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EDITORIALE / Il ciclismo in Italia, tesoro dimenticato

10.10.2022
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Alla vigilia del Lombardia, ospiti della cena per i 20 anni di Promoeventi Sport, che fra le sue cose organizza le corse bergamasche per RCS Sport, abbiamo ritrovato un gruppo di amici. E come accade da qualche tempo a questa parte, il discorso è finito sul ciclismo di casa nostra e la necessità di un team WorldTour italiano. Un concetto che oggi anche Ivan Basso riprende in un post pubblicato su Linkedin.

La cena per i 20 anni di Promoeventi di Bettineschi e Belingheri è stata l’occasione di riflessioni sul ciclismo italiano
La cena per i 20 anni di Promoeventi di Bettineschi e Belingheri è stata l’occasione di riflessioni sul ciclismo italiano

Un team italiano

Enrico Zanardo, che ha avuto squadre dilettanti per anni ed è oggi il referente di Vini Astoria nel ciclismo, era abbastanza perplesso circa la possibilità di fare una squadra di soli italiani. I grossi sponsor hanno interessi in tutto il mondo e questo fa sì che abbiano bisogno di corridori da diversi Paesi. Discorso ineccepibile.

Claudio Corti, manager della Saeco di Cunego e Simoni, ricordava di quando Sergio Zappella (il signor Saeco) raggiungeva il budget per la squadra raccogliendo il contributo delle filiali mondiali. Ne era ovviamente l’azionista di maggioranza, quindi l’impegno centrale era il suo, ma in questo modo raggruppava attorno alla squadra interessi in ogni angolo del mondo.

Serge Parsani, oggi alla Corratec (in procinto di rientrare come professional), ricordava gli anni alla Mapei in cui non mancavano corridori internazionali, ma con un forte nucleo italiano al centro. Sottolineando che anche il team di Giorgio Squinzi faceva un gran lavoro di coinvolgimento delle filiali estere.

La Saeco ruotava attorno a italiani come Cunego, Simoni, Cipollini e Savoldelli, ma vinse il mondiale con Astarloa
La Saeco ruotava attorno a italiani come Cunego, Simoni, Cipollini e Savoldelli, ma vinse il mondiale con Astarloa

Cresce la Svizzera

Oggi tutto questo sembra irraggiungibile. Eppure i grossi sponsor non mancano: manca piuttosto la voglia di fare il passo in più, impegnarsi davvero a fondo.

Probabilmente il sistema fiscale italiano non aiuta, magari è per quello che i nostri campioni risiedono all’estero e la nuova Q36.5, squadra di sponsor e dirigenza italiani, per partire ha scelto la Svizzera.

E proprio in Svizzera, i nuovi team saranno due. Oltre a quello che avrà fra le sue schiere un Vincenzo Nibali in veste di consulente d’eccezione, sarà varato il nuovo Tudor Pro Cycling Team di Fabian Cancellara. Mentre qui registriamo il rischio chiusura della Drone Hopper-Androni e non sarà certo il probabile ritorno della squadra toscana, che negli anni è andata e venuta con alterne vicende, a bilanciare la situazione.

L’addio di Nibali e Valverde al Lombardia non è stato il solo grande evento del weekend
L’addio di Nibali e Valverde al Lombardia non è stato il solo grande evento del weekend

La fuga dei talenti

E intanto i nostri se ne vanno all’estero ed entrano in un mercato florido che offre prospettive interessanti. In squadre ricche, che però metteranno al primo posto i corridori di casa. Pertanto, allo stesso modo in cui Paolo Bettini, già vincitore delle Liegi e dei mondiali, non ha mai potuto correre il Fiandre perché aveva davanti Boonen, altri verranno su come luogotenenti più che come leader. Perché il leader deve fare la corsa, non tirare per altri e poi osservarli andar via. Restano le poche occasioni di quando i capitani di casa non ci sono. E in quei casi i vari Bagioli, Aleotti e Covi hanno la possibilità di venir fuori. Ma non è facile. Il ciclismo non ti dà tutto e subito, la maturazione ha bisogno di esperienza e l’esperienza ha bisogno di occasioni ripetute.

In Belgio basta la presenza di un campione (qui Tom Boonen) per richiamare decine di media
In Belgio basta la presenza di un campione (qui Tom Boonen) per richiamare decine di media

Parliamo dei media

Il perché in Italia il ciclismo sia finito nell’angolo s’è sempre spiegato con i problemi di un tempo. Il fatto tuttavia è che niente è come prima, mentre provoca stupore il relativo disinteresse da parte dei grandi attori della comunicazione, che si sono ormai appiattiti sul calcio in modo a volte imbarazzante. I grandi giornali non mandano più inviati ai grandi eventi e quando lo fanno hanno vergogna di sparare la vittoria in prima pagina. Come il record dell’Ora di Ganna: il confronto delle prime pagine rispetto a quando il record lo fece Moser provoca ben più di un interrogativo.

La televisione ha aumentato le ore di diretta. Eurosport e i suoi ragazzi fanno vedere con competenza corse che un tempo erano soltanto nomi esotici, mentre la Rai continua con il suo lavoro complesso difendendo la posizione.

Lo scorso weekend è stato un fiorire di ciclismo, anche eccessivo (l’UCI compila i calendari senza logiche apparenti: non si è accorto il presidente Lappartient di non aver avuto il tempo per presenziare a tutti gli eventi?). Lombardia. Record dell’Ora. Parigi-Tours. Mondiale gravel (in apertura, Van der Poel firma autografi). Romandia donne. Perché lo si è vissuto come un problema e non come una risorsa?

La fantastica Ora di Ganna ha avuto il giusto risalto mediatico? Forse non del tutto
La fantastica Ora di Ganna ha avuto il giusto risalto mediatico? Forse non del tutto

Parliamo degli sponsor

In questo quadro avaro di coraggio, perché uno sponsor dovrebbe investire tutti quei soldi, se per molto meno può avere la scintillante vetrina del calcio? Giorgio Squinzi chiuse la Mapei ed entrò nel calcio, prima con la nazionale e poi col Sassuolo. Chi resta, attinge alla passione. Gli altri che magari vorrebbero, prendono atto delle porte chiuse e vanno altrove.

«Il nostro è uno sport che garantisce un ritorno importante – scrive Basso – ma non lo garantisce nell’immediato e io capisco che per un’azienda oggi è importante avere ritorni a breve termine. Però, il ciclismo non è solo un veicolo pubblicitario: è anche, e soprattutto, un veicolo di valori…».

Parole condivisibili, che faticano ad attecchire in un mondo in cui i grandi organizzatori cercano di accaparrarsi le corse importanti per arricchire il proprio portafogli. Nessuno si sogna di fare sistema, come ad esempio avviene in Francia con il Tour. Sono tutti attorno all’osso, vantando posizioni di privilegio vero o presunto, cercando di mangiarne più che possono.

Ettore Giovannelli, occhi curiosi sulle strade del Tour

27.07.2022
7 min
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Alpe d’Huez, un caldo bestiale. La curva degli olandesi è alle spalle. Hanno battuto sugli sportelli e gridato frasi incomprensibili. Non hanno nemmeno offerto da bere, che sarebbe stato il solo pretesto per fermarsi. E mentre lentamente continuiamo la nostra scalata, dietro la curva riconosciamo Ettore Giovannelli della RAI. Ha fermato l’auto e sta tornando indietro al piccolo trotto, col solito sorriso e il suo microfono, per immergersi nella bolgia arancione e alcolica.

Questa è la celebre curva degli olandesi, che si aprono per i corridori e bloccano il resto del traffico
Questa è la celebre curva degli olandesi, che si aprono per i corridori e bloccano il resto del traffico

Il Tour di Ettore

Il Tour di Ettore è stato un racconto di strada. Nel viaggio attraverso la Francia, i suoi contributi nelle dirette della RAI hanno fatto la differenza. Interviste alla partenza e agli arrivi, ma soprattutto gli interventi in diretta per mostrare personaggi e luoghi che solo chi è al Tour può raccontare. Per questo ci è venuto in mente di sentire ancora la sua voce, che per anni ci ha raccontato le imprese di Michael Schumacher parlando con lui in tedesco e traducendolo da sé.

Giovannelli è un pescarese classe 1964 e nel ciclismo c’è arrivato quando la RAI non è più riuscita a riprendere i diritti della Formula Uno, in cui era una delle voci di riferimento. Dopo un po’ che ci parli, ti rendi conto di avere di fronte davvero una brava persona. Del resto certi servizi non verrebbero così bene senza avere addosso l’umanità necessaria.

«E così adesso – sorride – lavoro come gregario, per dare una mano a Rizzato, Pancani e Garzelli soprattutto con i corridori stranieri. Ho cominciato facendo un po’ di gare, poi qualche Giro e questo è stato il quarto Tour. Due li ho divisi con un collega, questo è il secondo che faccio per intero. Abbiamo cercato di dare qualche tocco di attualità e di vita vissuta. Questo almeno è quello che ho provato a fare io, che sono un giornalista di strada. E questo Tour con le prime riaperture dopo il Covid è stato decisamente un’altra cosa».

Con la collega Stella Bruno nell’autodromo di Abu Dhabi
Con la collega Stella Bruno nell’autodromo di Abu Dhabi
Cosa hai pensato quando hai capito che la Formula Uno avrebbe cambiato canale?

Eravamo tutti dispiaciuti, perché era qualcosa di prestigioso. Era molto seguita, faceva ottimi ascolti. Invece per vari motivi e per scelte soprattutto economiche, perché i diritti erano aumentati tantissimo, non l’hanno più presa. E quindi i miei vent’anni di Formula Uno sono rimasti lì. Era il mio mondo, avevo una rendita di posizione. Conoscevo tutti, invece mi sono dovuto rimettere in gioco. Ho fatto un po’ di sci d’inverno, sempre per il fatto che lì parlano quasi solo tedesco, e alla fine sono arrivato al ciclismo.

Tedesco nella Formula Uno fa pensare a Schumacher… 

Infatti ho cominciato nel 1999 con lui e ho seguito i 5 titoli mondiali e tutto quello che ha fatto. Ho avuto la fortuna di entrare al momento giusto, dopo anni in cui la Ferrari non vinceva più. Ho conosciuto bene Michael, ero praticamente la sua ombra. Stavo sempre con lui e a quel tempo facevamo davvero tantissimo, perché il prodotto tirava.

Altro ambiente rispetto al ciclismo?

Non c’erano solo i piloti, ma anche politici, cantanti, attori. Era una miniera ed era figo sentire di farne parte. Ma se proprio devo dire, la Formula Uno è una torre d’avorio, un mondo a sé. Invece il ciclismo è la vita vera, che va per strada e fra la gente.

I tuoi interventi sulle strade del Tour erano programmati o improvvisati?

Entrambe le cose. Alcuni li devi programmare, come ad esempio l’incontro con Monsieur Route, che spazzolava la strada e buttava acqua per raffreddare l’asfalto. Il diavolo invece l’ho incontrato casualmente. Molte cose le abbiamo organizzate, per esempio il fatto del gilet di Thomas. Ho dovuto fargli la corte. Ho insistito, dicendo che poteva essere una cosa interessante e lui alla fine me l’ha dato (in apertura, Giovannelli, Pancani e il gilet). Sono andato a prenderlo da questi tifosi, ho fatto un po’ di scenette e l’ho portato all’arrivo. Poteva essere clamoroso, pensate se avesse perso il Tour per quei 20 secondi…

Si è capito a cosa porterà questa staffetta del gilet?

Ancora non so, ma sicuramente raggranellerà un po’ di soldini per la sua causa. A un certo punto ha capito di non poter tornare indietro e si è inventato questa attività interessante per i tifosi.

Questa l’intervista con André Bancala, il Monsieur Route del Tour (immagini Rai Sport)
Questa l’intervista con André Bancala, il Monsieur Route del Tour (immagini Rai Sport)
Come è andata con gli olandesi?

Mi sono fermato e abbiamo girato tutto il casino che c’era. Ho parlato con un po’ di gente. Mi hanno detto che in Olanda sanno che se al Tour c’è l’Alpe, si fa questa cosa qui. E quindi c’è gente che si sposta per andare in quel punto e ballare, cantare e bere birra. Quest’anno è stato di nuovo un Tour di quelli veri, di luglio. Con le famiglie e i bambini. E questo è stato davvero molto bello, perché ti rendi conto che per loro è un’istituzione. Il nostro Giro sarà sicuramente più suggestivo per i paesaggi e forse più duro, ma il Tour per loro è una cosa fondamentale.

Parliamo di corridori…

Mi ha colpito Rafal Maika. L’ho beccato una volta alla Planche des Belles Filles, quando Pogacar aveva vinto e ha fatto un’intervista davvero bella. Si vedeva che oltre al fatto di essere nella stessa squadra, c’era una grandissima intesa. Poi quando si è fatto male e non riusciva più a pedalare, l’ho ribeccato al pullman. E’ sceso e ha voluto parlare. E’ stato gentile. Un altro invece è Uran. Lui è una bomba, comunque vada. Abbiamo parlato dopo la tappa in cui aveva attaccato per poi essere staccato e mi ha detto che davanti o dietro lui comunque si diverte sempre. Al Tour si percepisce un’intensità che al Giro non c’è. La fuga sembra una questione di vita o morte. Sono tutti tiratissimi e questo è una cosa che ti colpisce la mattina. E’ stato bello anche che per i primi dieci giorni ci abbiano permesso l’accesso ai bus prima del via, mentre dopo l’arrivo è rimasto possibile sino a Parigi. 

Bettiol è uno dei corridori italiani che gli offrono più spunti
Bettiol è uno dei corridori italiani che gli offrono più spunti
Corridori e piloti…

Io mi muovevo benissimo, però la Formula Uno è diventata peggio del calcio. Per arrivare al pilota, anche se è un amico e lo conosci da 10 anni, devi passare dall’addetto stampa e i tempi si dilatano. Io restavo il pomeriggio fino a tardi e poi dietro ai camion… per caso incontravo quello che dovevo intervistare. Il ciclismo è meno strutturato e quindi il contatto è più facile. C’è sempre chi ama parlare e chi no. Ad esempio tra gli italiani c’è Bettiol che, poveretto, ha perso la tappa di Mende. Lui con me è sempre molto disponibile e molto acuto. Ti dà tutta ciccia (modo da giornalista per dire che offre materiale di buona sostanza, ndr) e ti permette di lavorare bene.

Altri?

Altri li ho conosciuti quest’anno, come Mozzato e Dainese e li vedi già con la testa giusta. Poi Caruso e Ciccone, ma si vedeva che non stavano bene. Invece chi è un gran figo è Van Aert. Lui oltre a essere fortissimo, ti ascolta e risponde sempre nel tema, non solo con belgi e olandesi anche con noi. Ti dà sempre la sua interpretazione.

Un salto al Giro: Giovannelli aspetta Pozovivo al Block Haus
Un salto al Giro: Giovannelli aspetta Pozovivo al Block Haus
E se la RAI dovesse riprendere la Formula Uno?

Ci dovrei pensare. Fino a un paio d’anni fa, mi sentivo in stand by. Adesso sono tanti anni che manco, ma se dovesse tornare ci farei un pensierino molto serio. Però questa cosa del contatto con la gente mi sta prendendo più di quanto immaginassi. Intanto siamo qua a portare le borracce. Gli altri ne sanno molto più di me. Perciò se c’è una cosa tecnica, cerco di farla al mio meglio. Qualcuno però dice che a forza di occuparmi di servizi di colore, non faccio più il giornalista, ma il pittore.

Giro Donne, il punto con Giada Borgato a un giorno dal via

29.06.2022
7 min
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Stasera si vola, domani si parte. Giada Borgato e Umberto Martini saranno le voci della Rai al Giro d’Italia Donne 2022 (foto Instagram di apertura), con tappe in diretta su Rai Due e una copertura degna del ritorno nel WorldTour. La coppia si è sperimentata ai campionati italiani e ora che Stefano Rizzato farà il suo debutto al Tour, il microfono è passato a Martini. Debutto in diretta e passa la paura.

In attesa che domani il prologo di Cagliari assegni la prima maglia rosa, con Giada passiamo in rassegna percorso e sfidanti, cercando nel suo sguardo i dettagli che non sfuggono all’occhio dell’atleta.

Il Giro d’Italia Donne parte con un prologo nel Golfo del Poetto di Cagliari (foto Sardegna Turismo/Locci)
Il Giro d’Italia Donne parte con un prologo nel Golfo del Poetto di Cagliari (foto Sardegna Turismo/Locci)
Che idea ti sei fatta di questo Giro?

Tosto. Con tappe non troppo lunghe, ma impegnative anche oltre le salite dichiarate. Una corsa che strizza anche l’occhio al Tour de France, che debutta dieci giorni dopo. L’anno scorso c’è stata qualche tappa più lunga. Ma forse proprio averle accorciate ha permesso ad alcune atlete di venire ugualmente, senza aver paura di spendere troppo qui e non avere poi gambe in Francia. Il livello è alto.

Partenza in Sardegna.

Inizio soft, il prologo così corto serve per rompere il ghiaccio. Poi due tappe che, se non c’è troppo vento, finiranno di sicuro in volata. Nel gruppo ci sono delle grandi velociste. Marta Bastianelli, che deve recuperare un dolorino al ginocchio. Emma Norsgaard, la Balsamo che vola. Consonni per la Valcar. Rachele Barbieri e anche Martina Fidanza. E poi c’è Lotte Kopecky.

Prima tappa cattiva in Romagna?

La tappa di Cesena è dura, potrebbe arrivare la fuga, ma alle donne di classifica basterà vedere un po’ di salita per misurarsi la temperatura. Ci sono continui saliscendi. A parte Barbotto e Monteleone, alla fine c’è lo strappo di Carpineta per cui l’avvicinamento al traguardo non sarà proprio banale.

Reggio Emilia ancora allo sprint e poi si cambia?

Esatto. Dalla sesta tappa cambia l’aspetto e il Giro diventa più imprevedibile. La tappa di Bergamo la temono tutte per il circuito da fare cinque volte. Lo strappo è breve, ma con il caldo e quello che è successo le ultime volte che si è corso in circuito, siate pur certi che qualcosa succederà. E poi saremo alla vigilia del primo arrivo in salita.

Primo e unico, il passo Maniva.

Sull’Anita (così si chiama il libro di corsa del Giro Donne, ndr) dichiarano 9 chilometri, in realtà sono 11,5. Andrà via di sicuro la fuga, ma nel finale le riprendono tutte e si giocano il Giro. La tappa è di 113 chilometri e incoraggia anche tattiche più arrembanti. Una Van Vleuten in giornata potrebbe già attaccare, secondo me non vede l’ora.

In palio la maglia rosa lasciata vacante da Anna Van der Breggen con il suo ritiro dalle corse
In palio la maglia rosa lasciata vacante da Anna Van der Breggen con il suo ritiro dalle corse

Dieci tappe in cinque regioni

Il Giro d’Italia Donne 2022 parte domani dalla Sardegna, per poi passare in Emilia Romagna, Lombardia, Trentino Alto Adige e Veneto, dove si concluderà il 10 luglio. Distanza totale di poco superiore ai mille chilometri. Un solo arrivo in salita, il 7 luglio al Passo Maniva.

1ª tappa1/7Cagliari-Cagliari4,75
2ª tappa2/7Villa Simius-Tortolì106,5
3ª tappa3/7Cala Gonone-Olbia113,4
4ª tappa4/7Cesena-Cesena120,9
5ª tappa5/7Carpi-Reggio Emilia126,1
6ª tappa6/7Sarnico-Bergamo114,7
7ª tappa7/7Prevalle-Passo Maniva112,9
8ª tappa8/7Rovereto-Aldeno104,7
9ª tappa9/7San Michele all’Adige-San Lorenzo Dorsino112,8
10ª tappa10/7Abano Terme-Padova90,5
totale chilometri 1.007,2
Dopo Amstel, Freccia Vallone e Mont Ventoux Denivele, Marta Cavalli fa rotta sul Giro (foto Thomas Maheux)
Dopo Amstel, Freccia Vallone e Mont Ventoux Denivele, Marta Cavalli fa rotta sul Giro (foto Thomas Maheux)
Ancora salita in Trentino.

La tappa di Aldeno è bella, con due salite come il passo Bordala e il Lago di Cei. Salite lunghe, botte da orbi assicurate. La prima è di 15 chilometri e ha pendenze fino al 17,5 per cento, l’ultima la scollinano a 9 chilometri dall’arrivo e poi è tutta discesa. Il traguardo si può dire che sia in cima.

Sono tappe che strizzano l’occhio anche alle nostre?

Marta Cavalli può fare bene, mi piace tanto. L’anno scorso finì sesta, ma bucò il primo giorno e non fu possibile recuperare. Quest’anno può fare bene, perché ha raggiunto un livello altissimo. Va bene anche a crono, è veloce e ha il morale alle stelle dopo le vittorie di primavera e l’ultima sul Ventoux. Lei potrebbe far paura alla Van Vleuten.

Con la vittoria di Black Mountain al The Women’sTour e il tricolore crono, Longo Borghini arriva al Giro in gran forma
Con la vittoria di Black Mountain al The Women’sTour e il tricolore crono, Longo Borghini arriva al Giro in gran forma
Come vedi un dualismo italiano con la Longo Borghini?

Sarebbe bello. La Longo sul discorso classifica, anche per il tipo di approccio che ha dichiarato, è un punto di domanda. C’è sempre in agguato il rischio di un giorno no, ma sicuramente andrà forte. Magari questo approccio diverso potrebbe alleggerire il carico della pressione. E’ uscita in crescendo dalla primavera e avrà accanto la Brand, che potrebbe essere il piano B della Trek-Segafredo. Come la Ludwig potrebbe subentrare alla Cavalli in caso di problemi, anche se la leader in partenza è Marta e la Cecile lo sarà al Tour.

C’è anche Mavi Garcia…

Fresca di vittoria al campionato spagnolo. La UAE Adq avrebbe anche Erica Magnaldi, che però ha dichiarato di lavorare per la spagnola. Ha avuto qualche problemino a inizio anno, vediamo se ha recuperato.

L’ultima tappa di montagna è la nona.

Quella che arriva a San Lorenzo in Dorsino. Si sale a Fai della Paganella, poi il passo Duran e il Daone. Salite vere e nemmeno un metro di pianura fino all’arrivo. La degna conclusione prima del gran finale con la volata di Padova.

Verona, foto ricordo con Genovesi, Pancani e Petacchi alla fine del Giro d’Italia
Verona, foto ricordo con Genovesi, Pancani e Petacchi alla fine del Giro d’Italia
Andrete ogni giorno in diretta?

Andremo su Rai Due, quando l’ho saputo sono rimasta colpita. Magari qualche giorno inizieremo su Rai Sport, ma i finali tutti su Rai Due prima che inizino le dirette del Tour.

Non ci sarà il solito Rizzato…

Erano anni che tifava perché il Giro Donne andasse in diretta, ora il compito tocca a Martini. Abbiamo iniziato a lavorare insieme al campionato italiano, ci aspetta una bella avventura. Ormai non resta che cominciare.

Rizzato al Tour, fra giganti, sogni e lezioni da imparare

23.06.2022
7 min
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«Mi sentirò seduto sulle spalle dei giganti che mi hanno preceduto», poi Rizzato fa una pausa e percepisci il cambio di ritmo. Il telecronista cede il posto al ragazzo e l’emozione diventa palpabile. Chiediamo spesso ai corridori che cosa provino debuttando al Tour, ma è la stessa domanda cui potrebbe rispondere chiunque l’abbia vissuto, a vario titolo e nel suo ambito. Stefano (in apertura sulla moto all’ultimo Giro, foto Mirrormedia) sarà la voce di Rai Sport nella prossima edizione della corsa francese, in un passaggio professionale che non lascerebbe insensibile neppure il più cinico dei cronisti. Figurarsi chi vive lo sport da dentro e con passione.

«Se abbiamo una virtù in un’azienda così storica – riflette – è quella di poter imparare da chi è venuto prima di noi e che poi ci affianca. E’ una grande ricchezza che vale per le grandi e le piccole cose. Chiaro che io ci dovrò mettere del mio, la mia personalità. Ci dovrò mettere la chimica con Stefano Garzelli, che già ho sentito ottima al Delfinato. Stefano è una persona che si prepara tantissimo, che ha un grande entusiasmo…».

E’ stata Alessandra De Stefano, qui con Garzelli al Tour 2016, a volere Rizzato in postazione
E’ stata Alessandra De Stefano, qui con Garzelli al Tour 2016, a volere Rizzato in postazione

Debutto ritardato

Il campionato italiano della crono è alle spalle, l’avventura francese avrà inizio la prossima settimana, ma in realtà è già iniziata da un pezzo. Stefano avrebbe dovuto debuttare alla conduzione alla Freccia Vallone e poi alla Liegi, ma il Covid l’ha costretto in casa.

Il passaggio dalla moto alla postazione non è semplice. Non è solo, come pensa una buona fetta degli appassionati dal divano, prendere un microfono e parlare. Almeno non lo è se vuoi che le parole raccontino, coinvolgano, informino. Dietro quel microfono il più delle volte ci sono persone che studiano e si mettono in gioco, pur sapendo di essere esposte al giudizio spesso frettoloso di chi non ha il tempo e nemmeno il gusto di approfondire.

Intanto la squadra RAI è al lavoro. Giada Borgato e Petacchi in ricognizione sui percorsi del Tour (foto Instagram)
Intanto la squadra RAI è al lavoro. Borgato e Petacchi in ricognizione sui percorsi del Tour (foto Instagram)
Come è successo che dalla moto sei passato alla postazione?

E’ un percorso che mi hanno proposto Alessandra De Stefano e Alessandro Fabretti, con l’idea di affiancare in modo un po’ più stabile Pancani, che poi è fulcro di tutto il progetto. Nel senso che Francesco mi affiancherà in questo percorso, essendo anche lui al Tour a fare lo studio e il coordinatore. Sarà fondamentale averne il supporto e i consigli. Di Tour ne ha seguiti diversi, il mestiere lo fa meglio di tutti e per me l’opportunità vera è quella di poter imparare da lui.

Nessun avvicendamento, insomma?

Questo vorrei che fosse chiaro. Per me non sarà tanto dire di aver messo la bandierina sul Tour de France e aver raggiunto uno dei miei sogni da bambino, ma la grande opportunità professionale e anche umana di fare il Tour imparando da uno che in tutti questi anni l’ha raccontato al meglio. Francesco è il numero uno: non c’è nessun passaggio di consegne, ma piuttosto un bellissimo rapporto fatto di stima profonda e del grande piacere di lavorare insieme.

Al Giro hai dovuto prendere il suo posto…

Al di là della parte emotiva (il toscano è dovuto correre infatti da sua madre Anna, che si è spenta pochi giorni dopo, ndr), è stato difficile gestire la postazione avendo in testa la moto. E’ un lavoro totalmente diverso. E’ una telecronaca, ma al tempo stesso è come se fosse una conduzione.

Saligari sulla moto al Giro 2022. Al Tour la RAI non avrà moto in corsa (foto Instagram)
Saligari sulla moto al Giro 2022. Al Tour la RAI non avrà moto in corsa (foto Instagram)
Che cosa significa?

Di fatto avevo da interpellare altre sette voci, fra il commento tecnico di Petacchi e Giada (Borgato, ndr), quello sulla storia e le storie con Fabio Genovesi. Poi c’erano il professor Fagnani da Radio Informazioni e le due moto di Saligari e Martini. Altre volte in modo più sporadico c’era un collegamento dall’arrivo, che poteva essere con Antonello Orlando o altri. Se si aggiunge la finestra sul Processo alla Tappa, le voci diventano otto e si capisce che è un lavoro molto particolare.

E’ stato difficile subentrare?

La verità è che la macchina già camminava bene, quindi l’obiettivo fondamentale era di non farla schiantare. Tenerla dritta fino al ritorno del titolare. Le varie voci già dialogavano bene, io ho approfittato di un lavoro che era già stato impostato da Francesco. Ho cercato di farlo innanzitutto con sobrietà, perché comunque non era casa mia. Ero il supplente e quindi aspettavamo tutti che Pancani tornasse.

Il Tour sarà invece casa tua. Come ti sei preparato?

Ho fatto un lavoro grosso sulla storia, sia per i consigli di Alessandra sia per l’idea che mi ero fatto io. Non si può raccontare un Tour senza capire bene cosa c’è alle spalle. Si parla tanto della sua magnitudo come se fosse un terremoto, si parla di tutto quello che c’è intorno e della sua grandeur, ma è importante capire quel che c’è stato prima.

Più bello del Giro, scrive su Instagram c’è tornare a casa dal Giro: l’ultimo è stato impegnativo
Più bello del Giro, scrive su Instagram c’è tornare a casa dal Giro: l’ultimo è stato impegnativo
Come ti sei mosso?

Sono andato a caccia delle fonti migliori e le ho trovate in un cofanetto di tre volumi bellissimi curati da L’Equipe per il centenario. E lì tra foto pazzesche e racconti bellissimi, mi sono veramente perso dentro la storia del Tour. Ne sto uscendo adesso, sto arrivando giusto alla partenza e sento di avere capito meglio il romanzo del Tour de France. Confesso che prima non avevo questa conoscenza così approfondita.

Cosa ti ha colpito?

Avevo sempre sentito dire che il Tour avesse una grande storia, ora ho scoperto che è fatta di un sacco di episodi e di dettagli attraverso cui capisci che sia una corsa anche molto crudele. E’ nata per esserlo, per essere cattiva. E’ un dialogo tra passato e presente che spero di riuscire a portare poi in trasmissione.

Quale dei Tour che hai scoperto ti sarebbe piaciuto raccontare?

Se fossi francese, direi uno di quelli con il duello fra Anquetil e Poulidor. Quando hai due personaggi così, è chiaro che vivi il Tour in modo particolare. Quello che fu definito il Tour dei Tour se non sbaglio fu quello del 1964, con Anquetil che vinse per 55 secondi. Non sarebbe male avere due personaggi così, trovare oggi un duello che sia all’altezza di quello o ci si avvicini anche solo un po’. Adesso c’è un gigante e tutti gli altri che cercano di non arrancare e di unirsi contro di lui. Ma chi può dirlo? Magari vivremo una bella sfida anche quest’anno…

L’avvicinamento di Rizzato è passato per lo studio di questi tre volumi sulla storia del Tour
L’avvicinamento di Rizzato è passato per lo studio di questi tre volumi sulla storia del Tour
Come fa un giornalista, che con la moto è nel gruppo, a raccontare la corsa senza vedere nessuno?

Siamo al cuore del discorso ed è una cosa che ha occupato molti dei miei ragionamenti. Anche se si farà cronaca, l’obiettivo è proprio portare dentro il racconto quello che ho vissuto sulla moto e attraverso tante interviste. Al Tour non abbiamo il supporto degli inviati in gruppo, quindi vorrei portare nella diretta un po’ della strada da cui vengo. Se ci pensate, tutti quelli che mi hanno preceduto, lo stesso Pancani che lo fa ancora, sono passati dalla moto. Ti dà un occhio diverso, più coinvolto. Si può dire davvero che sono un telecronista preso dalla strada.

Prima hai parlato del tuo sogno di bambino…

Io ho cominciato da un sito, Cicloweb. I primissimi passi li ho fatti lì da appassionato di ciclismo. Poi, mano a mano, mi sono avvicinato al giornalismo facendone un mestiere. Mi sono occupato di tante cose diverse che non avevano a che fare con lo sport, fino a quando sono entrato in Rai nel 2016. Quindi è chiaro che il Tour sia la realizzazione di qualcosa di grande e di importante che sognavo da appassionato di sport e di ciclismo. Il percorso è stato tortuoso e particolare come quello di tutti.

Ai cronisti televisivi si rimprovera il fatto di sprecare troppe parole raccontando cose che si vedono già nelle immagini. Si può evitare?

Posso dare due parti della risposta. Una viene proprio da quello che mi ha insegnato la moto, che è fatta per raccontare quello che non si vede. Quell’abitudine è bene non perderla. E poi devo ammettere con grande onestà che avere come guida Alessandra De Stefano e Alessandro Fabretti, che di ciclismo ne hanno visto e raccontato tanto, e avere Francesco Pancani in prima linea, mi aiuterà a non cadere nell’errore.

Anche Pancani, telecronista di punta a Rai Sport, si è fatto le ossa sulla moto al Giro d’Italia
Anche Pancani, telecronista di punta a Rai Sport, si è fatto le ossa sulla moto al Giro d’Italia
Cosa c’è nella borsa di Rizzato per il Tour?

Sempre troppe cose. Sicuramente il computer ce l’ho quasi sempre davanti, ma quella è una deformazione. Adesso ho una divisione abbastanza maniacale tra le cose da consultare sul computer e quelle che invece stampo e tengo in un quadernone. Nel computer guardo più l’aspetto statistico in corso d’opera, tengo sempre un occhio sui social media, perché qualche cosa che sfugge all’occhio nei vari schermi c’è e magari viene captata da un appassionato.

Quando si parte?

Il 28 giugno, martedì prossimo. Ormai manca davvero poco.

E se Vingegaard smette di sorridere? Chiediamo a Garzelli

19.06.2022
5 min
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Il “Garzo” lo intercettiamo a Milano, dove si trova per il commento del Giro del Belgio. In precedenza aveva raccontato con Rizzato il Delfinato da Roma e, con lo stesso giornalista veneto, comporrà la coppia RAI per il Tour de France. E proprio su un aspetto che riguarda il Tour vogliamo punzecchiarlo, perché osservando la Jumbo Visma c’è venuto di pensare che la quiete domestica sia relativa. E che di coppie in crisi negli anni ne abbiamo viste ormai parecchie. Lasciando in pace per una volta Roche e Visentini, basta voltarsi per ricordare Garzelli-Pantani al Giro del 2000, Simoni-Cunego nel 2004, Amstrong-Contador al Tour del 2009 e anche Froome-Wiggins in quello del 2012.

«La mia esperienza fu diversa – ricorda – Marco non doveva correre quel Giro, lo decise 10 giorni prima. Io lo avevo preparato per essere leader, non nascondo che i primi giorni non furono facili. Diciamo che quella fu una situazione estrema. Ma se hai due leader, devi puntare su uno solo. Se ne hai due, rischi di dividere la squadra».

Garzelli è in partenza per il Tour, che commenterà accanto a Stefano Rizzato
Garzelli è in partenza per il Tour, che commenterà accanto a Stefano Rizzato
A voi successe…

Marco aveva creato il modo moderno di correre, con la squadra attorno al capitano. E poi gli piaceva correre dietro, per cui io che preferivo stare davanti non ero appoggiato dalla squadra e un po’ soprattutto nelle prime tappe, ne risentii. Finiva che mi appoggiavo a chi lavorava per gli altri. Ma la squadra divisa è un rischio, soprattutto nelle tappe dei ventagli o magari la prossima sul pavé. Cosa succede se Roglic buca? Fermi metà squadra o la fermi tutta? E fermi anche Vingegaard, se è davanti?

L’Astana di Armstrong e Contador era divisa a metà…

Armstrong era al rientro, Contador era ambizioso. Bruyneel, il tecnico, sapeva che Contador potesse vincere, ma era dalla parte di Lance. Chissà le tensioni! Fra Simoni e Cunego fu ancora diverso. Io ero loro avversario ed era chiaro che in partenza fossero tutti per Gilberto. Poi però fu la strada a dire chi fosse il più forte. Ci fu la spaccatura eclatante a Bormio, quando volarono parole, ma a quel punto il Giro era già deciso. Bisogna che chi guida la squadra abbia le idee chiare. E Bisogna che abbia carisma. Gli episodi di cui abbiamo parlato, soprattutto quelli con Marco, Armstrong e Contador riguardano personaggi con più personalità dei loro direttori.

Nel momento in cui ci fosse tensione in casa Jumbo, sarebbe lo stesso Tour a dare spessore ad entrambi, no?

Vero anche questo. Vingegaard ha dimostrato che ora è più forte. Nell’ultima tappa al Delfinato lo ha proprio aspettato e non so se Roglic abbia avuto una crisi di fame. Sono d’accordo con Malori sul fatto che Roglic punti tutto sul Tour, perché potrebbe essere l’ultimo a un certo livello, ma non dimentichiamo che l’altro nel 2021 è arrivato secondo. E il Tour è la corsa pià difficile da gestire. Caldo. Stress. Tutti che vogliono vincere. Devono partire con le idee chiare.

Anche perché, si parte dalla Danimarca…

Per Vingegaard una spinta pazzesca. Poi c’è la tappa del pavé. Se io fossi il diesse e Roglic buca, non fermerei Vingegaard e viceversa. L’importante è come hai costruito la squadra e quello che sei in grado di far passare. Va detto chiaramente davanti a tutti quello che si farà in determinate circostanze. Se da un lato penso che avere due capitani sia un ostacolo, quando hai davanti uno come Pogacar è bene portarne due, perché sai che nel testa a testa sono tutti perdenti. E in tappe come quella del pavé, male non fa. E’ la tappa che tutti temono…

Proprio grazie alla tappa del pavé, Nibali ipotecò il Tour del 2014, ben supportato da Fuglsang
Proprio grazie alla tappa del pavé, Nibali ipotecò il Tour del 2014, ben supportato da Fuglsang
Nibali ci vinse il Tour.

Ebbe dei compagni perfetti come Boom e Fuglsang e mentalmente crebbe.

Può esistere il rischio che la squadra si spacchi per simpatie verso uno o l’altro?

Non credo, sono professionisti. Non accadde con Armstrong, tanto che vinsero il Tour con Contador e anche Alberto ha il suo bel carattere. E nemmeno con Marco, che per noi era un idolo. Per lui davamo l’anima.

Sulle montagne del Delfinato, Vingegaard ha mostrato più freschezza di Roglic. Lo sloveno crescerà ancora?
Sulle montagne del Delfinato, Vingegaard ha mostrato più freschezza di Roglic. Lo sloveno crescerà ancora?
Tu lavori tanto con i giovani, si può lavorare su questi aspetti con loro?

Ci provo, ma non è semplice, perché ci sono di mezzo i genitori che credono di sapere tutto. Però a volte capitano episodi da pelle d’oca, come quando si mettono spontaneamente a lavorare per quello di loro che sta meglio. Senza radiolina né altro. Succede con gli allievi e anche con gli juniores, nonostante io sia molto preoccupato. Da qualche anno ci facciamo del male da soli. La mentalità di passare a tutti i costi non va. Quelli che passano precoci, non hanno la struttura per reggere la pressione e magari smettono perché non sono attrezzati a sopportare il mal di gambe. Quelli che non passano, si demoralizzano e non si sentono all’altezza. Continuando così, in un modo o nell’altro, il ciclismo perde.

Il Cassani della moto parte da Nibali e sgrana il rosario

30.05.2021
6 min
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Cassani sulla moto azzurra ha vissuto un Giro davvero speciale. Chiunque abbia seguito una corsa in moto lo sa bene. E’ come essere in gruppo. Vedi gli sguardi. Senti le voci. Impari i gesti. Riesci a scambiare poche parole. E semmai vedi cose che alle telecamere sfuggono e ti permettono, se hai un ruolo come il suo, di approfondire il discorso dopo le tappe. Cassani infatti non ha raccontato tutto, ma di certo sul suo taccuino sono finiti i nomi per le Olimpiadi. Gli azzurri di Tokyo usciranno dal Giro e non dal Tour. Del resto, se il percorso ha una salita di 6 chilometri al 10 per cento, non puoi prescindere dagli scalatori. Già, ma chi portare?

Dalla moto Rai, Cassani ha potuto osservare al meglio i suoi azzurri
Dalla moto Rai, Cassani ha potuto osservare al meglio i suoi azzurri

Come sta Nibali?

Quando ci si trova fra giornalisti a parlare della squadra per le prossime Olimpiadi, il primo nome su cui ci si sofferma è quello di Vincenzo Nibali. Una sorta di diritto all’azzurro che gli viene dalla storia e dalla sete di rivalsa sulla sfortuna di Rio. Si disse che il siciliano avesse prolungato la carriera proprio per prendersi la rivincita olimpica, ma le cose non stanno andando secondo i suoi disegni. La frattura del polso prima del Giro d’Italia gli ha impedito di esprimersi come avrebbe voluto. Cassani lo sa.

«Più o meno sto ricevendo le risposte che mi aspettavo – dice il commissario tecnico azzurro – ma con Vincenzo dovrò fare una chiacchierata. Sono stato molto chiaro, ora dobbiamo verificare, come lui per primo ha raccontato due giorni fa al Processo alla Tappa. Quel Nibali ora non c’è e non so se si ritroverà. Però è uno che lotta, per questo voglio parlarci chiaramente nei prossimi giorni».

Caruso ha conquistato con il coraggio, la personalità l’ha sempre avuta
Caruso ha conquistato con il coraggio, la personalità l’ha sempre avuta

Conferma Bettiol

Se aver vinto grandi corse è un titolo preferenziale, alla rosa degli azzurri si aggiunge subito il nome di Bettiol, re del Fiandre 2019, su cui Cassani ragiona in modo concretissimo.

«Certo che aver vinto grandi corse è importante – sorride – non credo che uno che non ha mai vinto possa pensare di cominciare dalle Olimpiadi. Con Alberto sono rimasto sempre in contatto e a parte l’ultimo periodo un po’ spento, non aveva più dato grossi segnali in salita, cosa che invece qui al Giro ha fatto alla grande. Mi ha impressionato in un paio di situazioni per il lavoro fatto con Carthy. Sul Giau e soprattutto a Sega di Ala se lo è portato sulle spalle. E poi ha vinto. Uno così non lo puoi lasciare fuori, ma ricordiamoci che il risultato in una corsa come quella viene solo se si mette insieme una grande squadra. E’ per questo che devono essere uomini speciali ed è per questo, ad esempio, che cinque anni fa uno come Damiano Caruso faceva già parte della spedizione».

Bettiol ha vinto, ma soprattutto ha dato grandi segnali in salita
Bettiol ha vinto, ma soprattutto ha dato grandi segnali in salita

Caruso, capitano vero

Già, come non parlare del Damiano nazionale che ieri ha fatto venire i brividi all’Italia del ciclismo? Per dare al pezzo un po’ di sapore di Giro, vale la pena annotare che l’intervista con Cassani si è fatta tentando di scendere da Campodolcino verso Chiavenna, in una coda interminabile provocata dalla rottura di uno dei camion che trasportano le transenne (altro che pullman), proprio nella serata di gloria di Caruso.

«Mi è piaciuto – dice Cassani, che ha seguito anche la tappa di Valle Spluga sulla moto – perché in una situazione per lui nuova, in cui tutti pensavamo avrebbe gestito, ha dato più di quanto anche lui si aspettasse. Non ha avuto paura, ha rischiato. Ha ragionato da capitano vero, lui che in fondo capitano di strada lo è sempre stato. E a margine di tutto questo, non si è mai snaturato, è sempre stato se stesso. Oggi (ieri, ndr) ci ha regalato una tappa bellissima».

Moscon è uno di quelli su cui il cittì conta: «Lo conosco bene»
Gianni Moscon è uno di quelli su cui il cittì conta: «Lo conosco bene»

Moscon e gli altri

Il quarto di cui si parla è Moscon, quello del Tour of the Alps più che quello di fine Giro, dove una caduta l’ha un po’ messo fuori gioco.

«Gianni è partito bene – dice Cassani – poi la caduta gli ha messo un po’ di sabbiolina negli ingranaggi. Con lui ho sempre avuto uno splendido rapporto e anche molto chiaro. Ci sono stati anni in cui nessuno gli dava fiducia e lui ha tirato fuori due mondiali coi fiocchi a Innsbruck e Harrogate. E anni come lo scorso in cui mi sono reso conto che non stava bene ed è rimasto a casa. Con Gianni so parlare, è un punto di forza. Ma come ci siamo detti, non è la sola alternativa a Nibali.

«Sto prendendo in considerazione anche Formolo, che per caratteristiche è uno da classiche e vorrei tanto sapere perché, dopo aver detto che avrebbe puntato alle tappe, si è messo a far classifica. E poi ci sono De Marchi, con cui comunque voglio parlare, Ciccone sperando che si rimetta presto e Ulissi che ha fatto vedere qualcosa di buono. Mi servono dei fondisti e non avendo fra i nostri cinque un favorito per l’oro, bisognerà correre in base ai corridori che abbiamo».

Grazie Rai e Fci

Ultimi due capitoli, l’avvicinamento e la crono. «Il Tour lo faranno in pochi – dice – fra quelli che puntano alle Olimpiadi. I nostri sono seri professionisti, per cui immagino una fase di altura e semmai la Settimana Italiana in Sardegna per rifinire. Quanto alla partenza per Tokyo, stiamo valutando due date, perché c’è il dubbio che, una volta là, non ci permettano di allenarci su strada. Mentre per la crono, a Ganna si potrebbe affiancare Bettiol che va molto bene. E’ tutto scritto negli appunti di questo Giro, durante il quale ho avuto la grande opportunità della moto grazie alla Rai e alla Federazione. Sono riuscito a restare concentrato sul mio ruolo, sono stato un Cassani diverso da quello degli anni in postazione. E’ stata un’esperienza bellissima, che ha aggiunto tasselli importanti al mio lavoro. Non mi ha deconcentrato, mi ha permesso di farlo a un livello superiore».

Giada Borgato, Francesco Pancani 2020

Giada Borgato, due passi da Imola alla Liegi

03.01.2021
5 min
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Era di sabato, Anna Van der Breggen aveva appena vinto anche il mondiale in linea e Giada Borgato era contenta per aver portato a casa la diretta Rai. La chiamata per le gare delle donne a Imola era arrivata già come un exploit inatteso, per il quale si sentiva tuttavia sufficientemente serena, avendo corso fino al 2014 con quelle ragazze e avendone poi raccontato il Giro e altre prove dal 2016.

Si va in Belgio

«E mentre sono lì che rifletto – racconta e sorride Borgato, in apertura con Pancani (foto Monguzzi) – mi chiama Fabretti (responsabile del ciclismo di Rai Sport, ndr) e mi propone di andare a fare l’opinionista tecnica accanto a Pancani alle classiche del Nord. Bennati infatti non sarebbe più andato e avrebbe fatto il Giro, mentre a me… A me per poco non viene un colpo. Era sabato, la Freccia Vallone ci sarebbe stata il mercoledì e questo significava che avrei avuto solo tre giorni per prepararmi. Ma non era neanche questo il punto. Erano davvero sicuri di mandare una ragazza? Che cosa avrebbe detto il pubblico del ciclismo? Ero agitatissima. Però sia Pancani sia Fabretti mi hanno risposto che se fossi stata preparata, non ci sarebbero stati problemi. E così ho accettato. Certo che ho accettato. E tutto sommato è andata anche bene».

Silvia Valsecchi, Giada Borgato, Marta Bastianelli, campionato italiano 2012
Tricolore 2012 a Pergine Valsugana, Giada Borgato batte Silvia Valsecchi e Marta Bastianelli
Silvia Valsecchi, Giada Borgato, Marta Bastianelli, campionato italiano 2012
Tricolore 2012, Borgato su Valsecchi e Bastianelli

L’idea di Severini

Giada viene da Padova, è figlia di corridore e dal 2008 al 2014 è stata anche lei un’elite, vincendo nel 2012 il campionato italiano con la maglia della Diadora-Pasta Zara di Maurizio Fabretto.

Il WorldTour delle donne non c’era ancora. Alle corse, anche in Belgio, si andava due giorni prima sul furgone. Le gambe in alto per 10 ore. Poi la gara, la doccia e via di nuovo a bordo per tutta la notte. Che quando arrivavi a casa, ti servivano tre giorni per recuperare davvero e riprendere ad allenarti.

Lo sguardo vivace e il sorriso dolce, Giada racconta che il primo gancio per arrivare a un microfono della Rai è Piergiorgio Severini, che a quel tempo seguiva il ciclismo femminile assieme a Gigi Sgarbozza. Nel 2014 il giornalista marchigiano va da lei, che ha appena annunciato il ritiro, per girare un video di saluto. E Giada, scherzando, si offre di dargli una mano. Fortuna o intuito, succede che nel 2015 Sgarbozza non può commentare la gara di Plouay. Severini si ricorda e le propone di provare. Lei accetta ed evidentemente piace, se è vero che dall’anno successivo diventa la voce tecnica del ciclismo femminile.

Secondo Pancani

Pancani di lei dice che è «veramente educata, sorridente e vispa. Basta dirle una cosa e la recepisce. Ha voglia di imparare e questo le dà autorevolezza. In certi momenti era così precisa che mi sembrava di avere accanto Martinello. E’ stato bravo Fabretti ad averci creduto».

Sulla crono ai mondiali delle donne, il toscano sottolinea l’episodio della caduta di Chloe Dygert, quando fu Giada per prima ad accorgersi che l’americana nell’affrontare la curva non aveva staccato le mani dalle protesi. E’ stato anche grazie a quella sicurezza che Fabretti ha deciso di provare.

E così è arrivata la Freccia Vallone…

Ci ho messo un po’ a ingranare, ma Francesco è stato un vero maestro e mi ha messo nelle condizioni di capire. Non lo conoscevo prima dei mondiali, lo avevo visto una sola volta alla Sanremo dell’anno precedente. Mi ha detto come fare, quali nozioni avrei dovuto avere. E poi ha una parlata che tranquillizza.

Che cosa hai studiato in quei tre giorni?

Le squadre e i singoli. Il ciclismo maschile lo seguo da sempre, ma dovevo imparare che cosa avessero fatto i corridori in carriera e nella settimana precedente. Per cui appena è venuto fuori l’elenco degli iscritti mi sono messa al lavoro per farmi le schede. Solo che a un certo punto Francesco mi ha detto che in una diretta lunga non avrei potuto snocciolare solo dati dei corridori e mi ha suggerito di studiare la storia delle corse.

Il Giro U23 con Rizzato le classiche con Pancani…

Hanno due caratteri completamente differenti. Con Stefano il rapporto è più amichevole, ma devo dire che con Pancani ci siamo ritrovati a Liegi e sembrava ci conoscessimo da una vita. Rizzato è super organizzato, una macchina da guerra, Francesco è più tradizionale, ma da entrambi si impara tanto.

Hai mai riascoltato i tuoi commenti?

E’ capitato. Mi accorgo subito se faccio un errore e ho sempre paura che sia evidentissimo. In realtà anche Rizzato mi ha fatto notare che quando poi lo riascolti, quasi non si sente. Me la sono cavata, quello che mi ha fatto piacere è stato ricevere i complimenti di ex professionisti, persone che ne sanno parecchio. Certo poi sui siti c’è chi continua a chiedersi come io possa commentare il Fiandre se non l’ho mai corso oppure la Liegi. In realtà il Fiandre l’ho pure fatto, ma non è questo il punto. Quello del ciclismo è un mondo ancora piuttosto tradizionalista, ma credo che lavorando ci sia la possibilità di fare bene.

Ci farai compagnia anche il prossimo anno?

Non si sa ancora, i calendari devono arrivare. Ci spero, poi che vada come deve andare.

L’ultima domanda la dedichiamo a Eros: ti ha aiutato in qualche modo?

A lui ho chiesto qualcosa, ma non più di tanto. Stare con un corridore aiuta, perché ti ritrovi immersa in quel mondo, sei aggiornata su tutto. E mi ha aiutato nei contatti. Avevo bisogno di un’informazione tecnica e mi ha girato al volo il numero di Ronny Baron. Se mi serve un aggancio, grazie a lui è più facile.

Il dettaglio lo abbiamo lasciato volutamente alla fine. Come probabilmente si sa, Giada è la compagna di Eros Capecchi, ma non c’è nulla di quel che sta diventando che non venga dalle sue abilità e dalla sua capacità di rischiare. Per questo è piaciuta, perché si è rimboccata le maniche e non ha vivacchiato sul bell’aspetto e le conoscenze. Per la gente del ciclismo che detesta raccomandazioni e scorciatoie, questo conferisce un’autorevolezza anche maggiore.