«Adesso nelle radio – ha detto Sagan alla vigilia del Fiandre, a proposito di sicurezza e cadute – parlano ogni 100 metri. Parlano tanto, ma dicono cose che a volte non servono e fanno solo casino. Puoi anche non dargli peso, ma ci sono i più giovani che non capiscono niente, non conoscono le strade e sono alle prime gare in Belgio, ma hanno grinta e lottano tutto il giorno per la posizione. A volte sto prendendo la posizione e mi sto concentrando, quando cominciano a parlarti in radio e la concentrazione si interrompe. Prima non c’era tutto questo stress».
«Andiamo sempre più veloci – ha detto Trentin dopo la corsa – ogni gara è importante, ogni curva diventa importante e sai che in realtà non lo è. Siamo in uno stato d’animo in cui tutto è importante, ma a volte ti dimentichi che a volte è necessario frenare. Siamo in un loop dove ogni mezza posizione conta. C’è stress. Entrambe le cadute che ho visto oggi sono state causate da mosse stupide. Quindi credo che a volte convenga frenare e sopravvivere un giorno di più, piuttosto che ammazzare 25 corridori».
Due cadute per Ballerini: prima con Mohoric e l’ultima nel finale con TeunsDue cadute per Ballerini: prima con Mohoric e l’ultima nel finale con Teuns
La mossa di Maciejuk
Chissà se Filip Maciejuk aveva nelle orecchie la raccomandazione a stare davanti quando ha deciso di superare il gruppo sulla sinistra passando nella banchina (immagine televisiva in apertura). Oppure se ha deciso di farlo per un suo impeto sconsiderato. Di sicuro è giovane: 23 anni. Di sicuro, come diceva Sagan non conosce le strade e ha tanta grinta. E di sicuro ha capito di aver fatto una cavolata quando per uscire dal fango si è catapultato nel gruppo, abbattendo Wellens e altri 30 corridori. E’ stato squalificato, ma pare che l’UCI stia valutando una sanzione disciplinare.
«Mi sento davvero una merda – ha detto il giovane polacco dopo la corsa parlando con i giornalisti anche contro il parere della squadra (fonte Het Nieuwsblad) – volevo spostarmi a sinistra per arrivare ai miei compagni. E improvvisamente ho visto l’erba. Non riuscivo a fermarmi, sono rimasto bloccato nel fango e ho perso il controllo del manubrio. Devo davvero scusarmi. Spero solo che stiano tutti bene. Sono triste, ci penserò molto nei prossimi giorni. Ma cosa posso fare ora? Niente».
Nella caduta Wellens si è rotto la clavicola, Sagan si è ritirato, Alaphilippe ha compromesso la sua corsa: il tutto per una mossa stupida, di quelle indicate da Trentin. Se non c’è spazio, si frena.
Filip Maciejuk, in maglia rossa, rientra dalla banchina e travolge Wellens, che era accanto a lui sul ciglio (immagini TV)Il polacco si è appoggiato agli altri corridori che cadono alle sue spalle. A breve verrà squalificato (immagini TV)Filip Maciejuk, in maglia rossa, rientra dalla banchina e travolge Wellens, che era accanto a lui sul ciglio (immagini TV)Il polacco si è appoggiato agli altri corridori che cadono alle sue spalle. A breve verrà squalificato (immagini TV)
A chi giova la radio?
La posta in gioco è sempre più alta. I corridori vanno più forte e sulle ammiraglie c’è parecchia tecnologia più di prima: come per ogni strumento, dipende dall’uso che se ne fa.
Racconta Roberto Damiani, che da domani sarà in corsa al Circuit de La Sarthe, che alla Strade Bianche si era riproposto di dare ai corridori della Cofidis la distanza fra un settore di sterrato e il successivo. Solo che dopo la corsa, uno dei suoi è andato a dirgli che non gli bastava sapere che mancassero 5 chilometri, voleva il conto alla rovescia. E il direttore sportivo lombardo ha obiettato che nel computerino hanno l’indicazione delle curve, della pendenza e delle distanze: per fare il professionista serve essere autonomi, non aspettarsi sempre le indicazioni dalla macchina. Lo stesso Damiani racconta che per non turbare la concentrazione degli atleti, non parla lungo le discese. Insomma, i corridori lamentano l’eccesso di informazioni, i direttori sportivi dicono di esaudire le loro richieste. Chi ha ragione?
«E’ anche possibile – prosegue Damiani – che qualcuno in radio continui a dire allo sfinimento di stare davanti, stare davanti e stare davanti. Ma da una parte non credo che ieri al ragazzo polacco qualcuno abbia detto di superare il gruppo nell’erba a quel modo. Dall’altra, se ti dicono di andare davanti, servono anche le gambe per farlo. Perché se alla Sanremo dopo i Capi, quindi dopo 250 chilometri, ti dico di stare davanti, devi avere la forza e la lucidità per farlo. Altrimenti sembra davvero di giocare con il joystick».
Le strade sono strette e sono le stesse da anni: la frenesia dello stare davanti crea frequenti caduteLe strade sono strette e sono le stesse da anni: la frenesia dello stare davanti crea frequenti cadute
La giusta misura
Questo editoriale non vuole puntare il dito nei confronti di nessuno, eppure lo punta su tutti. E’ fisiologico che a denunciare l’eccesso di stress siano stati due corridori maturi, che hanno conosciuto un ciclismo meno asfissiante e non per questo meno duro. I ragazzini cresciuti con auricolare e VeloViewer ne sono tuttavia dipendenti e, se nessuno si propone di educarli dando una misura, finisce come nella vita di tutti i giorni, in cui non si leggono più libri e si vive con lo smartphone impiantato nel cervello.
Le cadute ci sono sempre state, anche quando non c’era la diretta integrale e non c’erano i social a ingigantire ogni cosa. Ma questa non può essere una scusante per continuare a spingere sul gas senza insegnare che ci si può far male e non è mezza posizione guadagnata a 120 chilometri dall’arrivo a cambiare il corso della storia.
Nella diretta di ieri di procyclingstats.com la parola crash ricorre per 14 volte: forse un po’ troppe. Prima di arrivare a invocare nuovamente divieti anacronistici e miopi, sarebbe utile che ciascuno in casa propria trovasse il modo più redditizio e sicuro per andare avanti.
«A volte – chiudiamo con un’altra frase di Trentin – tirare i freni e magari perdere una posizione ti permette di non rischiare la pelle e non farla rischiare a 100 persone dietro di te».
Che nesso c'è fra il Covid e i problemi al cuore? Perché a Sagan è stato imposto riposo assoluto? Ne abbiamo parlato con Roberto Corsetti. Venite a leggere
Peter è sereno, si potrebbe dire che sia felice. Di lui abbiamo parlato con Elisabetta Borgia per capire cosa possa animare un atleta che ha già deciso di smettere. Lo incontriamo a Kortrijk nel pomeriggio di vigilia del Fiandre (ieri) per capire che cosa nel ciclismo gli faccia ancora battere il cuore. Lo slovacco è uno di quelli condannati a vincere, ma è pur vero che da un paio di stagioni si è allontanato dalle posizioni che contano. Le ragioni sono da capire. Si parla degli effetti deleteri del Covid, come pure del volo di 8 metri al Tour del 2018, dell’eccessiva disponibilità con gli sponsor fino ai rilevanti cambiamenti nella vita privata.
Resta il fatto che se ti chiami Peter Sagan e hai vinto tre mondiali, il Fiandre, la Roubaix, tre Gand, 12 tappe al Tour e sette maglie verdi, piazzandoti per 500 volte nei primi 10, hai diritto di esistere solo se continui a vincere. Altrimenti ti dicono che fai meglio a smettere e lo dicono con sprezzo.
Abbiamo incontrato Peter nel pomeriggio di ieri, alla vigilia del suo ultimo FiandreAbbiamo incontrato Peter nel pomeriggio di ieri, alla vigilia del suo ultimo Fiandre
Tredici anni di carriera
Fuori piove, per la corsa dicono che ci sarà il sole. Lo abbiamo visto crescere e quando gli mostriamo la prima foto del 2010, anche lui è costretto ad ammettere che questi 13 anni hanno scavato sul volto e nell’anima. Poi iniziamo a parlare.
«La prima volta che ho fatto il Fiandre – ricorda – mi sono ritirato, la seconda si è rotto il telaio. Volevo fare bene, ma ho dovuto aspettare tanto per la macchina. Nel 2016 l’ho vinto e secondo me facevo bene anche l’anno dopo, ma mi hanno fatto cadere sul Qwaremont. Il Fiandre è Monumento, come Sanremo e Roubaix. Sono le corse più grandi, con più storia, quelli dove tutti vogliono fare bene».
E’ il 2010, un giovanissimo Sagan sbarca al Tour Down Under: debutta così tra i pro’E’ il 2010, un giovanissimo Sagan sbarca al Tour Down Under: debutta così tra i pro’
Sono anche le corse che preferisci?
No, le corse che piacciono a me sono più piccole. San Juan. Tour Down Under. Tour of California. Belle gare, divertenti, con buon tempo. Nei monumenti non c’è tanto da divertirsi. Va bene, anche il Tour de France è una grande gara, però con una pressione enorme. C’è grande aspettativa da parte di tutte le squadre e alla fine per il corridore diventa una gara brutta, perché dominata dallo stress.
Quindi il percorso e la storia c’entrano poco?
Non sono questi fattori a farti dire se una gara è bella o brutta, ma lo stress. Tutte le gare importanti hanno smesso di essere belle per i corridori proprio per questo. E’ chiaro che tutti si impegnano e uno alla fine vince, ma non è facile convivere con certe tensioni. Per me con gli anni è diventato più facile.
Dopo il ritiro del 2011, Sagan torna al Fiandre nel 2012 e arriva quintoDopo il ritiro del 2011, Sagan torna al Fiandre nel 2012 e arriva quinto
In che senso?
Ormai ho l’esperienza per dire che il fatto di stressarsi più o meno non cambia il risultato. Il Fiandre di domani (oggi, ndr) sarà una gara come tutte le altre. E’ importante e l’ho già fatto tante volte, spero davvero che non piova.
Come ci sei arrivato?
Con la tosse (ride e poi tossisce, ndr). Voglio fare bene, ma non voglio stressarmi per qualcosa che non posso cambiare. E’ il mio ultimo anno e voglio godermelo piuttosto che viverlo male. Vediamo cosa sarò in grado di fare. Tutti sappiamo che è difficile limare e gestire i problemi che ci saranno, perché in una corsa di 260 chilometri può succedere di tutto e ci sarà da lottare. Mi aspetto una guerra, come la Roubaix.
Il rapporto con Cancellara inizialmente è teso e di sfida: lo svizzero nel 2013 ribadisce chi comandaIl rapporto con Cancellara inizialmente è teso e di sfida: lo svizzero nel 2013 ribadisce chi comanda
Parlano tutti di Van der Poel, Van Aert e Pogacar, ti dispiace che non si faccia più il tuo nome?
No, vabbè… Adesso è il loro momento, si godano pure la pressione. Io l’ho già gestita abbastanza.
Si parla dei disagi creati dal lockdown nei corridori di trent’anni: pensi di averlo pagato anche tu?
Di sicuro non è stato piacevole, ma non lo è stato per nessuno. E’ stato un momento difficile, nel quale è avvenuto un passaggio nel ciclismo che a me non è piaciuto. Non voglio mettermi a fare paragoni adesso che ho 33 anni, perché quando sono arrivato io, altri avranno pensato le stesse cose. Io non sentivo un cambiamento, mentre loro magari lo hanno sofferto. Però è sicuro, dopo 13 anni da professionista, vedo delle differenze.
Il 2014 è per sua ammissione un anno problematico: arriva 16° e vince “solo” 7 corse, fra cui il Gp E3 di HarelbekeDopo il passaggio a vuoto nel 2014, per Peter arriva il 4° posto del 2015: vince KristoffIl 2014 è per sua ammissione un anno problematico: arriva 16° e vince “solo” 7 corse, fra cui il Gp E3 di HarelbekeDopo il passaggio a vuoto nel 2014, per Peter arriva il 4° posto del 2015: vince Kristoff
Qual è la differenza più grande che vedi?
Non voglio fare il professore, però di sicuro la tecnologia nelle corse ha cambiato tanto. Fino a poco tempo fa, facevamo le riunioni prima della gara con una mappa e con un pennarello si segnavano i 4-5 punti da ricordare. La grande differenza l’ha fatta VeloViewer. Adesso ogni direttore sportivo può usare lo zoom e vedere dove sono i corridori, capire il vento e i punti pericolosi o stretti.
Quindi?
Quindi se fino a 8-9 anni fa ci dicevano che stava per iniziare la salita oppure che dopo 5 chilometri avremmo trovato una curva pericolosa in cui stare davanti, adesso parlano ogni 100 metri. Puoi anche non dargli peso, ma ci sono i più giovani che non capiscono niente, non conoscono le strade e sono alle prime gare in Belgio, che hanno grinta e lottano tutto il giorno per la posizione. Anche se poi restano senza gambe. Prima non c’era questo stress.
Il 2016 è l’anno giusto: vittoria in solitaria a OudenaardeSe ne va sul Paterberg, resistendo alla grande al rientro di CancellaraAnche Cancellara con il sorriso bonario riconosce che il ragazzino è cresciutoIl 2016 è l’anno giusto: vittoria in solitaria a OudenaardeSe ne va sul Paterberg, resistendo alla grande al rientro di CancellaraAnche Cancellara con il sorriso bonario riconosce che il ragazzino è cresciuto
Una volta si ragionava sul togliere le radio…
Oggi la radio è solo lo strumento per utilizzare tutta la tecnologia che hanno in macchina e fare pressione sui corridori. Parlano tanto, ma dicono cose che a volte non servono e fanno solo casino. La strada resta sempre larga tre metri e non c’è posto per 200 corridori tutti davanti. Prima tirava una squadra, due al massimo e gli altri avevano rispetto e si mettevano dietro. Adesso vedi 8-9 squadre in testa e stare in gruppo diventa uno stress. Sarebbe bello che ogni corridore studiasse il percorso senza affidarsi solo alle radioline.
Ti condiziona in corsa?
Se qualcuno ti dice sempre che devi stare avanti, come fai a stare concentrato? A volte sto prendendo la posizione e mi sto concentrando, quando cominciano a parlarti in radio. Alla fine non ascolto neanche, ma intanto la concentrazione è stata interrotta. Non voglio venire qua a giudicare, voglio godermi l’ultimo anno e amen. Tocca ai giovani semmai lamentarsi.
Nel 2017 Sagan al Fiandre con il numero uno di vincitore uscente. Anversa ai suoi piediUna banale caduta sul Qwaremont e chiude 27°: per Peter il peggior risultato di sempreNel 2017 Sagan al Fiandre con il numero uno di vincitore uscente. Anversa ai suoi piediUna banale caduta sul Qwaremont e chiude 27°: il peggior risultato di sempre
Il fatto di non volerti stressare non ti limita?
Prima non ero così tranquillo. Ho raccontato a un fisioterapista che ogni tanto faccio yoga. Lui mi ha chiesto che cosa significhi e io gli ho spiegato che lo yoga serve per trovare la pace dentro di sé. E lui mi ha detto che per un atleta non va bene, perché l’atleta deve combattere e, se non trova la rabbia, non riesce a farlo. Adesso non sto facendo yoga (ride, ndr), però guardo la situazione da un angolo diverso. Perché devo rischiare di morire? Alla fine correre in bici è pericoloso, ma io ho anche altri obiettivi nella vita.
Avresti voluto chiudere anche prima?
Ho avuto il pensiero. La mia carriera non è stata sempre ogni anno rose e fiori, sono passato anche per momenti difficili, infortuni o momenti che non andavo più. Cercavo di capire dove sbagliassi, ma nel 2014 volevo già ritirarmi. Dopo ho risolto un po’ di problemi e da quel momento c’è stato il cambio della mia carriera. I miei migliori anni ancora sono arrivati allora. Ma non credo che possano arrivarne altri se continuo fino a 36-37 anni.
Perché?
E’ molto difficile stare in questo mondo, perché più sei vecchio e più cose devi fare. Trovare la condizione è sempre più difficile. E se arriva un giovanotto che segue il suo allenatore alla lettera, cui non pesa fare la dieta e andare in palestra di mattina e in bici pomeriggio, avrà un vantaggio. Non voglio dire che a me pesa, perché è il mio lavoro, ma io ho un figlio e preferisco passare del tempo con lui che essere tutto il giorno a tutta.
Nel 2019, primo anno dal 2016, Peter corre senza iride e chiude 11°. Il Covid è alle porteNel 2019, primo anno dal 2016, Peter corre senza iride e chiude 11°. Il Covid è alle porte
Alla fine si sta semplicemente chiudendo la parentesi di Sagan corridore…
Vero, ma solo perché voglio che si chiuda. E’ difficile restare in gruppo senza un motivo. Potrei andare ad aiutare un giovane con la mia esperienza, rimanere nel ciclismo solo per stare in gruppo, ma non è nel mio carattere. Ho sempre voluto essere leader e vincere le gare, non rimango in bici solo per stare in gruppo e finire le gare. E’ meglio continuare con un’altra strada e che ti dà la motivazione, no?
Elisabetta Borgia dice che senza un obiettivo non si riesce a tirar fuori molto.
Il mio obiettivo è fare bene e poi qualcosa arriva. Non verrei alle classiche se non avessi fatto allenamenti e sacrifici. Poi c’è il Tour e lì devi arrivare preparato. Subito dopo ci sono i mondiali, che possono essere la mia ultima occasione. E subito dopo ci sono i mondiali di mountain bike, che diventano la mia priorità per qualificarmi per le Olimpiadi.
L’addetto stampa Gabriele Uboldi è parte fissa del Team Peter, come il massaggiatore Marosz, il diesse Valach e il procuratore LombardiL’addetto stampa Gabriele Uboldi è parte fissa del Team Peter, come il massaggiatore Marosz, il diesse Valach e il procuratore Lombardi
Poi sarà tempo di vacanze?
Vediamo. Sono via da casa dall’inizio dell’anno. Abbiamo fatto l’Argentina, ma sono tornato dopo un mese e mezzo perché sono andato in ritiro con la squadra in Colombia. Al rientro subito Het Nieuwsblad e poi Strade Bianche, Tirreno e Sanremo. Poi di nuovo in Belgio, tornando a casa per un paio di giorni. Sacrifici se ne fanno ancora e io sto vivendo così da 14 anni. Non ho una mia vita privata, così per continuare mi serve un obiettivo che è la qualificazione olimpica.
Si dice che da grandi conviene correre di più, piuttosto che fare tanti ritiri…
Dieci anni fa dicevano che quando sei più vecchio, è meglio allenarsi di più e correre di meno, quindi chi ha ragione? Prima si diceva che l’età migliore arrivava fra 27 e 32 anni, poi arrivano Pogacar e Bernal e vincono la corsa più importante del mondo a 21 anni. Nel nuoto hanno vietato i costumi che galleggiano e scivolano meglio, ma continuano a battere tutti i record. Presto o tardi arriverà chi batterà i tempi di Usain Bolt. Nel ciclismo lo stesso. E’ cambiata la generazione. Prima vincevano il Tour de France a 29-30 anni, adesso a 30 sei vecchio. Da dove nasce questa differenza? Io non lo so.
L’hotel della TotalEnergies si trova dieci minuti fuori dal paese di Kortrijk, lontano dalla folla e dallo stress del Giro delle Fiandre. Dalla strada si vede un mulino antico, costruito con mattoni bianchi, le sue pale di legno sono attente guardiane dell’ingresso. E’ venerdì pomeriggio, Peter Sagan è atterrato poche ore prima a Lille ed è appena arrivato in hotel, il tempo di qualche massaggio e poi la cena con i compagni di squadra.
L’attacco manubrio di Sagan è estremamente pronunciato, alla ricerca della massima posizione aerodinamicaL’attacco manubrio di Sagan è estremamente pronunciato, alla ricerca della massima posizione aerodinamica
L’ultimo Fiandre
Per il campione slovacco si tratta dell’ultimo giro sui muri delle Fiandre, che ha domato nel 2016 davanti a Cancellara e Vanmarcke. Come affronterà questa sua ultima danza sui muri? Quali saranno le scelte tecniche fatte dal tre volte campione del mondo? Saliamo sul camion dei meccanici e Jan Valach, diesse di riferimento di Peter, ci illustra le scelte tecniche sulla Specialized Tarmac dello slovacco, molto simile a quella già utilizzata alla Gand-Wevelgem (foto in apertura)
«Sagan – ci racconta – ha un fisico particolare, con un busto molto lungo e le gambe, invece, più corte. Infatti se guardate la sua bici ha una distanza sella manubrio sproporzionata rispetto a quella tra sella e movimento centrale. Anche l’attacco manubrio è pronunciato, per andare alla ricerca della massima aerodinamicità».
Il camion officina della TotalEnergies si fermerà al Nord fino alla RoubaixEcco le ruote di scorta per Sagan, da caricare sulla prima ammiragliaIl camion officina della TotalEnergies si fermerà al Nord fino alla RoubaixEcco le ruote di scorta per Sagan, da caricare sulla prima ammiraglia
La scelta dei rapporti
Avevamo già parlato delle nuove scelte legate alla corona anteriore, il numero di denti aumenta, quasi in proporzione alle medie di gara sempre maggiori. Anche in una corsa dura come il Fiandre la tendenza è la stessa.
«Davanti – riprende Valach – monterà il 54-39, nella prima parte completamente pianeggiante le velocità saranno già alte. Per quanto riguarda la moltiplica più piccola si è deciso di montare il 39 perché gli sforzi che bisogna fare sui muri sono brevi ed intensi. Scegliere il 36 sarebbe stato controproducente. Il pacco pignone del Dura Ace a undici velocità va dall’11 al 30, per un discorso di sviluppo metrico penso proprio che la più corta delle combinazioni usate sarà 39×27. Arrivare ad usare il 30 vorrebbe dire salire troppo agile, non riuscendo ad imprimere così la giusta forza sui pedali».
Il profilo della ruota anteriore è più schiacciato, per aumentare l’aerodinamicaIl profilo è da 50 millimetriIl profilo posteriore è più tondo, così da essere maggiormente resistenteIl profilo della ruota anteriore è più schiacciato, per aumentare l’aerodinamicaIl profilo è da 50 millimetriIl profilo posteriore è più tondo, così da essere maggiormente resistente
Ruote e tubeless
Uno dei dettagli che si notano anche ad occhio nudo sulla bici di Sagan è la scelta delle ruote: particolare.
«Per la ruota anteriore – racconta il diesse – la scelta è andata verso un profilo da 50 millimetri, con una conformazione del profilo più piatta. Una caratteristica studiata per avere un miglior flusso d’aria ed una maggior efficienza aerodinamica. Al posteriore, invece, il profilo è da 55 millimetri ed il cerchio ha una forma più tonda. Questo perché la forza della pedalata viene scaricata tutta lì, serve quindi tanta rigidità per non perdere nemmeno un watt.
«La scelta dei copertoni – conclude – è andata verso dei tubeless con sezione da 28 millimetri. Per la pressione dovremo vedere a seconda del meteo, ma con gara asciutta dovremmo rimanere intorno ai 5,0 bar».
Debutto al Giro, gran lavoro e tanta fatica per Giovanni Aleotti. L'emiliano è uscito bene dalla corsa. rosa. Senza giorni di crisi. Studiando la fatica
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Cancellara annunciò che si sarebbe ritirato dopo le Olimpiadi Di Rio. Era il 2016 e lo svizzero vinse una corsa a Mallorca e la Strade Bianche. Poi arrivò secondo al Fiandre dietro Sagan, vinse una crono allo Svizzera e di seguito il titolo nazionale contro il tempo. Infine corse il Tour, andò alle Olimpiadi, vinse l’oro della crono e disse basta. Pensammo subito che servisse una gran testa per tenere la concentrazione tutto l’anno a quel modo, sapendo che fosse l’ultimo.
Quando nei giorni argentini Sagan ha annunciato la fine della carriera su strada, ci siamo messi a osservarlo per capire come gestirà il cammino di uscita dal grande ciclismo. Così, dopo aver annotato alcuni passaggi a vuoto in corse alla sua portata – dalla Sanremo alla Gand – e in attesa di altri test come il Fiandre o la Roubaix, il mondiale oppure il Tour, abbiamo chiesto il parere di Elisabetta Borgia, psicologa della Trek-Segafredo e della nazionale, per capire cosa possa succedere nella mente di un atleta di vertice quando annuncia il ritiro e si dà un anno di tempo prima di staccare la spina.
All’inizio del 2016, Cancellara annunciò che la crono di Rio sarebbe stata l’ultima corsa e vinse l’oroAll’inizio del 2016, Cancellara annunciò che la crono di Rio sarebbe stata l’ultima corsa e vinse l’oro
Elisabetta, come si vive l’ultimo anno di carriera?
Dandosi delle scadenze, che diventano obiettivi. L’obiettivo in quanto tale ha una dead line, quindi ti costringe a capire sul piano strategico in che modo puoi arrivarci. Ti permette di investire a livello emotivo, cosa che senza avere un tempo di riferimento diventa difficile. Cancellara da questo punto di vista dimostrò una perfetta gestione del tempo e della tensione emotiva.
Sagan ha parlato di grandi obiettivi, ma non li ha definiti.
Magari non ha voluto dirli oppure non li ha individuati. In ogni caso, l’obiettivo deve essere misurabile. Dire in genere che si voglia essere competitivi è troppo vago. Se definisci l’obiettivo, riesci a controllare la prestazione, ma certo non gli avversari. Una visione meno organizzata contro gente affamata può essere un limite.
Giro d’Italia 2022, Messina: Nibali annuncia al Processo alla Tappa che a fine stagione chiuderà la carrieraGiro d’Italia 2022, Messina: Nibali annuncia al Processo alla Tappa che a fine stagione chiuderà la carriera
L’annuncio del ritiro sblocca qualcosa? Si disse ad esempio che dopo l’annuncio al Giro del 2022, Nibali sia parso come liberato.
Ci sono due diverse reazioni. La prima è che sono all’ultimo anno e faccio il meglio che posso. La seconda ti libera. Dichiarando che smetto, tolgo via il conflitto e il dubbio. E’ la risposta alle domande che i giornalisti fanno da mesi. E’ una decisione presa e questo mi permette di essere libero e senza le pressioni che altrimenti mi limiterebbero. Non sappiamo perché Sagan abbia preso questa decisione. Magari nel suo caso ci sono state pressioni che lo hanno portato fuori dall’ambiente emotivo che in passato gli permetteva di esprimersi al meglio. Al netto di tutto questo, dobbiamo dare per scontata la professionalità, che si parli cioè di campioni che continuano a fare al meglio il loro lavoro.
Potrebbe esserci un calo di tensione da quel punto di vista?
La concentrazione richiesta a questi atleti è stare nel presente, ma non solo in gara. Ogni giorno della loro vita richiede una grossa presenza psicologica. Penso che Cancellara abbia pensato a Rio come se la sua vita sportiva finisse quel giorno. E’ necessaria l’attivazione a livello emotivo, altrimenti la risposta cala.
Sagan ha annunciato che il 2023 sarà la sua ultima stagione su strada. Qui al via della GandSagan ha annunciato che il 2023 sarà la sua ultima stagione su strada. Qui al via della Gand
La perplessità su Peter, che speriamo venga smentita, riguarda proprio questo essere attivato.
Bisogna capire da che punto partisse. Se l’inizio di questa ultima stagione parte da un punto molto basso, se è già disattivato, allora la consapevolezza non porta da nessuna parte. Peter lo conosco, ma non benissimo. Come tutti gli atleti, ha avuto la fase rampante e ora ne sta vivendo una calante, in corrispondenza della quale il nuovo che avanza ti toglie riferimenti. In questi casi c’è chi si reinventa e chi non lo accetta. Lui ha un approccio non certo svizzero con lo sport, però ha fatto le sue tante magie grazie all’emotività. Per questo non metterei la mano sul fuoco sul fatto che non ne realizzerà altre. Anzi, forse mi aspetto che ne faccia ancora qualcuna…
Dall'esempio di Sagan all'esperienza di Argentin, per capire che cosa serva a un campione che ha perso il tocco. L'ambiente giusto è spesso il più scomodo
Scherzando ma neanche tanto, Daniele Bennati dice che il suo favorito per domani alla Sanremo è Laporte. Immagina botte da orbi fra i soliti noti tra Cipressa e Poggio e alla fine la volata del francese, che nessuno immagina, sul gruppetto rimasto.
Abbiategrasso accoglie la Sanremo con un pubblico interessato e moderatamente chiassoso. Lo spostamento della partenza ha portato con sé anche quello di tutte le operazioni preliminari, cui si è aggiunta la presentazione delle squadre nella piazza del Castello Visconteo. Il paese è ormai una città, ma nel cuore ha un gioiello che per molti rappresenta una novità.
Pogacar è visto come il nemico pubblico numero uno; la UAE ha quasi solo scalatori, più TrentinPogacar è visto come il nemico pubblico numero uno; la UAE ha quasi solo scalatori, più Trentin
La presentazione
I corridori sfilano sul palco e alcuni, i più richiesti, passano poi nella mix zone per le interviste. E mentre Tratnik e Van Aert stazionano davanti ai microfoni, Edoardo Affini riprende la via del pullman, fermato di tanto in tanto per autografi e foto. Che sia per Laporte oppure Van Aert, sulle spalle del mantovano poggia già la consapevolezza del lavoro da fare.
«Se tutto va come da programma – dice – dovrei entrare in azione fra tra i Capi e la Cipressa. Vediamo un po’ come si mette la corsa, se c’è da qualche imprevisto o altro. E’ una vigilia tranquilla, il percorso è quello. Le condizioni meteo sembrano buone, quindi siamo abbastanza rilassati. Faremo la riunione prima di cena, vedremo che cosa vuole fare la squadra. Guarderemo gli avversari, ma non più di tanto. Servirà per capire come potrebbero correre le loro squadre. Non sarebbe male condividere il peso della corsa, già l’anno scorso il mio compagno Van der Sande ha tirato da solo per 240 chilometri, sarebbe bello che domani anche gli altri facessero qualcosa. Anche solo per condividere la fatica…».
Ganna se la ride. Pippo è il leader della Ineos Grenadiers dopo l’uscita di scena di PidcockGanna se la ride. Pippo è il leader della Ineos Grenadiers dopo l’uscita di scena di Pidcock
Sagan, quasi un addio
Sul palco si fanno onori per tutti i campioni. Onori per Alaphilippe e Pogacar, ma un abbraccio particolarmente affettuoso, il pubblico italiano lo riserva a Peter Sagan, che ringrazia dopo la proiezione di un video, in quello che a tutti gli effetti sembra un addio. Peter potrebbe anche tornare per qualche gara di gravel, ma la Sanremo potrebbe essere la sua ultima corsa vera in Italia. E poi viene a salutare, appare rilassato. Scherza sull’essersi commosso e poi passa, accompagnato da Daniel Oss, che per seguirlo in quest’ultima avventura avrebbe rinunciato a tre anni di contratto in una grande squadra.
Sagan saluta il pubblico italiano: la Sanremo potrebbe essere la sua ultima corsa in Italia per parecchio tempoGhirmay tiene un basso profilo, però va forte: domani sarà uno di quelli da guardare beneConsonni ha una sola carta da giocare: la volata. Per questo appare sereno, dovrà aspettareSagan saluta il pubblico italiano: la Sanremo potrebbe essere la sua ultima corsa in Italia per parecchio tempoGhirmay tiene un basso profilo, però va forte: domani sarà uno di quelli da guardare beneConsonni ha una sola carta da giocare: la volata. Per questo appare sereno, dovrà aspettare
Il peso della corsa
Affini prosegue. E’ innegabile che dopo una partenza di stagione così prepotente, la Jumbo Visma rischi di ritrovarsi con la corsa tutta sulle spalle. Loro lo sanno e sono abbastanza solidi da non farsene un problema.
«Penso che abbiamo dimostrato – dice il mantovano – che non ci tiriamo mai indietro quando c’è da prendersi la piena responsabilità della corsa. Non abbiamo paura. Abbiamo lavorato con l’idea di partire bene, poi ovvio che tra il dire e il fare c’è differenza. L’Opening Weekend in Belgio è stato trionfale. Siamo andati molto bene alla Tirreno, dove Primoz (Roglic, ndr) ha fatto un ottimo rientro. Bene alla Parigi-Nizza, anche se abbiamo trovato un Pogacar in forma stellare. Bene anche alla Strade Bianche. Siamo sempre nel vivo della corsa e cerchiamo di portare a casa il massimo risultato».
Nuovo taglio di capelli e monocorona: la Sanremo di Van Aert è piena di novitàNuovo taglio di capelli e monocorona: la Sanremo di Van Aert è piena di novità
Van Aert col monocorona
Arriva Van Aert, che domani correrà con il suo nuovo casco Red Bull e dice di esserne molto orgoglioso. Poco fa ha raccontato la sua vigilia., dicendo di essere andato anche dal parrucchiere per rifarsi un po’ il look. E poi ha aggiunto che domani correrà con una sola corona anteriore (dettaglio che verificheremo alla partenza).
«Non ho bisogno della seconda corona – dice – è una scelta di aerodinamica e leggerezza. E’ un piccolo guadagno che cerchiamo di ottenere. La Milano-Sanremo spesso si decide negli ultimi due o tre chilometri e Pogacar è il favorito in assoluto. E’ venuto qui solo con scalatori e questo significa che vuole fare la corsa dura. L’anno scorso ho sbagliato a seguire tutti i suoi attacchi, ma non avevo scelta, altrimenti sarebbe andato via. Quest’anno ho chiesto di avere aiuto sul Poggio, per cui con Tratnik, Van Hooydock e Laporte saremo un quartetto pronti a ogni evenienza. Anche perché oltre a Pogacar, mi aspetto Alaphilippe. Lui la Sanremo l’ha già vinta e sa benissimo come… maneggiare il Poggio».
Van Aert mette Alaphilippe tra i più pericolosi: sa come si vince la SanremoVan Aert mette Alaphilippe tra i più pericolosi: sa come si vince la Sanremo
La parte di Affini
Affini lo sentirà parlare più tardi in albergo, quando si riuniranno per guardarsi negli occhi. Il capitano sembra in forma, anche se non è parso straripante come quando la vinse nel 2020, ma la squadra è tutta attorno a lui. Il tempo di salutarsi e vediamo arrivare Ganna. Senza Pidcock, ma con l’aiuto di Kwiatkowski appena diventato padre, anche Pippo domani sarà uno di quelli da osservare con attenzione.
«Domani mi toccherà fare la mia parte – saluta Affini – sono abituato a questi incarichi. Però è ovvio che quando inizierà la lotta per la posizioni, la corsa diventerà più stressante. Man mano che ti avvicini, cominci a entrare nelle fasi veramente calde della corsa. Quindi c’è più adrenalina, c’è più voglia di fare, c’è un po’ più guerra. Quando il gruppo è aperto eppure tutti stanno spingendo, capisci che è il momento di cominciare. E allora si comincerà davvero».
Dopo un periodo di lavoro in Spagna, Van Aert è pronto per la Coppa del mondo di Tabor. Non sa in quali condizioni sarà. Il suo obiettivo sono i mondiali
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Provate a chiudere gli occhi e dare spazio alla fantasia per un momento. Immaginatevi la più romantica delle cartoline toscane: un viale in strada sterrata, costeggiato dai tipici alberi toscani, con la punta che tende verso l’alto, attorniato dal più bello dei prati verdi, sotto un cielo azzurro limpido. Chi mai oserebbe cambiare anche solo un virgola di tale spettacolo? Beh, a quanto pare la Strade Bianche.
Ora immaginatevi che da questa strada, dietro la curva, tra gli alberi, si alzi una nube di polvere bianca. Immaginatevi anche di sentire forti rumori: urla, catene, ruote. Poi, pian piano, di iniziare a intravedere il gruppo, o meglio, i primi del gruppo. Sì perché già la seconda fila di corridori è immersa nella nube bianca. Ecco, anche questa immagine è poesia.
Lo sterrato si è asciugato con il passare delle ore, gli uomini hanno respirato parecchia polvereLo sterrato si è asciugato con il passare delle ore, gli uomini hanno respirato parecchia polvere
I piedi sullo sterrato
A Siena c’è il sole, le temperature non sono alte ma promettono una bellissima giornata: si corre la Strade Bianche. A primo impatto sembra una corsa qualunque: arrivano i tifosi, le ammiraglie, i bus delle squadre. Si preparano le bici, segue qualche operazione di routine, poi si parte. C’è anche chi parte prima, anticipando il gruppo, per raggiungere uno degli undici settori della corsa. E’ a quel punto, quando si poggiano i piedi sullo sterrato, che ci si rende conto che la Strade Bianche non è una corsa qualsiasi. Si è immersi nella campagna, solo ogni tanto si intravede qualche casale. L’atmosfera che si respira è al tempo stesso di grande pace e tranquillità, mista a un’energia indescrivibile.
Si è immersi nella natura, su strade che normalmente sono immerse nel silenzioSui poggi dei dintorni del percorso di tanto in tanto affiora qualche casaleSi è immersi nella natura, su strade che normalmente sono immerse nel silenzioSui poggi dei dintorni del percorso di tanto in tanto affiora qualche casale
Polvere e sassi
Arrivano i fuggitivi, poi il gruppo, sembrano volare su quello stesso sterrato che più tardi, con un centinaio di chilometri nelle gambe, diventerà pesante come sabbie mobili. I tifosi a bordo strada, intrepidi e ansiosi di sentire l’aria del gruppo che passa, pian piano indietreggiano: troppa polvere, troppi sassi. Foto e video ricordo? Si va un po’ alla cieca, sullo schermo non si vedono altro che sottili granelli chiari. Ci sono bambini con grandi borse alla ricerca di borracce nuove da aggiungere alla collezione, mamme che rincorrono piccoli tifosi che corrono a bordo strada.
Abbiamo seguito la Strade Bianche nell’ammiraglia dei massaggiatori della Total Energies: il team di Sagan (qui sopra)Abbiamo seguito la Strade Bianche nell’ammiraglia dei massaggiatori della Total Energies: il team di Sagan (qui sopra)
Padre e figlio
Grazie a Sportful, che ci ha fatti salire sull’ammiraglia della Total Energies, oggi vi raccontiamo la grande classica da una prospettiva differente. Con noi c’è Marosz, il massaggiatore di Peter Sagan. Ci racconta un po’ di sé: a casa ha tre bambini, che chiama spesso durante i momenti tranquilli della giornata per sapere come stanno. Marosz ci dice che non tornerà a casa per le prossime tre settimane, ma ci sembra comunque tranquillo. Con noi, alla fine del quarto settore in sterrato, c’è anche Anna, la moglie di Alessandro De Marchi e i due bambini: è proprio il figlio maggiore Andrea, un piccolo Alessandro, che incita il papà in fuga.
Piazza del Campo è una vera arena per il ciclismo: la vista dalla sala stampa è splendidaPiazza del Campo è una vera arena per il ciclismo: la vista dalla sala stampa è splendida
Il Marosz pensiero
Con Marosz e gli altri massaggiatori, si parla della Strade Bianche, delle classiche e di come sia diventato incredibile il ciclismo di oggi. «Per me – ci confida – non importa chi vince. Una corsa per me va bene quando si arriva all’arrivo felici, senza graffi e soddisfatti della corsa che si è fatta, a prescindere dalla posizione in classifica». E infatti all’arrivo, nella maestosa Piazza del Campo, Marosz è tranquillo.
E’ un’atmosfera particolare quella che si respira a Siena: dalla finestra della sala stampa lo spettacolo è magnifico. Centinaia di persone sono sedute sui mattoni rossi della piazza, con lo sguardo rivolto all’enorme maxi-schermo che trasmette la gara. Altrettante persone sono già vicino alle transenne, per garantirsi la visuale migliore.
Mohoric rilascia le prime dichiarazioni dopo l’arrivoMohoric rilascia le prime dichiarazioni dopo l’arrivo
La piazza esplode
«Quando entra il primo corridore in piazza, ascolta il pubblico, la sua reazione», ci viene detto. E così facciamo: facciamo partire la registrazione video e ci concentriamo su cosa sta succedendo in piazza. Le riprese sono ora trasmesse dalle telecamere fisse, Pidcock è vicino. Lo sguardo rimbalza veloce tra gli schermi e quell’angolo in penombra dalla quale spunterà la sua ruota. Si sente il pubblico applaudire dalle vie vicine, e quello in piazza scalpitare.
Tom Pidcock varca la soglia di Piazza del Campo: il boato. Il pubblico esplode in applausi e urla di incitamento: per tanti chilometri lo hanno seguito da solo nella sua impresa, ansiosi che qualcuno potesse raggiungerlo, ma allo stesso tempo desiderosi di vedere un piccolo gruppetto decidere la corsa davanti ai loro occhi, negli ultimi metri del percorso. Sui volti compaiono sorrisi spontanei, quelli che sanno di felicità. I volti dei corridori che arrivano sono stanchi, ma contenti: sembrano appena usciti da una vecchia foto, con i colori un po’ sbiaditi, ma è solo un po’ di polvere.
Prendendo la macchina per rientrare, non c’è quella solita malinconia della consapevolezza che si è vissuta una giornata incredibile, ma che la parentesi si è ora chiusa. La Strade Bianche è destinata a lasciare un segno in chi la vive: non è solo ciclismo, sono emozioni.
E’ la voce di quattro Roubaix, tre Fiandre, tre Gand-Wevelgem e un mondiale con cui il bilancio delle sue vittorie è arrivato a quota 122, prima del ritiro nel 2017 a 37 anni. Tom Boonen parla raramente, ma essendo sempre stato un uomo e un campione molto intelligente, le sue parole raccolte da Het Nieuwsblad sono secche come pedalate sul pavé. Il fatto di essersi sfilato dalla quotidianità del ciclismo, pur seguendolo con grande attenzione, fa sì che non sia… assuefatto alle dinamiche del gruppo e possa esprimere giudizi privi di grossi condizionamenti.
E’ il 2005, Boonen ha 25 anni e vince la prima delle sue 4 RoubaixE’ il 2005, Boonen ha 25 anni e vince la prima delle sue 4 Roubaix
Su corridori e interviste
«Ho anche notato che nelle interviste – dice Boonen – la nostra generazione è stata l’ultima in cui i corridori abbiano davvero espresso la loro opinione. Ora si attaccano spesso a cliché già pronti. Non perché loro siano così, ma perché gli viene ordinato di farlo. Anche Remco Evenepoel in questo è cambiato molto».
Sulla Soudal-Quick Step
«La squadra è ancora la squadra – analizza Boonen – ma non vedo più i super leader. Alaphilippe è l’unico che può battere Van Aert e Van der Poel in una buona giornata. Di recente, Lefevere lo ha criticato duramente, forse troppo. Una volta al Tour disse che ero scattato come un principiante. Quando la stampa venne a riferirmelo, risposi: “Allora domani facciamo che al mio posto corra Lefevere”. E il giorno dopo rimasi in gruppo. Alaphilippe porta via gran parte del budget, ciò comporta molte responsabilità. Le pressioni hanno direzioni doppie. E comunque l’ingaggio di Merlier è stato azzeccato, un solo velocista non basta. Assiene a Jakobsen, servirà per tenere alto il numero delle vittorie».
Alaphilippe ha iniziato il 2023 vincendo la Faun Ardeche Classic su GauduAlaphilippe ha iniziato il 2023 vincendo la Faun Ardeche Classic su Gaudu
Su De Lie
«Sono un tifoso di De Lie, dicono che mi somigli per la sua mentalità. E’ un ragazzo semplice, gli scivola tutto addosso. E’ arrivato e ha subito vinto le sue gare, eppure fa le cose gradualmente. Non sopporto i neopro’ che entrano con un contratto da 400.000 euro perché hanno dei buoni test. Non è così che funziona. E De Lie infatti cresce tranquillo, come ha imparato nella sua fattoria e a 22 anni può tranquillamente vincere il Giro delle Fiandre. Non è riuscito neanche a me. Ho dovuto aspettare un po’ prima che Museeuw si ritirasse, ma alla mia prima possibilità, l’ho subito battuto. Ho sempre avuto molto rispetto per Johan e da giovane pensavo che fosse un onore vivere gli ultimi anni di un simile monumento. Ho vinto l’ultima gara di Johan, la Scheldeprijs, solo perché andarono a riprenderlo».
Su Sagan
«Forse è davvero il momento giusto per fermarsi. Può ancora vincere grandi corse – ragiona Boonen – ma mi chiedo se ci riuscirà. Penso che gli piaccia ancora andare in bicicletta, ma in modo anonimo, senza tutta la zavorra che si porta addosso e che lo ha soffocato. E’ ora di fare un passo indietro e scegliere il divertimento. Capisco che voglia ancora andare in mountain bike. Ha fatto una grande carriera. Sei anni buoni, in cui ha vinto tanto. Tre volte campione del mondo, io avrei potuto esserlo due volte. Dopo Madrid anche in Qatar, perché stavo davvero bene.
Omloop Het Nieuwsblad del 2017, Sagan con la maglia iridata vinta a Doha. Fra i due, c’è una vittoria di differenza: 122 a 121 per BoonenOmloop Het Nieuwsblad del 2017, Sagan in maglia iridata: fra i due, c’è una vittoria di differenza: 122 a 121 per Boonen
Su Van Aert
«Quest’anno Wout compirà 29 anni. E’ giunto il momento che vinca il Fiandre, soprattutto dopo l’inverno che ha avuto. Il livello che raggiunge è pazzesco. Può vincere venti cross, ma non importa a nessuno. Deve vincere le classiche. Anche io odiavo che la mia stagione si riducesse a questo, ma lui è così forte che solo le grandi classiche aggiungono davvero qualcosa al suo palmares. Puoi vincere quindici corse, ma non basta se non c’è una classica. A volte però è troppo ragioniere, quasi un nerd: mi alleno così per durare così. E’ fortissimo, ha fatto grandi cose, ma gli manca la grande classica».
Van Aert è il più solido, ma Van de Poel è capace di destabilizzarlo con la sua imprevedibilitàVan Aert è il più solido, ma Van de Poel è capace di destabilizzarlo con la sua imprevedibilità
Su Van der Poel
«Se Van Aert è un numero uno – sorride Boonen – quando corre con Van der Poel, sembra che gli succeda qualcosa. In un certo senso Van der Poel lo riporta a essere quel ragazzino di dieci anni fa. Ai mondiali di cross, Mathieu ha fatto per due volte uno sforzo incredibile, così forte che – a quanto ha raccontato – sentiva quasi di vomitare. E alla fine Wout è crollato. Lui imposta, Mathieu fa la sua rotta ed è la bestia nera. E’ una trappola per ogni corridore, perché alla fine tutti corrono costantemente contro gli stessi uomini e Mathieu è un cliente speciale. Per vincere non ha bisogno di essere il migliore».
Il weekend di apertura del Nord ha posto l'attenzione sul modo di correre aggressivo di quelle strade. Mors tua, vita mea. Certe cose si vedono solo lassù
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Tra i protagonisti assoluti dell’avvio di stagione c’è sicuramente Arnaud De Lie, che in 7 giorni di gara ha collezionato tre vittorie e un secondo posto. Non si può certo dire che sia stata una sorpresa, visto il roboante 2022 del ventenne di Libramont, vincitore di ben 9 corse. Un velocista di primissimo piano e, vedendo i suoi successi, molti si sono chiesti a chi possa essere assimilato.
L’esperto Thomas De Gendt, suo compagno alla Lotto Dstny, ha parlato di De Lie come di un nuovo Sagan, innanzitutto per quello spirito sbarazzino in bicicletta, quella voglia innata di divertirsi, riprendendo di fatto un concetto molto in voga in questo ciclismo, stante anche le dichiarazioni in tal senso di Pogacar, del suo vedere il ciclismo come un gioco in cui vincere sempre.
Primo anno per Guarnieri alla Lotto Dstny. In Spagna la scoperta di De LiePrimo anno per Guarnieri alla Lotto Dstny. In Spagna la scoperta di De Lie
Tecnicamente il paragone è proponibile o ce ne sono altri più definiti? Chi meglio di Jacopo Guarnieri, da quest’anno suo nuovo compagno di squadra, poteva dare una risposta, considerando la sua lunga militanza al fianco di tanti grandi velocisti, a cominciare proprio da Sagan?
«Con Peter abbiamo corso insieme nei miei due anni finali alla Liquigas (2010-2011, ndr). Le parole di Thomas non sono sbagliate, Arnaud ha un approccio molto “free” con la bici, vive tutto con spensieratezza, non sente pressioni. Se tecnicamente sono due corridori molto diversi considerando la potenza straripante di Peter, come modo di vivere la loro attività sono molto assimilabili».
Sagan, al suo ultimo anno su strada. De Lie ricorda molto lo slovacco ai suoi iniziSagan, al suo ultimo anno su strada. De Lie ricorda molto lo slovacco ai suoi inizi
Tu approdi quest’anno alla Lotto Dstny, venendo da anni al fianco di un altro Arnaud, Demare. Qui trovi dei punti di contatto?
Nei due vedo la stessa voglia di lottare, il carattere tipicamente vincente, di colui che vuole arrivare a tutti i costi al risultato spendendo tutto se stesso. Diciamo che entrambi godono nel correre. De Lie forse è più poliedrico per certi versi, non è un velocista puro, ma rispetto al francese ha una maggior resistenza su alcuni strappi, quindi il suo ventaglio di possibilità come percorsi è più ampio. C’è però una differenza sostanziale…
Quale?
De Lie non ha mai fatto un grande Giro e questo cambia molto nella vita di un velocista. Rappresenta un banco di prova, un bagaglio di esperienze enorme, che spesso cambia la vita. Il susseguirsi delle tappe influisce, fa perdere l’esplosività che è una sua caratteristica, per questo sarà importante cimentarsi in una gara di tre settimane. Noi parliamo di un corridore ventenne che deve fare ancora tante esperienze: io ho corso con lui nelle due gare a Mallorca, ho visto di che cosa è capace, ma chiaramente è un corridore che deve anche maturare.
Per il belga subito 3 vittorie, 2 all’Etoile de Besseges dopo la Clasica Comunitat ValencianaPer il belga subito 3 vittorie, 2 all’Etoile de Besseges dopo la Clasica Comunitat Valenciana
C’è qualcosa che non ti convince?
No, assolutamente, ma è chiaro che Arnaud ha bisogno di crescere, soprattutto di affrontare nuove esperienze, di correre gare diverse da quelle nelle quali si è cimentato lo scorso anno privilegiando, giustamente, il calendario belga. De Lie ha l’esuberanza tipica della sua età, attacca sempre, anche quando potrebbe risparmiare energie in vista della volata finale. E’ quel pizzico di malizia che si acquisisce solo con l’esperienza.
Tu avrai a che fare con lui e con Ewan, due velocisti molto diversi.
Moltissimo. Ewan non vuole essere sempre portato in prima posizione, rispetto a com’ero abituato sarà un cambio notevole, infatti sono contento d’iniziare a correre con lui. Tornando ad Arnaud, devo dire che faccio un po’ fatica a considerarlo un velocista puro. Io lo vedo come un “Boonen in evoluzione”, nel senso che col passare del tempo e l’affinarsi delle esperienze, potrà essere davvero un corridore da classiche, considerando appunto le sue capacità anche su certi tipi di salite.
Jakobsen è pronto a ricevere la sfida del belga. Domenica lo scontro a KuurneJakobsen è pronto a ricevere la sfida del belga. Domenica lo scontro a Kuurne
Molto diverso quindi da sprinter come Jakobsen o Groenewegen…
Enormemente. Mi incuriosisce molto lo scontro previsto per domenica alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne. Jakobsen ha certamente punte di velocità maggiori, De Lie ha dalla sua non solo la forma, ma anche la forza pura. Potrebbe anche trovare una soluzione prima per staccare il pericoloso rivale. Per Groenewegen vale lo stesso discorso, anzi l’olandese ha nelle salite un po’ il suo punto debole.
Dall’alto della tua esperienza, che cosa ti senti allora di consigliargli?
Di andare un po’ più calmo, imparare a gestire le sue energie e a correre al risparmio, attaccare quando davvero serve e ci sono possibilità che l’azione sortisca effetti. Deve correre più di rimessa, fidandosi anche del lavoro di squadra. All’Etoile de Besseges ad esempio il team lo ha aiutato molto, riportandolo dentro dopo un momento di difficoltà. In questo ho notato un grande spirito, che convince sempre più che la scelta fatta da me sia stata quella giusta.