ma non alla fine. A questo punto sarebbe stato impossibile anche rivedere il film del 2020 a parti invertite. Roglic aveva meno vantaggio e non aveva dimostrato la stessa superiorità.

La caduta non ci voleva…

In un Tour in cui si va a 70 all’ora a 10 centimetri uno dall’altro, i freni a disco sono una condanna. I tempi di reazione sono diversi, basta che quello davanti sfiori il freno e gli finisci sopra. Non c’è margine di errore. In più è caduto nel giorno sbagliato, perché ritrovarsi a fare la crono con il body e la posizione aerodinamica deve essere stato tremendo. Per questo è un rischio puntare tutto su una sola corsa come ha fatto Roglic.

Kung nella prima crono è stato 2° a 19″ da Pogacar
Kung nella prima crono è stato 2° a 19″ da Pogacar
Il rischio di caduta va messo in conto?

Per forza, io non avrei mai fatto la scelta di Roglic. Passi settimane e settimane a pensare allo stesso obiettivo, che a un certo punto diventa quasi un’ossessione. E se cadi e vedi sfuggire tutto quello per cui hai lavorato, la testa se ne va. Ha fatto bene a ritirarsi e riprogrammarsi per le Olimpiadi e semmai la Vuelta. Gli sloveni sono freddi. Chiunque avesse preso la mazzata che ha preso lui l’anno scorso, avrebbe bevuto venti litri di birra e sarebbe sparito. Lui invece si è rimesso sotto, si è presentato bene ai mondiali, ha vinto la Liegi e poi la Vuelta. Pogacar ha fatto meglio.

Cioè?

Ha fatto come Roglic l’anno scorso, vincendo e preparandosi, arrivando al Tour con un bel bottino. Per me ha sbagliato solo ad andare al Giro di Slovenia, un rischio di troppo, ma a 22 anni la bici gli scappa di sotto. E poi lo vedete cosa fa? Arriva in cima a una montagna, con il vento e la pioggia, e si mette sui rulli senza neanche cambiarsi la maglia. Puoi farlo a 20 anni, dopo diventa più complicato…

Pogacar saluta la compagnia, Vingegaard cresce ancora

15.07.2021
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Se qualcuno ha seguito la seconda serie Netflix sulla Movistar, vedendo scattare Enric Mas alla fine della tappa di oggi, avrà sicuramente ricordato le sue lacrime dello scorso anno, deluso per non aver saputo seguire i migliori. I compagni lo rincuoravano, ma lui non se ne faceva una ragione. Invece oggi sembrava fosse la volta buona, con quello scatto non violento ma deciso e dietro la sensazione che nessuno sarebbe andato a chiudere. La sua vittoria avrebbe fatto clamorosamente scopa con le parole lette stamattina nell’articolo di Ainara Hernando con Alejandro Valverde. Invece quando lo spagnolo si è voltato, ha visto spuntare il casco giallo di Pogacar poi quelli di Vingegaard e Carapaz, anche se stasera sarà meno triste dello scorso anno, ha capito di dover lavorare ancora parecchio.

Colbrelli e Mohoric: la Bahrain Victorious ha subito una perquisizione, il team si dice tranquillo
Colbrelli e Mohoric: la Bahrain Victorious ha subito una perquisizione, il team si dice tranquillo

Facce stanche

Pogacar non va più come nei primi giorni e si vede, ma neppure si può dire che gli altri siano cresciuti al punto di metterlo in difficoltà. E come già al pazzo Giro dello scorso anno, le differenze vere si sono fatte nella seconda settimana. Del resto la fisiologia è sempre la stessa e se parti ogni giorno a tutta, è difficile tu possa venir fuori alla fine. Meglio allora monetizzare la condizione nella settimana centrale e stringere i denti in quel che resta.

Enric Mas prova l’attacco, ma il sogno dura un soffio
Enric Mas prova l’attacco, ma il sogno dura un soffio

«Stavo bene – conferma lo sloveno – il Tourmalet è stato duro e anche se ho tanto vantaggio, dovrò cercare di fare del mio meglio domani e nella cronometro. Mi riservo un 50 per cento di possibilità di vittoria, ma so anche che ho un grande margine e difficilmente perderò sei minuti nella crono. Insomma, spero non finisca come con Roglic lo scorso anno».

La vera sorpresa

Chi in realtà è cresciuto nella terza settimana e ha corso tutto il Tour con un handicap di 1’21” per aspettare Roglic dopo la caduta è Jonas Vingegaard, messo nella squadra del Tour a primavera, quando il team si arrese al fatto che Dumoulin non ci sarebbe stato. Ce lo dissero proprio loro dopo la Settimana Coppi e Bartali: qualcuno avrebbero dovuto portare e il danese era quello che meglio si prestava all’uso.

«Jonas ha dimostrato di essere un grande talento per il futuro – ha detto il diesse Grischa Niermann – e ha fatto grandi passi avanti nel suo sviluppo come uomo da grandi Giri. Non ci aspettavamo che fosse già in grado di farlo. Lo spirito combattivo che ha mostrato per superare Carapaz è stato bello da vedere. Con la crono di mezzo, tutto può ancora succedere, dato che nella precedente proprio lui è stato terzo. Ma oggi abbiamo fatto un grande passo nella giusta direzione. Con Jonas, e anche con un talento come Tobias Foss, le cose si mettono bene per il futuro».

Grande scuola

Lui sorride beato, come del resto sta facendo anche Pogacar dall’inizio del Tour. Ovviamente si tratta di espressioni diverse. Tanto è appagato e in controllo Tadej, per quanto si mostra ogni giorno più stupito e grato Vingegaard.

I Pirenei sono la solita cornice spettacolare, il gruppo soffre
I Pirenei sono la solita cornice spettacolare, il gruppo soffre

«Non è stato il mio giorno migliore – dice comprensibilmente stanco – ho sofferto tanto, come credo tutti. Ma era il secondo giorno duro di montagna alla fine del Tour e sono contento. Ero venuto per aiutare Roglic e imparare, ma devo dire che sto vivendo un grande processo di apprendimento. Se sopravvivo alla tappa di domani (ride, ndr) e la crono va come spero, tornerò a casa con il secondo posto».

In questo ciclismo di prodigi, la tentazione di dire quali e quanti campioni siano arrivati secondi al Tour a 24 anni ce la rimettiamo prontamente in tasca, davanti a uno come Pogacar che l’anno scorso e al primo assalto lo ha vinto. Ma considerando lo sloveno un grandissimo e una grandissima eccezione, vale la pena sussurrare a Vingegaard che non molti sono riusciti nel suo stesso record.

Cavendish arriva in tempo e professa la sua avversione per il Tourmalet
Cavendish arriva in tempo e professa la sua avversione per il Tourmalet

E ora tocca a Cavendish

Chiudiamo questo taccuino quotidiano dopo aver sentito il mal di gambe di Cavendish fluire attraverso le sue parole smozzicate più del solito.

«Potevo sentire nelle gambe – ha detto – la fatica della tappa prima del Tourmalet. Abbiamo avuto alcune salite brevi ma pungenti, su cui gli scatti mi hanno reso la vita abbastanza difficile. Poi c’è stato lo sprint intermedio, in cui ho speso un po’ di energia. Il Tourmalet è la salita che detesto di più al Tour, è semplicemente terribile. L’ho fatto dieci volte e ogni volta è stato lo stesso. Sono così grato ai ragazzi per essere stati al mio fianco in questa giornata così difficile. Alla fine mi sono emozionato un po’ perché i miei compagni mi hanno aiutato molto a questo Tour de France. Non posso dirvi quanto sono orgoglioso e felice di essere in questa squadra».

In quel grandioso film che è stato il suo ritorno al Tour de France, potrebbe starci a questo punto la sconfitta domani ad opera di un cagnaccio della terza settimana come Van Aert o Colbrelli. Poi però, nell’iconica volata dei Campi Elisi, siamo tutti pronti a vederlo piangere ancora.

La scalata del Col du Portet nella testa di quei tre

14.07.2021
5 min
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Vincere in maglia gialla al Tour de France, avere un distacco abissale sul secondo e al tempo stesso essere in fase “calante” con due virgolette grosse così. Pensate quanto è forte Tadej Pogacar.

Prima di addentrarci nella tappa di oggi con arrivo sul Col du Portet, chiariamo questo discorso della “fase calante”. Non vorremmo essere fraintesi!

Tadej non ha più quella netta superiorità mostrata nei primi dieci giorni del Tour, quando spingeva rapporti diversi rispetto a tutti e faceva differenze mostruose con apparente facilità. Tuttavia va fortissimo lo stesso. E come lui stesso ha fatto capire l’altro ieri in conferenza stampa, Ventoux a parte, quando arriva in soglia “stacca”. In pratica non vuol correre rischi. Attenzione, questo non vuol essere un processo allo sloveno, tutt’altro. Al contrario ci dice del piglio e del carattere del corridore della Uae. Gambe, testa e attributi.

Ma riviviamo la scalata mettendoci nei panni dei tre protagonisti nella scalata finale. Immaginando cosa sia passato nella loro testa.

Lo sloveno vince sul Portet e mostra il logo della sua Uae in segno di gratitudine
Pogacar vince sul Portet e mostra il logo della sua Uae in segno di gratitudine

Pogacar, vittoria tanto cercata

Io Tadej Pogacar oggi voglio vincere. Ho la maglia gialla da 10 giorni ma ancora non ho alzato le braccia al cielo. Ho vinto la crono ma non è la stessa cosa: voglio vincere sul campo. La mia squadra ha sempre lavorato ed anche oggi è stato così. Appena si sposta Majka parto. Non m’importa quanto manca.

Bene, il primo scatto è andato. Siamo in tre, Carapaz e questo Vingegaard che non molla un metro. Riparto, ma sono ancora tutti qua. Adesso gli chiedo il cambio. Alla fine il mio tirare va bene soprattutto a loro due che stanno guadagnando su Uran. Però mi ridanno subito la testa della corsa.

Cinque chilometri. Adesso riprovo. Nulla da fare. Questo Vingegaard c’è sempre. Sin qui è stato l’unico a staccarmi in salita quel giorno sul Ventoux. E questa cosa non mi piace. E poi quando passa a tirare si risparmia. 

Scatta Carapaz. Allora bluffava, aveva ragione Jonas. Però Vingegaard è rimasto dietro. Allora faceva fatica anche lui. Bene. All’improvviso torno ad essere sicuro. Carapaz sta calando e lui sta rientrando. Adesso li sistemo…

Per Vingegaard sul Portet una sola piccola defaillance nel finale
Per Vingegaard sul Portet una sola piccola defaillance nel finale

Vingegaard, effetto sorpresa

Sono Jonas Vingegaard e mi sto giocando il podio del Tour. E dire che se Dumoulin non avesse alzato bandiera bianca non sarei qui. Oggi è chiaro che Tadej vuol fare la tappa. La Uae sta tirando, però è rimasto solo Majka. E Castrovejo cosa vuole? Vedrai che Carapaz sta bene e poi si va sopra i 2.000 metri. Dovrò tenere d’occhio anche lui. Ma sto bene.

Otto chilometri e mezzo all’arrivo e “questo” già scatta? Okay ci sono. Sto bene. Molto bene. Seguo Pogacar e nel finale se ho le gambe faccio come sul Ventoux. Il ritmo di Tadej è ottimo. Sto guadagnando su Uran. Però continuo a voltarmi e Carapaz fa tante smorfie, troppe. Lo sussurro anche a Pogacar. Mentre ci diamo un cambio gli dico che per me bluffa. Non mi convince il sudamericano.

Guardo dietro, ma anche Tadej guarda dietro verso di me. Quando scatta chiudo bene. Mi teme. Ma devo restare tranquillo. E poi Carapaz là dietro non ci ha dato un cambio. E infatti eccolo… Che botta. Non riesco a seguirlo. Le “spie sono tutte accese”. Meglio sedersi e andare di passo. 

Sono lì. Non scappano. Sono sempre 20 metri. Dai Jonas, dai… Rientro. Forse Richard mi ha fatto perdere la tappa, ma lui l’ho ripreso. E infatti ecco che parte Pogacar. Tadej è il più forte, ha tirato più di tutti. Ma Carapaz lo devo passare. Colpo di reni. Sono secondo!

Poco più di un chilometro al termine, ecco il temuto attacco di Carapaz
Poco più di un chilometro al termine, ecco il temuto attacco di Carapaz

Carapaz: una cartuccia ad alta quota

Sono Richard Carapaz e oggi non sarà come le altre tappe. Troppe volte in questo Tour ho attaccato e poi mi hanno ripreso. Stavolta non dò un cambio. Pogacar vuole vincere, si è capito da come ha tirato la Uae. 

Però ora Majka è calato. Castrovejo è con me. Adesso lo faccio tirare un po’ e vediamo cosa succede. Cavolo, 8,5 chilometri all’arrivo e Pogacar è già partito! Siamo in tre e Uran si è staccato. Il mio podio passa da lui. Devo staccarlo il più possibile. A crono è più forte di me.

Cosa? Questi due ragazzini vogliono il cambio? Non se ne parla. Sono a tutta e non vedo l’ora di prendere quota e arrivare “a casa”, sopra i 2.000 metri di questo Col du Portet. Continuano a girarsi. Mi guardano. Penseranno che stia bluffando, ma io sono a tutta. Guarda loro invece come vanno agili. Mi chiedono ancora il cambio. Piuttosto andassero regolari che così stacchiamo Uran.

Adesso sto meglio. Siamo tra le nuvole, manca poco più di un chilometro. Ho resistito anche dopo l’ultimo affondo di Pogacar. Vingegaard sta bene, ma non deve essere super. Non ha fatto neanche uno scatto ed è stato tutta la salita a guardarmi. Adesso ci provo. Scatto io.

Questi ultimi 900 metri non finiscono più. Sono totalmente fuorigiri. Vingegaard è rientrato. Però è finita. Per ora il podio è mio. Uran è dietro.

A fine tappa Vingegaard va da Pogacar e probabilmente gli dice: «Visto che Carapaz bluffava?»
A fine tappa Vingegaard va da Pogacar e probabilmente gli dice: «Visto che Carapaz bluffava?»

Una sfida ancora da vivere

Il resto è storia: a 100 metri dall’arrivo Pogacar accelera e in volata va a prendersi la tappa numero 17 di questo Tour. Adesso siamo certi che lo sloveno sarà più libero ti testa, più tranquillo. Voleva vincere e ce l’ha fatta. Una tranquillità che deriva anche dal fatto che Vingegaard si sia staccato un po’. Visto il suo nervosismo lungo la scalata del Portet, siamo certi che nella testa dello sloveno c’era il “tarlo del Ventoux”. Quei pochi metri di distacco di Vingegaard hanno rimesso le cose al loro posto. A volte gli equilibri su cui si regge un corridore, sono molto sottili. Anche per un campione della tranquillità come Pogacar stesso. Per questo chapeau a Tadej. Vincere quando si è nettamente più forti è facile, vincere lottando è cosa ben più difficile. E il fatto che dopo l’arrivo per la prima volta lo abbiamo visto stremato a terra vuol dire molto.

Pogacar, Vingegaard e Caparaz sono i primi tre della generale, coloro che hanno mostrato di essere i più forti. E domani potremmo vederne ancora delle belle. Specie tra l’ecuadoriano e il danese, che si stanno giocando i gradini del podio.

Wiggo e Schleck danno una spintarella a Uran e Carapaz

09.07.2021
4 min
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Due ex non di poco conto si aggirano per le strade del Tour. Uno l’ha vinto, Bradley Wiggins. L’altro ne aveva quasi fatto un’ossessione, Andy Schleck. Entrambi si sono chiesti (e gli è stato chiesto) se alle spalle della maglia gialla Pogacar, stia covando una minaccia sudamericana. Quella di Uran e di Carapaz. Quando il verdetto sembra già scritto, di solito si fa così. Si cercano appigli cui aggrapparsi per continuare un racconto che da grande film si va sempre più trasformando in una serie tivù. Con tanti episodi e pochi veri colpi di scena.

Uran ha messo fuori il naso per la prima volta sul Ventoux: è 2° in classifica
Uran ha messo fuori il naso per la prima volta sul Ventoux: è 2° in classifica

Crederci di più

Secondo Wiggins e Schleck, gli unici che potrebbero dare una spallata al Tour sono Uran e Carapaz, ma bisogna che entrambi cambino atteggiamento e smettano di pensare che il podio vale quanto una vittoria: quel ragionamento vale soltanto alle Olimpiadi. Fatte salve rare eccezioni, il secondo del Tour è semplicemente il primo dei battuti.

«Rigo è un buon amico – ha detto Wiggins, che con Uran ha condiviso parecchie avventure negli anni al Team Sky – ed è anche un corridore molto coerente. Si comporta sempre bene nelle grandi corse come il Tour de France e il Giro d’Italia. Indubbiamente sa gestire i suoi sforzi ogni giorno, ma mi piacerebbe vederlo attaccare di più e spingere più forte. Non è che non creda in se stesso, ma penso che dovrebbe crederci di più. E’ uno dei migliori ciclisti al mondo oggi».

Andy Schleck crede che Uran attaccherà in modo più incisivo e che Carapaz dovrebbe cambiare tattica
Andy Schleck crede che Uran attaccherà in modo più incisivo e che Carapaz dovrebbe cambiare tattica

Attesa o astuzia?

E qui il ragionamento, soprattutto fra i giornalisti colombiani, si fa pepato. Uran ha salvato le forze, facendo una gran cronometro, pensando di attaccare nella terza settimana, oppure semplicemente sta facendo il furbo, cercando la scalata al podio mentre tutto intorno i rivali si perdono per strada? Attualmente la classifica lo vede secondo a 5’18” da Pogacar. Secondi posti in carriera non gli mancano: può vantare quello del Tour 2017 dietro Froome e quelli del Giro 2013-2014, dietro Nibali e Quintana.

Il forcing di Carapz sul Ventoux non ha prodotto effetti e ne ha tratto vantaggio Vingegaard
Il forcing di Carapz sul Ventoux non ha prodotto effetti e ne ha tratto vantaggio Vingegaard

Carapaz poco incisivo

Per questo l’intervento di Andy Schleck, sollecitato da Cyclingnews porta un elemento di valutazione in più.

«Non so se Uran andrà all’attacco o meno – ha detto – ma la sua cronometro è stata molto efficace e sta conservando le riserve per quando ne avrà bisogno nei Pirenei. Ha molta esperienza quando si tratta di gare come questa e non lo vedo certo rallentare più avanti nella gara. Sulla carta forse Carapaz è un corridore migliore del colombiano, ma è già andato all’attacco tre volte e non ha portato a casa risultati. Se fossi in lui, non cercherei di guadagnare qualche secondo qua e là, perché è chiaro che non sta facendo grandi differenze. Mentre Uran non ha ancora fatto un solo attacco e credo ci proverà più avanti».

Quintana in maglia a pois: va bene col brutto tempo e soffre con il caldo: sudamericano atipico o c’è altro?
Quintana in maglia a pois: va bene col brutto tempo e soffre con il caldo: sudamericano atipico o c’è altro?

Come sta Nairo?

E visto che ricordando il Giro d’Italia del 2014 s’è fatto il nome di Quintana, non vi sembra singolare che Nairo vada forte nelle giornate di cattivo tempo e si perda in quelle di sole? Va avanti così da qualche tempo, dalla famosa nevicata sul Gavia a quella sul Terminillo alla Tirreno. Mentre nei giorni scorsi ha perso terreno con il grande caldo e si è ben difeso nelle giornate di cattivo tempo. Verrebbe da pensare che al pari di tanti altri corridori del gruppo, il colombiano possa soffrire di allergia. E se così fosse, avrebbe probabilmente una brutta gatta da pelare, dato che la sua squadra (la francese Arkea-Samsic) aderisce all’Mpcc e lo statuto dell’associazione impedisce ai suoi atleti di usare i farmaci necessari contro le allergie. Il Tour va avanti, insomma, con lo sguardo fisso ai sudamericani. E poi ricordiamoci che fra Uran e Carapaz c’è ancora Vingegaard. Nel suo caso, puntare e raggiungere il podio, visto che si tratta di un atleta al debutto, non sarebbe una sconfitta, ma una ghiotta anticipazione di futuro.

Bennati: «Fermi tutti, vi dico io chi è davvero Carapaz»

21.06.2021
4 min
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«Parliamoci chiaro, Carapaz può vincere il Tour de France». Si apre con il colpo di scena la chiacchierata con Daniele Bennati su Richard Carapaz. I due hanno corso per tre stagioni insieme nel team Movistar. Il “Benna” conosce bene il talento ecuadoriano.

Il sudamericano viaggia spedito verso il Tour. Ha vinto il Giro del 2019, è fresco re dello Svizzera, è salito sul podio della Vuelta l’anno scorso, ha vinto tappe qua e là e sa è essere uomo squadra. Ma noi vogliamo saperne di più di questo ventottenne delle Ande.

Bennati (al centro nella fila in alto) e Carapaz (secondo da sinistra nella fila centrale) insieme nella Movistar del 2017
Bennati (il quarto da sinistra nella fila in alto) e Carapaz (il secondo da sinistra nella fila centrale) insieme nella Movistar del 2017

“Cattivo” in bici

«Anche se da fuori non sembra – racconta con piacere Bennati – posso garantirvi che in corsa Carapaz ne guarda in faccia ben pochi. Ha la giusta dose di cattiveria agonistica. Si fa rispettare. Quando attacca il numero sulla schiena cambia. Mentre al di fuori dalle corse è un ragazzo super tranquillo, molto educato e rispettoso.
«Una volta eravamo alla Vuelta, c’era il giorno di riposo e alloggiavamo sulla costa Cantabrica. Quel giorno uscimmo insieme per la sgambata… Io e lui da soli. Facemmo un’oretta e mezza, ci fermammo a prendere una Coca Cola e poi passando su un tratto di costa bellissimo a picco sul mare ci fermammo a fare le foto. Lui le faceva a me, io le facevo a lui. Per dire che tipo di ragazzo sia: tranquillo, disponibile e generoso».

Bennati ricorda una delle prime gare che corse proprio con Richard. Erano al Tour de l’Occitaine del 2017 (ex Route du Sud), Silvan Dillier, che giusto ieri ha vinto il titolo nazionale svizzero, era in testa alla generale.

«Dillier – racconta Bennati – aveva preso la maglia con una fuga da lontano. Carapaz era secondo e noi tiravamo per lui. L’ho visto subito molto determinato, forse anche troppo, per quel che riguarda qualche alzata di voce in gruppo, “entrate” dure… Ma ha dimostrato subito il suo talento e il suo carattere battagliero, che poi è quello che fa la differenza tra un campione e un corridore normale. Questa sua determinazione mi impressionò».

Carapaz è un ottimo scalatore, ma ha anche caratteristiche da finisseur
Carapaz è un ottimo scalatore, ma ha anche caratteristiche da finisseur

Il Giro non è stato una sorpresa

«Io non sono rimasto stupito quando Richard ha vinto il Giro d’Italia. Hai voglia a dire che Nibali e Roglic si sono controllati, ma lui nei giorni successivi ha continuato a guadagnare. In salita dimostrò di essere molto forte. Io quel Giro dovevo farlo, ma ero messo male…

«Lo incontrai all’aeroporto di Madrid. Io andavo in Spagna dopo l’infortunio per farmi vedere. Avevo le vertebre rotte. Lui invece stava venendo in Italia. Mi disse che avrebbe voluto fare bene, che avrebbe voluto vincere delle tappe. Poi invece si è portato a casa la maglia rosa!

«Quando è arrivato in Movistar, i tecnici dicevano che aveva dei valori addirittura migliori rispetto a Quintana. Per me in confronto a Nairo lui è un po’ meno scalatore ma è certamente più completo. Richard è un corridore in grado di partire anche agli ultimi due o tre chilometri. Ricordo quando vinse la tappa sotto la pioggia a Frascati e batté gente tipo Ewan».

E il fatto che sia esplosivo è un grande vantaggio anche per gli uomini di classifica nel ciclismo moderno. Essere veloci nei finali vuol dire accumulare secondi, poter prendere abbuoni. E alla fine tutto conta.

Sorridente ed educato fuori dalle gare, l’ecuadoriano in corsa… “morde”
Sorridente ed educato fuori dalle gare, l’ecuadoriano in corsa… “morde”

Quali margini?

Ma dove può arrivare Carapaz? L’anno scorso, dopo il passaggio alla Ineos Grenadiers, sembrava destinato ad una vita da gregario, di lusso, ma sempre gregario. Sembrava si fosse adagiato. Adesso invece sembra essere addirittura il capitano dello squadrone inglese per la Grande Boucle.

«Prima – riprende Bennati – ho detto che Richard può vincere un Tour, magari non è quello di quest’anno, potrà essere il prossimo, ma è un qualcosa che comunque è nelle sue corde. Corre in una squadra fortissima e potrà attaccare. Thomas potrà essere più attendista. Ma tanto sarà la strada a dire chi dei due sarà il leader.

«Margini? Sul piano mentale credo che come un po’ tutti sudamericani sia già maturo. Loro a 22 anni spesso hanno già messo su famiglia. Ricordo Bernal, che anche se non è sposato, a 21 anni al suo primo Tour sembrava un trentenne. Sul piano fisico invece non so che margini possa avere Carapaz. In questo ciclismo si è visto che si può sempre migliorare un po’, ma una cosa è certa: lui handicap della cronometro. E morfologicamente più di tanto non potrà fare. Non potrà arrivare ai livelli di Thomas o Roglic. Però, è nella squadra giusta per poter migliorare in questa specialità… E di certo già avrà iniziato a lavorarci su».

Il Giro con i latini, il Tour con i britannici. E Carapaz cosa fa?

14.06.2021
5 min
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Dal tripudio rosa ai sogni in giallo. Dopo aver trionfato con Egan Bernal al Giro d’Italia, la Ineos Grenadiers sta cominciando a prendere confidenza con il colore più prestigioso al Tour de France, grazie alle fresche vittorie di Richie Porte al Delfinato e a quella di Richard Carapaz al Giro di Svizzera (foto di apertura).

Al Giro, grande fiducia di Bernal nel team: si metteva a ruota di Ganna e lasciava fare
Al Giro, grande fiducia di Bernal nel team: si metteva a ruota di Ganna e lasciava fare

Lo Stelvio per Tokyo

Di ritorno dal Passo dello Stelvio, dove ha seguito la ripresa post Giro di Filippo Ganna e Gianni Moscon, il direttore sportivo e allenatore Dario David Cioni ci ha raccontato l’estate della squadra tra gli obiettivi a cinque cerchi e la campagna in terra trasalpina.

«Con Filippo e Gianni abbiamo lavorato in ottica Tokyo – dice – era il primo blocco di lavoro dopo il Giro, in tempi leggermente sfasati perché non sono andati su lo stesso giorno, però è andata bene. Anche perché l’avvicinamento all’Olimpiade sarà diverso, visto che Filippo sta facendo anche dei lavori specifici in pista, mentre Gianni è rimasto allo Stelvio più a lungo».

Se Top Ganna sogna l’accoppiata aurea tra strada e pista, il trentino spera nella chiamata del ct Cassani per dare il suo contributo nella prova in linea.

Moscon sullo Stelvio preparando le Olimpiadi dopo un bellissimo Giro (foto Instagram)
Moscon sullo Stelvio preparando le Olimpiadi dopo un bellissimo Giro (foto Instagram)

Un super Giro

Entrambi sono stati fondamentali nelle tre settimane trionfali della Corsa Rosa, in cui i Grenadiers hanno corso con un’anima latina.

«Fino al ritiro di Sivakov, utilizzavamo soprattutto l’inglese – continua Cioni – dopodiché la musica era italiana o colombiana e gran parte delle comunicazioni erano in quelle lingue, salvo qualche riunione in inglese visto che il personale della squadra lo capisce meglio. La mentalità latina è stata però uno dei segreti di un gruppo fortissimo. In un grande Giro nascono legami molto forti, soprattutto quando c’è fiducia reciproca.

«Uno dei punti di forza come leader di Egan, nonostante sia ancora giovane, è che quando dice a un gregario: “Vai”, lui non molla la ruota. Lo si è visto con Filippo nella tappa delle strade bianche, ma anche con Gianni nelle frazioni finali, in cui era incollato a lui. Nonostante un uomo in meno, abbiamo fatto una grande impresa. Abbiamo preso la maglia subito con Filippo e poi per tanti giorni con Egan, con i ragazzi che, pur con un uomo in meno, l’hanno difesa senza grossi patemi».

Porte, terzo al Tour 2020, ha mostrato grande gamba al Delfinato. Dalla Svizzera, la risposta di Carapaz
Porte ha mostrato grande gamba al Delfinato. Dalla Svizzera, la risposta di Carapaz

Melius abundare

Al Tour, Cioni non sarà in ammiraglia come al Giro, ma ci ha raccontato un po’ che cosa dovremo aspettarci, con un’anima questa volta di madrelingua inglese, nonostante una variabile da non sottovalutare, come l’ecuadoriano Richard Carapaz.

Le alternative non mancheranno vista la presenza di assi del calibro di Geraint Thomas, già trionfatore nell’edizione del 2018, e Tao Geoghegan Hart, vincitore del Giro d’Italia nel 2020, senza dimenticare Richie Porte, terzo lo scorso anno alla Grande Boucle e galvanizzato dal successo al Delfinato.

«Le scelte finali – prosegue Cioni – non sono ancora state fatte, però una delle impostazioni sin dall’inverno è di presentarsi con una squadra con più di un leader, poi deciderà la strada chi sarà il corridore su cui puntare. Per quel che mi riguarda, meglio avere l’imbarazzo della scelta che nessuno per la classifica. Alla fine, abbiamo visto che anche Porte può dire la sua, non solo i più attesi come Thomas, Carapaz e Tao.

«D’altronde però, gli avversari sono forti. Se pensiamo a Roglic, che non ha ancora mostrato nulla quest’anno e si è nascosto, o Pogacar, che invece è già super competitivo, vedendo anche l’ultimo Giro di Slovenia. Sarà un Tour interessante, senza dubbio».

Anche Tao Geoghegan Hart ha fatto vedere belle cose in Francia
Anche Tao Geoghegan Hart ha fatto vedere belle cose in Francia

Il leader designato

E gli appassionati non vedono l’ora di assistere alle guerre stellari tra gli assi del pedale. Ai Grenadiers toccherà il ruolo di guastafeste, come conferma il quarantaseienne ex ciclista italo-britannico, che nel 2004 si piazzò quarto al Giro. E in caso di foratura di uno dei big, chi si ferma e chi va aspettato?

«Dipende da caso a caso e da tappa a tappa – dice – però ognuno ha un uomo dedicato di supporto, specialmente in caso di problemi meccanici, che gli sta sempre vicino. E’ chiaro che non puoi dividere la squadra in due, perché poi diventa ancor più difficile da gestire. Meglio decidere in quel preciso momento in corsa, anche perché sono tutti grandi professionisti e sanno cosa vuol dire dare supporto al leader designato. Questa volta magari toccherà a loro dare aiuto al capitano scelto, ma sanno che quando avranno l’opportunità in futuro, il supporto verrà ricambiato».

In pratica quello che è successo al Delfinato, con Thomas che ha spalleggiato Porte per il trionfo finale, augurandosi uno scambio di favori alla Grande Boucle. 

Giro del Delfinato, Geraint Thomas anticipa Sonny Colbrelli
Giro del Delfinato, Geraint Thomas anticipa Sonny Colbrelli

La variabile fughe

La superiorità numerica che per tanti può sembrare difficile da gestire, secondo Cioni apre scenari interessanti.

«Nel ciclismo moderno – dice – stanno tornando gli attacchi da lontano, per cui se si hanno più carte da giocare, si può davvero mettere in difficoltà altre squadre che hanno un leader unico. Avere più corridori capaci di vincere un grande Giro non è semplice in certi frangenti, ma in altri, soprattutto se non sei tu a guidare la corsa, dà la possibilità di inventare qualcosa di interessante. Quando, invece, indossi la maglia di leader, a volte sei immobilizzato sotto il punto di vista tattico». Alla strada l’ardua sentenza.