Una madison nata male. Al velodromo di Izu le ambizioni di medaglia di Letizia Paternoster ed Elisa Balsamo sono durate pochi giri. Un sorpasso azzardato di una rivale ha fatto terminare giù la piemontese e a quel punto è stato impossibile tornare in corsa per salire sul primo podio tutto al femminile della disciplina che domani (ore 9,55 italiane, sincronizzate gli orologi) vedrà impegnati Elia Viviani e Simone Consonni, a caccia della seconda medaglia per ciascuno all’Olimpiade di Tokyo.
Inglesi, danesi e russe (con la sigla ROC): il podio della Madison di Tokyo 2020Inglesi, danesi e russe (con la sigla ROC): il podio della Madison di Tokyo 2020
Podio tutto europeo
Chiaramente deluse le due azzurre perché la medaglia se la sentivano nelle gambe e, invece, hanno dovuto vederle al collo delle colleghe britanniche (oro) Laura Kenny e Katie Archibald, insieme alle danesi (argento) Amalie Dideriksen e Julie Leth e alle russe (bronzo) Gulnaz Khantuntseva e Mariia Novolodskaia.
Prende la parola Letizia, che non nasconde il rammarico: «Siamo state molto sfortunate, l’importante è che Elisa non si sia fatta male. Oggi fin dall’inizio mi sentivo molto bene a livello fisico e ci credevo più che nell’inseguimento a squadre. Speravo in qualcosa di più grande e la sognavo davvero questa medaglia, seppur sapevo che sarebbe stato difficile».
Elisa è sconsolata: «L’irlandese è passata sotto il cambio e mi ha buttato a terra. Ho preso una bella botta, ma per fortuna sto abbastanza bene. Difficile trovare la freddezza per provare a ripartire, purtroppo la gara era già esplosa. Ho battuto la testa sulla nuca e ho strisciato un po’ sulla pista perché non riuscivo a fermarmi. Non fa piacere che qualcuno sbagliando abbia compromesso la nostra gara. E direi che la caduta è successa in un momento in cui non ci voleva e non è stata nemmeno colpa nostra. È stata una madison completamente diversa dalle solite perché è stata tiratissima dal primo metro, è stata un’esperienza anche questa».
Letizia Paternoster dà il cambio ad Elisa Balsamo, alla fine le azzurre hanno chiuso all’8° postoLetizia Paternoster dà il cambio ad Elisa Balsamo, alla fine le azzurre hanno chiuso all’8° posto
Pensando a Parigi
Letizia guarda avanti verso il futuro più lontano: «L’unico spiraglio che vediamo in questo momento è che fra tre anni a Parigi ritorneremo sicuramente con più voglia e più arrabbiate. Per Tokyo è stato un avvicinamento dopo un anno difficilissimo e se l’Olimpiade fosse stata l’anno scorso, non ci sarei stata. Comunque, per fortuna a Parigi non manca tanto per la rivincita».
Per la rivincita di Elisa, invece, basta aspettare domenica con l’omnium: «Salirò in pista per dare il massimo e l’obiettivo è di uscire dalla pista senza recriminazioni. Vediamo cosa verrà».
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Una medaglia di cuore. Luccica il bronzo del portabandiera Elia Viviani, terzo nell’omnium al velodromo di Izu, e per la seconda volta sul podio olimpico a distanza di un lustro dall’indimenticabile oro di Rio 2016. L’ha inseguito con tutte le forze, per qualche attimo a inizio anno pensava di non poter nemmeno giocarsi le sue chances, quando a gennaio si era sottoposto a un intervento di ablazione a causa di una miocardite.
Non bastasse quello, le cose non giravano su strada ormai da diverso tempo e non è un caso che il rapporto tra il fuoriclasse originario di Isola della Scala e la Cofidis si sia interrotto prima dei Giochi di Tokyo, lasciando un punto interrogativo sul suo futuro (ritorno a… casa alla Deceuninck-Quick Step?). I fantasmi del passato non l’hanno fatto correre tranquillo nelle prime due fatiche odierne: soltanto tredicesimo dopo lo scratch, undicesimo al termine della tempo race.
Peccato per l’argento sfumato all’ultimo giro, ma questo bronzo è benzina per la madisonPeccato per l’argento sfumato all’ultimo giro, ma questo bronzo è benzina per la madison
Bloccato
«Sono partito veramente male. Avevo un blocco nelle gambe – ammette senza nascondersi dopo essere sceso dal podio con la seconda medaglia olimpica in carriera – la testa non era a posto nella prima gara e si è visto. Le gambe non mi hanno permesso di seguire l’attacco giusto e la testa non mi ha permesso di sprintare perché mi sono accorto che mancavano tre giri, ma era troppo tardi ed ero ultimo. Nella tempo race ho reagito, ma non ancora abbastanza da lottare per una medaglia e l’eliminazione è stata lo scatto: sapevo che se la vincevo, potevo tornare in gara e nella corsa a punti stavo bene. Ho corso all’attacco, sono tornato subito in gara, tanto che dispiace aver perso l’argento all’ultimo giro, però guardando all’inizio bisogna vederlo come un bronzo vinto».
La prova si è decisa nella corsa a punti con la grande rimonta di Elia che l’ha condotto al bronzoLa prova si è decisa nella corsa a punti con la grande rimonta di Elia che l’ha condotto al bronzo
Anni difficili
La scaltrezza gli ha permesso di imporsi nell’eliminazione e tornare in ballo per le medaglie, la corsa a punti corsa con determinazione ha trasformato la medaglia in realtà: «Non era facile dopo l’oro del quartetto di ieri e forse ho pagato quello o essere qui da 15 giorni e non poter rompere il ghiaccio in gara. Sono contento però, perché ho avuto due anni difficili e, quando mi concentro su un obiettivo, lo centro. Ora sono col gruppo che mi piace, con Marco (Villa, ndr) che ci guida. Spero di ripartire da qui e di essere tornato».
Il francese Thomas era il grande favorito, ma Viviani lo ha tirato giù dal podioIl francese Thomas era il grande favorito, ma Viviani lo ha tirato giù dal podio
Ancora una
Una delle difficoltà di Elia, oltre alla responsabilità di alfiere azzurro, era di scendere in pista dopo il trionfo di ieri nell’inseguimento a squadre, ispirato dallo stesso Viviani, a detta delle quattro frecce azzurre.
«Probabilmente il ruolo da capitano è pesato anche a me negli ultimi giorni. Ieri è stata una giornata che non dimenticherò mai – aggiunge, svelando poi le sue velleità da profeta (sarà il nome) – se vi ricordate, nella zona mista di Rio vi avevo detto che il mio sogno era di vedere l’oro nel team pursuit e l’abbiamo visto. Mi è spiaciuto non essere in quartetto negli scorsi giorni, ma era giusto non cambiare nulla perché i ragazzi andavano forte. Però mi sono preparato e le gambe mi sono uscite nelle ultime due prove, forse le migliori di sempre. Loro mi hanno caricato, nonostante abbia dovuto cambiare camera ieri sera per dormire un po’. Abbiamo ancora una gara in cui possiamo divertirci con Simone e chiudere due anni insieme nel migliore dei modi e credo che Marco sia orgoglioso di noi come tutti gli italiani».
Gli altri erano stanchi, ecco il momento giusto per attaccareGli altri erano stanchi, ecco il momento giusto per attaccare
Correre e divertirsi
Lo è eccome il tecnico azzurro: «E’ una medaglia col cuore – dice Villa – dopo una prima gara in cui non l’ho proprio riconosciuto. Sono sceso mentre faceva i rulli – spiega – per scaricare e gli ho chiesto cosa stesse succedendo. Non riusciva a capirci, non aveva buone sensazioni, così ho capito che non erano le gambe, ma la testa. Mi sono sentito di dirgli che una medaglia d’oro ce l’aveva già a casa e qui doveva soltanto correre e divertirsi. Nello scratch era troppo teso, era irriconoscibile e lui mi ha detto che non aveva nemmeno guardato il contagiri. Qualcosa non andava, non so se siano state le mie parole o abbia fatto da solo, ma nell’eliminazione abbiamo visto come si è divertito e nella corsa a punti si è rivisto il Viviani di sempre».
Podio con oro per Walls, argento per il neozelandese Stewart e bronzo per VivianiPodio con oro per Walls, argento per il neozelandese Stewart e bronzo per Viviani
Svolta whatsapp
Poi Villa racconta la super rimonta nell’ultima prova. «Eravamo d’accordo che i tre punti di una volata non ci cambiavano la vita. Poi, a un certo punto ho visto che il francese e l’olandese si guardavano, il britannico era andato con la medaglia d’oro, così ho scritto un messaggio ad Amadio che era sulle tribune, dicendogli: “Deve provare”. Ho sentito che gli ha detto: “Elia, adesso”. E dopo aver preso il giro, quei venti punti gli han dato la grinta, ma poi aveva anche tante gambe. Ho visto qualche gamba un po’ meno forte e questo mi dà morale per sabato». E Villa, dall’alto del suo bronzo a Sydney 2000 in coppia con Martinello, di americana se ne intende. I lampi azzurri non sono finiti al velodromo di Izu.
Scartezzini ha in testa i mondiali, ma intanto ha seguito la finale dell’inseguimento a squadra in uno studio televisivo vicino casa, per stare in compagnia. Quando poi si è trattato di vederli salire sul podio, l’altro veronese Viviani lo ha videochiamato, permettendogli di essere a suo modo presente.
«Avevamo già battuto il primato del mondo facendo 3’44” in allenamento – dice – solo che lo avevamo fatto con il 62, a Montichiari e con il body che usavamo normalmente. La pista di Tokyo si è rivelata molto veloce, hanno usato il 63 e a volte il 64 e il nuovo body è più aerodinamico. Sapevo che potevano farlo».
Scartezzini ha vissuto tutta la preparazione al pari con gli altri ed è rimasto fuori pur meritando di esserciScartezzini ha vissuto tutta la preparazione al pari con gli altri ed è rimasto fuori pur meritando di esserci
Mondiali? Forse…
Ci sarebbe stato bene anche lui, ma forse per farsela andare bene, saputo che sarebbe dovuto restare senza correre come Bertazzo, disse che sarebbe stato meglio viverla da casa. Anche se al momento dell’inno, vissuto attraverso uno smartphone, ha scoperto che la pelle d’oca in loco è sempre più spessa. Il discorso semmai è capire adesso come proseguirà la sua stagione.
«Quando Villa mi disse che non sarei andato – spiega – aggiunse che avrei dovuto farmi trovare pronto per i mondiali, ma adesso vediamo. E’ difficile smontare un quartetto come questo, che ha fatto per due volte il record del mondo. Non so cosa faranno gli altri di qui all’autunno. So però che Pippo vuole tirare fino ai mondiali, perché vuole vincerli. Bisognerà vedere Consonni e Milan, per i piani che avranno con le loro squadre. Perciò a Villa lo dirò che ai mondiali ci andrò soltanto con la certezza di essere all’altezza».
A Montichiari assieme a Ganna, i due sono amici e hanno condiviso anche il ritiro in altura sopra Macugnaga (foto di apertura)A Montichiari assieme a Ganna, i due sono amici e hanno condiviso anche il ritiro in altura (foto di apertura)
Road to Paris
In effetti la prova di solidità offerta dal quartetto di Tokyo e il fatto che si tratti di un gruppo molto giovane, fa pensare che per quanto invitante, la strada verso Parigi 2024 rischi di somigliare a quella per Tokyo. Con qualificazioni da conquistare sul campo ad opera di chi della pista ha fatto la sua attività principale e il rischio poi di non correre per l’arrivo dei… titolari.
«Vedremo – ammette – sarà una scommessa. Intanto il primo traguardo è quello dei mondiali. Ho avuto venti giorni per riposarmi al meglio e ripartire. Anche loro avranno la possibilità di fare lo stesso. E non crediate che per gente come Ganna e Lamon sarà un problema farsi il giro delle trasmissioni e delle feste, proprio no…».
Vale quello che ha detto Villa e resta anche nelle sue parole. E’ l’oro di tutti, discorso giusto. Ma dovendo dirla proprio tutta, è soprattutto l’oro di chi c’era. Gli altri hanno gioito allo stesso modo, ma la sensazione è che in fondo al cuore la ferita continui a sanguinare.
Carapaz vince l'oro olimpico in sella alla nuova Dogma F di Pinarello. Ma per l'azienda veneta, le Olimpiadi saranno molto piene. Ora le crono, poi la pista
Luigi Arienti, Franco Testa, Mario Vallotto (scomparso nel 1966 a 33 anni), Marino Vigna: ai più giovani questi nomi non diranno nulla, eppure hanno un peso specifico particolare nella storia del ciclismo italiano, quella storia che il quartetto di Tokyo ha riscritto. Quel poker di nomi fino al 4 agosto era stato l’ultimo quartetto italiano a conquistare la medaglia d’oro, nelle Olimpiadi di Roma 1960. Era un’altra epoca, un altro ciclismo. Si partiva dalle batterie e poi si correvano quarti, semifinali e finale. L’Italia superò la Germania in batteria per poi ritrovarsela di fronte in finale, dopo aver superato Argentina e Unione Sovietica.
Marino Vigna, un “ragazzo” milanese di quasi 83 anni (nella foto di apertura, datata 2010 è con Arienti e Testa), ha vissuto sulla sua pelle la gioia dell’oro olimpico e questo gli ha fatto vivere una giornata particolare, in attesa della sfida di Consonni, Ganna, Lamon e Milan.
«Mi hanno fatto soffrire ed emozionare tantissimo – afferma colui che è stato anche predecessore di Marco Villa come tecnico della nazionale – ho avuto tanta paura quando vedevo i danesi guadagnare, poi è esploso Ganna e siamo esplosi noi nel sostenerlo. Certo che vanno a delle velocità impossibili, dovranno alzare le curve per mettere un freno…».
Ecco in quartetto di Roma in azione. Mario Vallotto morì nel 1966 a 33 anniEcco in quartetto di Roma in azione. Mario Vallotto morì nel 1966 a 33 anni
Che cosa significa vincere un’Olimpiade?
E’ difficile rispondere perché i tempi sono molto cambiati. Ora c’è un tam tam tale che ogni evento viene vissuto in diretta, in qualsiasi tempo e luogo. La nostra finale venne trasmessa un paio d’ore dopo che si era disputata, ma era il 1960 e non tutti avevano a casa il televisore. E’ un’epoca completamente diversa e completamente diverso era il ciclismo che vivevamo. Ora è tutto immediato e sorprendente: basti pensare che da quando la finale è finita anch’io sono stato subissato di messaggi e telefonate…
Anche per voi la vittoria fu così sudata?
Non sul filo dei millesimi, già prima delle Olimpiadi, nella Preolimpica di primavera, avevamo stabilito il record mondiale battendo quelle che sarebbero state le principali avversarie a Roma. Si correva al Vigorelli di Milano, poi a Roma, durante i campionati italiani, la Lombardia batté il Veneto scendendo sotto il tempo della nazionale: i dirigenti della Fci decisero di prendere due ragazzi da un quartetto e due dall’altro e praticamente preparammo l’Olimpiade in due mesi. Questi ragazzi invece lavorano insieme da anni, hanno sacrificato anche le aspirazioni personali, per questo il loro oro vale tanto.
Marino Vigna è stato pro’ dal 1961 al 1967 poi è diventato tecnico della pista. Qui al Vigorelli di MilanoMarino Vigna è stato pro’ dal 1961 al 1967 poi è diventato tecnico della pista. Qui al Vigorelli di Milano
Eravate anche voi così giovani come il quartetto attuale?
Forse anche di più: io avevo 21 anni come Testa, Arienti 22, il più esperto era Vallotto che aveva 24 anni.
E avevate anche voi compiti ben distinti come i ragazzi di adesso?
No, per molte ragioni. A lanciare il quartetto era sempre il più esperto che doveva partire forte senza sfasciare il gruppo, poi ci si dava il cambio ogni mezzo giro. Le piste erano di 400 metri, praticamente si cambiava di continuo, solo Testa fece un giro intero a guidare. Anche per questo si facevano velocità inferiori, ma il paragone è improponibile, è cambiato tutto. Con i rapporti che usano Ganna e compagni, io andavo dietro motori…
Che peso avrà questa medaglia d’oro?
Io mi auguro che ne abbia tanto, che porti tanti ragazzi a conoscere la pista, a scoprire questo bellissimo mondo. Ma spero soprattutto che questo risultato sia una spinta per dotare l’Italia di un altro velodromo al coperto. E’ incredibile che questi ragazzi abbiano ottenuto questi risultati, lavorando a Montichiari con tutte le difficoltà dell’impianto, sempre in attesa che il velodromo di Treviso venga completato. Per questo la loro vittoria vale anche di più e vorrei ricordare il fondamentale apporto di Villa, so bene che cosa significa vivere simili esperienze da tecnico.
Al museo Brianza d’epoca, Vigna con Ernesto Colnago e Gianni Motta in una foto del 2017Al museo Brianza d’epoca, Vigna con Ernesto Colnago e Gianni Motta in una foto del 2017
Il vostro oro arrivava in un momento di eccezionale fulgore del ciclismo su pista italiano: pensa che si tornerà a quei livelli?
Me lo auguro. Noi però avevamo solamente quattro prove in programma, ora invece c’è un grande spezzettamento di eventi, io stesso che sono appassionato spesso faccio fatica a seguire e mi perdo. Mi spiace però che questi ragazzi non potranno avere un segno di questa vittoria sulle loro divise: noi avevamo la maglia olimpica, ora non si può neanche mettere i 5 cerchi e non capisco davvero il perché…
Da olimpionico del quartetto e da tecnico, quanto ha inciso Filippo Ganna in questo trionfo?
Molto, ma sono stati bravi anche gli altri a stare a ruota: deve essere chiaro che l’inseguimento a squadre non si vince da soli, ma tutti insieme, è sempre stato così e sempre lo sarà. Diciamo che se Ganna è il motore, gli altri sono la benzina che gli ha permesso di fare due giri da fantascienza…
Finite le Olimpiadi di Tokyo, facciamo il punto con Silvio Martinello sulla spedizione azzurra della pista. Bene il settore endurance, velocità dimenticata
L’ha detto giustamente stamattina Silvio Martinello nella diretta Facebook che ripeteremo anche domani per la corsa a punti: «E’ un successo figlio della gestione del presidente Di Rocco». Un riconoscimento onesto da parte di colui che dell’ex presidente federale è stato il più acerrimo rivale e ha perso le elezioni proprio perché a un certo punto Di Rocco ha scelto di non candidarsi per favorire Daniela Isetti e Isetti in extremis, vista la sconfitta in arrivo, ha spostato i suoi voti verso l’attuale presidente Dagnoni. Infinite e complesse storie dell’Assemblea generale, che sembrano davvero lontane anni luce. Di Rocco a Tokyo non c’è, ma avrebbe potuto in qualità di vicepresidente dell’Uci.
«Ho deciso di non andare – dice – per evitare spiacevoli sovrapposizioni. Mi trovo a Parma, ho seguito la finale con attenzione e sono stati davvero straordinari. Sono rimasto in contatto con i tecnici e un risultato del genere è davvero storico, soprattutto considerando il rapporto che mi lega a Marino Vigna (uno dei quattro azzurri che vinsero l’oro del quartetto a Roma 1960, ndr). Ci sono ancora delle gare da cui mi aspetto qualcosa, per cui magari riparleremo del tutto alla fine, se ne avrete voglia. Mi limito a dire che si poteva essere più generosi con chi ha lavorato prima, si potevano mettere i tecnici in condizione di lavorare meglio e magari si poteva evitare di mandare a Tokyo persone fresche di nomina che in qualche modo potrebbero turbare il lavoro. Quello che è successo oggi in Giappone era già stato progettato da altri».
Il successo di questo quartetto nasce dal 2015 e si è costruito passo per passoIl successo di questo quartetto nasce dal 2015 e si è costruito passo per passo
Costruire o demolire?
I sassolini sono fatti per essere tolti e certo i rapporti fra l’attuale e la precedente gestione si sono rivelati inesistenti. Di sicuro l’aria di rinnovamento che si respira è netta, resta da capire se per ristrutturare si butteranno già anche i muri buoni o da quelli si partirà per aggiungere volumi alla struttura. Andiamo però oltre, cercando di tornare al movimento e al lavoro che è stato fatto.
Quale pensi sia stata la chiave del successo di Tokyo?
Montichiari e la gestione del velodromo. C’è stata anche la fase della chiusura per le infiltrazioni dal tetto, ma i due sindaci della città sono stati davvero in gamba. Per cui durante la prima fase dei lavori, abbiamo potuto appoggiarci alle strutture del velodromo di Fiorenzuola per la preparazione a secco delle ragazze. Poi Montichiari ha riaperto e fra poco chiuderà per la seconda e definitiva tranche di lavori che permetteranno di mettere l’impianto a norma. Ma lasciatemi dire una cosa…
Diego Bragato, qui con Villa, ha seguito tutta la preparazione del gruppo pista maschile. Non è a Tokyo per limitazioni CovidDiego Bragato, qui con Villa, ha seguito tutta la preparazione del gruppo pista maschile. Non è a Tokyo per limitazioni Covid
Avanti.
Mettiamo sempre al centro gli atleti e chi lavora con loro. Mentre con Marco Villa si faceva attività di scouting per trovare atleti da coinvolgere, un gran lavoro lo ha fatto Diego Bragato con il Centro Studi, un grande allenatore. Così siamo riusciti a far crescere con successo nuove generazioni di atleti. Fra le donne ne abbiamo un numero notevole, tutte giovanissime e forti. Fra gli uomini adesso si può scegliere, con l’aggiunta del progetto Arvedi (la squadra bresciana guidata da Massimo Rabbaglio, con sponsor comuni alla Fci, ndr), che ha permesso ad esempio a Lamon, Moro e Plebani di fare attività su strada.
Parigi è domani.
Parigi è davvero vicina e credo che rispetto a cià che già c’è, ci sarebbe da aggiungere quello che manca, non togliere quel che funziona.k
Oggi Martinello ha ricordato di quando coinvolgeste Pinarello.
Altro passaggio importante, vero. Ricordo che quando Ganna non era ancora Ganna, andammo a Treviso a chiedergli un’altra bici per lui e Fausto sgranò gli occhi e se ne uscì con un’affermazione di stupore: «Ancora una? Ma non basta?». Eravamo davvero agli inizi.
Fra i passaggi chiave per la rinascita della pista azzurra e il successo di Tokyo, va segnalato l’uso di MontichiariFra i passaggi chiave per la rinascita della pista azzurra e il successo di Tokyo, va segnalato l’uso di Montichiari
Ti sarebbe piaciuto essere là a festeggiare con loro?
Come sapete, sono sempre stato moderato nella gestualità, non avevo il foulard tricolore. Ho sempre fatto parte del gruppo, ero uno di loro (in apertura consegna a Ganna la maglia iridata di Berlino in qualità di vicepresidente Uci, ndr). Se ci fossi andato sarebbe stato per far capire che i risultati di oggi sono frutto di un progetto messo in piedi da tanto tempo. Sono contento di vedere tanti festeggiamenti, per ora Dagnoni aspetta che siano gli altri a fare le cose. Io posso solo dire che quest’oro l’abbiamo progettato noi.
I segreti delle Pinarello d'oro. Ne parliamo con il meccanico della Fci, Carlo Buttarelli. Catene, cere e persino pulizia della bici. Ogni cosa ha il suo peso
Quattro frecce tricolori hanno tinto d’azzurro il velodromo di Izu. Filippo Ganna, Francesco Lamon, Simone Consonni e Jonathan Milan hanno scritto il loro nome nella leggenda del ciclismo su pista, andando a prendersi a una media impressionante di 64,856 km/h non solo la medaglia d’oro dell’inseguimento a squadre dei Giochi di Tokyo, ma anche il nuovo primato del mondo (3’42”032), che cancella quello di ieri realizzato in semifinale (3’42”307).
Prime fasi di gara, gli azzurri in testa. Dopo la rimonta danese, l’affondo di Ganna e arriverà l’oroPrime fasi di gara, gli azzurri in testa. Dopo la rimonta danese, l’affondo di Ganna e arriverà l’oro
Treno veloce
Qui il treno veloce che attraversa il Giappone si chiama Shinkansen, ma forse dovranno ribattezzarlo Freccia Azzurra, dopo l’impresa compiuta dai ragazzi di Marco Villa nella finale contro la Danimarca. Da brividi poi l’ultimo chilometro, quando l’Italia è passata da un ritardo di 834 millesimi al vantaggio sul traguardo di 166 millesimi: più di un secondo dato dall’Italia ai rivali, visti i 53.506 secondi impiegati per coprire la distanza contro i 54.539 dei danesi.
Anche il presidente del Coni Malagò e Dagnoni hanno voluto festeggiare con i campioni olimpiciAnche il presidente del Coni Malagò e Dagnoni hanno voluto festeggiare con i campioni olimpici
Bottino pieno
Neanche a dirlo, a condurre la rimonta nei giri finali è stato un monumentale Top Ganna, che in apertura si congratula con i danesi sconfitti e ha impressionato anche sir Bradley Wiggins, presente a bordo pista come corrispondente per Eurosport. Il segreto? E’ che Superpippo non ha mai pensato a nessun altro metallo se non all’oro: «Sapevamo di essere competitivi, quindi era da ieri sera che volevamo arrivare e fare qualcosa di grosso. Sapevamo di avere un buon paracadute, ma il paracadute non lo volevamo, perché volevamo andare in picchiata libera verso il grande risultato. Siamo riusciti a ottenerlo con tanta fatica, sudore e lavoro di squadra».
L’arrivo di Milan ha fatto fare al quartetto il salto di qualità decisivoL’arrivo di Milan ha fatto fare al quartetto il salto di qualità decisivo
Insonnia Milan
Parole da leader di un quartetto che era partito da quell’esperienza lampo di Rio 2016, quando erano stati chiamati a sostituire la Russia squalificata per il caos doping scoppiato all’immediata vigilia dell’Olimpiade carioca. Fra le differenze di quella squadra (che volò in Brasile con Lamon, Ganna, Bertazzo e Consonni con Scartezzini riserva) c’è l’inserimento Jonathan Milan. E proprio il ventenne friulano di Buia (paese d’origine anche di Alessandro De Marchi) è il più incredulo.
«Era un sogno, siamo riusciti a realizzarlo tutti insieme, come un vero team. Abbiamo formato un bel gruppo, non solamente noi – racconta emozionato – ho avuto un po’ di difficoltà ad addormentarmi ieri sera tra emozioni, dubbi e pensieri vari. Ero preoccupato di tirare troppo poco o di sbagliare qualcosa. Poi però, mi sono svegliato tranquillo, concentrato sulle possibilità che avevamo».
Un momento atteso per anni: l’oro olimpico: il sogno che diventa realtàUn momento atteso per anni: l’oro olimpico: il sogno che diventa realtà
La locomotiva di Verbania
Eppure, a quattro tornate dal termine, l’impresa sembrava quasi impossibile (date un’occhiata alla progressione dei tempi nel primo foglio di questo file ufficiale). Persino la formazione femminile, presente in tribuna a fare un tifo indiavolato, stava per rassegnarsi, prima che la Locomotiva di Verbania non decidesse di trasformarsi in Shinkansen.
«Sapevamo che erano più forti su quella distanza – dice Ganna – ma anche che nell’ultimo chilometro avevamo un buono sprint per recuperare tutto il terreno perso. Pensavo a pedalare e a fare la miglior performance possibile e non alla tabella ed è arrivato il record del mondo. I ragazzi mi hanno messo nelle migliori condizioni possibili. Io, una volta che sono lanciato e ho preso il ritmo devo solo mantenere, nient’altro. Vi assicuro che fare il lavoro degli altri tre è molto più difficile».
Anche l’apporto di Pinarello ha permesso di fare la differenza: per Ganna un rapporto che inizia dalla Ineos e arriva alla nazionale
Con questo commento al post di Ganna su Instagram, Wiggins lo definisce un’ispirazione
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La giusta partenza
E così, l’abbiamo chiesto a Lamon come si lancia il quartetto a tutta. Lui ci ha risposto di aver tenuto lo stesso ritmo di ieri, ma Simone poco più in là se la ride e dice: «No no, sei andato molto più forte». Francesco poi aggiunge: «Devo trovare il giusto compromesso tra una partenza forte che non rimanga sulle gambe a tutti. Spero di averlo fatto nel limite del possibile, poi quando sono a ruota è una sofferenza fino alla fine. La mia gara dura un po’ di meno di quella degli altri, ma ce l’ho messa tutta. Andare a letto ieri con già una medaglia al collo è diverso dal giocarsi o tutto o niente, però non ci siamo rassegnati al 2° posto perché l’oro è sempre l’oro». Poi la dedica speciale per il papà: «Compie gli anni giusto oggi, per cui penso sia un buon regalo e rinnovo i miei auguri. Lui lavora in ospedale e ha seguito la gara con un suo collega».
Ottima partenza per Lamon: gli azzurri sono passati subito al comando, ma la strada fino all’oro era ancora lungaOttima partenza per Lamon: gli azzurri sono passati subito al comando, ma la strada fino all’oro era ancora lunga
Ruoli invertiti
Simone non bada a tecnicismi: «In finale non c’è un vero piano, alla fine l’adrenalina prende il sopravvento. Finché ne hai, vai». E così è stato fino all’apoteosi d’oro.
«Un mondiale o un europeo ti danno luce sport – aggiunge Top Ganna – l’Olimpiade credo che sia l’emblema di uno sport che magari durante l’anno non viene seguito dai media e poi ai Giochi può portare qualche ragazzo ad avvicinarsi al nostro. Quando abbiamo cominciato noi a Rio, vedevamo le altre nazioni come modelli, magari adesso qualche team ci vede da campioni olimpici come riferimento da battere».
A chi chiede a Superpippo se gli sforzi del doppio impegno siano stati ripagati dalla medaglia odierna: «Sono passate un paio d’ore da quando l’ho vinta, ci pensiamo domani».
Ganna e Consonni sono l’anima della festa, fra battute e raccontiGanna e Consonni sono l’anima della festa, fra battute e racconti
Birra e capelli
Nunc est bibendum, bisogna festeggiarla e Filippo scherza: «Speriamo di non trovare i 7/11 (negozi aperti 24 ore su 24 qui in Giappone; ndr) aperti, perché sennò finiamo tutta la birra». Poi rivela il voto per l’oro: «Diciamo che qualcuno torna senza capelli stasera. A Villa non possiamo far nulla e ci toccherà colorarglieli o mettergli una parrucca».
Smaltita l’adrenalina e il mal di gambe, Consonni correrà la madison con VivianiSmaltita l’adrenalina e il mal di gambe, Consonni correrà la madison con Viviani
Tocca a Elia
E a proposito del podio storico, Simone aggiunge: «Qui siamo in quattro, ma c’è tutta una nazione dietro. Volevo ringraziare Liam Bertazzo che non ha corso purtroppo, sicuramente avrebbe fatto il nostro tempo così come tutti i ragazzi a casa». E’ il più stanco di tutti il bergamasco, ma capitan Ganna lo sprona in vista dei prossimi impegni. «Lui è come un gatto, ha sette vite». «Però qualcuna l’ho già perduta nelle scorse gare – replica Simone – domani mi concedo un po’ di riposo e mi godo Elia nell’omnium, mentre poi mi aspetta la madison».
La fame azzurra di gloria olimpica non si è ancora placata, tocca a te Elia saziarci già tra meno di 24 ore, spazzando via tutti i dubbi dei mesi precedenti.
Spalti con un po’ di pubblico ad Izu. Ma molti sono gli atleti delle nazionali che ancora devo scendere in pista o lo hanno già fatto. Il velodromo è una bomboniera, ma forse per noi italiani è una bomba e basta, pronta ad esplodere… magari di gioia.
A sostenere gli azzurri, con bandiere e divisa ufficiale ci sono le ragazze del quartetto. Con bandiere al collo e dita in bocca per la tensione. E c’è anche Cordiano Dagnoni, il presidente della Federazione ciclistica italiana.
Malagò (e alla sue spalle Dagnoni) tra le azzurre ai bordi del parquetMalagò (e alla sue spalle Dagnoni) tra le azzurre ai bordi del parquet
Una medaglia storica, presidente Dagnoni: se lo aspettava?
Ieri è stata una prestazione maiuscola, ma da qui a dire che me lo aspettavo… Non ho detto niente e neanche per scaramanzia. Però ogni tanto mi veniva quel pensiero e mi chiedevo: chissà come sarà domani alle 11,10 italiane quando tutto sarà finito…
Ed è finita bene…
Però ho voluto godermi ogni attimo di questa finale. E’ stato bellissimo viverla con il presidente Malagò e tutto lo staff venuto sin qui per celebrare questa grande impresa. Era da Roma 1960 che non si vinceva l’oro in questa specialità. E’ un vittoria storica.
Le nostre pistard sugli spalti…Anche loro sono esplose di gioia a fine garaLe nostre pistard sugli spalti…Anche loro sono esplose di gioia a fine gara
Oggi è stata ancora più impressionante di ieri la rimonta di Pippo Ganna. Quando eravamo sotto di 8 decimi cosa ha pensato?
Vedendo il finale che aveva fatto ieri Ganna ci ho creduto ancora. Ma sono stati tutti campioni. Ognuno ha un ruolo ben definito. Lamon ha un ruolo importante e determinante. Milan è giovane ma ha un motore esagerato. E Consonni è quello che ci mette più cuore di tutti.
E questa sarà un’ulteriore spinta per chi da domani scenderà in pista, a partire da Viviani…
Si, credo che sarà uno stimolo un po’ per tutti. Quando tutto l’ambiente è coinvolto e gioisce l’appetito vien mangiando.
La festa è iniziata da poco. Il podio. I complimenti. L’emozione. Il dover ancora realizzare cosa è successo. L’abbraccio di Casa Italia e degli italiani. E non è finita qui
Se il ciclismo è il suo mondo, la pista e la Seigiorni delle Rose di Fiorenzuola sono la sua comfort zone. Claudio Santi è il deus ex machina della manifestazione, giunta quest’anno alla 24ª edizione e che a fine luglio 2020 fu la prima gara internazionale ciclistica a disputarsi dopo il lockdown.
Quest’ultimo dato è un motivo di orgoglio per il dirigente piacentino (in apertura, nella foto Cantalupi) che ogni anno riesce a trovarne uno nuovo per la sua creatura e per la squadra di collaboratori.
Quest’anno sul podio della Seigiorni sono saliti in ordine il campione del mondo (il francese Benjamin Thomas) e olimpico in carica (Elia Viviani) dell’ominum. Mica male per un organizzatore che fra pochi giorni rivedrà in tv all’Olimpiade di Tokyo questi ed altri atleti che hanno preparato l’evento sull’anello fiorenzuolano.
La pista sarà protagonista al velodromo di Izu nell’ultima settimana olimpica (dal 2 all’8 agosto), la nazionale italiana ha diverse possibilità di raccogliere medaglie sia tra le donne che tra gli uomini e con Santi proviamo a sentire le sue impressioni in merito.
La Sei Giorni di Fiorenzuola è un riferimento per l’estate del ciclismo (foto Cantalupi)La Sei Giorni di Fiorenzuola è un riferimento per l’estate del ciclismo (foto Cantalupi)
Claudio iniziamo dalla “tua” Seigiorni: quanto è cambiata in tutti questi anni?
E’ cambiata tanto perché è cambiato il mondo civile e quindi anche quello sportivo. Noi nel 2012 siamo stati i primi a modificare il format per non rischiare di vedere morire l’evento. Prima le seigiorni erano kermesse, talvolta capitava fossero un po’ concordate quasi a tavolino, ora invece sono delle vere e proprie gare. Abbiamo una gara paritaria, unica al mondo perché i premi sono uguali sia per donne che uomini. E vorrei aggiungere un aspetto sulla nostra manifestazione.
Cosa?
Dalla nostra Seigiorni sono usciti tanti corridori, negli ultimi 8 anni sono andati alle Olimpiadi circa 90 atleti sui 200 che sono passati da noi. Ma anche tanti dirigenti come ad esempio Enrico Della Casa, fresco presidente della UEC (Unione Ciclistica Europea, ndr) che da noi anni fa era segretario. O Stefano Bertolotti, speaker ufficiale del Giro d’Italia e addetto stampa della UEC, al quale avevo affidato il compito di commentare, con non poche critiche, la prima edizione. E da allora non ne ha saltata una. E potrei fare tanti altri nomi. Abbiamo sempre fatto squadra per aiutarci a migliorare inserendo tante figure giovani, che non ho mai avuto paura di inserire. Ed oggi mi godo da dietro le quinte il bel lavoro che fanno i miei collaboratori.
Rudyk e Pszczolarski, polacchi, premiati nell’ultima edizione per il miglior tempo sul giro singolo (foto Cantalupi)Rudyk e Pszczolarski, polacchi, premiati per il miglior tempo sul giro singolo (foto Cantalupi)
Tornando all’aspetto agonistico, meglio la Seigiorni di adesso?
Assolutamente. Oggi la Seigiorni è una serie di discipline che danno punti per il ranking UCI. Oggi si corre in 200 corridori, equamente divisi tra donne e uomini, mentre una volta erano una sessantina in tutto. A Fiorenzuola negli ultimi anni abbiamo sempre avuto un grande spettacolo di ciclismo e chi ha partecipato ha dovuto sudare tanto per vincere o fare risultato.
Per quanto riguarda lo stato della pista italiana come lo valuti?
Mai come oggi è fantastico a mio modo di vedere. Abbiamo due treni eccezionali tra uomini e donne, con alcune individualità di alto livello. Lo staff azzurro ha fatto un gran lavoro sulle discipline di endurance come madison, omnium e inseguimento a squadre. Poi, senza dimenticare nessuno, c’è Marco Villa, grande cittì ed anche lui passato da Fiorenzuola come atleta e poi come direttore della Seigiorni per qualche edizione.
Benjamin Thomas, iridato dell’omnium a Berlino 2020, in gara a Fiorenzuola quest’anno (foto Cantalupi)Benjamin Thomas, iridato dell’omnium a Berlino 2020, in gara a Fiorenzuola quest’anno (foto Cantalupi)
Sulla velocità invece manca qualcosa?
Non voglio esprimermi perché credo che dovrebbe esserci un progetto della federazione. Spettano a loro oneri ed onori per rilanciare la specialità.
A Tokyo quante medaglie si possono conquistare?
Non mi piace fare pronostici, ma posso dire con certezza che gli azzurri saranno protagonisti. Poi le gare si vincono e si perdono però ci metteranno il massimo impegno e lotteranno ovunque.
La collaborazione fra Santi e Bertolotti risale alla prima edizione. Stefano è addetto stampa UEC e speaker RCSLa collaborazione fra Santi e Bertolotti risale alla prima edizione. Stefano è addetto stampa UEC e speaker RCS
E invece Claudio Santi, a parte essere l’anima della Seigiorni delle Rose, ha definitivamente chiuso col resto del ciclismo o potrebbe esserci un ripensamento?
No, non cambierò idea. Non ricoprirò più alcun incarico da nessuna parte. Si dice che con l’entusiasmo si spostano le montagne e io quell’entusiasmo per quei ruoli non ce l’ho più. Ho fatto le mie esperienze in federazione come Capo Delegazione e Direttore Generale della Nazionale in quattro mondiali ed una’Olimpiade, vinta con Bettini, però fanno parte del passato e non voglio pensarci più. Ora mi divido tra Castell’Arquato e la Repubblica Ceca, vivo a Praga dove ho più di duecento clienti che prendono il caffè che produce la ditta per la quale lavoro che è anche un marchio della Seigiorni (Caffè Ramenzoni, compare sulla maglia dei due polacchi nella foto in alto, ndr). E quando torno per organizzare la gara per me è una rimpatriata in mezzo a tanti amici, che vivo come un momento di serenità e divertimento.
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«Forse il problema – scherza Nibali – è che vi ho abituato troppo bene. Abbiamo cercato di correre uniti ed è stato importante. Poi non siamo riusciti a finalizzare e questo è un altro discorso, però penso che noi tutti abbiamo cercato di dare il massimo per questo».
Ciccone non ha avuto una gran gioornata, ma ha provato a muoversiCiccone non ha avuto una gran gioornata, ma ha provato a muoversi
I crampi di Bettiol, primo degli azzurri: 14° a 3’38” (foto di apertura). La tattica degli azzurri, sempre uniti. Quelli del podio che arrivano dal Tour. Nella baraonda della zona mista i pensieri, le teorie e le interpretazioni si accavallano e poi si infrangono davanti alla stessa evidenza: gli altri sono andati più forte. Sono tre gli italiani che sfilano davanti ai giornalisti: soltanto Caruso e Bettiol non si fanno vedere, difficile dire se perché trattenuti da incombenze olimpiche o semplicemente perché sfiniti e con poca voglia di parlare. In attesa di raccontarvi del sogno di Carapaz, ecco le loro voci.
La via del Tour
«E’ stata stata una corsa durissima – dice Moscon – e il caldo ha fatto la differenza. Abbiamo provato a fare la corsa, giocarci le nostre carte per rompere un po’ i piani di Belgio e Slovenia. Ci abbiamo provato, poi sul Mikuna Pass è diventata una questione di sopravvivenza. Alberto (Bettiol, ndr) davanti ha avuto dei crampi e ha dovuto fermarsi, mentre noi siamo arrivati nel secondo gruppo. Oggi era lui l’uomo protetto della squadra, stava bene. Io personalmente non ho avuto una gran giornata, ho cercato di difendermi.
Sin dalla firma, era chiaro che l’uomo da tenere al coperto fosse Bettiol (qui Caruso e Ciccone)Sin dalla firma, era chiaro che l’uomo da tenere al coperto fosse Bettiol (qui Caruso e Ciccone)
«Si è visto che quelli del Tour alla fine sono andati meglio, mi pare che del gruppo davanti Alberto fosse l’unico che non aveva corso in Francia. Col senno di poi, correre al Tour sarebbe stato l’abbinamento ideale, però è andata così. Non so se stasera ci meritiamo il dolce, comunque non eravamo i favoriti. E’ brutto da dirlo, ma non era compito nostro tirare infatti non lo abbiamo fatto. Ci siamo giocati le nostre carte, ma gli altri sono stati più forti».
Una partita a scacchi
«E’ mancato poco – dice Nibali – avevamo giocato le nostre carte nel modo giusto con Bettiol che stava bene. Soltanto che poi nel finale le energie magari non erano proprio il massimo, in giornate calde con l’umido può succedere purtroppo anche questo. Nei giri finali ho provato ad anticipare la salita. Sono uscito al momento giusto, quando si è mosso anche Evenepoel. Però dietro hanno ricucito e alla fine abbiamo fatto il ritmo per prendere la salita del Mikuna nelle prime posizioni. Puoi anche stare bene, però se in una giornata così fai 2-3 accelerazioni, poi le paghi. E’ stata quasi più una partita a scacchi, non è mai semplice cercare di gestire al meglio una gara come questa. Come nazionale abbiamo corso benissimo, sempre uniti, ma non siamo riusciti a finalizzare. Carapaz e gli altri hanno fatto classifica al Tour e hanno dimostrato di avere una grande condizione.
Gli azzurri hanno corso uniti, cercando di anticipare Belgio e SloveniaGli azzurri hanno corso uniti, cercando di anticipare Belgio e Slovenia
«Come tutte le Olimpiadi è stata un’esperienza molto bella e come ogni volta diversa. Volevamo giocarci le nostre carte nel miglior modo possibile, sapevamo di non avere un leader unico, ma che ogni ruolo era fondamentale. Non ho l’amaro in bocca, sono contento si aver fatto il massimo».
Giornata storta
«Questa maglia e questa corsa andavano onorate – dice Ciccone – quindi ho cercato di fare il massimo per i miei compagni e per la squadra e penso che abbiamo lavorato veramente bene. Bettiol era quello che aveva dimostrato di stare meglio e quindi volevamo tenere lui per il finale e noi muoverci diciamo un po’ random per cercare di mettere in difficoltà gli altri. E’ venuta fuori una gara strana, ma sicuramente non toccava a noi tirare. C’erano altre squadre che avevano i veri leader quindi toccava a loro.
Moscon seconda pedina azzurra, 20° all’arrivo, qui con SivakovMoscon era la seconda punta dopo Bettiol. E’ arrivato 20°
«La mia è stata una giornataccia però arrivare qui è stata comunque una grande emozione. Ho provato io. Ha provato Damiano. Ha provato Vincenzo e poi è esplosa la corsa. Siamo arrivati abbastanza bene ai piedi dell’ultima salita e alla fine il risultato ha dato ha dato ragione a coloro che hanno fatto il Tour. Però ripeto: è stata una gara veramente strana e con tanto stress».
Una caduta nelle prime fasi mette di fatto subito fuori gioco le azzurre nella madison olimpica. Erano risalite fino al sesto posto, ma poi nulla da fare
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