Buitrago e il padrino Bernal: una storia nata da lontano

01.01.2024
5 min
Salva

BOGOTA’ (Colombia) – La scena è da film d’azione, ma in realtà la trama di questo “film” parla di buoni sentimenti e di una passione condivisa che si trasforma in una vita speciale, desiderata. Una vita che da sogno impossibile trasmuta in realtà solida e libro aperto ancora appena alle prime pagine, insomma tutto da scrivere. Così quando nel bel mezzo della visita al Museo dell’Oro di Bogotà sullo schermo del telefonino di Santiago Buitrago appare la scritta “Padrino”, sai già che non c’è da preoccuparsi. Non lo si può definire in maniera migliore se non “padrino”: una persona che da piccolo ti supporta, abbraccia e aiuta a crescere sportivamente come fosse un secondo padre.

La figura del “asesor” in Colombia è normale, tipica, ricorrente in tutti gli sport. Un uomo, normalmente benestante, molto probabilmente ex ciclista lui stesso, di sicuro un benefattore, che individua la passione prima, poi il talento di un giovane sportivo con mezzi economici limitati. Da quel momento lo assiste in ogni esigenza, affiancando la famiglia, fin quando questi non diventa adulto e possibilmente campione.

Questa è la storia di Carlos Bernal, medico nefrologo sessantenne titolare di alcune cliniche private in Colombia, ed il piccolo, oramai diventato campione, Santiago Buitrago, corridore del Team Bahrain Victorious.

Il viaggio nell’entroterra di Bogotà è un rituale fra Buitrago e Bernal: quest’anno con due testimoni dall’Italia
Il viaggio nell’entroterra di Bogotà è un rituale fra Buitrago e Bernal: quest’anno con due testimoni dall’Italia

Un bambino di 11 anni

Quando Francisco Rodriguez, terzo nella Vuelta 1985 vinta da Pedro Delgado, avvicinò Carlos, suo vecchio compagno di allenamenti, per raccontargli che aveva visto un bambino speciale in una gara giovanile, a Carlos si drizzarono subito le orecchie. Carlos stesso era stato un ciclista dilettante nella Colombia degli anni ’80, arrivato alle soglie del professionismo, con un sogno mai realizzato in prima persona, ma col desiderio di realizzarlo nella sua seconda parte di vita. Era un medico laureato che poteva darsi da fare per aiutare qualcun altro lì dove lui non era riuscito ad arrivare. Quel bambino aveva appena 11-12 anni e in effetti, racconta oggi Carlos, a prima vista fu quasi un colpo di fulmine sportivo.

Santiago Buitrago in formato mini era sveglio, sapeva correre nelle posizioni avanzate del gruppo, sapeva scattare in salita, sapeva vincere in sprint ristretti. Ma soprattutto aveva occhi vispi che illuminavano un visino tondo color cioccolato contornato da  un caschetto di capelli scuri, come quelli dei cartoni animati. Gambette cicciotte ma potenti, una agilità innata, un colpo di pedale sicuramente speciale. Ma gli mancava tutto il resto: un paio di scarpe adeguate, una bici accettabile al posto del catorcio usato fino a quel momento, una divisa da ciclista vero. Tutto quello che Carlos stava aspettando da tempo di realizzare, al momento giusto, con il campioncino giusto, con la famiglia giusta disposta ad accettare la sua mano tesa.

Carlos Bernal ha tenuto a battesimo Buitrago sin da quando aveva 11 anni
Carlos Bernal ha tenuto a battesimo Buitrago sin da quando aveva 11 anni

L’asesor e il campione

E così nell’estate del 2011 inizia l’amicizia inseparabile tra Carlos e Santiago, l’asesor ed il campione, così come era stato qualche anno prima per Pablo Mazuera con Egan Bernal. Iniziava la storia dei lunghi viaggi in Suv per le montagne colombiane di Carlos Bernal (nessuna parentela con Egan) insieme a Santiago Buitrago. Loro due, una bici, l’acqua, qualche banana per il rifornimento e una borsa sportiva con scarpette, salopette, asciugamano, casco e occhiali e tanti sogni da realizzare.

Un sodalizio così forte da generare qualche gelosia e tensione anche nella famiglia Buitrago, specialmente quando Carlos nel 2019 aveva fatto di tutto per spedire in Europa, in Toscana, tra le braccia di Francesco Ghiarè ed il suo Team Cinelli un giovane ed inesperto under 23 al secondo anno di categoria. Dopo quattro gare aveva collezionato già una top 10, ma anche tre ricoveri in ospedale per tre cadute disastrose.

Al Giro del Friuli 2019 in maglia Cinelli, Buitrago con Quartucci, oggi pro’ alla Corratec (foto Instagram)
Al Giro del Friuli 2019 in maglia Cinelli, Buitrago con Quartucci, oggi pro’ alla Corratec (foto Instagram)

Emergenza in Italia

Don Gustavo Bernal aveva convocato a casa propria Carlos per inchiodarlo difronte alle sue responsabilità, ora che il figlio era in difficoltà. Un volo aereo Bogotà-Roma d’emergenza risultava troppo costoso per le tasche della famiglia di origine. Santiago aveva perduto conoscenza per una notte nel letto d’ospedale e i genitori erano troppo inquieti per lasciarlo solo in Italia in quelle condizioni.

Allora Carlos si era subito messo in moto per partire ed andare a riprenderlo per riportarlo in patria, quando Santiago dall’altra parte della cornetta, dall’altro capo dell’Oceano Atlantico lo aveva scongiurato di non farlo. Voleva provarci una volta ancora, tutto sarebbe andato per il verso giusto, lui le sue chance se le voleva giocare tutte, costasse quel che costasse, anche contro la volontà della famiglia. E Santiago aveva avuto ragione, così tanta ragione che a ricordarlo oggi Santi e Carlos ancora si guardano negli occhi e sorridono, felici di avercela fatta insieme, felici di ripercorrere quei giorni nel viaggio annuale che insieme da allora si regalano ogni dicembre.

Dopo la scalata all’Alto de Letras, un po’ di ristoro in piscina. Carlos Bernal è il primo da sinistra. A destra Esteban Guerrero, corridore di 23 anni
Dopo l’Alto de Letras, un po’ di ristoro in piscina. Carlos Bernal è il primo da sinistra. A destra Esteban Guerrero, corridore di 23 anni

Il viaggio a dicembre

Una tradizione, restando per giorni nelle montagne colombiane in Van e bicicletta, per parlare delle loro vite, per pianificare la stagione successiva, per mangiare, ridere e pedalare lontani dallo stress. Come fossero ancora un medico giovane ed un ragazzino alle prime armi, pieni di entusiasmo e passione condivisa per il ciclismo.

Perché il mondo intorno può cambiare, diventare veloce e stressante, ma il loro mondo sospeso tra Bogotà e l’Alto de Letras rimarrà sempre lo stesso, degno della trama di un film d’azione che si è saputo col tempo trasformare in pellicola. Vi si parla di buoni sentimenti e di una passione condivisa che si trasforma in una vita speciale: quella del ciclista professionista campione.

Il ciclismo degli italiani, un popolo di migranti

31.12.2022
5 min
Salva

Con la fine dell’anno è tempo di consuntivi e il ciclismo non si discosta dalla tradizione. Noi però siamo andati a vedere che cosa c’è al di là di gare, vittorie, campioni. Siamo andati a cercare nel gruppo (foto di apertura di ASO/Pauline Ballet), provando a leggere i numeri statistici in maniera diversa e scoprendo un lato del ciclismo italiano quasi insospettabile, addirittura fantascientifico solo fino a pochi anni fa.

Quello italiano, ciclisticamente parlando, è un popolo di migranti, in maniera nettamente superiore a qualsiasi altra disciplina sportiva. Nel mondo ci sono oltre 2.400 corridori (intendendo tesserati per squadre WorldTour, professional e nel mare delle continental), di cui oltre un centinaio sono italiani. Noi siamo andati a spulciare i roster di tutti questi team scoprendo che ci sono oltre 110 corridori italiani iscritti in squadre straniere. Sono molti più di quelli che agiscono in formazioni italiane: nel 2022 ne avevamo 3 professional e 13 continental, ma bisogna considerare che alcune di queste sono infarcite di corridori stranieri. Quel che colpisce è la percentuale, abbondantemente superiore al 50 per cento.

La corazzata della Jumbo Visma. I giovani Belletta e Mattio sono molto attesi nel 2023
La corazzata della Jumbo Visma. I giovani Belletta e Mattio sono molto attesi nel 2023

L’Italia come il Brasile?

Non ci sono sport minimamente paragonabili: nel calcio solo da pochi anni i giocatori nostrani vanno all’estero, considerando anche quelli che agiscono nei campionati minori o in leghe semiprofessionistiche il numero in assoluto è maggiore, ma percentualmente non si avvicina neanche da lontano alla realtà ciclistica. Nel basket si può dire lo stesso, basti dire che sono solamente 3 gli italiani nel massimo campionato, quello Nba e uno di loro è nato e cresciuto lì, anche se ha passaporto italiano.

La sensazione, per fare un paragone più calzante, affianca il movimento ciclistico italiano a quel che avviene per i calciatori sudamericani, brasiliani in particolar modo, che vanno poi a riempire le squadre di oltre mezzo mondo, in Europa come in Asia o in Nordamerica. Come loro sanno che per fare del calcio un lavoro devono emigrare, lo stesso avviene per i nostri ciclisti e infatti sempre più giovanissimi, magari appena usciti dall’attività junior, fanno le valigie (i casi di Belletta e Mattio al Team Jumbo-Visma Development sono solo l’ultimo segnale).

Fondriest in maglia Panasonic. Il suo passaggio nel team olandese fu una prima assoluta
Fondriest in maglia Panasonic. Il suo passaggio nel team olandese fu una prima assoluta

Il precedente di Fondriest

A ben guardare la storia del ciclismo, è una rivoluzione copernicana. Il movimento italiano era sempre stato fortemente autarchico, c’era un forte nocciolo di squadre professionistiche che assorbivano tutto il meglio dei vivai. Chi ha buona memoria non può non ricordare lo scalpore che fece il trasferimento di Maurizio Fondriest alla Panasonic, ma nessuno allora avrebbe pensato che attraverso quello squarcio il ciclismo italiano sarebbe uscito così trasformato.

Intendiamoci bene: a trasferirsi all’estero non solo sono i Ganna, i Trentin, i Caruso. Cercando nelle oltre 100 squadre continental appartenenti a ben 61 Paesi si scoprono storie quasi incredibili. C’è Danilo Celano che ha trovato casa in Malaysia divenendo famoso per la vittoria nel 2020 al Tour de Langkawi. Oppure Lorenzo Masciarelli trasferitosi con tutta la famiglia in Belgio per apprendere l’arte del ciclocross cambiando completamente vita. O ancora Kevin Pezzo Rosola andato in Austria, ma ora tornato in Italia, per uscire dall’alveo familiare fatto di campioni dai nomi altisonanti per crescere in umiltà come corridore e soprattutto come uomo. Che dire poi di Peter Cevini, corridore giramondo tra Irlanda, Russia e Polonia che nel 2023 ripartirà proprio da quest’ultimo Paese per continuare a sbarcare il lunario.

Gaia Tortolina si è addirittura costruita un team in Belgio, il Women Cycling Project
Gaia Tortolina si è addirittura costruita un team in Belgio, il Women Cycling Project

La situazione fra le donne

Non che in ambito femminile la situazione sia molto diversa. Anche in questo campo la mancanza di un team WorldTour, termine di una vera e propria filiera nazionale dove far approdare i migliori talenti, incide profondamente. Praticamente tutte le nostre campionesse agiscono all’estero, dalla coppia pluripremiata Balsamo-Longo Borghini nell’americana Trek Segafredo alla Cavalli stella della FDJ Futuroscope: nel 2022 erano 20 le italiane nei team del massimo circuito e nell’anno che verrà saranno ancora di più, basti pensare all’Uae Team Adq, che avrà nelle sue file ben 8 azzurre, l’esatta metà del team.

Ma non ci sono solamente loro. Ci sono anche atlete che hanno fatto scelte ben precise, come Gaia Tortolina che in Belgio si è costruita una propria squadra e una propria vita, oppure Alessia Bulleri, elbana che dopo un passato virtuoso nella mtb è diventata una delle leader del team spagnolo Eneicat. Fino all’ultimo caso delle giovanissime Deborah Silvestri e Emanuela Zanetti, emigrate in Spagna nella neonata Zaaf Cycling.

Peter Cevini, 31 anni, nel 2023 correrà nel team polacco Kiwi Atlantico-Cabo de Penas
Peter Cevini, 31 anni, nel 2023 correrà nel team polacco Kiwi Atlantico-Cabo de Penas

Manca un team nostrano

L’impressione è che questo trend sia lungi dall’essere invertito. Molti ragazzi che hanno intenzione di affrontare questa difficile strada sono ben coscienti di dover prima o poi partire e immergersi in una realtà totalmente diversa dalla nostra. Poi starà a loro, al loro talento e ai loro risultati potersi affermare, almeno finché non torneremo ad avere un team nella massima serie targato Italia. C’è nella Formula 1, nella vela, nel motomondiale, perché non può succedere nella patria del ciclismo?

Sportful il main sponsor della crociera del ciclismo

08.10.2022
3 min
Salva

Sportful è il main sponsor della prossima Crociera del ciclismo, il viaggio organizzato come di consueto da Gazzetta Bike Academy, in collaborazione con l’agenzia veronese Moving Events, ed in programma dal 15 al 22 di ottobre. E quest’anno, a bordo della MSC Seaside, una delle navi da crociera più grandi e tecnologicamente avanzate oggi in navigazione, saranno ospiti niente di meno che Paolo Bettini – che di Sportful è attivo testimonial da oramai molto tempo – e Maurizio Fondriest.

Il programma di viaggio prevede l’iniziale partenza dal porto di Genova per poi far rotta verso Civitavecchia. Dopo una bella pedalata nella Tuscia, oppure una necessaria escursione nella città di Roma, si ripartirà navigando verso sud per arrivare nella meravigliosa Palermo. Dalla Sicilia si transiterà poi da Ibiza per giungere in Spagna, nel porto di Valencia. Ancora uno stop, ideale per poter ancora pedalare in compagnia dei due ex campioni del mondo, e poi ancora navigazione verso Marsiglia, in Francia, penultima “tappa” in mare della settimana che si chiuderà nuovamente a Genova da dove il gruppo si è inizialmente imbarcato.

In regalo la nuova maglia

Il viaggio durerà dunque complessivamente 8 giorni (7 invece saranno le notti da trascorrere a bordo) con trattamento “all inclusive”. A tutti i partecipanti verrà inoltre regalata la nuova maglia tecnica che Sportful stessa ha espressamente disegnato e prodotto per questa iniziativa. Come accennato, una volta a terra, nelle località di Civitavecchia, Palermo, Ibiza e Valencia, sarà possibile pedalare e seguire uno dei due gruppi in bici che verranno organizzati, denominati rispettivamente “easy” e “strong” a seconda della propria condizione di allenamento.

Durante la navigazione saranno invece previsti assieme ai due top testimonial di questa crociera Gazzetta Bike Academy numerosi incontri tematici sul ciclismo: un modo diverso ed al tempo stesso decisamente… “itinerante” per vivere la propria passione per la bicicletta.

Sportful ha appena presentato la nuova collezione invernale
Sportful ha appena presentato la nuova collezione invernale

Oltre a Sportful, supportano attivamente questa iniziativa anche altri partner di settore come FSA, Vision, Prologo, Topek, Eleven, Bryton, Elite, NAMEDSPORT> e la riconosciuta commerciale veneta dei fratelli Campagnolo Ciclo Promo Components.

Moving Events

Sportful

Busatto: esclusione mondiale e futuro alla Intermarché

30.09.2022
4 min
Salva

La Intermarché Wanty Gobert ha lanciato il suo team di sviluppo, un passo importante per crescere ancor di più tra le squadre più importanti del panorama WorldTour. In questo nuovo progetto della squadra under 23 direttamente legata al team dei professionisti, sono stati inclusi due giovani italiani. Il primo è Delle Vedove, di cui vi avevamo parlato un paio di settimane fa, il secondo è Francesco Busatto.

Il secondo acquisto della squadra belga arriva dal Veneto e corre (ancora per pochi giorni) con la General Store (in apertura alla Piccola Sanremo, photors.it). Un ragazzo dal profilo interessante, che ha nella costanza una delle sue qualità principali, grazie alla quale si è meritato la maglia azzurra all’europeo di Anadia e la convocazione, seppur come riserva, al mondiale australiano. 

Francesco Busatto è stato uno dei protagonisti degli europei di Anadia, correndo in appoggio dei compagni
Francesco Busatto è stato uno dei protagonisti degli europei di Anadia, correndo in appoggio dei compagni
Francesco, come è andata la trasferta a Wollongong?

La trasferta è andata bene tutto sommato, è stata comunque una bella esperienza. Ovvio che mi sarebbe piaciuto correre la prova iridata, mi sentivo anche in buona condizione, ma Amadori ha deciso così. 

Che sentimento hai provato?

Tristezza, ma mi è durata solo un giorno. Sicuramente non rabbia, Marino ha preso la sua decisione e la rispetto. Era dispiaciuto anche lui di non farmi correre, d’altra parte c’erano altri atleti che sarebbero potuti essere più utili di me alla causa. 

Il percorso ti piaceva? Lo ritenevi adatto alle tue caratteristiche?

Era abbastanza adatto al tipo di corridore che sono, sicuramente avrei corso in appoggio ai miei compagni, era andata così anche all’europeo. Probabilmente avrei cercato di inserirmi nella fuga iniziale, anche se è facile dirlo a quasi una settimana di distanza. Non c’era nulla di facile o scontato, anche perché i miei compagni hanno provato ad entrare in quella fuga e non ci sono riusciti, non è quindi detto che io ce l’avrei fatta. 

Dal 2023 sarai nel team development dell’Intermarché, com’è nato il contatto?

Il contatto è nato tramite il mio procuratore Maurizio Fondriest, abbiamo fatto una videochiamata due settimane dopo il ritiro con la nazionale al Sestriere. Mi hanno fatto subito capire che erano disposti a prendermi e che credono in me, hanno visto i miei risultati e la mia costanza ed anche i dati dei miei test. 

Tronchon Biella 2022
Busatto sul secondo gradino del podio al Giro della Provincia di Biella (foto IlBIellese)
Tronchon Biella 2022
Il 24 aprile il francese aveva vinto in solitudine il Giro della Provincia di Biella con 1’10” su Busatto e Guzzo (foto IlBIellese)
Deve essere stata una bella notizia…

Ero molto felice perché è un progetto molto ambizioso ed in più per me è un’opportunità grandissima per avvicinarmi al mio sogno di correre nel WorldTour. Sono molto fiducioso, non vedo l’ora di cominciare. Credo proprio che un passo del genere (quello di correre all’estero, ndr) sia fondamentale per diventare professionista. 

Non ti sembra strano non aver mai visto i tuoi tecnici e diesse di persona ma solo in video?

Essendo abbastanza distanti è normale non essersi mai visti di persona, abbiamo questi mezzi tecnologici, è anche giusto usarli. Con il diesse, Kevin Van Melsen, che quest’anno corre ancora con loro ma l’anno prossimo cambierà ruolo, ci sentiamo spesso. 

Quando li vedrai per la prima volta?

Andrò in Belgio verso metà ottobre, il 19 ed il 20, per vedere il materiale e conoscere l’ambiente. 

Ti trasferirai in Belgio o rimarrai in Italia?

Resterò in Italia ad allenarmi, useremo delle piattaforme per monitorare il rendimento e lo stato degli allenamenti, continuerò a lavorare con il mio preparatore: Paolo Santello. Lì in Belgio c’è un appartamento che useremo per i ritiri o per quando ci saranno tante gare ravvicinate. 

Per Busatto (a destra con gli occhiali bianchi) si chiude la parentesi in General Store (photors.it)
Per Busatto (a destra con gli occhiali bianchi) si chiude la parentesi in General Store (photors.it)
Rosola aveva espresso il desiderio di lavorare con te, cosa ti ha detto di questa decisione?

Con lui ci siamo parlati, com’è giusto che sia. Ovviamente mi avrebbe voluto tenere, però l’attività internazionale della Intermarché è una cosa completamente diversa rispetto a quella che possono fare le continental italiane. Correremo in tutta Europa, in gare di livello altissimo, è completamente diverso rispetto a quello che può fare la General Store, con tutto il rispetto che ho per loro che mi hanno trattato benissimo e mi hanno dato l’opportunità di correre. 

Troverai un livello molto alto, ti senti pronto?

Qualche corsa l’ho fatta, certo, tutte in Italia, però una minima idea di quel che mi può attendere ce l’ho. Penso che qualche risultato riuscirò a farlo. Il modo di lavorare e di allenarmi sarà diverso, di conseguenza mi aspetto di avere un’altra condizione.

Questo salto ti spaventa?

In realtà passare in una squadra così grande non mi spaventa, se si vuole fare questo sport non bisogna aver paura di andare lontano da casa o imparare una nuova lingua. Sono esperienze che servono anche nella vita di tutti i giorni, non solo quella sportiva.

Oliver Stockwell: un britannico in terra friulana

06.06.2022
4 min
Salva

Nel corso del nostro viaggio alla scoperta delle tante realtà giovanili del nostro Paese siamo spesso entrati in contatto con il Cycling Team Friuli. La squadra, guidata caparbiamente da Roberto Bressan e Renzo Boscolo, ci ha mostrato di saper pescare tra i giovani e di avere il merito di guidarli passo passo nella loro crescita personale e sportiva. Così, quando alla corte friulana, accompagnato da Maurizio Fondriest si è presentato un giovane inglese, Oliver Stockwell, la spia della curiosità si è accesa.

Oli” in questi giorni sta correndo l’Adriatica Ionica Race, ha chiuso la prima tappa al 19° posto e la seconda sul Grappa al 14°. Un bel risultato, se si pensa che domani (7 giugno, ndr) compirà 20 anni.

Oliver Stockwell è arrivato al CTF nello scorso mese di novembre
Oliver Stockwell è arrivato al CTF nello scorso mese di novembre
Ciao Oliver, innanzitutto da che parte dell’Inghilterra arrivi?

Da un paese poco fuori Londra. 

Quando sei arrivato per la prima volta in Italia?

La prima volta che sono venuto qui in Italia è stato lo scorso autunno, all’inizio di novembre, per conoscere il team ed i miei compagni. Poi ho fatto un po’ di volte avanti e indietro dall’Inghilterra per allenarmi con i ragazzi.

E quando ti sei stabilito definitivamente?

Mi sono trasferito in pianta stabile da febbraio.

Ecco la sua Merida con nome e cognome e la bandiera del Regno Unito
Ecco la sua Merida con nome e cognome e la bandiera del Regno Unito
Vivi da solo?

No, vivo insieme ad un mio compagno di squadra che viene da Taiwan, Sergio Tu. Mi ha aiutato molto ad ambientarmi, passiamo tanto tempo insieme. Nei giorni di riposo andiamo in città a fare un giro o prendiamo un caffè al bar.

Com’è vivere da solo, lontano da casa, ti manca?

Mi trovo bene, ovviamente a volte mi manca casa, ma tutto sommato sto bene. Mi piace molto l’Italia, specialmente il Friuli, è un bel posto, soprattutto per allenarsi in bici. C’è sempre un bel clima, caldo, a volte troppo – ride – ora che arriva l’estate le temperature si alzano tantissimo, a Londra è difficile che si superino i 30 gradi, anche in estate. La gente è fantastica, tutti sono gentili, è una cultura differente rispetto a quella inglese.

Come ti trovi con la nostra cultura?

Sono molto a mio agio, mi piacciono le persone, sono divertenti, a volte anche molto rilassate. Ci sono delle differenze, ma non saprei bene come definirle. Con il cibo, invece, mi trovo benissimo, è davvero molto buono. Anche quando vivevo in Inghilterra mangiavo spesso italiano, non ho un piatto preferito, mi piacciono tutti.

Oliver vive nella casa dedicata agli atleti del CTF alle porte di Udine, convive con l’altro corridore Sergio Tu
Oliver vive nella casa dedicata agli atleti del CTF alle porte di Udine, convive con l’altro corridore Sergio Tu
Qual è stata la cosa più difficile alla quale ti sei adattato?

Quando in questi mesi ha iniziato a fare davvero caldo, per me è stato uno shock. Anche le prime gare con certe temperature sono state complicate, poi dopo pochi giorni, direi una settimana, mi sono adattato.

E per quanto riguarda la squadra, i compagni, le gare, quali sono le tue sensazioni dopo un po’ di mesi qui?

La squadra è davvero buona, lavoriamo tanto insieme, le corse italiane sono difficili ed il livello di competizione è sempre molto alto. Però devo dire che mi sto adattando bene e questo sarà utile per il resto della stagione. Il livello dei miei compagni è alto, sono davvero molto forti, ma questo serve per crescere di condizione giorno dopo giorno. Per quanto riguarda le corse sono molto tattiche rispetto a quelle inglesi, è un modo differente di correre.

Qui dopo l’arrivo della seconda tappa dell’Adriatica Ionica Race conclusa al 14° posto a Cima Grappa
Qui dopo l’arrivo della 2ª tappa dell’Adriatica Ionica Race conclusa al 14° posto sul Grappa
Con l’italiano come te la cavi?

Sto imparando, ad ascoltare sono più facilitato, ma parlarlo è davvero difficile. Per fortuna i miei compagni sono davvero bravi a parlare inglese. 

Il tuo procuratore è Maurizio Fondriest, come lo hai conosciuto?

L’ho conosciuto la scorsa estate in Belgio, ai mondiali. Ho un amico che mi ha detto che è importante, quando vai in un team italiano, avere un procuratore che conosce la lingua e che ti possa aiutare a capire ed ambientarti. Poi Maurizio non ha bisogno di presentazioni, lui è bravissimo e mi fido pienamente di quel che mi dice.

Tu hai praticato sia ciclocross che strada quando eri in Inghilterra.

In Inghilterra praticamente tutti da piccoli facciamo più discipline: pista e strada, oppure strada e ciclocross, o anche ciclocross e Mtb. Per me era anche un qualcosa di divertente da fare durante l’inverno, per tenersi allenati ed attivi. Aiuta molto anche per quanto riguarda la guida della bici.

Alpecin training camp a Caldaro: Fondriest racconta

18.04.2022
4 min
Salva

Sulle stesse strade su cui è appena iniziato il Tour of the Alps, si è concluso da pochi giorni il training camp dell’Alpecin, un progetto che ha visto come ambassador Maurizio Fondriest. Il programma di Alpecin è quello di mettere la bici al centro di tutto, coinvolgendo anche tutti i livelli dirigenziali dell’azienda. 

La bici è stata al centro del camp Alpecin di Caldaro
La bici è stata al centro del camp Alpecin di Caldaro

Parola d’ordine: evoluzione

«Dopo 10 anni – spiega Maurizio – il progetto Alpecin è cambiato. Prima si costituiva un team amatoriale di una decine di persone e per un anno le si allenava per arrivare a fare la Gran Fondo Ötztaler a Solden in Tirolo. Era un progetto che voleva avvicinare le persone alla bici e la scelta dei partecipanti non è mai stata per il livello prestazionale. C’erano persone che hanno proprio imparato ad andare in bici, a condurre il mezzo. Erano tutti seguiti da un preparatore che li allenava, avevamo in gruppo persone di tutti i tipi e nazionalità.

«Ora – riprende Maurizio – l’idea è diversa, si è deciso di ampliare il bacino di utenti, avvicinando ancor più la gente alla bici. A Caldaro abbiamo fatto un camp che ha coinvolto tante figure del mondo Alpecin: dai manager, ai responsabili delle aree marketing e sviluppo. Unendo a tutto questo anche le bellezze del territorio al quale sono particolarmente legato».

Grazie alle numerose pedalate i partecipanti hanno potuto scoprire tutti i giorni dei nuovi paesaggi
Grazie alle numerose pedalate i partecipanti hanno potuto scoprire tutti i giorni dei nuovi paesaggi

La bici al centro

Questo progetto di Alpecin aveva il focus di voler avvicinare tutti coloro che lavorano con il brand. Soprattutto quelle dei Rider Capitan, delle figure che sono diventate fondamentali per Alpecin. 

«Quello dei Rider Capitan prosegue il trentino – è un progetto davvero singolare ed innovativo. Sono delle figure che hanno il compito di promuovere ed unire tutti gli appassionati di ciclismo di ogni città. Per il momento sono solamente in Germania, organizzano il ritrovo e ogni volta disegnano itinerari diversi. L’obiettivo principale è la socialità».

L’ultimo giorno si è organizzata una pedalata sul lago di Caldaro con tappa al rifugio per mangiare tutti insieme
L’ultimo giorno si è organizzata una pedalata sul lago di Caldaro con tappa al rifugio per mangiare tutti insieme

Il training camp

Come ha lavorato allora Alpecin al training camp? Come ha funzionato questo progetto? «In collaborazione – spiega Maurizio – con la APT (Associazione di Promozione Territoriale) di Caldaro avevamo l’intento di far conoscere il territorio attraverso la bici. Il camp è durato per una settimana, con l’obiettivo di coinvolgere tutte le figure dell’azienda. La mattina si pedalava tutti insieme, i Rider Capitan avevano il loro giro da fare e qualche volta sono andato con loro.

«La cosa più particolare – riprende – era che la mattina anche le figure dirigenziali dell’azienda era coinvolte nella pedalata. Non era importante in che modo, c’era possibilità per tutti di potersi divertire e poter scoprire paesaggi sempre nuovi, in sella a bici elettriche o muscolari».

La bicicletta è un mezzo di condivisione e uno strumento per rafforzare anche i legami lavorativi
La bicicletta è un mezzo di condivisione e uno strumento per rafforzare anche i legami lavorativi

Momenti di condivisione

Il ciclismo è prima di tutto condivisione e avventura. Si scoprono posti nuovi e si pedala fianco a fianco con gente sempre nuova.

«La bici – racconta Fondriest – è un bel modo di condividere passioni ed idee. Sentivo i vari dirigenti parlare e confrontarsi su idee di lavoro con un piglio diverso, con un trasporto maggiore, che è solo quello che la bici ti può dare. Abbiamo pedalato in posti meravigliosi e scoperto anche le tradizioni del posto. Durante l’ultima giornata siamo andati in cima al lago di Caldaro, dove c’è un rifugio ed abbiamo mangiato tutti insieme. Il camp è finito venerdì, alcuni dirigenti e dei Rider Capitan si sono fermati sabato per disputare la Mendola Race, una cronoscalata del Passo Mendola».

Alpecin con la sua attività sarà presente anche all’Etape du Tour, una manifestazione che andrà in scena domenica 10 luglio e porterà i corridori alla conquista dell’Alpe d’Huez. Si fermeranno poi a Carcassone per fare un altro camp.

Dai pedali a sgancio al reggisella di Mohoric, Fondriest racconta

27.03.2022
7 min
Salva

La bicicletta ha più di 200 anni. E’ cambiata, si è evoluta, modificata e non smette di cambiare. Eppure alcuni passaggi storici hanno segnato più di altri la sua crescita. I freni a disco è solo l’ultimo dei tanti sanpietrini che tassellano il sentiero che percorre la bicicletta. La posizione in sella, l’aerodinamica e tutti i componenti votati a massimizzare quei “marginal gains” (per usare un aggettivo tanto di moda) che messi insieme fanno la differenza. I pedali a sgancio rapido, il carbonio e le ruote ad alto profilo. Il cambio elettronico e l’abbigliamento, ma anche quel richiamo al comfort funzionale alla performance e non è solo il reggisella telescopico. Affrontiamo di petto l’argomento con un Campione del Mondo e appassionato della tecnica legata al mezzo meccanico, Maurizio Fondriest.

Nel 1988 Fondriest vince il mondiale di Renaix, dopo il pasticcio di Bauer e Criquelion
Nel 1988 Fondriest vince il mondiale di Renaix, dopo il pasticcio di Bauer e Criquelion
Se Fondriest dovesse dare un ordine alle cose, quali sono le innovazioni che hanno fatto la differenza nell’evoluzione della bicicletta?

Il percorso evolutivo della bici è composto da tantissimi tasselli, ognuno ha e ha avuto un ruolo importante, alcuni di questi molto più di altri. Facendo una scaletta il primo gradino è occupato dai pedali a sgancio rapido della Look, quelli usati da Hinault. Il secondo dalle leve STI Shimano, le prime ad integrare il cambio, utilizzate per la prima volta da Phil Anderson al Giro del Lazio nel 90. Poi c’è il manubrio da crono usato da Lemond, quando ha vinto il Tour e in parallelo il primo abbigliamento in Lycra usato dagli atleti DDR e dai russi, più o meno gli anni erano quelli, poco prima. In questa classifica è da inserire anche il primo cambio elettronico della Mavic, le ruote ad alto profilo ed il carbonio. E poi il casco, anche se potrebbe essere all’apice della classifica.

Hinault con i primi pedali a sgancio firmati Look, vinse il TDF
Hinault con i primi pedali a sgancio firmati Look, vinse il TDF
Cosa hanno permesso di migliorare i pedali a sgancio rapido?

Il primo vantaggio è stato il miglioramento della sicurezza, soprattutto se si pensa ai vecchi lacci che legavano il piede al pedale e che, in caso di caduta, erano davvero pericolosi. E poi il miglioramento dei componenti, calzature comprese, ha portato ad aumentare anche le prestazioni. Mi raccontò Hinault, che un amico appassionato di sci, aveva iniziato ad utilizzare questo sgancio automatico proprio sugli sci. Hinault ha chiesto se la soluzione era trasferibile alla bici e oggi è difficile immaginare una bici senza i pedali a sgancio.

Il primo pedale automatico Look (foto Look)
Il primo pedale automatico Look (foto Look)
Invece il cambio integrato nei manettini e sul manubrio?

E’ entrato ufficialmente in commercio nel 1991. Ho iniziato ad usarlo proprio in quell’anno alla Panasonic. Pesava quasi 500 grammi in più di quello tradizionale con le levette sulla tubazione obliqua, ma era efficiente e veloce. Ti permetteva di tenere le mani sempre ben salde sul manubrio e quindi si univa velocità della cambiata e sicurezza. Sono due argomenti molto dibattuti anche oggi e sono passati 30 anni.

Un grafico della trasmissione Shimano Di2 a 12 velocità
Un grafico della trasmissione Shimano Di2 a 12 velocità
Come ha influito invece il manubrio da crono di Lemond, sulle bici di oggi?

In realtà ci sono due episodi molto vicini tra loro, il Tour di Lemond e anche gli atleti della DDR che si presentavano alle crono con dei manubri che chiamavamo a corna di bue. Erano le prime appendici che vedevamo e loro avevano una posizione molto vantaggiosa. Tornando a Lemond e alla grande vetrina della Grand Boucle, la sua bici da crono con il manubrio specifico ha dato il via agli studi aerodinamici legati alla bicicletta. Inoltre lui utilizzò due manubri differenti tra il prologo e l’ultima tappa di Parigi. Alla tappa di apertura il manubrio era uno Scott da triathlon, riadattato, mentre a Parigi ha usato un prodotto differente, ma comunque specifico per la bici da crono. Oggi la ricerca dell’aerodinamica non è solo legata alle crono, ma a tutto il segmento bici.

E per quanto riguarda l’abbigliamento?

L’abbigliamento moderno e la sua estremizzazione dei tessuti, del fitting e dell’ergonomia, hanno stravolto il concetto di comfort, di aerodinamicità dell’atleta e hanno contribuito a far capire alcuni aspetti positivi dell’abbassamento di peso. Prima si correva con le maglie di lana, pesanti ed ingombranti. I primi ad usare dei prodotti aderenti, sembravano quasi dei body, sono stati i corridori DDR.

Anche l’industria tessile ha contribuito al processo di evoluzione del settore, Fondriest racconta…
Anche l’industria tessile ha contribuito al processo di evoluzione del settore
Il cambio elettronico, le ruote ad alto profilo ed il carbonio quali benefici hanno portato?

L’elettronica ha dato il via ufficiale all’integrazione e all’ingresso di nuove tecnologie in un settore che era un po’ statico da molti anni. All’epoca la trasmissione Mavic non funzionava in modo ottimale, ma la categoria è cresciuta e oggi i corridori pretendono il cambio elettronico. Si narra che Zulle perse il Tour perché si blocò il cambio durante la crono. Le ruote ad alto profilo hanno permesso di aumentare le velocità e di sfruttare le masse in movimento. Le prime sono state le Campagnolo Shamal. Il gruppo di bici e di corridori che si muove è una massa che si sposta. Il carbonio ha fatto abbassare i pesi, ma ci sono voluti alcuni anni prima di raggiungere un bilanciamento ottimale tra leggerezza e rigidità. Le materie composite hanno cambiato le forme di bici e tubazioni, ma in questo passaggio faccio rientrare anche l’alluminio. E poi ci sono anche i freni a disco, che hanno cambiato la bici da corsa dopo 200 anni.

Nelle tappe veloci e nelle crono, Pantani usava le Shamal
Nelle tappe veloci e nelle crono, Pantani usava le Shamal
La bicicletta moderna è il risultato di tante cose messe insieme?

Si, perché oltre a quelle citate ci sono una serie di innovazioni che hanno contribuito a far evolvere il settore. Ci sono i tubeless, ma li trovo una soluzione che non ha stravolto la categoria. C’è il power meter, ma più che lo strumento preferisco identificare la capacità di leggere i numeri, i dati e di come questi hanno cambiato il modo di allenarsi. Io ad esempio ho usato il primo misuratore nel 93, ma all’epoca non c’era la coscienza e la conoscenza per sfruttare le potenzialità del prodotto.

Computerini, dati e numeri, tanta elettronica nel ciclismo di oggi, potrebbero rientrare anche i canali social
Computerini, dati e numeri, tanta elettronica nel ciclismo di oggi, potrebbero rientrare anche i canali social
E poi ci hai nominato il casco integrale

Sono stato il primo ad usare il casco integrale e rigido, era il 1993. Da li non ho mai più tolto il casco ed in gruppo talvolta ero l’unico ad averlo indossato. Da li in poi la sicurezza è cambiata in maniera decisa, per fortuna.

Mohoric ha usato una scultura per poter montare il reggisella telescopico, secondo Fondriest un’ottima idea
Mohoric ha usato una scultura per poter montare il reggisella telescopico
Se ne parla ancora in questi giorni, cosa pensa Fondriest del telescopico usato da Mohoric?

Lo ha provato in precedenza e dobbiamo contestualizzarlo all’evento Sanremo che abbiamo vissuto lo scorso fine settimana. Non lo vedo come un’innovazione e non mi stupirei se fosse vietato dall’UCI.

Cosa possiamo aspettarci dal futuro della bici?

Credo che la ricerca punterà molto sulla riduzione degli attriti, sulla trasmissione in molti comparti della bicicletta. Anche in questo campo le tecnologie hanno fatto passi da gigante. E poi mi immagino la trasmissione senza catena, perché è stato cambiato tutto, ma parliamo ancora della bicicletta che si muove grazie ad un componente come la catena.

Andreaus: primo podio e sprazzi di talento

18.03.2022
5 min
Salva

Marco Andreaus ha conquistato il suo primo podio tra gli under 23 domenica 13 marzo alla Due Giorni per Alessandro Bolis (foto apertura Scanferla). Ha regolato la volata di gruppo alle spalle di Manlio Moro, arrivato sul traguardo con 25 secondi di vantaggio.

«Il mio obiettivo – dice Marco Andreaus – era di ottenere un podio nell’arco della stagione, non mi aspettavo arrivasse così presto. All’inizio della gara non credevo molto in me stesso poi piano piano ho sentito che la gamba era buona e mi sono lanciato nello sprint». 

Marco ha la voce felice, è molto entusiasta e lo si capisce dalle sue parole cariche di trasporto. E’ al suo primo anno da under 23 e corre con il Cycling Team Friuli e oggi lo conosciamo insieme.

Marco Andreaus da junior ha corso con la Assali Stefen Omap, qui nella vittoria alla Coppa Città di Tavo (foto Scanferla)
Andreaus da junior ha corso con la Assali Stefen Omap, qui alla Coppa Città di Tavo (foto Scanferla)
Come sono andati questi primi mesi nella nuova categoria?

Bene, il passaggio di categoria si sente anche se ho sofferto un po’ meno rispetto a quanto mi aspettassi. La differenza maggiore l’ho trovata nella qualità della preparazione e dell’allenamento, da junior non sono mai stato abituato a fare più di tre ore di allenamento in inverno. Ho anche avuto la fortuna di andare a fare un training camp con la Bahrain Victorious.

Com’è stato trovarti faccia a faccia con quei campioni?

Bellissimo (fa un piccolo silenzio, come se stesse sognando, ndr), ero nel gruppo di lavoro con Colbrelli e Caruso. Pedalare gomito a gomito con loro è incredibile, prima li avevo visti solamente in TV. Ho fatto loro un sacco di domande, a Damiano ho chiesto come affrontano le salite e mi ha dato qualche consiglio. A tavola parlavamo delle corse che hanno vinto quando loro erano under.

Un consiglio particolare che ti ricordi?

Quello di non finirmi con troppi allenamenti (ridacchia, ndr).

Marco alle spalle di Wout Poels a sinistra e Jack Haig a destra nel ritiro di dicembre con la Bahrain Victorious
Marco alle spalle di Wout Poels a sinistra e Jack Haig a destra nel ritiro di dicembre con la Bahrain Victorious
Il tuo diesse, Renzo Boscolo ha detto che ti ha portato da loro Fondriest, cosa ti ha convinto a scegliere il CT Friuli?

Devo ammettere che il Cycling Team Friuli lo conoscevo già, ci sono tanti corridori trentini che hanno corso e che corrono qui. Renzo e Maurizio si sono incontrati agli europei di Trento e poi tutti insieme abbiamo parlato del progetto e mi sono convinto a venire qui.

Con Maurizio come ti trovi?

Bene, anzi, molto bene. Siamo insieme da tre anni, da quando ero junior di primo anno. Mi tratta come un figlio, ogni tanto viene da me o mi invita da lui a mangiare la pizza. Capita che usciamo insieme in bici d’estate e lì mi riempie di consigli…

Cosa ti dice in particolare?

Di stare tranquillo e di non aver fretta di crescere. Di non sfinirmi con allenamenti troppo lunghi, sono all’inizio della mia carriera, le cose arriveranno al momento giusto. Soprattutto mi raccomanda di non perdere la mia grinta.

Qui con Jonathan Milan ed i compagni del Cycling Team Friuli davanti al bus della Bahrain
Qui con Jonathan Milan ed i compagni del Cycling Team Friuli davanti al bus della Bahrain
I prossimi obiettivi?

Visto che sono in una squadra continental mi piacerebbe correre qualche gara internazionale. Vorrei testarmi in corse un pochino più impegnative, ma tutto arriverà a tempo debito, ora c’è la scuola da finire.

Che scuola fai?

Frequento l’istituto tecnico di Trento, indirizzo meccatronica.

Vivi a Trento?

Vivo a Borgo Valsugana

Essendo lontano dalla squadra ti alleni da solo?

Quando faccio scarico, il lunedì ed il venerdì, mi alleno con dei miei amici che correvano fino allo scorso anno. Il martedì sono a scuola anche il pomeriggio quindi non mi alleno, il mercoledì e il giovedì mi alleno sul lungo da solo. Un pochino mi pesa, ma sono solo due giorni. Anche se il prossimo anno conto di essere più vicino alla squadra.

Marco Andreaus insieme al suo procuratore e mentore Maurizio Fondriest
Marco Andreaus insieme al suo procuratore e mentore Maurizio Fondriest

Parola al diesse

«Il podio ottenuto domenica è la cosa più concreta ed evidente – dice Renzo Boscolo – ma Marco ha fatto anche tante altre cose belle. Come squadra gli abbiamo sempre chiesto di andare in fuga ed in tutte le corse è sempre riuscito ad entrarci. Ha un gran carattere, ed è molto concreto, riesce sempre a mettere in pratica ciò che gli chiediamo.

«Più che il risultato quel che conta è l’approccio, deve imparare a correre, a fare fatica per tutta la gara. Solamente così riuscirà a crescere ritagliandosi lo spazio giusto anche in categorie superiori. Ora non è importante il risultato, ottenere una vittoria rimanendo sempre nascosti nella pancia del gruppo ti insegna poco, i ragazzi devono imparare a fare fatica. 

A sentirlo parlare Marco sembra davvero un ragazzo con la testa sulle spalle, consapevole di ciò che fa. 

«E’ un ragazzo molto ambizioso – riprende Renzo – poi però bisogna saper mediare il tutto. Ad un ragazzo del primo anno è inutile far correre troppe gare a tappe o corse con i pro’. Non avrebbe nemmeno il tempo per prepararle, come dico sempre: prima c’è la scuola da finire».

Carlotta Fondriest, una bella scommessa da raccontare

31.01.2022
5 min
Salva

Nel suo DNA ci sono sicuramente cromosomi e geni del ciclismo, ma lei la bici l’ha scoperta solo nel 2019. Giusto un paio di giri poi nulla, fino ad inizio dell’anno successivo quando, complice il lockdown causato dal Covid, è esplosa definitivamente la passione. Ed ora Carlotta Fondriest – figlia di Maurizio – cerca di farne un lavoro grazie all’ingaggio nell’Aromitalia-Basso Bikes-Vaiano

«Sono molto orgogliosa del salto che ho fatto nell’ultimo periodo – racconta la trentina che ha compiuto 25 anni lo scorso 2 gennaio, laureata in fisioterapia e che vive a Lucca da un anno – ma da qui a dire che sono una ciclista professionista ce ne passa ancora tanto».

La montagna è la passione di famiglia, anche se adesso Carlotta vive in Toscana (foto Facebook)
La montagna è la passione di famiglia, anche se adesso Carlotta vive in Toscana (foto Facebook)

Chiamata meritata

Qualche giorno fa il suo diesse Matteo Ferrari ce l’aveva descritta come una ragazza che si era meritata questa chiamata. Una scommessa, come ce ne sono tante nel ciclismo femminile. Solo il tempo dirà se sarà vinta o meno, di certo la Fondriest vuole giocarsi al massimo le proprie possibilità a fronte di alcune giovani che pedalano da sempre e che forse danno per scontato troppe cose senza sfruttare a dovere le proprie occasioni.

Quando la contattiamo per conoscere meglio la sua storia, il trillo del suo telefono ci fa capire che è all’estero. La troviamo in Spagna a Calpe… aggregata al ritiro della Novo Nordisk, team professional di cui il suo fidanzato Giovanni Stefania è il preparatore atletico. Un bel modo per fare la gamba.

Carlotta ha iniziato a pedalare quasi per caso, seguendo papà Maurizio in uno dei suoi stage alle Canarie (foto Facebook)
Carlotta ha iniziato a pedalare per caso, seguendo papà Maurizio alle Canarie (foto Facebook)
Carlotta, questo rapporto con la bici come è sbocciato?

Tre anni fa. Avevo seguito alle Canarie mio padre che faceva da guida ad alcuni amatori. Mi ero fatta prestare una bici per 2/3 giorni per uscire con loro. Avevo staccato solo quelli meno allenati. Poi mai più usata fino ad inizio 2020. Quando hanno chiuso tutto, pedalavo quasi ogni giorno per massimo due ore sulle varie piattaforme. E quando è finito il lockdown ho fatto tante ore su strada, anche prima di andare al lavoro. Un weekend, mentre facevo un tirocinio a Negrar, andai a trovare una mia amica a Vicenza in bici. Centocinquanta chilometri con tremila metri di dislivello all’andata e stessa cosa al ritorno. Ma non erano allenamenti come quelli che ho iniziato a fare nell’ultimo anno.

Tuo padre ha influito in questa scelta?

No, benché io lo vedessi come il mio idolo. Non mi ha mai forzato. Forse perché conosce bene le difficoltà di questo sport e perché fino a 14 anni ho fatto pattinaggio artistico su ghiaccio. Quando ho smesso ho continuato a fare sport tra danza e atletica, solo per tenermi in forma. Poi credevo che il ciclismo fosse molto maschile. Mi sbagliavo. Ho scoperto da vicino che la ciclista è una bella immagine.

Il tuo cognome pensi che possa crearti qualche pressione?

Non credo, io la vivo con molta serenità questa situazione. La vedo come una sfida con me stessa, anche perché, forse vedendo mio padre, mi è sempre piaciuto fare la vita da atleta. E saper gestire questa pressione.

Incontri in allenamento sulle strade toscane: qui con Michele Bartoli
Incontri in allenamento sulle strade toscane: qui con Michele Bartoli
Il 2021 è stata la tua prima stagione da elite disputando qualche gara. Come è andata?

Con tanti alti e bassi, chiaramente. Ero tesserata con la Open Cycling Team, squadra in cui il mio moroso faceva il diesse e in cui c’era anche Vittoria Bussi. La mia prima gara in assoluto è stata quella di Montignoso, che quest’anno è diventata internazionale. Nella prima ora e mezza di corsa sono sempre stata davanti. Ma non sapevo gestirmi, non avevo mangiato e bevuto nulla. E per questo motivo, all’inizio della salita, mi sono toccata con un’altra ragazza e sono caduta. Poi ho corso altre gare open ed il campionato italiano in Puglia dove ho visto da vicino super atlete come Longo Borghini, Cavalli e tante altre. Infine ho fatto il Giro di Campania a novembre dove volevo farmi notare.

E’ stata in quell’occasione che è nato il contatto col Vaiano?

No, in realtà molto prima. Giovanni conosce bene Paolo Baldi (rispettivamente il suo fidanzato ed il diesse del Vaiano, ndr) e gli aveva fatto vedere qualche mio test, così per curiosità. Da lì mi hanno tenuto sott’occhio, mi hanno dato appoggio e supporto durante le gare open. Ed ora sono pronta a dare il meglio in questa avventura con loro. Voglio fare un ulteriore salto di qualità.

In ottima compagnia, con Camargo e Arroyave: due promesse della EF Education
In ottima compagnia, con Camargo e Arroyave: due promesse della EF Education
Immaginiamo che dovrai fare esperienza su tanti aspetti.

Certo. Le performance atletiche sono fondamentali ma anche cosiddette skill tecniche sono importantissime. Stare in gruppo, prendere le borracce dalla ammiraglia oppure essere più fluida in discesa. O ancora saper gestire la concentrazione durante la gara. L’anno scorso consumavo troppe energie per restare attenta e mi scordavo di alimentarmi.

E gli sforzi, che saranno maggiori rispetto all’anno scorso, ti spaventano?

No, l’impegno fisico non mi ha mai fatto paura. So che in questo sport devi essere convinto altrimenti non sali in bici per fare fatica. Per me correre è un sogno. Ora sono tranquilla perché ho qualche sicurezza in più per poterlo fare. Odio i talenti sprecati sia a scuola, sia nel lavoro che nello sport. Credo che la costanza e l’impegno paghino sempre. La maturazione in questi casi è essenziale.

Quali sono le tue caratteristiche?

Chi lo sa? Devo scoprirle anch’io (ride, ndr). Sono piccolina, quindi in teoria dovrei andare bene in salita. In pratica, allenandomi attorno a casa, mi piacciono gli strappi. Non so, mio padre dice che sono simile a lui, anche se siamo diversi fisicamente (sorride ancora, ndr).

Il suo compagno Giovanni Stefania è biomeccanico, parlammo con lui a proposito della schiena di Bernal: ricordate?
Il suo compagno Giovanni Stefania è biomeccanico, parlammo con lui a proposito della schiena di Bernal
Carlotta, chiudiamo la nostra chiacchierata. Dal 2022 cosa ti aspetti?

Continuerò a lavorare come fisioterapista e studiare Scienze Motorie (è iscritta all’università telematica San Raffaele di Roma, ndr). In bici invece l’obiettivo reale è finire bene le gare open. Un conto è andare forte in allenamento, un conto è ripetersi in gara. Devo crescere ed imparare molto, seguirò i consigli che mi verranno dati. E spero di guadagnarmi la partecipazione a qualche gara internazionale. Ringrazio il Vaiano per questa opportunità.