Quando scienza e simulazione spingono la performance

29.08.2022
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Avevamo chiesto a Marco Pinotti come ci si prepari per affrontare una cronosquadre. Il bergamasco, che della specialità è stato argento mondiale nel 2012, aveva annotato come non serva fare chissà cosa se si tratta di una gara all’anno, come ad esempio all’apertura della Vuelta. Ma che al contrario, se si volesse investirci sul serio, ci sarebbe da spendere davvero molto per ottimizzare le performance.

Chi questo investimento ha ritenuto di farlo ugualmente è la Jumbo-Visma, vincitrice della cronosquadre di Utrecht, che ha coinvolto nel discorso le Università di Tecnologia di Eindhoven e quella di Leuven. E che, con il supporto di Ansys (società specializzata nella simulazione fluidodinamica) e del professor Bert Blocken, ha sviluppato in linea teorica e poi tradotto in pratica l’aerodinamica dei suoi atleti (in apertura, Van Aert posa accanto al suo modello, foto Anton Vos/Cor Vos – Ansys).

Fluidi e modelli

Dopo il Tour e prima della Vuelta, proprio un articolo pubblicato nel blog di Ansys ha spiegato il lavoro alle spalle delle performance del team olandese, che ha fatto ricorso al suo Fluent: un software attraverso cui creare modelli fisici avanzati per analizzare una varietà di fenomeni legati ai fluidi.

«Vincere il Tour – si legge – è il sogno di ogni ciclista e il momento clou della carriera dei pochi che lo hanno raggiunto. Non sorprende quindi che tutte le squadre in gara dedichino così tanto tempo ed energie per prepararsi alla sfida estrema della gara, che copre più di 3.350 km (2.220 miglia), molti dei quali in montagna, in 23 giorni. La preparazione prevede ovviamente un intenso allenamento fisico e mentale per gli atleti, che unisce resistenza, prestazioni estreme e forte resilienza mentale per continuare a lottare nonostante tutte le difficoltà.

«Le squadre studiano anche attentamente il percorso e le condizioni meteorologiche per sapere quando prendere il comando o rimanere indietro nel gruppo. Ma tutto questo non basta più. Da anni la scienza, e in particolare la simulazione, svolgono un ruolo importante nel guidare i migliori ciclisti alla vittoria».

Un momento dell’incontro fra Van Aert, Marchal di Ansys e il professor Blocken nel 2020 (foto Anton Vos/Cor Vos – Ansys)
L’incontro fra Van Aert, Marchal di Ansys e il professor Blocken nel 2020 (foto Anton Vos/Cor Vos – Ansys)

Il professor Blocken

Si capisce insomma che la preparazione atletica da sola non basti per fare la differenza. Nei giorni della corsa francese e anche in quelli della Vuelta ancora in svolgimento si è dibattuto parecchio sull’incidenza della tecnologia sulle performance degli atleti. E il blog di Ansys fornisce una risposta interessante.

«Oggi vorremmo sottolineare l’estrema professionalità del Team Jumbo-Visma. Hanno lavorato con i migliori esperti del mondo. Come il professor Bert Blocken, un riferimento di livello mondiale in aerodinamica atletica della Eindhoven University of Technology e KU Leuven. Blocken e il suo team utilizzano ampiamente Ansys Fluent in combinazione con esperimenti in galleria del vento. Valutano e migliorano la penetrazione dell’aria e riducono la resistenza indotta per i ciclisti raggruppati in un gruppo o gruppo.

«L’attenzione per ogni dettaglio ha portato il team a indagare e regolare la posizione dei ciclisti sulle loro biciclette, in base alle diverse direzioni e velocità del vento. Modificare le posizioni relative degli atleti in un gruppo durante la gara per ridurre la resistenza subita dai ciclisti. Valutare il contributo di ogni componente della bici, dell’attrezzatura e dell’atleta».

A ciascuno il suo

Tirando chiaramente acqua al suo mulino, Ansys racconta il proprio lavoro, puntando sull’accuratezza del modello messo a punto dal professor Blocken, che da quasi vent’anni ha convalidato un protocollo di modellazione aerodinamica applicato al ciclismo di gruppo. Il suo team esegue in sostanza la scansioni dei corpi degli atleti per assicurarsi la perfetta riproduzione delle loro forme fisiche: i modelli che riproducono gli atleti somigliano loro anche nei tratti e nell’espressione facciale. Quindi vengono eseguite numerose simulazioni per valutare la resistenza aerodinamica su ciascun membro della squadra. Quando le simulazioni sono ottimizzate, i risultati vengono presentati e discussi con la squadra per sviluppare un piano che può essere aggiornato tappa dopo tappa.

Il racconto prosegue, ricordando quando nel dicembre del 2020 il gruppo di lavoro del professor Blocken entrò in contatto con Van Aert.

«Gli fu suggerito – si spiega – che potessimo ottimizzare matematicamente la sua posizione sulla bici tenendo in considerazione anche il suo comfort. Wout impressionò dicendo, in modo umile e professionale, che dovevamo semplicemente mostrargli la migliore posizione matematica e lui si sarebbe adattato. Il comfort era secondario».

I marginal gains

Si capisce un po’ meglio quel senso di notevole efficienza abbinato alle performance degli atleti Jumbo Visma a partire dallo scorso anno. E si capisce anche come il modello numerico messo a punto da Blocken si sia rivelato utile nella cronosquadre della Vuelta, vinta dal team olandese. E’ la conferma del fatto che alle vittorie si arriva certamente con la qualità degli atleti e la loro dedizione. Ad esse vanno tuttavia sommati gli altri contributi. La nutrizione, la tecnologia, l’aerodinamica, il riposo e tutti quei dettagli che oggi costituiscono il vero sviluppo dello sport. Un’attenzione maniacale introdotta dal Team Sky, cui si stanno allineando tutti i team di vertice.

Affini, pensieri e parole di un giorno da leader

23.08.2022
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Sono passati sette anni da quando Aru vestì per l’ultima volta la maglia rossa della Vuelta e quest’anno ancora nessun italiano era mai stato leader fra Giro e Tour. Saranno piccole cose, ma si capisce bene perché sul podio della Vuelta a Breda, due giorni fa, Edoardo Affini avesse un sorriso pieno di orgoglio e soddisfazione. L’ultima volta che aveva indossato una maglia di leader fu al Giro d’Italia U23 del 2018, quando vinse il prologo e conquistò la rosa. Oppure la maglia dei giovani al Giro di Norvegia del 2019. Al Giro del 2020 dice scherzando, ha avuto la ciclamino in prestito da Ganna, che aveva preso la rosa.

«Penso che sia una cosa che non capita tutti i giorni – dice il mantovano della Jumbo Visma – è ovvio che essere leader in uno dei tre grandi Giri sia motivo di orgoglio. E’ stato bello finché è durato, anche se per un solo giorno. Anzi no, sono stato leader anche nel giorno di riposo (ieri, ndr), anche se la maglia non l’ho messa per allenarmi. Mi sarebbe sembrato troppo da convintone…».

Roglic a sorpresa

Sull’arrivo di oggi a Laguardia il primato è passato sulle spalle di capitan Roglic. E se la staffetta della leadership fra gli uomini del team olandese finora era stata concordata, il primato dello sloveno è capitato, ma non era stato progettato. La giornata è stata durissima. Prima ora oltre i 47 di media. Temperatura fra 33 e 35 gradi, mentre ieri il cielo era velato e la temperatura più gradevole. Bilancio giornaliero (per Affini) di 4.500 calorie e 14’13” di ritardo. Edoardo è un tipo spiritoso, capace di una bella ironia. Il suo racconto è coinvolgente…

Una giornata niente affatto banale, insomma…

Neanche un po’. C’erano strappi duri e il mio compito era portare la testa del gruppo ai piedi della salita ai meno 20 dall’arrivo. Poi ho potuto rialzarmi e mi sono goduto i tifosi. Nei Paesi Baschi sono belli… motivati, per cui anche se ero staccato, sentivo che mi indicavano e parlavano del leader.

E’ vero che il passaggio della maglia fra compagni di squadra è stato organizzato?

A Utrecht, avevamo deciso che se avessimo vinto la crono, sarebbe passato per primo Robert (Gesink, ndr). Il giorno dopo ha fatto la volata Mike Teunissen e l’ha presa lui. E a Breda mi hanno detto che se ci fossero state le condizioni, sarebbe toccato a me.

Così adesso toccherà a Kuss come si è scherzato nelle interviste?

Ho qualche dubbio che, avendola Roglic, ora sia così facile da passare. Ma non si può mai dire (ride, ndr).

Dopo il podio della maglia rossa, l’abbraccio della compagna olandese Lisa (foto Bram Berkien)
Dopo il podio della maglia rossa, l’abbraccio della compagna olandese Lisa (foto Bram Berkien)
Cosa cambia ad andare alle partenze da leader?

Senti più persone che ti chiamano e ti cercano per un autografo. E poi la cosa curiosa di stamattina alla partenza è che il corridore con la maglia a pois schierato accanto a me, Julius Van den Berg, è stato mio compagno di squadra da U23 alla Seg Academy Racing. Ci siamo guardati e ci siamo detti che alla fine qualcosa di buono siamo riusciti a farla. Poi è vero che tutti e due abbiamo perso la nostra maglia, ma la soddisfazione resta.

Che effetto ha fatto essere presentato come leader al foglio firma?

Basta considerare il fatto che abbiamo in squadra uno che l’ha vinta tre volte e quindi l’entusiasmo e le aspettative sono altissime? Un gran bell’effetto, niente da dire…

Dicevi che oggi non era nei piani la maglia per Roglic.

Non era nostra intenzione tirare a quel modo. Bisognerebbe chiedere alla Bora perché si siano messi a fare quell’andatura. Forse volevano gli abbuoni del traguardo volante? Ognuno fa le sue scelte, bisognerebbe chiedere a Fabbro perché si siano mossi così. Comunque abbiamo messo uno davanti e li abbiamo aiutati.

Nella tappa da leader, Affini ha tirato come se nulla fosse
Nella tappa da leader, Affini ha tirato come se nulla fosse
Il fatto che fossi leader ha cambiato il tuo ruolo in corsa?

Non è cambiato niente. Se non avesse tirato la Bora, saremmo stati davanti in due. Invece, come dicevo, abbiamo messo Teunissen e sono riuscito a salvarmi per un po’ e per fare il lavoro che avrei dovuto fare.

Hai mai pensato di poterla tenere?

Impossibile (ride, ndr). Dovevo lavorare, il percorso era duro ed è stata comunque una bella giornata. Ma siamo alla quarta tappa della Vuelta, sarà lunga e avrò da lavorare, soprattutto adesso che la maglia l’ha presa Primoz.

Qualcuno si è lamentato che le strade olandesi siano state pericolose…

Ho letto le interviste. Partendo dal presupposto che in Olanda le strade sono piene di infrastrutture e che per far passare la Vuelta abbiano tolto rotonde, attraversamenti e spartitraffico, poteva andare molto peggio. Ci sono stati dei passaggi particolari, i paesi pagano per avere la corsa e non si può pretendere di andare sempre sugli stradoni. Diciamo che non sono stati giorni semplici. Il vento non ha influito, ma appena c’era un soffietto, erano tutti davanti, immaginando di fare chissà cosa…

A Laguardia vince Roglic, quarto corridore Jumbo Visma in rosso
A Laguardia vince Roglic, quarto corridore Jumbo Visma in rosso
Santini ha realizzato una maglia rossa per l’Olanda e una per il resto della Vuelta: quale ti piace di più?

La rossa classica, quella olandese però era perfetta per quel tipo di evento.

Ora che la maglia è andata, cosa ti resta nella valigia?

Mi resta la maglia, anzi le maglie, perché sono l’unico ad aver avuto entrambi i tipi. E quelle non me le tocca nessuno. Poi c’è qualche pupazzetto, ma so già che mi toccherà regalarli. Così alla fine, ciò che resta davvero è un’esperienza impagabile. Quella continuerò a portarmela dentro a lungo.

La Vuelta di Roglic è un’altra sfida alla cattiva sorte

22.08.2022
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Non c’è una risposta chiara alla domanda su come stia Roglic e desta sollievo il fatto che la Vuelta sia partita dall’Olanda con percorsi perfetti per prendere il ritmo. Senza salite né troppo vento. Già alla vigilia della cronosquadre si ragionava sul fatto che Primoz all’80 per cento sia uno dei migliori cronoman della squadra, cercando poi di capire se riuscirà ad arrivare al suo massimo, per puntare al poker di maglie rosse consecutive.

Sta di fatto che quel corridore così forte che in certi momenti assomma su di sé le sfortune di Paperino e una costanza quasi commovente nel rialzarsi ogni volta, ha fatto breccia nei cuori dei tifosi.

Prima di ritirarsi dal Tour, Roglic era stato decisivo nel giorno del Granon, aiutando Vingegaard a fiaccare Pogacar
Prima di ritirarsi dal Tour, Roglic era stato decisivo nel giorno del Granon

Preparazione non ideale

Il primo problema su cui stanno ragionando i tecnici della Jumbo Visma è che a causa del ritiro dal Tour e i dolori alla schiena, conseguenza della caduta nella tappa del pavé, lo sloveno abbia saltato una parte significativa della preparazione. E quando ha ricominciato, anche la sua resistenza era diminuita, proprio a causa dello stesso dolore.

«La sua preparazione non è stata certo ideale – dice Merijn Zeeman, suo tecnico, al belga Het Nieuwsblad – ma è stato così anche negli ultimi due anni. L’anno scorso ci sono state di mezzo le Olimpiadi, che hanno reso tutto complicato. Due anni fa aveva chiuso il Tour con un terribile colpo psicologico (la maglia gialla persa alla penultima tappa, ndr), ma ciò non ha impedito a Primoz di vincere la Vuelta. Credo che Primoz sia il miglior corridore al mondo nel lasciarsi alle spalle delusioni».

La Jumbo Visma è arrivata alla Vuelta in formazione rimaneggiata, ma sempre fortissima
La Jumbo Visma è arrivata alla Vuelta in formazione rimaneggiata, ma sempre fortissima

Il dolore alla schiena

Quello che va capito è come stia effettivamente la schiena, dato che si è temuto a lungo che a causa del dolore Roglic avrebbe rinunciato alla Vuelta. Lo sloveno dice di avere ancora problemi nel fare certi movimenti, ma non c’è una diagnosi precisa dell’infortunio o almeno la Jumbo-Visma non aggiunge altro perché si tratta di informazioni che attengono alla sua privacy.

«Non c’era necessità medica di lasciare il Tour – dice però Mathieu Heijboer, preparatore del team – ma è comprensibile che a un certo punto Primoz non ce l’abbia più fatta. E’ stato grande a resistere così a lungo e che sia stato così prezioso per Vingegaard nella tappa che ha deciso il Tour (quella del Granon, ndr). In ogni caso, posso dire che Primoz è sicuramente pronto per la Vuelta. Ed è chiaro che stiamo andando al 100 per cento con lui per la vittoria finale».

Il dubbio su cui si ragiona è se la preparazione di Roglic sia stata all’altezza della sfida
Il dubbio su cui si ragiona è se la preparazione di Roglic sia stata all’altezza della sfida

Mollare mai

Si scopre adesso che l’ipotesi di non partire non sia stata mai presa seriamente in considerazione e che per scongiurarla Roglic si sia sottoposto a un intenso lavoro di recupero.

«Il punto centrale – prosegue Merijn Zeeman – era che dovesse essere in forma. E sebbene il dolore non sia sparito del tutto, Primoz ha voluto comunque affrontare la sfida. In una prima fase si è concentrato prevalentemente sul recupero fisico e mentale. Quando poi ha ottenuto il via libera per iniziare ad allenarsi, ha ripreso il filo della preparazione. Non si è allenato in quota, come avrebbe fatto normalmente. Ma stiamo comunque parlando di un atleta con qualità speciali, perché Primoz è sempre lì dopo le battute d’arresto».

La maglia a Gesink

Oltre ai dubbi sulla condizione del capitano, l’invincibile armata giallo-nera ha dovuto fare i conti con alcune defezioni e convocazioni dell’ultima ora. Normalmente al suo fianco ci sarebbe stato infatti Steven Kruijswijk, che però si sta riprendendo a sua volta dopo la caduta del Tour in cui ha riportato fratture alla clavicola e alla spalla. Koen Bouwman, l’uomo delle due tappe al Giro, era atteso, ma ha avuto problemi al ginocchio. Rohan Dennis è stato dichiarato in forma all’ultimo minuto dopo fastidiosi disturbi allo stomaco.

«Molte cose sono state incerte – ha spiegato Zeeman – ma siamo qui con una squadra forte. L’inizio in Olanda è stato molto speciale nel mostrarci subito al nostro pubblico. Nella cronometro a squadre “Rogla” ha lasciato il primo posto a Gesink, perché non è solo un vincitore, ma anche un vero uomo squadra. Quello che abbiamo fatto al Tour ha superato di gran lunga le nostre aspettative, ma puntiamo anche al massimo nella Vuelta».

In rassegna i nomi caldi della Vuelta. Garzelli incorona Carapaz

17.08.2022
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Poco più di 48 ore e sarà Vuelta a Espana! La carovana si riunirà in quel di Utrecht in Olanda per una corsa che si annuncia super combattuta. Una Vuelta piena di domande, di curiosità che poniamo all’attenzione di Stefano Garzelli.

La maglia rosa del 2000 oltre che un grande conoscitore degli atleti è anche un esperto di Spagna visto che ci vive e ha le mani in pasta nel ciclismo giovanile grazie alla sua squadra, lo Stefano Garzelli Team. Pertanto è in grado di capire quali sono i corridori più indicati alla conquista della maglia rossa anche in base al tracciato.

Qualche giorno fa Roglic ha pubblicato questa foto. Ha ritrovato forza e sorriso. Sarà pronto per il poker? (foto Instagram)
Qualche giorno fa Roglic ha pubblicato questa foto. Ha ritrovato forza e sorriso. Sarà pronto per il poker? (foto Instagram)
Stefano, da chi partiamo?

Direi da Roglic, non fosse altro perché ha vinto le ultime tre edizioni. Deve stare tra i favoritissimi. Bisogna vedere come ha recuperato dal ritiro del Tour, ma io credo che il fatto che ci sia vuol dire che questo recupero c’è stato, altrimenti neanche sarebbe partito. Magari non sarà al 100%, ma la forma c’è, e si è visto anche in Francia, vediamo se c’è anche il fisico, la salute.

Che poi Primoz alla Vuelta sembra essere più sicuro di se stesso, più padrone della situazione…

Vero. Ci sta che un corridore abbia più o meno feeling con una corsa. E poi guardate che vincere tre Vuelta di seguito è tanta roba.

Un altro nome, Stefano?

Richard Carapaz. Lui è senza dubbio uno degli avversari maggiori di Roglic. Primo, perché dopo aver perso il Giro vuole la rivincita. Secondo, perché nel 2020 perse proprio dallo sloveno e vorrà togliersi il sassolino dalla scarpa. E poi ha una squadra forte.

Carlos Rodriguez con Sivakov (a destra). Il campione nazionale spagnolo guida la schiera dei giovani della Ineos-Grenadiers
Carlos Rodriguez con Sivakov (a destra). Il campione nazionale spagnolo guida la schiera dei giovani della Ineos-Grenadiers
Che la sua Ineos-Grenadiers sia forte okay, ma sono quasi tutti “bimbi”…

Mah, sapete a fine stagione portare dei “bimbi” può essere un vantaggio. Sono più motivati, magari non hanno fatto nessun grande Giro. Loro ti danno il 110%, un corridore esperto magari ti dà il 90. E poi non c’è un mondiale troppo adatto a loro o agli scalatori, quindi vengono espressamente per la Vuelta.

Un nome lo buttiamo sul piatto noi: Simon Yates…

Lo stavo per dire io! Simon Yates ha già vinto la Vuelta nel 2018 e credo si sia preparato anche piuttosto bene. Ha anche vinto in questo avvicinamento e a Burgos è andato forte… Anche lui deve far vedere quello che vale. Simon combatte con i suoi alti e bassi, perché lui quando ha i bassi perde davvero tanti minuti.

E Hindley?

Sarà della partita ma sinceramente non lo vedo vincitore. Non è facile avere due grandi picchi di forma nella stessa stagione e Jai Hindley al Giro volava. A Burgos andava forte, ma non fortissimo. Poi comunque aver vinto il Giro da una parte ti dà, dall’altra ti toglie e anche mentalmente ritrovare la concentrazione per le tre settimane è molto difficile. Se ci riuscisse sarebbe un fenomeno. E poi il livello del campo partenti è leggermente più alto di quello del Giro.

Per Garzelli è difficilissimo, ma se Hindley dovesse riuscire nella doppietta Giro-Vuelta sarebbe il primo a riuscirci dopo Contador nel 2008
Per Garzelli è difficilissimo, ma se Hindley dovesse riuscire nella doppietta Giro-Vuelta sarebbe il primo a riuscirci dopo Contador nel 2008
Non si può non nominarlo: Mikel Landa. Pellizotti dice che con uno come lui in formazione si parte sempre per vincere…

Il problema è che alla fine non vince mai. E a me Landa piace moltissimo, attenzione. La prima volta che l’ho visto, ma direi che il grande pubblico lo ha visto, eravamo proprio alla Vuelta Burgos. Era il 2011. Nell’ultima tappa Mikel lavorava per Sanchez. Si doveva scalare due volte una salita. Alla prima tirava Landa e restammo in nove. Alla seconda tirava sempre lui, mi staccai quando erano rimasti in cinque. Ad un certo punto Sanchez gli ha detto: «Vai perché io non ce la faccio più». E vinse la tappa. In salita va ancora fortissimo, ma nel complesso gli manca sempre qualcosa.

Di Joao Almeida cosa ci dici? Alla fine lui sul podio di un grande Giro ancora non ci è mai salito…

Questa Vuelta sarà il suo banco di prova. Ha a disposizione una buona squadra e partire essendo tra i favoriti, con la pressione mediatica, quella da capitano in squadra è, come detto, un test veritiero. Senza contare che in  UAE Emirates con Matxin alla guida ci tengono molto alla Vuelta. Se non vince è da podio. E poi ha vinto a Lagunas de Neila a Burgos. Conosco benissimo quella salita e se vinci lì è perché stai bene.

Il portoghese Almeida, dopo il Giro ha vinto due corse: il titolo nazionale (in foto) e l’ultima tappa della Vuelta a Burgos
Il portoghese Almeida, dopo il Giro ha vinto due corse: il titolo nazionale (in foto) e l’ultima tappa della Vuelta a Burgos
Enric Mas?

Mas lo scorso anno fu secondo ed è giusto nominarlo, ma credo che la sua occasione l’abbia avuta proprio un anno fa. Bisogna capire lui e la Movistar soprattutto. Loro sono appesi ad un filo con il discorso dei punti e la tensione c’è. Qui in Spagna se ne parla spesso. Senza contare che hanno avuto sempre grandi problemi di gestione con i loro leader: Quintana, Lopez, Landa, Carapaz. Loro devono vincere e dover vincere quando si è sotto pressione non è mai facile. Uscire dal WorldTour sarebbe una botta pazzesca.

Altri outsider? Quintana per esempio…

Quintana lo vedo per le tappe e non per la classifica. Anche perché si parte dall’Olanda. C’è vento lassù. E’ vero che corre bene, però… In più c’è anche una cronosquadre. E invece di Evenepoel che mi dite?

Remco può fare tutto e il contrario di tutto. Piuttosto oltre a lui ci sarebbe da parlare anche di Juan Ayuso e Carlos Rodriguez. Tre giovanissimi con le stimmate dei campionissimi…

Seguendo il ciclismo giovanile in Spagna conosco bene sia Juan che Carlos. Entrambi hanno una grande opportunità e una grande classe. Io credo che Rodriguez sarà determinante per Carapaz. Lui ha davvero tanta testa. Ayuso è più spregiudicato. Ha una grandissima ambizione. Molto della sua gestione dipenderà da Almeida. Ha 19 anni e per lui sarà interessante capire come reagirà alla terza settimana. E poi c’è Remco. Per come andava a San Sebastian… boh! Può fare tutto! Io credo lui vivrà alla giornata e valuterà strada facendo cosa fare (se puntare alla classifica o alle tappe, ndr).

Quest’anno la Vuelta torna sulle rampe della Sierra Nevada, salita non durissima ma che ha sempre segnato delle belle differenze
Quest’anno la Vuelta torna sulle rampe della Sierra Nevada, salita non durissima ma che ha sempre segnato delle belle differenze
Stefano, in qualche modo hai introdotto anche il discorso del percorso. Questa Vuelta, come da tradizione, si vincerà in salita?

Alla fine credo di sì: penso a Sierra Nevada, a Navacerrada e ai numerosi arrivi inediti, ma credo anche anche la crono individuale di Alicante inciderà moltissimo. E’ una crono totalmente piatta, a forte rischio di vento (una parte è sul mare), poi arriva dopo il giorno di riposo. Corridori forti come Roglic e Almeida possono infliggere anche più di due minuti ai loro avversari.

Rispetto alle ultime Vuelta le tappe sembrano leggermente più lunghe mediamente. Non ce n’è una che supera i 200 chilometri ma ce ne sono parecchie tra i 180 e i 190 chilometri…

Vero, e poi la partenza da fuori, dall’Olanda non è mai facile. Lì una Jumbo Visma già può mettere qualche secondo tra sé e gli altri. Le tappe di rientro nei Paesi Baschi sono insidiose. C’è questa crono di Alicante: 30,9 chilometri super piatti sono parecchi… Nel complesso mi sembra una Vuelta dura, ma non durissima con 10-14 frazioni monster come le altre volte.

Quindi qual è il podio finale di Stefano Garzelli?

Carapaz, Roglic, Almeida.

Il Tour di Vingegaard, un piano ben riuscito

26.07.2022
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Sui Campi Elisi c’è ancora l’eco del vociare sfinito e festante di domenica sera, anche se la carovana del Tour si è dispersa in mille scintille, schizzate dalla fiamma di Parigi verso casa, verso i circuiti o la prossima corsa. Vingegaard invece continua a vivere nella sua bolla e a giudicare dalla sua espressione, ci rimarrà ancora parecchio. Il ritorno a casa ha il sapore di una festa in Olanda, poi una in Danimarca. Poi finalmente per la maglia gialla verrà il momento di trascorrere qualche giorno a casa. Il racconto dei suoi giorni da re lo ha fatto come di rito nell’ultimo incontro con la stampa, il momento in cui finalmente si abbassano le armi e ci si lascia un po’ andare. Anche se del suo essere riservatissimo abbiamo già detto.

Sulla sua Cervélo celebrativa, poche parole chiare: Jonas conquista il giallo
Sulla sua Cervélo celebrativa, poche parole chiare: Jonas conquista il giallo
Cosa ricorderai di questo Tour?

Abbiamo trascorso tre settimane incredibili. Personalmente, ricorderò per sempre le due vittorie al Col du Granon e ad Hautacam. Non è tanto il fatto di aver vinto che le rende così speciali. E’ stato più il modo in cui abbiamo corso in quei due giorni, dando tutto, applicando una strategia offensiva che preparavamo da mesi. E poi ovviamente, il giorno del pavé. A un certo punto ero davvero nei guai e mi hanno salvato i miei compagni. Se non avessero fatto tutto quel lavoro per riportarmi in gruppo, non credo che avrei vinto il Tour de France.

Ci sono stati momenti di dubbio?

Ovviamente. Sul pavé ho perso solo 13 secondi, ma Primoz (Roglic, ndr) è caduto. Quel giorno sembrava che il piano ci stesse sfuggendo di mano. Avevamo pianificato tutto attorno a due leader. Molti giornalisti sembravano dubitare che io e Primoz potessimo davvero convivere. Quella sera ci siamo imposti di continuare a crederci e a combattere come avevamo programmato. Ci siamo aggrappati al nostro desiderio di mostrare di cosa fosse capace il nostro team.

Nonostante Roglic già in ritardo, gli attacchi sul Galibier erano stati preparati così
Nonostante Roglic già in ritardo, gli attacchi sul Galibier erano stati preparati così
Senza nessun condizionamento?

Il fatto che Primoz abbia perso più di due minuti da Pogacar ci ha davvero disturbato, perché la nostra idea era di attaccare in montagna avendo entrambi lo stesso distacco da Tadej, ma abbiamo giocato le nostre carte come se fosse così. Penso che fossimo tatticamente superiori e che per il pubblico sia stato un Tour emozionante da guardare.

Come è stato veder andar via Roglic?

Primoz ha lottato tanto, per dieci tappe. Ogni giorno lo vedevamo soffrire e ci rattristava. Poi una sera ci ha detto che le cose andavano davvero male. E’ stato commovente perché, pur salutandoci, ha detto anche che era fiero di noi e che dovevamo continuare a lottare, che era orgoglioso di quello che avevo fatto e che credeva in me.

I rulli dopo la tappa, con addosso i segni della caduta sul pavé
I rulli dopo la tappa, con addosso i segni della caduta sul pavé
E’ stato un Tour di forti emozioni…

E’ raro vedere una tale emozione collettiva nel ciclismo. Le lacrime di Wout, le mie, sono come valvole che cedono dopo tre settimane di estrema tensione. Credo che questo parli della grandezza di ciò che abbiamo raggiunto collettivamente. Alla Jumbo Visma c’è un gruppo che va molto d’accordo, abbiamo costruito una solida amicizia tra di noi perché trascorriamo molto tempo insieme. Non è che ci vediamo tre o quattro volte l’anno. Da metà maggio viviamo in comunità, lavoriamo, ceniamo tutti insieme, ridiamo, ma ci prendiamo cura anche l’uno dell’altro. Ecco perché eravamo così commossi.

Immaginavi che la tua vittoria smuovesse anche certi sospetti?

I sospetti non mi danno fastidio, è giusto farci queste domande. Ma il nostro sport è cambiato. E se si tratta della mia squadra, metto la mano nel fuoco per ciascuno dei miei compagni di squadra. Siamo puliti al 100 per cento.

La squadra come una famiglia. Qui l’abbraccio con Kuss dopo la crono: il Tour è vinto
La squadra come una famiglia. Qui l’abbraccio con Kuss dopo la crono: il Tour è vinto
Credi fosse necessario avere due leader per battere Pogacar?

Non ne abbiamo la certezza, ma penso di sì. Senza il lavoro che ha fatto Primoz durante la tappa del Granon, tutti i suoi attacchi che hanno stancato Pogacar, non so se sarei riuscito a batterlo.

E’ stato facile accettare la coabitazione?

Tutti erano d’accordo su questa strategia. Successivamente, abbiamo concordato che se uno di noi avesse ottenuto un vantaggio, l’altro si sarebbe messo al suo servizio. Andiamo molto d’accordo, non è stato un problema accettarlo. Mi dispiace solo che Primoz sia stato eliminato nuovamente da un incidente, non lo meritava. Dopo il pavé, ci credeva ancora, ma era ferito in modo davvero serio.

Non solo la maglia gialla: alla fine Vingegaard ha portato a casa anche quella della montagna
Non solo la maglia gialla: alla fine Vingegaard ha portato a casa anche quella della montagna
La vittoria cambierà questi equilibri?

No, abbiamo messo in atto la soluzione giusta e non vedo perché dovremmo cambiare. In realtà non ne abbiamo ancora parlato e sta ai tecnici rispondere. Io continuo a pensare che essere in due resti un vantaggio.

Sogni di diventare un corridore completo come Pogacar?

No, rimarrò concentrato sulle gare a tappe. Quelle di un giorno mi vanno meno bene perché sono un corridore resistente, che aumenta lentamente di potenza. Ho sempre bisogno di due o tre giorni per raggiungere il mio livello.

Nel 2019, primo anno con la Jumbo Visma, Vingegaard era un talento ancora da sgrezzare
Nel 2019, primo anno con la Jumbo Visma, Vingegaard era un talento ancora da sgrezzare
SI è parlato dei tuoi pochi risultati nelle categorie giovanili…

Non è facile sfondare a 23 anni. Ci sono tanti fattori che determinano il successo di un corridore. Allenamento, vita, carattere. Prima dei vent’anni, io non avevo idea di poter essere un professionista, non brillavo su nessun terreno, l’unica cosa che parlava di buone potenzialità erano i miei test. Il mio allenatore alla Jumbo, Tim Heemskerk, mi disse subito che avevo progressi da fare in tutti i settori: recupero, alimentazione, allenamenti…

Cosa farai nei prossimi giorni?

Voglio solo andare a casa e riposarmi! Ma prima ci saranno due cerimonie, martedì (oggi, ndr) in Olanda e mercoledì in Danimarca. Tornerò a Tivoli, il luogo in cui si è svolta la presentazione delle squadre

Vingegaard commosso alla presentazione delle squadre a Copenhagen
Vingegaard commosso alla presentazione delle squadre a Copenhagen
Bei ricordi?

Quando seppi che il Tour si sarebbe svolto in Danimarca, mi dissi subito che avrei voluto esserci. Ebbene, a causa del Covid, è stato posticipato di un anno, ma per ogni corridore danese è stato pazzesco.

Quel giorno hai pianto.

Sì, sono un tipo emotivo. Ero così sconvolto, da non essermi accorto che mentre il pubblico gridava il mio nome, Primoz avesse preso il microfono per gridarlo anche lui

Da Tignes ai Pirenei, il Tour a distanza di Affini e compagni

21.07.2022
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Nelle stesse ore in cui i compagni al Tour combattevano sui Pirenei contro Pogacar e i suoi uomini, sulle strade alpine nella zona di Tignes dieci corridori della Jumbo Visma uscivano per la… distanzona del mercoledì. Fra loro Edoardo Affini, salito lassù tre settimane fa per riprendere dopo il Giro d’Italia e avviato sulla via della Vuelta España. E’ la prima volta che il mantovano affronterà due Grandi Giri nello stesso anno. Ma intanto, tra i motivi di curiosità e i chilometri di lavoro, al rientro da ogni allenamento la squadra si mette davanti alla tivù a tifare per i compagni in Francia. Ieri però hanno fatto in tempo a vedere soltanto gli ultimi 3 chilometri, perché alla fine sono scappate fuori 7 ore.

«Si lavora ancora fino a domenica – spiega Affini, in apertura nella foto Bram Berkien – tre settimane sono il periodo giusto per ottenere dei buoni frutti. Fossi venuto solo per una decina di giorni, sarebbe servito a poco».

Tignes è da anni quartier generale della Jumbo Visma per i ritiri in altura (foto Jumbo Visma)
Tignes è da anni quartier generale della Jumbo Visma per i ritiri in altura (foto Jumbo Visma)
Com’è guardare il Tour in tivù, con un compagno in maglia gialla?

Si guarda molto volentieri soprattutto con una squadra così. Stanno facendo davvero un bel Tour, ma è una corsa matta. Sono sempre a blocco.

E’ più sorprendente la maglia gialla di Vingegaard o la forza pazzesca di Van Aert?

Sono entrambi dei fenomeni (ride, ndr), capaci di fare grandi cose. I preparatori e lo staff che hanno seguito Vingegaard in ritiro erano abbastanza ottimisti che potesse fare queste cose.

Giusto ieri Martinello diceva che Pogacar sta ancora pagando gli errori del Granon.

E ha ragione. Quel giorno noi abbiamo fatto un grande numero, mentre lui è caduto nella trappola o si è sentito superiore. Del resto, negli ultimi tempi ha vinto tutte le corse a tappe cui ha partecipato, un po’ di peccato di presunzione ci può anche stare.

Affini racconta che Roglic e Vingegaard sono partiti alla pari, poi la strada ha scelto
Affini racconta che Roglic e Vingegaard sono partiti alla pari, poi la strada ha scelto
Cosa ti è piaciuto quel giorno della tua squadra?

Vedere Roglic che si è messo subito a disposizione, senza accampare scuse sul fatto che avrebbe potuto rientrare in classifica.

Il ragazzo ha la sfortuna che lo perseguita.

Sarà anche vero, ma trovo assurdo che al Tour si cada per una balla di paglia spostata da una moto. Dalle immagini si vede che i tifosi o addirittura un poliziotto avrebbero potuto dargli un calcio e toglierla di mezzo, ma non lo ha fatto nessuno ed è una vergogna. Se Primoz fosse passato dall’altra parte dello spartitraffico, magari ora vedremmo un altro Tour oppure no.

Da dove ricominci?

Dalla Vuelta a Burgos e poi ho vinto il biglietto omaggio per la Vuelta. Non so quando la squadra renderà ufficiali le convocazioni, ma a me l’hanno detto. Adesso sono tutti impegnati al Tour, anche quelli dell’ufficio stampa. Il povero Ard (Ard Bierens, addetto stampa del team olandese, ndr) ha da gestire Van Aert che a livello mediatico è fra i top 3 al mondo. E poi la maglia gialla che attira giornalisti da tutte le parti.

Affini ha condiviso con Vingegaard i ritiri di inizio anno e la Tirreno (foto Bram Berkien)
Affini ha condiviso con Vingegaard i ritiri di inizio anno e la Tirreno (foto Bram Berkien)
La Vuelta potrebbe venire bene per i mondiali, no?

L’idea sarebbe proprio quella, anche se il viaggio potrebbe dare da pensare. In Spagna si chiude l’11 settembre e là si corre il 18. Un giorno se ne va con il volo, se non altro però a livello fisico le tre settimane della Vuelta saranno perfette. Ma è la prima volta che faccio due Giri, non so come risponderò. Confido che se lo hanno deciso, abbiano valutato che sia all’altezza. E poi si parte dall’Olanda, la cronosquadre sarà a mezz’ora da dove vive la mia compagna. Avrò il fan club olandese…

Invece gli europei?

M’è toccato dire di no alla nazionale e mi è dispiaciuto. Si corrono 3-4 giorni prima che parta la Vuelta e sarebbe troppo. Mi dispiace perché la nazionale è importante, ma per il mio sviluppo credo che abbia più senso fare la Vuelta.

Vi sentite mai con i ragazzi del Tour?

Con parsimonia e senza interferire troppo. Sappiamo da chi c’è stato che razza di tensioni ci siano là, quindi siamo rispettosi. Però dopo la tappa del pavé gli ho scritto che erano andati bene, perché quel giorno potevano volare minuti pesanti.

La sera della tappa del pavé, da Tignes sono partiti messaggi di complimenti verso Arenberg
La sera della tappa del pavé, da Tignes sono partiti messaggi di complimenti verso Arenberg
Vingegaard e Roglic sono partiti alla pari?

L’anno scorso, Primoz aveva la precedenza. Quest’anno sono partiti sullo stesso piano e poi sarebbe stata la strada a decidere. E purtroppo ha deciso presto.

E questo Vingegaard che l’anno scorso vinceva la Coppi e Bartali e adesso ha la maglia gialla?

Incredibile, vero? Mi sembra rimasto uguale a prima. Devo essere onesto, ho corso poco con lui. Abbiamo fatto insieme i ritiri, poi la Tirreno, dove è stato secondo dietro Pogacar. E’ sempre molto tranquillo, anche se di suo non è tanto estroverso.

Ad Affini piacerebbe entrare nel gruppo Tour?

In una squadra così c’è sempre rivalità. Non che ci prendiamo a legnate, però siamo tutti in lizza per qualcosa. E’ chiaro poi che le scelte vengano fatte dai tecnici. Si compone la rosa più ampia, che poi viene via via snellita. Ci si basa sul rendimento dell’anno prima e magari se c’è qualche nuovo, lo mettono dentro perché l’hanno preso apposta.

Vingegaard e Van Aert sono partiti per il Tour con grandi attese
Vingegaard e Van Aert sono partiti per il Tour con grandi attese
Fra poco smetterai di essere il solo italiano della Jumbo…

Ho letto la notizia dell’arrivo di Belletta. Non lo conosco, è giovanissimo, ma quassù sono bravi a far crescere i ragazzi.

Come è andata la distanza?

Eterna. E’ caldo anche qui, siamo vicini al Monte Bianco, ma di neve se ne vede proprio poca. Abbiamo fatto sette ore senza lavori specifici, ma a un bel passo. Qualcuno ha fatto meno e ha tagliato. Ma insomma, non è che siamo proprio andati a spasso

Tour, Vuelta e cadute: Roglic come Zulle?

17.07.2022
6 min
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Roglic come Zulle? Il paragone prende sempre più piede nell’ambiente ciclistico e ad accomunare lo sloveno al campione svizzero della fine degli anni 90 non ci sono solo le due Vuelta vinte in sequenza dopo altrettanti insuccessi al Tour (dove conquistò per due volte il secondo posto), ma soprattutto una predisposizione sempre più evidente alle cadute, ma sarebbe meglio dire alla sfortuna. Una carriera fatta di grandi attese. Vittorie nell’avvicinamento alle corse. Poi sfortune puntuali come maledizioni quando arriva il momento di concretizzare il tanto lavoro.

Se il paragone regge, sarà il lettore a dirlo alla fine della storia, ma una premessa è doverosa: nel definire il corridore Zulle abbiamo scelto di prescindere dal suo coinvolgimento nell’affare Festina, in un’epoca giocoforza diversa da quella attuale, sulla quale pende il giudizio della storia.

Chi era Alex Zulle? Un corridore quasi per caso. Nato da un appassionato svizzero e dalla madre proveniente dal Brabante, da ragazzino Alex alla bici neanche ci pensava. Da buono svizzero era appassionato di sport invernali e soprattutto di sci alpino, ma da ragazzo una discesa gli costò una grave frattura. Nel percorso rieducativo lo misero in sella e da lì iniziò la sua storia, che a livello agonistico prese il via a 18 anni.

Zulle crono
L’elvetico aveva una grande propensione per le crono. Vinse anche il Mondiale ’96
Zulle crono
L’elvetico aveva una grande propensione per le crono. Vinse anche il Mondiale ’96

Miope, ma senza lenti

La storia di Zulle, che in una decina d’anni ha vinto molto risultando un grande specialista delle corse a tappe, non può prescindere da un fattore: la sua miopia. Ad Alex mancavano 4,5 diottrie da entrambi gli occhi e quindi era costretto a portare gli occhiali. Questo ne ha sempre fatto un segno distintivo perché nella storia sportiva i campioni con gli occhiali non sono stati tanti, ma soprattutto ancor meno dall’evoluzione delle lenti a contatto. Zulle però non ne ha mai fatto uso, quindi utilizzava gli occhiali in ogni situazione e questo spesso ha rappresentato un handicap.

Grande passista (è stato anche campione del mondo a cronometro, come Roglic è campione olimpico di specialità), Zulle in salita riusciva a cavarsela e spesso a ottenere risultati di spicco quando riusciva a salire del suo passo. Come tanti passisti allora e anche oggi, dato che la figura dello scalatore puro è andata via via svanendo. Indimeticabile il suo duello con Pantani nella prima parte del Giro 1998, quando mise alle corde il romagnolo, staccandolo a Lago Laceno e poi umiliandolo nella crono di Trieste. Prima di subirne però la vendetta nella tappa di Selva di Val Gardena che fece la storia di quel Giro.

Il problema però arrivava in discesa. Zulle non aveva una grande dimestichezza, avendo iniziato a guidare la bici quand’era già grande, figurarsi poi su terreni sconnessi o, peggio, con la pioggia e il bagnato. A quel punto la discesa diventava un’avventura non per mantenere i distacchi, ma semplicemente per concluderla senza danni. Cosa che non riusciva sempre.

Tante vittorie e… tante cadute

Ecco perché la sua carriera, più che dalle vittorie (neanche poche, ben 71 tra cui oltre alle due Vuelta nel ’96 e ’97 e al mondiale a cronometro nel ’96 spiccano Romandia, Parigi-Nizza, Giro dei Paesi Baschi e tante altre classifiche generali) è contraddistinta dagli scivoloni. A cominciare dalla Vuelta del 1993, tappa di Alto del Naranco: Zulle è in lotta per la maglia amarillo con il connazionale Rominger. Piove sulle montagne asturiane e la discesa è tosta. Gli occhiali si appannano, le goccioline rendono difficile seguire le traiettorie, la bici svicola e finisce in un fosso. Zulle si rialza, ma la bici dov’è? La ricerca gli fa perdere un minuto abbondante. Risale in bici ma il distacco è troppo. Proverà a recuperare con una cronometro finale tanto prodigiosa quanto inutile.

Tour de France 1996, tappa di Les Arcs. Non una tappa come le altre, perché per la prima volta Miguel Indurain è alle corde, tanto che alla fine perderà oltre 4 minuti. Zulle ne perde anche di più, con due cadute consecutive. Nella seconda, a cavarlo d’impaccio sono i fotografi, non prima però di aver immortalato lo sfortunato svizzero in mezzo ai cespugli.

Zulle Giro 1998
Una delle più belle vittorie in linea: Giro d’Italia 1998, arrivo a Lago di Laceno, 24″ di vantaggio su Bartoli
Zulle Giro 1998
Una delle più belle vittorie in linea: Giro d’Italia 1998, arrivo a Lago di Laceno, 24″ di vantaggio su Bartoli

1997, l’anno del riscatto

Che Zulle sia però anche un corridore capace e non solo il “Mr.Magoo della bici” com’era stato un po’ ingenerosamente etichettato oltre Manica, lo dimostra nel 1997. Un anno che va avanti fra cadute in serie, al Delfinato, al Giro di Svizzera (che gli costa la frattura della clavicola) e al Tour de France, con conseguente ritiro perché l’osso non si era ancora saldato per bene. Eppure recupera e lavora sodo, fino ad aggiudicarsi la Vuelta di fine stagione.

Due anni dopo, al Tour, Zulle conquista il secondo posto dietro Armstrong (il primo dei sette Tour vinti dall’americano e poi cancellati dall’albo d’oro). Un’impresa considerando che nella seconda tappa si passa dal Passage du Gois, una strada di due miglia che è soggetta ai rialzi della marea e quindi è sempre coperta di acqua e fango. Fatto sta che una marea di corridori cade e nel bailamme Zulle è costretto a ripartire… senza occhiali, persi in quel caos di corridori e fango. Il distacco accumulato sarà tanto, ma l’elvetico riuscirà comunque a costruirsi un Tour di primo piano fino a finire secondo a 7’37” dall’americano.

Zulle Tour 1998
Il podio del Tour 1999: Zulle è 2° a 7’37” da Armstrong, 3° Escartin a 10’26”
Zulle Tour 1998
Il podio del Tour 1999: Zulle è 2° a 7’37” da Armstrong, 3° Escartin a 10’26”

La carriera dell’elvetico si è conclusa nel 2004, sulla via di un lento tramonto, finendo con una grande festa per celebrare i suoi successi più che le sue sfortune. Poi si lui di sono perse un po’ le tracce, non frequenta più il mondo del ciclismo vissuto in anni davvero difficili e controversi.

Ogni tanto qualche capatina la fa nelle cicloturistiche, soprattutto in Spagna teatro di gran parte della sua carriera ciclistica. Lo si vede pedalare in mezzo al gruppo, pluricinquantenne ancora in buona forma fisica. E naturalmente, con gli occhiali dritti sul naso…

All’ennesimo scatto di Vingegaard, la maglia gialla affonda

13.07.2022
7 min
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Cinque chilometri alla vetta. Il Col du Granon è solo l’ultimo di una tappa in cui i corridori della Jumbo Visma hanno messo in mezzo Pogacar, ricavandone ogni volta risposte sconfortanti. Sul Galibier gli scatti di Vingegaard e Roglic lo hanno preoccupato giusto il tempo di reagire e poi metterli a sua volta in riga. Il gesto di dare gas in favore di telecamera è ancora oggetto di dibattito in sala stampa. Ma lassù Pogacar stava bene, al punto che Roglic l’ha pagata cara e si è staccato.

Manca così poco all’arrivo con Majka che tira e Pogacar che gestisce, da pensare che anche oggi attaccheranno domani. Invece Vingegaard parte ancora e questa volta alle sue spalle qualcosa si rompe. I trenta gradi e la quota si fanno sentire. Pogacar di colpo abbassa la lampo sul torace bianco e la sua pedalata perde consistenza.

«Solo quando ho fatto l’ultimo ultimo attacco sul Granon – dice Vingegaard – ho capito che me ne ero andato. Mi sono voltato, ho visto che non veniva. Poco prima avevo fatto un semplice pensiero: se non ci provi, non lo saprai».

Tutto in un quarto d’ora

Come sia stato che in un quarto d’ora sia crollato il dominatore dell’ultimo Tour è qualcosa che resterà nell’aria fino a che stasera in hotel la UAE Emirates non avrà approfondito il discorso. Intanto Vingegaard spinge con tutto se stesso, con la forza che il suo allenatore Zeeman ha spiegato ieri dopo il traguardo.

«Pogacar ha ancora molta esplosività – ha detto cercando di spiegare quel che ci attendeva – che può esprimere dopo una salita più breve. Jonas in proporzione ne ha meno, ma sulle salite più lunghe si avvicina a Tadej. I valori che ha espresso qui al Tour sulle salite più brevi sono i migliori che abbia mai avuto. Questo ci dà fiducia per il resto del Tour. Presto ci saranno salite dove non puoi nasconderti. E’ lì che si deciderà il Tour».

Solo quando si è voltato sul Granon, Vingegaard ha avuto la certezza di aver staccato Pogacar
Solo quando si è voltato sul Granon, Vingegaard ha avuto la certezza di aver staccato Pogacar

Il sogno di una vita

Vingegaard ha mollato la proverbiale agilità e porta sul Granon i suoi 60 chili con una cadenza cattiva, messa lì per scavare il solco profondo. Alle sue spalle Pogacar deve vedersela con Thomas che gli va via e poi anche con Yates. E come succede in questi casi, la fatica del fuggitivo porta solo buone sensazioni, mentre dietro sta trascinando lo sloveno a fondo.

«Penso che sia davvero incredibile – dice Vingegaard – è difficile per me metterci le parole. Questo è quello che sognavo. Ho sempre sognato una vittoria di tappa al Tour e ora è venuta anche la maglia gialla. E incredibile. Abbiamo preparato un piano dall’inizio della tappa e immagino che abbiate capito quale fosse. Volevamo fare una gara super dura e ne ho ricavato molto vantaggio. Non ci sarei riuscito senza i miei compagni, li devo ringraziare. Sono stati incredibili oggi.

«Negli ultimi due chilometri ho sofferto tanto, volevo solo finirlo – prosegue – ero già totalmente al limite da un chilometro e ho dovuto lottare fino alla fine. A dire il vero, quando abbiamo fatto la ricognizione dei passi con il team, non avevo provato quest’ultima salita, ero salito in macchina. Quindi non avevo grandi sensazioni. Ma ora che l’ho provato, posso dire che è stato duro».

Prima di ritirarsi, Van der Poel non ha resistito all’ultima punzecchiatura ed è andato in fuga con Van Aert
Prima di ritirarsi, Van der Poel non ha resistito all’ultima punzecchiatura ed è andato in fuga con Van Aert

Il giorno perfetto

Fra i compagni c’è sicuramente Van Aert, partito in fuga di buon mattino con il suo… amico Mathieu Van der Poel, che ha concluso il Tour con un ritiro.

«Quando mi sono girato – racconta la maglia verde – ho visto Mathieu ed è stata una bella sorpresa. Siamo subito andati a tutta. E’ stato divertente. Io volevo soprattutto vincere il traguardo volante, ho preso i punti e ora abbiamo anche la maglia gialla. E’ stata una giornata perfetta per la squadra. Eravamo pronti per questo giorno, ma non è stato facile. Pogacar è riuscito a stroncare ogni attacco sul Galibier. Ho pensato che sarebbe stata un’altra giornata dura. Gli stavamo già mettendo pressione dall’inizio del Tour. Avevamo già fatto degli sforzi, ma dovevamo andare oltre. Volevamo farlo soffrire. E alla fine Jonas è riuscito a staccarlo».

Jumbo al settimo cielo

In casa Jumbo Visma il buon umore è contagioso, anche se il Tour è ancora lungo e Pogacar potrebbe ancora rivestire i panni del cannibale.

«Questo era il piano – dice il manager Richard Plugge – i nostri direttori e i corridori lo avevano pianificato da un pezzo ed è riuscito al 90 per cento. Il programma infatti era che Roglic se la cavasse sulla Galibier, ma questo sfortunatamente non ha funzionato. Ma era caldo ed erano sopra i 2.000 metri. Vedendo Pogacar contrattaccare, ho pensato che avrebbe speso tanto…».

“Spallone” Kruijswijk al traguardo era fra i più contenti, dopo anni a tirare per conquiste spesso sfumate.

«Abbiamo cercato di demolire Pogacar – dice l’olandese che vide naufragare la sua maglia rosa al Giro del 2016 – è stata davvero una bella giornata. Lo aspettavamo da molto tempo. Speravamo anche in un risultato migliore, perché volevamo riportare davanti anche Primoz (Roglic, ndr). Abbiamo cercato di mettere su Pogacar. Tadej è davvero forte, ma non poteva rispondere a tutti. Avevamo molta fiducia in Jonas e adesso siamo pronti a difendere la maglia».

Bardet ha attaccato sulla salita finale: è arrivato 3° a 1’10” e ora è secondo in classifica a 2’16”
Bardet ha attaccato sulla salita finale: è arrivato 3° a 1’10” e ora è secondo in classifica a 2’16”

Fino a Parigi

Dopo l’arrivo Vingegaard è crollato in un pianto coinvolgente, anche se fra le immagini più belle di questo pomeriggio sulle Alpi, ci sono state le congratulazioni da parte di Pogacar mentre il danese faceva girare le gambe sui rulli.

«E’ molto difficile per me esprimere a parole quello che penso – ha detto il danese – tutto questo è incredibile. Sul Galibier, Tadej mi ha fatto paura. Era molto forte e ripreso tutti. Ero insicuro se valesse la pena provarci. Poi mi sono scosso. Arrivare secondi è un bel risultato, ma l’ho già fatto l’anno scorso e ora voglio puntare alla vittoria in classifica generale. Per fortuna oggi ci sono riuscito e ora ho la maglia gialla.

«Ovviamente Pogacar reagirà. Lo vedo ancora come uno dei miei principali avversari – dice Vingegaard – è un grande corridore, probabilmente il migliore al mondo. Togliergli la maglia gialla era impensabile. Mi aspetto che cerchi di attaccarmi ogni giorno, ogni volta che ne ha la possibilità. Sarà una gara difficile fino a Parigi, cercheremo di fare del nostro meglio ogni giorno per vincerla. Sarà una bella battaglia».

Jonas Vongegaard è nato il 10 dicembre 1996. E’ altro 1,75 e pesa 60 chili. E’ pro’ dal 2019
Jonas Vongegaard è nato il 10 dicembre 1996. E’ altro 1,75 e pesa 60 chili. E’ pro’ dal 2019

Meritato riposo

L’ultima parola è per il direttore sportivo Grischa Niermann, che ha seguito Vingegaard dalla prima ammiraglia ed è fra coloro che hanno elaborato la strategia di attacco.

«Jonas questa mattina – racconta – mi ha detto che poteva vincere. La strada è ancora lunga, ci sono ancora dieci tappe e alcune sono molto dure. Dipenderà dalla situazione se nei prossimi giorni gareggeremo in modo offensivo o difensivo. Jonas ha fatto molti passi avanti negli ultimi anni, anche come leader. Sono convinto che guiderà bene la squadra nella prossima settimana. I piani non sempre funzionano, ma stasera potremo andare a letto soddisfatti».

Le storie della Planche e Vingegaard sulla strada di Tadej

08.07.2022
6 min
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Quassù c’è qualcosa di magico. Forse è la leggenda delle ragazze che 400 anni fa si lasciarono annegare nel lago per sfuggire agli stupri dei mercenari svedesi durante la Guerra dei Trent’anni. Oppure è la storia di destini che si incrociano a La Planche des Belles Filles e raccontano storie di corsa.

Anche in questo giorno caldo di grandi attese mantenute, uomini di valore si sono arrampicati portando con sé ricordi e missioni da compiere. Solo uno è riuscito a mantenere il voto dichiarato ieri dopo la vittoria di Longwy, ma stavolta ha dovuto stringere i denti contro il giovane Vingegaard che già sul Mont Ventoux lo guardò negli occhi senza timori. Anche lui lo ha fissato nel momento di passarlo, si esercita così la pressione del leader. Sugli altri è calato lo stesso silenzio di quel giorno crudele, quando le ragazze di Plancher les Mines scelsero una morte dignitosa per sfuggire a una ben più terribile.

Ritorno sul luogo del delitto

Qui Pogacar spodestò Roglic e chissà se nella sua determinazione di vincere sia passata anche la voglia di dimostrare che non fu per la fortuna. C’era la sua famiglia, c’erano motivazioni speciali, ma per vincere ha dovuto pescare nella tasca dell’orgoglio.

«Da quando è stato annunciato il percorso – ha detto – ho voluto vincere quassù. Vingegaard è stato davvero forte. Ha corso alla grande, ma io non potevo rinunciare. Per Urska al traguardo, per la mia famiglia ai piedi della salita, per la mia squadra che ha lavorato così duramente. Ho dovuto davvero spingere a fondo per superarlo. Questa è una vittoria molto speciale. Anche perché oggi abbiamo lanciato una fondazione per la ricerca sul cancro. Per questo ho indossato per la prima volta queste scarpe speciali».

Vingegaard oggi ha fatto soffrire Pogacar. Non ha paura e riproverà
Vingegaard oggi ha fatto soffrire Pogacar. Non ha paura e riproverà

Un avversario vero

Ma forse stavolta Tadej potrebbe aver trovato un degno avversario. Quantomeno uno che non ha paura di sfidarlo in campo aperto, comunque andrà a finire.

«E’ stato sicuramente un finale brutale – racconta il giovane danese della Jumbo Visma, l’unico a non avere conti aperti con la Planche, ma avendone appena aperto uno – ma penso di poter essere felice. Ci ho provato, ma sono arrivato a 20 metri dalla fine e poi basta. Ero davvero vicino al traguardo e ora spero di stare meglio sulle salite più lunghe. Le gambe hanno risposto bene quindi sono felice».

Pogacar lo ha definito il miglior scalatore al mondo circondato da una squadra fortissima. Il danese sorride e si dirige verso il bus. Per oggi altro da dire non ce l’ha.

Roglic sta tornando. Arriva nella scia di Pogacar e promette battaglia
Roglic sta tornando. Arriva nella scia di Pogacar e promette battaglia

La risposta delle gambe

Roglic ha preferito dire poche parole, lasciando che a dare il suo messaggio fossero le gambe. Il terzo posto a 14 secondi da Pogacar dice che forse le botte dei giorni scorsi si stanno assorbendo e che altre montagne potrebbero diventare sue amiche. Chissà se salendo ha riconosciuto qualche scorcio di quel giorno in cui aveva gli occhi sbarrati e la vita contro.

«Sapevo cosa stava succedendo – ha detto alla partenza – ma non potevo più spingere. Stavo lottando contro me stesso per ogni metro. Oggi non sapevo cosa aspettarmi. Ho abbastanza esperienza dopo le cadute. Ogni spinta del pedale è come un coltello che mi taglia la schiena. Mi fa male la parte bassa, ma non sono qui per piangere, sono qui per combattere».

La Planche questa volta non lo ha respinto e chissà che non cedendo al forcing del giovane connazionale non abbia ritrovato la fiducia che sprofondò con lui nel lago quel giorno.

Ancora una volta nella stessa fuga, Teuns e Ciccone stavolta si arrendono
Ancora una volta nella stessa fuga, Teuns e Ciccone stavolta si arrendono

Teuns e Ciccone, deja vu

Curiosamente nella fuga si sono ritrovati i due uomini che se la giocarono nel 2019. Teuns vincendo la tappa, Ciccone prendendo la maglia gialla.

«Avevo già previsto questo scenario ieri sera – ha detto il belga del Team Bahrain Victorious – sapevo che c’erano buone possibilità che Pogacar volesse vincere oggi e alla fine è andata così. Ho capito presto che non saremmo riusciti ad arrivare alla fine. Se il gruppo ti concede solo un massimo di due minuti e mezzo, sai che hai poche possibilità. Sulla salita finale, Kamna era chiaramente anche il più forte. Ma per me ci sono ancora molte opportunità in questo Tour».

Forse è stato per questo senso di impotenza che Ciccone a un certo punto ha preferito mollare?

«Era una tappa adatta agli attacchi quindi ci ho provato. Il fatto che fosse una salita che aveva già detto qualcosa di importante cambiava poco. Quando sei lì per giocartela, ogni salita più o meno diventa uguale. La fatica è quella, neanche me la ricordavo benissimo».

Teuns è arrivato a 3’52”, Ciccone a 16’30”. Si fa così quando si vuole entrare liberamente nelle fughe. Ma forse l’abruzzese non ha ancora ritrovato la gamba di fine Giro.

Dieci anni dopo, non è più lo stesso Froome. Solo la testa è identica
Dieci anni dopo, non è più lo stesso Froome. Solo la testa è identica

Dieci anni così lunghi

Parlando davanti al bus grazie ai buoni uffici del suo addetto stampa, Chris Froome ieri aveva sorriso ripensando alla salita che nel 2012, giusto 10 anni fa, gli portò la prima vittoria di tappa, in quel Tour di tensioni che fu poi vinto da Wiggins.

«Ho dei bei ricordi del 2012 – ha detto – in quel Tour fu anche la prima occasione per misurare la mia condizione e credo che sarà così anche domani. Mi aspetto che gli scalatori cercheranno di recuperare il terreno perso nella crono, per poi cominciare una rimonta nei giorni successivi. Alcuni dei miei rivali cercheranno di recuperare tempo e di passare all’offensiva sin da domenica».

Ha concluso prevedendo distacchi contenuti fra i primi del Tour. Quei dieci anni non sono stati facili da colmare, ma l’esperienza ha visto giusto. Froome è arrivato a 3’48” da Pogacar, in questo primo Tour senza i legacci dell’infortunio, rincorrendo le sensazioni del campione che fu. Sapremo nei prossimi giorni quanto il tempo avrà scavato a fondo. E per fortuna non ci sarà da aspettare troppo.