Valerio Conti: testa, gambe, sorriso e tanto lavoro

20.03.2023
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Francesco Frassi ci aveva detto che vedeva molto bene il suo neacquisto, Valerio Conti (in apertura foto Instagram). Ci aveva detto di un ragazzo in crescita e concentrato. E questa è una buona notizia per un talento che negli ultimi anni tra sfortune e qualche vicissitudine personale aveva trovato difficoltà ad emergere.

Il romano del Team Corratec ha disputato una buona Tirreno-Adriatico. Ci ha provato in più di qualche occasione ed è tornato a respirare l’aria del grande ciclismo. A Laigueglia di fatto è tornato in corsa dopo tanti mesi. Il suo ultimo grande impegno era stato il Giro d’Italia poi una fugace apparizione al Giro di Slovacchia a metà settembre e nulla più.

Valerio Conti (classe 1993) è arrivato quest’anno alla Corratec
Valerio Conti (classe 1993) è arrivato quest’anno alla Corratec
Valerio, come stai? Frassi ci ha detto che hai passato quasi 40 giorni di ritiro sul Teide…

Forse proprio 40 no, ma in effetti ci sono stato parecchio. Ho fatto tre settimane con Davide Formolo. Poi sono sceso per andare al Tour of Antalya, in Turchia, ma è stato annullato per il terremoto e così, sempre con Davide, siamo tornati sul Teide. Volevo farmi trovare al 100 per cento, già a novembre avevo ripreso ad allenarmi seriamente e lassù fai le cose seriamente.

Cosa significa nel dettaglio ripartire al 100 per cento?

Significa che adesso la testa c’è. E se sta bene quella, sta bene anche il fisico e viceversa. Fila un po’ tutto bene. Anche con il peso non sto male e in questa prima parte di stagione ho perso altri due chili. Sul fronte dell’alimentazione sono stato molto attento.

Ti segue qualcuno in tal senso?

Il mio nuovo preparatore mi dà consigli importanti anche sotto questo punto di vista.

Insomma un nuovo “vecchio” Valerio Conti…

Venivo da un anno non bello. Un anno in cui di fatto la mia ultima vera corsa è stata il Giro che neanche ho finito per problemi alla schiena. Da lì ho passato tutta l’estate cercando di capire se correre o non correre. Anche io ammetto di aver perso un po’ di concentrazione e se non fai le cose al 100 per cento, prendi certe batoste… Ora però le cose le sto facendo bene e sono sicuro che se non è adesso, perché comunque è tanto che non correvo, fra non troppo tempo qualche buon risultato arriverà.

Conti ha disputato una buona Tirreno-Adriatico, una Tirreno di “costruzione”
Il laziale ha disputato una buona Tirreno-Adriatico, una Tirreno di “costruzione”
Hai accennato all’alimentazione: come ti regoli?

Alla fine cose semplici: equilibrio. Quando faccio poco, mangio poco e quando faccio di più mangio di più. E’ molto importante stare attento a non sgarrare quando si riposa: è lì che devi essere forte. Ma come ho detto, sto facendo le cose per bene. Saranno cinque mesi che non tocco una birra, per dire… Poi, ragazzi, si sa: oggi il ciclismo è sempre più difficile, si va sempre più forte. Una volta con 20′ a 400 watt arrivavi davanti, adesso fai una fatica enorme. E allora ecco che è importante togliere anche quel chiletto ulteriore…

Chiaro e per questo è necessario cambiare marcia nel ciclismo di oggi.

Sapevo che se volevo riprendermi mi serviva qualcuno che mi seguisse giorno per giorno. Una persona di cui fidarmi e che si fida di me. Il preparatore da cui vado mi ha detto: «Okay, ma con me faticherai». E in effetti, fatico!

Perché ti trovi bene con questo nuovo preparatore?

Perché ti allena in base alle tue caratteristiche e alle tue condizione fisiche e mentali. Ti prende per il verso giusto. Per esempio, quando ho ricominciato ad allenarmi ero un po’ strano, non vivevo un super momento con la bici e così lui mi ha fatto fare tanta mountain bike. Mi sono ripreso. Da lì abbiamo iniziato a lavorare tantissimo sulla forza. Perché se si è più forti negli arti si va a sovraccaricare meno la schiena. E poi si percepisce che gli piace fare l’allenatore. Quando ti chiama, se sente che sei stanco, ti cambia il lavoro, mentre se capisce che sei bello motivato insiste. E poi mi piace il suo metodo. Magari in un’uscita di 6 ore ti fa fare tutto: la forza, la salita, il fuorisoglia. E con lui si fanno discese e salite. Specie le salite lunghe.

Nel 2019 Valerio ha indossato la maglia rosa. Il Giro è l’obiettivo maggiore
Nel 2019 Valerio ha indossato la maglia rosa. Il Giro è l’obiettivo maggiore
Come esci dalla Tirreno?

Bene, dai. Alla fine l’ho gestita. Ho corso in modo da non “ammazzarmi” ma per costruire. Ho provato ad entrare in qualche fuga, ma di quelle buone. Peccato che nella tappa dei muri c’era dentro anche Van der Poel e non ci hanno lasciato troppo spazio all’inizio. Poi quando ci hanno ripreso, sono andato regolare.

In squadra come va?

Devo dire che mi trovo molto bene per ora. C’è un clima molto, molto familiare. E forse avevo bisogno anche di questo.

Che programmi hai?

Adesso farò Coppi e Bartali, il Gp Larciano, il Giro di Sicilia e il Giro d’Italia. Prima della corsa rosa vorrei andare di nuovo in altura, ma sull’Etna stavolta. Al Giro voglio arrivarci al 110 per cento.

Cavendish all’Astana, come lavora verso Giro e Tour?

17.03.2023
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Mark Cavendish è sempre Mark Cavendish. L’ex campione del mondo da quest’anno è approdato all’Astana Qazaqstan e ci è arrivato molto tardi. Mancavano pochi giorni a gennaio e forse anche per questo ancora non lo abbiamo visto super in palla.

Stefano Zanini, uno dei diesse della squadra kazaka, ci aveva detto di aver trovato un corridore volenteroso, ben disposto verso i compagni e soprattutto un vero leader. Ma dal punto di vista atletico e della preparazione come sta Cav? Come ci si dovrà lavorare? Ne abbiamo parlato con Maurizio Mazzoleni, che del team turchese, è invece il preparatore.

Maurizio Mazzoleni coach dell’Astana Qazaqstan, ci ha spiegato come sta lavorando con Cav
Maurizio Mazzoleni coach dell’Astana Qazaqstan, ci ha spiegato come sta lavorando con Cav
Maurizio, come hai trovato Cavendish? Quali sono state le prime impressioni?

Prima di tutto ho trovato un grande uomo, l’atleta già lo si conosceva. E se Mark in carriera ha raggiunto certi risultati è perché ha costruito tanto sotto ogni punto di vista e tutto ciò si percepisce in squadra. Lo emana sul bus quando, per esempio, parla di come ci si avvicina ad una volata. Anche a San Benedetto del Tronto ha dato dei consigli importantissimi al nostro velocista più giovane, Syritsa. Quando parla traspare una cosa, una cosa che dico sempre ai giovani.

Di che si tratta?

Della passione per questo sport. Il ciclismo è uno sport di fatica e senza il filo conduttore della passione nell’arco di tutta una carriera difficilmente si può raggiungere il tipo di risultati che ha raccolto Mark. Quello della passione pertanto è il primo aspetto che mi ha colpito di lui. Poi chiaramente vogliamo ottenere dei risultati sportivi.

E tu preparatore come ti stai organizzando per coglierli?

C’è un percorso che stiamo intraprendendo. Diciamo che siamo partiti con “i lavori in corso”, visto che Mark è entrato nel team a fine dicembre, ma abbiamo ben in mente come fare il nostro avvicinamento al periodo clou, che potrà essere anche il Giro d’Italia e non solo il Tour de France. Tornare a vincere e nelle grandi corse a tappe è il primo obiettivo e poi c’è chiaramente quello particolare del record di tappe al Tour de France.

Cavendish (classe 1985) è arrivato in Astana quest’anno. Punta al record assoluto di vittorie al Tour
Cavendish (classe 1985) è arrivato in Astana quest’anno. Punta al record assoluto di vittorie al Tour
Cavendish è pro’ da oltre 15 anni, ha un bagaglio enorme di esperienza, ma un preparatore che come te si ritrova in questa situazione come fa? Va a riprendere tutta la sua “cartella clinica” del passato, tutto ciò che faceva? Perché immaginiamo che con un atleta di quasi 38 anni non si possa partire ex novo…

Siamo molto attenti nel cercare di capire come questo atleta, già di alto livello, lavorava in passato. L’allenatore deve fare un passo indietro. E’ lui che deve capire come l’atleta ha lavorato e come ha ottenuto quei successi. In tal senso c’è stata molta condivisone di queste informazioni. Abbiamo parlato parecchio. Ma soprattutto abbiamo cercato di condividere il programma d’allenamento con l’atleta stesso. Si valuta tutto e si prosegue su una strada condivisa, andando ad apportare quello che secondo noi può dargli dei benefici a questo punto della sua carriera.

Anche l’allenatore dunque “impara” qualcosa?

Sicuro! L’allenatore dovrebbe sempre avere questa tipologia di approccio con un atleta. C’è sempre da imparare. Bisognerebbe applicare le nuove metodologie con i metodi di lavoro che sono stati affinati nel corso degli ultimi anni.

Andiamo più sul tecnico: state lavorando anche sull’intensità?

In questo momento no, anche perché Mark è in una fase particolare. Siamo nel bel mezzo di molte corse: Oman, UAE, Tirreno Adriatico, Milano-Torino e poi Sanremo, le classiche del Belgio. In tutto ciò le dinamiche di lavoro devono combaciare con le corse e con le fasi di recupero… che tanti sottovalutano, ma sono un pilastro dell’allenamento. 

Cavendish a tutta sui muri di Osimo, uno sforzo che sapeva molto di “fuorigiri programmato”
Cavendish a tutta sui muri di Osimo, uno sforzo che sapeva molto di “fuorigiri programmato”
Nella tappa dei muri, sul penultimo passaggio abbiamo visto Cavendish veramente a tutta: a bocca aperta e in punta di sella. Aveva tenuto molto più di altri velocisti che invece si erano già staccati. Chiaramente era anche un “allenamento”, tanto più che il giorno dopo a San Benedetto c’era un arrivo adatto a lui…

Abbiamo cercato di gestire al meglio la parte di salita. Sono dinamiche che i velocisti più esperti come lui sanno interpretare: a volte per finire la tappa nel tempo massimo, altre per calibrare lo sforzo in vista di obiettivi futuri.

Siamo in piena fase di gare, ma da quando è con te ed è casa, ha cambiato per esempio il numero degli sprint da fare? Magari prima ne faceva 10 a settimana, ora ne fa di più? Di meno?

Non si tratta di numero di volate, ma di intensità di lavori che possono essere variati continuamente in base alla situazione che si vuole andare a ricercare. Non c’è un numero fisso di sprint. Tante volte si pensa a tabelle pre-impostate o pre-organizzate, ma il futuro – e il presente direi – delle tabelle di allenamento del ciclismo moderno sono la modulazione in base alla quotidianità. 

Un ultima domanda sul peso: in apparenza non sembra tiratissimo. E’ così o è una sensazione?

E’ una sensazione. In base ai parametri che abbiamo, Mark è in linea con il suo peso. E poi il peso del velocista non va considerato in base alla percentuale di massa grassa come per lo scalatore, che se non raggiunge quelle determinate percentuali è meno prestativo. Semmai si valuta la sua forza. Ma ripeto, conoscendo lo storico della dell’atleta, non ci sono particolari problemi dal punto di vista del peso.

Milan, il motore e il grande Giro. Sentiamo coach Fusaz

15.03.2023
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Parliamo spesso di Jonathan Milan, del suo grande motore, del suo talento. Il corridore della  Bahrain Victorious è uno dei giovani italiani più promettenti. Per questo, ma soprattutto per le sue attitudini, spesso lo si paragona a Filippo Ganna.

Entrambi sono alti, entrambi sono passisti sopraffini, entrambi sono campionissimi della pista… Ma in quanto a tenuta forse – pensiamo alle crono per esempio – Pippo ha ancora qualcosa di più. Il che è anche legittimo, visto che Jonathan è più giovane di Pippo.

Milan
Fusaz e Milan ai tempi del Cycling Team Friuli
Milan
Fusaz e Milan ai tempi del Cycling Team Friuli

Parola a Fusaz

A detta di alcuni tecnici, la differenza tra i due è il grande Giro, che Ganna ha già fatto (in realtà ne ha inanellati tre) e Milan ancora no. Questo tema lo abbiamo sottoposto al coach di Milan stesso, Andrea Fusaz: «Parliamo di due atleti simili, ma anche un po’ diversi. Jonathan comunque è passato molto giovane e se ancora non ha fatto il grande Giro è perché ha bisogno di un rodaggio».

Se guardiamo indietro, anche Pippo qualche anno fa non era il tipo che conosciamo adesso. Hanno due età diverse e ognuno ha i suoi tempi di crescita, i suoi tempi di evoluzione fisica e anche mentale, direi. Se Jonathan non ha ancora fatto un grande Giro è perché vogliamo trovare la strada più in equilibrio con le sue esigenze a livello fisico».

Il friulano Jonathan Milan (classe 2000) è alla sua terza stagione tra i pro’
Il friulano Jonathan Milan (classe 2000) è alla sua terza stagione tra i pro’

Jonathan al Giro?

Sia Ganna che Milan sono passati quando avevano 21 anni e in effetti, come dice Fusaz, i tempi di crescita vanno rispettati. Sembra una vita che Milan è un pro’, ma è solo all’inizio della sua terza stagione nel WT. E anche Ganna alla fine ha preso parte al suo primo grande Giro nel 2020, nel famoso Giro d’Italia di ottobre, quando era al quarto anno da pro’.

E poi bisogna considerare anche un altro aspetto: quello dei calendari. Milan e Ganna hanno di mezzo anche la pista e trovare spazio per tutto non è facile. Anche perché, come accennato, hanno caratteristiche simili, ma non uguali. Consideriamo che Milan ha già come obiettivo le classiche del Nord e ce le ha con determinate aspettative, cosa che per Ganna non si è verificata.

Stando alle statistiche, Milan potrebbe debuttare in un grande Giro proprio quest’anno: Fusaz non smentisce, né ammette. Magari questo è l’anno buono per esordire nelle tre settimane, anche perché tutto sommato i mondiali (sia pista che strada) ci sono ad agosto e la Vuelta in quel caso potrebbe essere il banco di prova ideale.

«Sicuramente – prosegue il tecnico del Cycling Team Friuli, che è anche preparatore della Bahrain Victorious – se Jonathan non farà il grande Giro quest’anno lo farà il prossimo. Ripeto, bisogna vedere come evolve, come sta e come procede la sua preparazione sul momento. Bisogna valutare non dico ogni settimana, ma almeno di mese in mese, ricordiamoci che parliamo di un ragazzo che ha 22 anni.

«Direi che il Tour è da escludere, poi vedremo. Magari gli altri due possono essere nelle corde di Jonathan».

Paragoni da equilibrare

Fusaz ha detto che se non è quest’anno, sarà il prossimo. Ma il prossimo è l’anno olimpico e magari inserire il grande Giro prima delle Olimpiadi potrebbe incidere parecchio, magari è una mossa azzardata.

«Ci sono un sacco di variabili effettivamente – spiega il coach – ma dipende da quale grande Giro scegli, come lo alleni, come lo gestisci nell’insieme della preparazione. Chiaro che per qualsiasi atleta è un’esperienza da provare e anche Jonathan vorrà farla. Provare a cimentarsi in una gara di tre settimane è un punto di partenza. Ma magari dopo che ha fatto due Giri, dice che non gli piacciono!».

Il riferimento di Ganna ci accompagna in questa disamina. E Fusaz giustamente fa notare che nella sua evoluzione, Milan si è incontrato anche con un anno di pandemia di mezzo. Un anno quasi perso del tutto e che incide non poco sulla formazione di un atleta giovane. A 19-20 anni si è in piena evoluzione. E comunque se il friulano dovesse farne uno quest’anno, esordirebbe nelle tre settimane con un anno di anticipo rispetto a Ganna.

«Secondo me – conclude Fusaz – ogni volta che facciamo una comparazione tra i due, ci si dovrebbe riferire al Ganna di quattro anni fa, ricordando che Jonathan si è trovato una pandemia nel momento del passaggio e un’età più giovane».

La Tirreno vale ancora come preparazione per la Sanremo?

14.03.2023
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Una volta la Tirreno-Adriatico era la corsa di preparazione alla Milano-Sanremo. Si veniva con l’idea di rifinire la gamba e raggiungere l’apice della condizione proprio per la Classicissima. Oggi è ancora così? Dopo l’arrivo di Osimo, Davide Ballerini ha detto di sperare che le fatiche della Tirreno siano funzionali alla condizione per le gare successive. Vale ancora per tutti questa “regola”?

La Corsa dei Due Mari (in apertura Alaphilippe, Van Aert e Pidcock alla Tirreno 2023) finiva il martedì e c’era sempre una tappa piuttosto lunga che i pretendenti alla Sanremo sfruttavano per fare la distanza allungando quei 30-40 chilometri a fine frazione. Oggi non si vedono più certe cose e a spiegarci meglio il nuovo approccio al binomio Tirreno-Sanremo è Maurizio Mazzoleni, preparatore dell’Astana Qazaqstan.

Maurizio Mazzoleni, preparatore dell’Astana Qazaqstan
Maurizio Mazzoleni, preparatore dell’Astana Qazaqstan
Maurizio, è ancora valida la regola del preparare una Sanremo passando dalla Tirreno?

Resta un passaggio fondamentale. C’è stato un cambio nel calendario: la Tirreno finisce prima (la domenica che precede, al Sanremo, ndr), ma si è aggiunta la Milano-Torino al mercoledì. Altro passaggio “obbligato” quasi per tutti. Un viatico ideale sia per chi esce dalla Tirreno stessa ma anche dalla Parigi-Nizza. 

Che adesso finiscono nello stesso giorno…

E infatti adesso sono due gare equivalenti. Prima invece c’era qualche giorno a favore della Tirreno che, finendo al martedì, era più vicina alla Milano-Sanremo.

Si va ancora alla ricerca della super distanza allungando dopo la tappa più lunga?

Direi di no. E poi basta vedere il percorso di quest’anno. Era praticamente improponibile, visto che ci sono state quasi tutte tappe da 200 e passa chilometri. E poi oggi c’è un altro aspetto da valutare.

Pozzato era solito approfittare della tappa più lunga della Tirreno per allungare 30-40 chilometri in vista della Sanremo
Pozzato era solito approfittare della tappa più lunga della Tirreno per allungare 30-40 chilometri in vista della Sanremo
Quale?

Che nessun corridore ormai prende il via ad una gara per preparare un altro appuntamento, perché ogni corsa diventa un obiettivo. E’ importante in quanto dà punti e visibilità e mette sul piatto una vittoria. I corridori, ogni volta che mettono il numero sulla schiena, devono avere l’obiettivo di vincere. Pertanto è difficile oggi trovare un professionista che partecipa a una corsa per prepararne un’altra.

Quindi Van der Poel che fatica sui muri e Ganna che prova a tenere nei primi due passaggi e poi molla secondo te rientrano nell’ottica della Sanremo?

Come obiettivo secondario sì: potrebbe essere quello. Ma l’obiettivo primario è comunque far bene, ottenere il meglio in quella corsa. Primo, cerco di vincere in prima persona o lavoro perché vinca la squadra. Secondo, metto volume e intensità nelle gambe per l’obiettivo che viene successivamente.

La Milano-Torino, che si corre il mercoledì, quindi nel mezzo della settimana, può essere considerata un po’ il sostituto della tappa lunga e dell’appendice successiva che si faceva una volta?

No, ma avendo comunque questi sei giorni fra Tirreno e Sanremo, la Milano-Torino diventa fondamentale. Difficilmente si riesce a organizzare una tipologia di allenamento così intenso come quello di una gara, anche a livello di concentrazione, di attenzione ai particolari, di stimoli…

Quindi è un po’ una prova generale della Classicissima…

Arriva appena qualche giorno prima della Sanremo, è ideale per affinare anche certe tipologie di gare veloci, del feeling coi compagni… Secondo me è veramente importante come gara pre Sanremo. 

La Milano-Torino è la prova generale della Classicissima. Di certo è una super rifinitura che segue lo scarico post Tirreno
La Milano-Torino è la prova generale della Classicissima. Di certo è una super rifinitura che segue lo scarico post Tirreno
Sempre pensando ai 300 chilometri della Classicissima: allungare prima della Milano-Torino ha senso? Si fa? Così da arrivare allo sprint finale con tanti chilometri nelle gambe… Oppure si è troppo sotto al grande evento?

No, non bisogna vederla in questo modo, ma bisogna considerare questa corsa nell’arco del macrociclo precedente all’appuntamento clou. Quindi quel che si è fatto prima della Tirreno-Adriatico o della Parigi-Nizza, le stesse due corse e quello che si farà fino alla Sanremo. E’ tutto l’insieme che va valutato.

Quindi niente super distanza sfruttando la gara per arrivare con tanti chilometri allo sprint…

No, ultimamente sono cose che non si fanno o se si fanno vengono effettuate in gare di livello inferiore, con chilometraggi inferiori: allora allungare ha un senso. Senza pensare che non sempre fare certe cose coincide con le tempistiche di gara. E poi bisogna considerare che i valori espressi nelle ultime Sanremo, soprattutto sulla Cipressa, sono veramente importanti e quindi il ventaglio dei favoriti si è ampliato maggiormente rispetto al decennio precedente. Prima si parlava quasi esclusivamente di velocisti, adesso anche di altre tipologie di corridori. La rosa è molto più varia in base al ritmo che verrà fatto sulla Cipressa. Un ritmo che negli ultimi anni è stato veramente alto e può escludere tanti velocisti, ma automaticamente aumentare altri pretendenti.

Il “vecchio” fondo medio sta scomparendo?

04.03.2023
4 min
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Si parla sempre più di base e di lavori intensi. Ormai questo andazzo sta prendendo piede anche in altri sport di endurance, vedi la corsa a piedi e lo sci di fondo. Ma quando poi si sente un giovanissimo come Pietro Mattio parlare di tanti più chilometri fatti in modo lento e altresì di alte intensità allora il dubbio diventa più che una certezza.

Alessandro Malaguti, coach del Team Technipes #inEmiliaRomagna, è l’interlocutore per verificare se i nostri dubbi sono legittimi o meno. E tutto sommato a conti fatti la nostra osservazione non è stata poi così illegittima.

Alessandro Malaguti, con i suoi ragazzi della Technipes-inEmiliaRomagna
Alessandro Malaguti, con i suoi ragazzi della Technipes-inEmiliaRomagna
Alessandro, sta scomparendo il “vecchio” fondo medio? Quelle sessioni da 10′-20′ a ritmi piuttosto impegnativi di una volta…

Che domandone! In realtà no, non sta scomparendo, ma le cose stanno cambiando e sicuramente il  focus è più spostato sui lavori intensi. Si lavora molto intorno al VO2Max, soglia… Se parliamo di atleti professionisti e dilettanti in realtà il medio lo fanno di default, se così si può dire. 

Cioè?

Nel senso che quando vanno via regolari e devono fare una salita tranquilli, questa la fanno al medio. E’ la classica distanza regolare. Se poi per medio intendiamo il vecchio medio in pianura, di quello sì: se ne fa molto meno.

E perché?

Perché in realtà qualitativamente parlando non danno un miglioramento così significativo. Non è un allenamento di grande qualità. Poi adesso c’è questa storia della Z2, che dà la massima attivazione enzimatica, la miglior sintesi mitocondriale… Può essere una moda, oppure no, però ci sono degli studi al riguardo e funziona. Personalmente però non sono di quelli che “scoprono l’acqua calda” e io un po’ di vecchio medio lo inserisco nelle preparazioni… e nonostante tutto credo di essere tra coloro che ne fa fare meno. Mi ritengo un tecnico di nuova generazione e quindi tanta intensità e “poco” volume. Il che va anche bene, ma ogni tanto l’uscita in cui c’è anche del medio la metto in programma.

Il medio in pianura si fa di meno, se ne fa di più in salita
Il medio in pianura si fa di meno, se ne fa di più in salita
Poi forse dipenderà anche dall’atleta che si ha di fronte?

Esatto. Va considerato che ci sono degli atleti che vanno sempre al risparmio, e devi spronarli, ed altri che invece devi frenare.

Una volta il medio, almeno in certe fasi della stagione era forse il 70% dell’intensità dell’arco di ore di allenamento settimanale, ora molto meno…

Torniamo al discorso di prima: non è un allenamento che, qualitativamente parlando, ti dà qualcosa in più. Alla fine si è visto che la Z2 ha quasi lo stesso effetto con un consumo inferiore, anche un consumo mentale. Che poi in realtà parlare di zone di lavoro, magari dirò un’eresia, non è neanche così corretto. Servono ai tecnici per avere dei riferimenti, dei parametri di lavoro. In realtà quando voglio far fare ad un mio atleta dei lavori di qualità, sulla famosa FTP mi ci baso poco. Preferisco fare riferimento alla potenza relativa, cioè alla potenza che quell’atleta può tenere per quel tempo. E lavoro attorno a quello. Se voglio lavorare sui 20′, insisto su quelli e lavorerò sul suo massimale. Che poi se insisto su quello di riflesso migliora anche l’endurance (il concetto è: sono abituato a spingere di più che quando vado piano consumo meno, dr).

Oggi conoscenze e dati sempre più accurati consentono di lavorare con precisione totale (e consapevolezza)
Oggi conoscenze e dati sempre più accurati consentono di lavorare con precisione totale (e consapevolezza)
Strumenti sempre più avanzati aiutano nell’individuare le varie zone? Cioè si lavora su altre intensità anche perché si può essere più precisi?

Assolutamente sì. La differenza grossa che ci hanno dato il potenziometro, i metabolimetri, la  variabilità cardiaca, gli anelli che misurano la HR e altri strumenti… ci danno la possibilità di lavorare sempre più al millimetro. E con la conoscenza che va avanti, ci si è accorti che è inutile andare a stressare gli atleti con dei volumi esagerati. All’inizio negli anni ’90 si lavorava col cardiofrequenzimetro e basta, dov’era il suo limite? Che per fare dei lavori molto intensi,  quei dati erano legati a fattori esterni: stanchezza, stress, vento… tutto ciò portava ad avere dei parametri fondamentalmente sballati. Okay, l’atleta evoluto si conosceva un po’ meglio, ma tutte quelle conoscenze erano empiriche. 

Oggi tutto è più certo.

La differenza è che oggi abbiamo dei valori misurabili e sicuri. Prendiamo le prove del lattato, per esempio, io ho misure certe del mio atleta. So esattamente come andrà in quel momento. Adesso le cronometro, l’esempio più pratico che abbiamo, sono matematica pura. Prima di iniziare, tra meteo, percorso, i suoi valori di stanchezza e quant’altro conosco il tempo che farà l’atleta con errori di pochi secondi, ovviamente al netto di forature, cadute…

Caro Michelusi, cos’è la firma del preparatore?

02.03.2023
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Cos’è la “firma” del preparatore? Nel calcio si riconosce il gioco di questo o quell’allenatore. E la sua firma è più identificabile. Nel tennista c’è quel colpo giocato con quello specifico modo. Anche il ciclista in molti casi ha la sua firma: Pantani che scattava con le mani basse. Cavendish che fa le volate col “mento sulla ruota anteriore”. Ma riconoscere la firma di un preparatore è cosa ben più complessa (in apertura foto @tizian.jasker).

Eppure qualche giorno fa, Matteo Moschetti ci disse queste parole parlando del suo arrivo nella nuova squadra, il Team Q36.5 e del suo nuovo preparatore, Mattia Michelusi: «Alla fine i lavori sono quelli, cambia però il modo di fare le cose, perché ogni preparatore mette la sua impronta e il suo modo di ragionare. Nei dettagli riconosci la firma. Il passaggio non è troppo faticoso da assorbire e anzi… alla fine diventa uno stimolo in più». 

Mattia Michelusi è da diversi anni nel gruppo che fa capo a Douglas Ryder (foto @1_in_the_gutter)
Mattia Michelusi è da diversi anni nel gruppo che fa capo a Douglas Ryder (foto @1_in_the_gutter)

Parola a Michelusi

E indovinate a chi siamo andati a chiedere lumi?! A Mattia Michelusi chiaramente, coach appunto della giovane squadra svizzera.

Partendo dagli stimoli, Michelusi afferma subito che già il solo fatto di cambiare allenatore è uno stimolo. E non solo mentale, ma proprio fisico. Basta fare un lavoro in certo modo, o un diverso numero di ore che l’organismo risponde in maniera diversa.

«Penso che la frase di Moschetti – dice Michelusi – possa avere più interpretazioni. Alla fine allenarsi è fare un totale di ore di attività e questo vale per tutti, ma poi la differenza la fanno i dettagli ed è lì che c’è la firma, come dice Matteo. Un preparatore preferisce un determinato metodo di lavoro, ed un altro ne predilige un altro ancora, ma soprattutto come questo interpreta i lavori specifici. La base è quella».

Matteo Moschetti, qui re della Clasica de Almeria, è allenato da Michelusi. E’ stato lui a parlare di “firma del preparatore”
Matteo Moschetti, qui re della Clasica de Almeria, è allenato da Michelusi. E’ stato lui a parlare di “firma del preparatore”

La firma negli specifici

E qui Michelusi entra nel dettaglio della firma. Quando si lavora sulla base, per esempio la Z2, c’è poco da intervenire. Sì, potranno esserci piccole differenze d’intensità ma di fatto si tratta di pedalare per un “X” ore ad un ritmo regolare non troppo impegnato. Il coach ha ben poco da modificare. Non è come quando si fa del fuorisoglia, delle SFR…

«In riferimento ad un velocista come Moschetti – dice Michelusi – la mia firma può essere su come s’interpretano i lavori specifici per gli sprint. Magari altri dicono di fare 10 volate ad una determinata intensità, io invece imposto ogni volata con una velocità e un rapporto di partenza. Ma alla fine entrambi i coach ed entrambi gli atleti hanno assegnato e svolto dieci sprint.

«Un altro aspetto molto importante su cui può essere posta la firma del coach è la forza, visto che prima avete parlato di SFR… Io credo che lì si concentri la maggior parte della differenza fra i preparatori. Come si allena questa componente? Sempre nel caso di Moschetti per lui che è un velocista magari le SFR non sono lo specifico più indicato e quindi gli faccio fare altro. Mentre le SFR vanno bene per uno scalatore. Insomma vario in base all’atleta, in base al modello di prestazione che ho di fronte».

 

Michelusi (al centro) fa parte del gruppo performance della FCI
Michelusi (al centro) fa parte del gruppo performance della FCI

Come un sarto

Modello prestativo: un concetto ben intuibile: ci si concentra sull’atleta e soprattutto su ciò che questo è chiamato a fare… E di conseguenza si regola il preparatore. 

«Certamente – va avanti Michelusi – non sarò l’unico a seguire questo approccio, ma io gli do molta importanza. E’ un po’ come un cliente che va da un sarto. Prima prende bene le misure del cliente e poi vi confeziona intorno l’abito su misura».

Per Michelusi è importante spiegare all’atleta il programma, esattamente ciò che sta facendo Maurizio Mazzoleni (Astana) nella foto
Per Michelusi è importante spiegare all’atleta il programma, esattamente ciò che sta facendo Maurizio Mazzoleni (Astana) nella foto

Questione di feeling

Ma se nella sua squadra di club Michelusi è più “libero” e può essere un sarto, quando è impegnato nel gruppo della nazionale e della pista, in cui ci si muove soprattutto secondo le direttive di Marco Villa, come fa a mettere la sua firma? E’  più complicato?

«Con la FCI siamo un gruppo e il bello è che ognuno porta la sua conoscenza, tanto più che si arriva da esperienze diverse. Non si tratta di avere “le mani legate”, quanto piuttosto di condividere le idee. C’è Bragato che gestisce il gruppo e non solo quello relativo alla pista ma anche di altri settori, come mtb o bmx per esempio.

«Molto poi dipende dal feeling con l’atleta. Io sono uno che parla molto con i ragazzi che seguo. Voglio che sappiano ciò che fanno e perché. Devono sapere perché fanno una SFR a 50 rpm anziché a 70, per dire… Devono apprendere certi concetti».

E questo è verissimo. Quando si ha cognizione di causa il lavoro è assimilato meglio, anche dalla mente. E se oltre a capirlo lo si condivide appieno è ancora meglio.

«Per questo motivo – conclude Michelusi – è importante dare non solo il programma settimanale, ma sapere e fare sapere all’atleta cosa si andrà a fare settimana per settimana da lì all’obiettivo. Quale sarà il cammino, poi chiaramente i piccoli aggiustamenti specifici (se fare per esempio 5 ripetute a 300 watt o 6 a 330 watt, ndr) si fanno col procedere della preparazione».

In gara sempre al top? Il dietro motore fa la differenza

01.03.2023
6 min
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Non puoi presentarti in gara senza essere al massimo. Come abbiamo scritto qualche giorno fa parlando con Paolo Artuso, questa esigenza di massima condizione ha fatto sì che si corra meno e si calibrino al meglio le competizioni. Una volta si andava in gara per rifinire la condizione, ora non è più possibile. E allora come si fa ad essere brillanti? Quanto incide il vecchio dietro motore?

Andrea Fusaz, preparatore del CFT, che tra i tanti corridori segue anche Jonathan Milan il quale è anche un pistard, di dietro motore se ne intende. Questa pratica è del tutto parte integrante della preparazione. Oggi lo è, forse, più che mai.

Andrea Fusaz, preparatore del Cycling Team Friuli
Andrea Fusaz, preparatore del Cycling Team Friuli
Andrea, il dietro motore incide di più che in passato, visto che non si può più andare alle corse per fare ritmo a quanto pare?

Sicuramente è fondamentale per fare il ritmo gara. Il colpo di pedale è molto più simile appunto a quello della gara. Invece di metterti ad una potenza costante, che è quella che solitamente si eroga andando via regolarmente, dovendo seguire una moto che ha una sua scia ci sono un sacco più di variazioni di potenza e un sacco di variazioni di velocità. Oscillazioni che altrimenti non ci sarebbero. E sono queste che ti fanno prendere il classico colpo di pedale da gara.

Quindi, tra virgolette, il dietro motore è un po’ il sostituto della corsa? Almeno quello della corsa che serviva per rifinire?

Direi di sì, prima limavi la preparazione semplicemente andando alle corse, magari stando in scia nei finali di gara dove si spingeva forte. Nel ciclismo attuale non c’è spazio per questo tipo di lavoro, visto quanto si va forte nel complesso, perciò si tende a fare il dietro motore appunto.

Quante volte si fa a settimana?

In prossimità delle gare, soprattutto per i velocisti, almeno un paio di volte. Due sessioni alla settimana sono un buon punto di partenza, ma si può arrivare anche a tre. Ma già due è la quantità giusta di stimolo per avere dei risultati, in quel paio di settimane che precedono la gara.

In una sorta di telemetria, anche il coach sullo scooter può osservare i dati espressi dal corridore a ruota
In una sorta di telemetria, anche il coach sullo scooter può osservare i dati espressi dal corridore a ruota
Si fa un allenamento specifico o si va regolari? O meglio, una volta il dietro motore si faceva il venerdì (correndo la domenica) oppure nell’ultima ora della distanza…

Dipende dall’obiettivo che vuoi raggiungere. Se vuoi semplicemente velocizzare e fare un lavoro neuromuscolare per cui abituare il corridore ad avere un colpo di pedale diverso, più pronto, si può fare anche a inizio allenamento o nella fase centrale. Magari si possono inserire delle progressioni ad intensità più alte. In questo modo si va a stimolare anche il metabolismo. Ed è diverso dal dietro motore che si fa a fine distanza, per velocizzare o sciogliere un po’. Lì sei semplicemente dietro moto, ti metti a ruota e la moto ti porta a casa dopo le cinque o sei ore. Oppure spingendo un po’ di più vai a simulare il finale di corsa con la gamba che gira più veloce. Dipende dalle finalità che hai.

Andrea, hai parlato del velocista, se invece c’è in ballo uno scalatore? Ha senso fare del dietro motore in salita?

Sì, ha senso. Ci sono degli allenamenti impegnativi che vanno a simulare le intensità di gara. E’ utile per i ragazzi avere un riferimento davanti, che poi è quello che ti fa fare il famoso ritmo. Chiaramente in quel caso bisogna che sul manubrio della moto, l’allenatore abbia un riferimento della potenza che sta sviluppando l’atleta. In questo modo gestisce la potenza come se fosse in gara.

Davide Martinelli dietro suo padre Giuseppe in una foto di qualche anno fa. Il rullo evita il contatto fra bici e scooter (foto Instagram)
Davide Martinelli dietro suo padre Giuseppe in una foto di qualche anno fa. Il rullo evita il contatto fra bici e scooter (foto Instagram)
Abbiamo parlato di scalatori, di velocisti e tu segui anche Jonathan Milan che è anche un pistard, con lui è diverso ancora?

Con lui bisogna stare attenti alla scelta della moto, perché se è un motorino si rischia che non sia sufficiente! Scherzi a parte, Jonathan, essendo comunque un passista veloce, tende ad essere molto veloce di suo. Ma anche in questo caso dipende dagli obiettivi che deve perseguire. Può fare dietro motore per velocizzare un po’ la gamba o per affinare la preparazione magari inserendo degli sprint.

Tu che li hai seguiti entrambi, c’è tanta differenza di velocità fra uno scalatore piccolo come Matteo Fabbro e un passista veloce e grosso come Milan?

Non tantissima, anche perché poi fanno lavori diversi dietro la moto. Jonathan, per esempio, faceva delle volate partendo da dietro la moto e uscendo di scia, mentre Matteo non le faceva. In realtà poi quando si fa dietro motore cerchi di fare un ritmo che può essere quello che fanno in gara ed è la velocità che comanda (55, 60, 65 chilometri orari, ndr), quindi è chiaro che guardando i file a fine seduta, anche a seconda di che moto stai usando (più o meno grande, ndr) cambiano i wattaggi tra gli atleti.

Chiaro, è un po’ il discorso di Evevepoel a crono…

Matteo, per esempio, era talmente piccolo e talmente sottile a livello aerodinamico, che dietro la moto era molto, molto efficiente. Ed anche se non aveva una grande potenza, dietro la moto a certe velocità ci stava “comodo”. Jonathan invece magari doveva fare molti più watt per stare alla stessa velocità. Però aveva una potenza tale per cui comunque non veniva infastidito troppo dall’alta velocità stessa.

Una curva ad U, il gruppetto che scappa davanti, un rilancio… Sono questi i momenti in cui serve il ritmo gara
Una curva ad U, il gruppetto che scappa davanti, un rilancio… Sono questi i momenti in cui serve il ritmo gara
Quanto conta la sensibilità nell’accelerare e fare certi ritmi da parte del pilota, in questo caso del preparatore?

Abbastanza ed è importante avere i dati dell’atleta sott’occhio. Non è facile gestire la potenza della moto, perché comunque devi prestare attenzione alla velocità più che alla manetta del gas. E’ un adattamento continuo. Per esempio, se c’è una leggera salita bisogna mantenere la velocità all’inizio per farla scendere appena un po’ poco alla volta. Devi fare un po’ come se fossi in bici, come se il motore del mezzo fossero le tue gambe. Non è facile riuscire a interpretare questo allenamento, specie se si fanno percorsi ondulati. Saper interpretare bene il percorso è veramente molto importante per realizzare l’allenamento che sulla carta volevi fare.

Appunto, accelerate troppo brusche e umanamente oltre i limiti fisici, rovinano l’allenamento. Senza contare che poi c’è anche una questione di sicurezza, come anche suonare il clacson per evitare buche o auto…

E infatti quando devi fare questi lavori cerchi strade poco trafficate, che ti permettano di non disturbare troppo gli altri e di stare in sicurezza.

Una volta il dietro motore si faceva anche con la macchina, oggi quasi non si usa più. E’ così?

Attualmente con la macchina non si fa più. Ormai con il livello aerodinamico che si è raggiunto ci sarebbero velocità in ballo eccessive, dai 60-70 all’ora in su. Non avrebbe senso e sarebbe troppo pericoloso.

Dall’esperienza di Buitrago, l’analisi del fuorigiri

24.02.2023
5 min
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Nella prima tappa della Vuelta a Andalucia abbiamo assistito ad uno degli show di Tadej Pogacar. L’asso della UAE Emirates ha dominato alla sua maniera, staccando tutti. Alle sue spalle però al momento dello scatto c’è stato un corridore che lo ha tenuto più di altri, Santiago Buitrago, prima di fare un bel fuorigiri. La foto di apertura è il quadro perfetto: lo sloveno scappa e il colombiano dietro china la testa.

A nostro avviso il tentativo di Buitrago va elogiato, per istinto, coraggio e cuore oltre l’ostacolo. Poi però è anche vero che parliamo di wattaggi, di sforzi calibrati al millimetro, di alimentazione chirurgica e ci si chiede come si possa ancora cadere in questi tranelli.

Non siamo qui per fare un processo a Buitrago che, lo ribadiamo, merita solo un grande plauso, ma per analizzare quella sua sparata. Per capire da un punto di vista tattico e fisiologico la risposta all’attacco di Pogacar.

E per questa analisi ci siamo fatto aiutare da Paolo Alberati, il quale oltre ad essere il procuratore di Buitrago, è anche un preparatore ed è stato corridore, quindi conosce in prima persona certe dinamiche.

Paolo Alberati (classe 1973) è un procuratore e al tempo stesso un preparatore (foto Instagram)
Paolo Alberati (classe 1973) è un procuratore e al tempo stesso un preparatore (foto Instagram)
Paolo, un bel fuorigiri per Buitrago, ma come è possibile che ciò accada ancora?

Ne parlo anche con dei ragazzi che seguo in allenamento e a loro dico: «La vittoria più bella non è quella quando sei il più forte, ma quando batti il più forte perché ci hai provato, ti sei inventato qualcosa». Nel caso di Buitrago sei a ruota del più forte corridore al mondo e che fai, non lo segui?

Nell’era del ciclismo tecnologico gli atleti hanno tutto sotto controllo. Santiago avrà visto che era al limite. I corridori non guardano il potenziometro?

Sì lo guardano, certo, ma non in quel momento. Non nell’istante in cui un avversario, per di più Pogacar, scatta. In quell’attimo c’è adrenalina. Lo vedi. Gli sei a ruota. Non lo lasci andare. E poi magari se ha risposto subito è perché si “sentiva comodo” fino a quel momento, cioè stava bene. Quindi il corridore segue anche le sue sensazioni e i calcoli sono pari a zero.

Pogacar se n’è andato. Buitrago deve recuperare, ma senza calare troppo. Intanto parla alla radio e dietro spunta il compagno Landa
Pogacar se n’è andato. Buitrago deve recuperare, ma senza calare troppo. Intanto parla alla radio e dietro spunta il compagno Landa
Buitrago risponde e per un bel tratto lo tiene. Poi dopo che arriva la “botta di acido lattico” cosa fa? 

Premettiamo che in quel momento erano a 3 chilometri dalla vetta – l’arrivo era più lontano – e quindi non puoi fare un fuorigiri totale. Devi in qualche modo regolarti, lasciarti qualcosa. Non è come se fossi a 300 metri dallo scollinamento. Buitrago quando lo molla, si rialza, respira un po’, parla anche alla radio per sapere cosa deve fare (c’era il compagno Landa in risalita, ndr), e poi cerca di recuperare il più possibile.

E come? Ha subito alleggerito il rapporto immaginiamo. L’istinto almeno direbbe quello…

Sì, ma non ha mollato del tutto. Ha amministrato la pedalata, quel tanto da “recuperare” e continuare a spingere. Anche perché l’acido lattico stesso, e questa è fisiologia, si trasforma in energia. Il 30% di acido lattico viene riconvertito in glicogeno e quindi in Atp per i muscoli. E in questo processo sono di grande aiuto i lavori 40”-20”, per esempio, che velocizzano la trasformazione di acido lattico. Poi è chiaro che l’atleta va anche a sensazioni in quei momenti.

Subentra l’istinto. Senza contare che così si fa anche esperienza. 

Certo. Pensate se non ci avesse provato… Alla fine Pogacar nel tratto in salita (in quei 3 chilometri, ndr) gli ha dato 25”. E cosa sono 25” in salita? Se ne avesse avuta così tanta di più, avrebbe preso più margine. E quando questa cosa l’ho fatta notare a Santiago ne è rimasto piacevolmente colpito, perché lui faceva riferimento al distacco dell’arrivo. Per lui sono iniezioni di fiducia.

E’ così che l’atleta impara a conoscere i suoi limiti. 

Sono piccoli step psicologici, che a quel livello contano. Penso per esempio agli stratagemmi che s’inventa Van der Poel per battere Van Aert, che più forte di lui. E poi quel giorno in Andalucia salivano forte.

In effetti abbiamo visto qualche dato sulle varie piattaforme . Sembra che Pogacar sia andato ben oltre i 7,3 watt/chilo di Geoghegan Hart (quel giorno quinto a 1’38”) alla Valenciana…

Prima dell’attacco hanno pedalato per 14′ ben oltre i 6 watt/chilo e sul momento dell’attacco per circa 2’30” hanno sviluppato 8,8 watt/chilo. Capite perché questo fuorigiri è servito comunque a Buitrago? Una volta Alfredo Martini mi raccontò un aneddoto su Coppi. A Fausto chiesero quale fosse il momento più bello per un ciclista e il Campionissimo rispose: «Il momento della decisione. Quando vedi gli avversari e decidi di partire». Ecco, a suo modo, credo che Buitrago abbia vissuto il momento della decisione rispondendo a Pogacar.

Poche gare alla vigilia, si punta su allenamento e altura

20.02.2023
4 min
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Poche gare prima dei grandi appuntamenti, la tendenza è questa. Ma perché? L’argomento è piuttosto attuale visto che molti corridori, specie quelli che hanno cerchiato di rosso il Giro d’Italia, passeranno più tempo in altura e in allenamento che in gara.

E questo, a quanto pare, vale anche per i preparatori. Paolo Artuso, coach della Bora-Hansgrohe, quando ci risponde sta giusto per partire verso il Teide.

«Andrò lassù per dare il cambio agli altri preparatori che sono lassù già da un po’. Poi andrò alla Parigi-Nizza e tornerò ancora sul vulcano atlantico». Da queste parole già si può capire molto.

Paolo Artuso
Paolo Artuso (classe 1984) da quest’anno è un coach della Bora-Hansgrohe
Paolo Artuso
Paolo Artuso (classe 1984) da quest’anno è un coach della Bora-Hansgrohe
Paolo, ma cosa succede?

Alla fine ciò che serve è avere più ossigeno a disposizione e l’altura è quel che ci vuole per ossigenare ogni distretto muscolare al meglio. Si sapeva anche prima chiaramente, ma l’obiettivo è avere dei buoni valori del sangue. Valori più alti possibile, in modo legale.

Quindi torna a gran voce l’altura…

C’è poi da considerare che l’allenamento è un processo controllato. Posso lavorare laddove ho più bisogno. Potrei fare cento esempi. Per esempio devo perdere un chilo e mi alleno in un certo modo. Devo migliorare la prestazione dopo le 4 ore di gara e allora farò dei test dopo i 3.000 KJ e lavorerò su questo aspetto. L’allenamento è un continuo aggiustamento: oggi, più domani… più un mese.

Però si è sempre detto che la gara serve. Che l’allenamento che si fa in corsa non si fa a casa o in ritiro.

Ovvio che c’è bisogno degli stimoli della gara. Però è anche vero – ed è questo un passaggio chiave – che se oggi non sei al 100% in gara fai fatica e basta. Ti ritrovi a fare sforzi su sforzi, fuorigiri frequenti e alla fine vai in acidosi.

Anche in quota sul Teide, Roglic ha usato la bici da crono… sui rulli (foto Instagram)
Anche in quota sul Teide, Roglic ha usato la bici da crono… sui rulli (foto Instagram)
Acidosi?

I muscoli diventano acidi e ciò contribuisce alla fatica anche in allenamento. In pratica non sei più costruttivo. I mitocondri, queste famose centraline dei muscoli, non amano un ambiente acido e se questo è addirittura troppo acido si distruggono. Ed è quello che succede se vai in corsa senza essere pronto. Sei sempre a tutta, sempre ad inseguire, sempre in acido lattico. Una volta invece non era così. Andavi alle corse per rifinire la preparazione. Andavi in Oman, per esempio, anche se non eri al top e miglioravi. Adesso invece in Oman ho visto numeri da Giro e da Tour e come fai?

Abbiamo visto che Conci dopo queste prime gare farà molta altura, poi Catalunya e poi altura. Roglic idem e non ha neanche corso. Magari Primoz lo fa perché spesso ha tentennato nella terza settimana e vuol preservarsi?

Ma alla fine se ci pensiamo è lo stesso discorso. Vuole arrivare meglio alla terza settimana. Poi è anche una questione mentale.

Cioè?

Al netto di Roglic, oggi ad ogni rotonda c’è una guerra. Tutti i diesse per radio dicono agli atleti di stare davanti e per ogni minima cosa c’è una lotta. Quindi se corri un po’ meno anche dal punto di vista dello stress ci arrivi un po’ meglio.

Abbiamo nominato Conci e Roglic, in Bora-Hansgrohe avete corridori che puntano al Giro e che correranno poco?

Penso a Vlasov. Dopo la Valenciana è tornato in altura. Poi farà Tirreno, di nuovo altura e Tour of the Alps.

Oggi più che mai il rischio di essere sempre a tutta in gara, spinge gli atleti a ponderare bene le gare da fare
Oggi più che mai il rischio di essere sempre a tutta in gara, spinge gli atleti a ponderare bene le gare da fare
Quindi niente Liegi, niente Ardenne?

Vediamo, ma oggi la differenza la fa la durata dell’altura. Prima si facevano due settimane, adesso se ne fanno tre o quasi tre. Soprattutto nel primo ritiro dell’anno. Anche l’adattamento è diverso. Prima tre giorni, adesso magari sono anche cinque e poi s’inizia con i blocchi di lavoro.

Ecco, hai parlato di lavori in altura. Si diceva che in quota non si facevano specifici e adesso tu parli di blocchi di lavoro e Rota ci dice che fa le volate a 2.500 metri di altitudine…

Quelle di Rota però sono volate di 15”-20” e non sono quelli i lavori che ti “finiscono”. Ciò che ti consuma sono i lavori submassimali di un’ora. Anzi, in altura quel tipo di stimoli di Rota sono ottimi. Ma resta il fatto che oggi devi andare in corsa pronto.

Perché?

Perché si va più forte. Noi lo vediamo con i test. Con certi valori una volta vincevi i Giri, oggi arrivi tra i primi venti. C’è sempre una maggior precisione del lavoro. Io dico sempre ai miei atleti che la prestazione è un insieme di palline. Quella più grande è l’allenamento, perché è la base e se non ti alleni non vai. Poi ci sono le palline più piccole della nutrizione, del riposo, dei materiali… cosa è cambiato: che rispetto ad una volta queste altre palline sono diventate più grandi. Hanno più peso…