Si dice che Gilbert avrà giusto il tempo di appendere la bici al chiodo e poi diventerà presidente del CPA, il sindacato mondiale dei corridori. Di sicuro assieme a Trentin è uno di quelli che ci ha messo più spesso la faccia. Prima però ci sarà da festeggiare sul Cauberg con la Phil’s Last Ride. Il bilancio della carriera parla di 80 vittorie in 20 anni, con la sola Sanremo che manca alla collezione di Monumenti. Su quel muro olandese invece ha vinto quattro Amstel e il mondiale del 2012 e lassù ha invitato i suoi amici corridori il 15 ottobre. Fra loro, ci sarà Manuel Quinziato. I due hanno corso insieme per tutta la permanenza di Gilbert alla BMC. Per questo gli abbiamo chiesto un ritratto del grande belga che, al pari di Valverde e Nibali, ha scelto il 2022 come ultima stagione.
Gilbert sta annunciando sulla sua pagina Facebook i nomi degli amici per il suo addio. Qui QuinziatoGilbert sta annunciando sulla sua pagina Facebook i nomi degli amici per il suo addio. Qui Quinziato
Fine 2011, arriva Gilbert. Chi era?
Usciva dall’anno delle 18 vittorie, con Amstel, Freccia, Liegi e San Sebastian, per cui scrisse il libro My Year in Top Gear. Arrivò che era già il corridore più forte al mondo, anche se il primo anno fece un po’ fatica all’inizio. Poi si riprese, vinse due tappe alla Vuelta e alla fine il mondiale.
Che impressione ti diede?
Un bravissimo ragazzo. Sveglio, molto intelligente, uno che aveva visione di corsa. Quando sta bene, non sbaglia niente. Quello che mi ha impressionato, avendo vinto tutte quelle corse, fu che al primo ritiro, se ho capito bene, era la prima volta che usava l’SRM. Praticamente non usava nemmeno il cardio. Faceva tutto a sensazione. E anche quando faceva le SFR, si metteva a ruota di uno, poi scattava dietro a un altro. Una salita la faceva piano, quella dopo la faceva a tutta. Era genio e fantasia.
Il Cauberg è il muro di Gilbert: nel 2012 partì qui per vincere il mondiale, ma ha vinto anche 4 AmstelIl Cauberg è il muro di Gilbert: nel 2012 partì qui per vincere il mondiale, ma ha vinto anche 4 Amstel
Un tipo sveglio?
Una persona estremamente intelligente. Non ha mai corso in Italia, ad esempio, ma parla perfettamente l’italiano. Perché a Liegi comunque c’è un quartiere di italiani e poi ha corso in squadre belghe dove c’erano altri italiani. E alla fine lo ha imparato.
Siete amici?
Sicuramente c’è un rapporto d’amicizia. Un anno, il 2013, è venuto a Bologna per vedere un concerto dei Placebo con mio cugino e degli amici. Io conoscevo uno dei membri della band e siccome aveva origini belghe, a lui era venuta voglia di vedere un concerto. Anche quando poi ha cambiato squadra, era uno dei corridori con cui mi fermavo sempre a parlare. Quindi mi ha fatto molto piacere che mi abbia chiamato, anche se abbasserò il livello (ride, ndr), visti quelli che ci saranno.
Lombardia 2012, Gilbert fresco iridato: al via da Bergamo non sfugge al bagno di follaLombardia 2012, Gilbert fresco iridato: al via da Bergamo non sfugge al bagno di folla
Un vero leader?
Mi ricordo un Giro del Belgio in cui mi impressionò la sua mentalità vincente. Perché lui, che stesse bene o meno, faceva sempre la corsa. Ci sono corridori che sono più timidi o hanno meno personalità e anche se stanno bene e non si prendono responsabilità. Lui faceva sempre la corsa, non importava come stesse. Quella è una cosa che mi aveva colpito. A volte andava male, però quando stava bene e la squadra lavorava per lui, quello era sicuramente un giorno positivo. Ha carattere vincente, una mentalità che non tanti hanno così forte.
Quanto era pesante essere campione del mondo in Belgio?
Gli sono stato vicino quell’anno. Mi ricordo che quell’inverno facemmo un ritiro a ottobre: a Gand, senza biciclette. Era come girare con Cristiano Ronaldo, negli anni belli del Real Madrid. Una cosa impressionante.
Nel suo anno da iridato, nel 2013, una sola vittoria alla Vuelta (Tarragona) e una lunga serie di piazzamentiIl 2016 è l’ultimo anno di Phil alla BMC, l’anno dopo passerà alla Quick Step. E Quinziato tira…Nel suo anno da iridato, nel 2013, una sola vittoria alla Vuelta (Tarragona) e una lunga serie di piazzamentiIl 2016 è l’ultimo anno di Phil alla BMC, l’anno dopo passerà alla Quick Step. E Quinziato tira…
Ti è mai parso infastidito?
Ecco, questa è un’altra cosa positiva di Philippe. Si ferma con tutti i tifosi, sta con le persone. Questa è una cosa che mi piace molto, più diventi famoso e importante, più devi fare attenzione a questi aspetti. E lui si fa le foto con i fan che vogliono un autografo, si ferma con i bambini, è veramente disponibile con tutti.
Credi abbia sempre la stessa motivazione?
Quest’anno a 40 anni ha vinto una tappa e la classifica finale a Dunkerque. Se non sei estremamente motivato, è difficile vincere nell’ultimo anno. E anche se vince meno, comunque è un corridore che aiuta a vincere. Quindi in una squadra giovane come la Lotto Soudal in cui era quest’anno, sicuramente è stato utile per l’esperienza. E’ uno sport dove comunque avere accanto un corridore con la sua esperienza è importante.
Anche Quinziato è volato in Australia. Qui assieme a Ganna il giorno dopo la cronoAnche Quinziato è volato in Australia. Qui assieme a Ganna il giorno dopo la crono
Cosa ti aspetti dalla festa del Cauberg?
Non sarà il fine carriera di Federer, oppure magari sarà quello e sarà anche emozionante. Non so, non penso. Quando ha cambiato squadra, l’amicizia è rimasta uguale. Andremo per fare festa. I belgi su quello sono imbattibili.
A un certo punto serve… l’ignoranza. Badate bene, non è un invito all’analfabetismo né ad essere scortesi. Semplicemente quando si corre, arriva il momento in cui bisogna dimenticarsi delle buone maniere per prendersi quel che si deve. Così dopo qualche minuto parlando con Lorenzo Germani, grande talento della Groupama Fdj Conti, il consiglio che sfugge fra i denti e di cui dopo un po’ chiediamo quasi scusa, è esattamente questo.
Germani secondo nell’ultima tappa del Circuit des Ardennes vinta da Frigo (foto Dancerelle)Germani secondo nell’ultima tappa del Circuit des Ardennes vinta da Frigo (foto Dancerelle)
Domenica si corre
Lorenzo è a casa ancora per poco. Domenica sarà in corsa alla Fleche Ardennaise assieme al… dream team. Vale a dire accanto a Romain Gregoire, asso pigliatutto di questo scorcio di stagione, e Lenny Martinez che tanto bene ha fatto al Tour of the Alps. Il laziale finora è stato al suo posto, ma la sensazione nel seguire sia pure a distanza le corse è che avendo un piccolo fenomeno come Gregoire, la richiesta del team o la deriva spontanea sia stata quella di lavorare e basta. Per questo siamo qui. Perché ci dica che non è vero. O per dirgli quello che c’è venuto di pensare.
«Ho fatto due o tre settimane – dice Lorenzo, in apertura nell’immagine di Groupama FDJ Conti – di cui sono abbastanza soddisfatto. Ci sono state corse in cui ho aiutato e in cui abbiamo vinto. Quando ho potuto, mi sono giocato le mie carte ed è venuto il secondo posto di tappa nel Circuit des Ardennes. Anche quel giorno ero abbastanza soddisfatto. Ci lasciano spazio, sta a noi riuscire a prendercelo. E’ difficile che nella riunione pre gara vengano dati ruoli bloccati…».
Gregoire si è preso la Liegi di forza, dopo aver avuto supporto dal team (foto La Conti Groupama)Gregoire si è preso la Liegi di forza, dopo aver avuto supporto dal team (foto La Conti Groupama)
E quell’abbastanza che suona strano…
Perché difficilmente mi va bene tutto quello che faccio. Il fatto di tirare per Gregoire però viene abbastanza da sé, a prescindere dal fatto che sia francese. Avremmo lavorato allo stesso mondo anche se fosse stato etiope. Quando hai uno che va così, cambia poco da dove venga. Alla Liegi eravamo in fuga insieme e se l’è presa di forza. Al Belvedere ho fatto io il forcing in salita e lui ha vinto. Al Recioto ero là, ma sentivo di non essere al massimo. E piuttosto che lottare per fare un 20° posto, l’ho aiutato a vincere e ho chiuso 34°. Ho notato che a inizio stagione vanno tutti fortissimo…
Per essere lì davanti, forse vai forte anche tu?
Infatti credo che a volte mi manchi un po’ di testa, essere convinto delle mie potenzialità. Va anche detto che finora non ci sono state tante corse adatte a me, spesso si concludevano in volata. Le più vicine alle mie caratteristiche le ho trovate nelle Ardenne e mi sono difeso bene.
Terza tappa del Circuit des Ardennes annullata per maltempo, ci si copre. Germani è il primo a destra (foto La Conti Groupama)Terza tappa del Circuit des Ardennes annullata per maltempo, ci si copre (foto La Conti Groupama)
L’obiettivo è il Giro d’Italia?
Non so ancora se lo faccio (sta zitto per qualche secondo, poi riparte, ndr). Non è tanto facile entrare nella squadra. Il livello è alto e con soli cinque uomini, la selezione è spietata. Dovranno esserci scalatori, il velocista e non c’è posto per tutti. Si dovrebbe sapere in settimana, ma so già che in alternativa potrò mettermi alla prova alla Corsa della Pace. Amadori mi ha detto che la porta è aperta.
Cosa ti dice il tecnico della nazionale?
Ci siamo visti al Recioto e ha detto che era soddisfatto. Prima ancora ci eravamo parlati a novembre e mi aveva confermato che mi tiene in considerazione e me lo ha ripetuto dopo il secondo posto in Belgio.
Marta Cavalli, anche lei alla FDJ, dice che a correre in un team straniero ci si sente sempre fuori casa…
Provo anche io qualcosa di simile, c’è come una patina. Il mio sentirmi estraneo a volte è dovuto a modi di dire, usanze, cose che a noi italiani farebbero ridere, per le quali invece ti guardano strano. E’ una sensazione strana, anche se padroneggiando bene inglese e francese, alla fine mi destreggio bene.
La squadra francese sta volando, per Germani non è facile trovare spazio al Giro (foto La Conti Groupama)La squadra francese sta volando, non è facile trovare spazio (foto La Conti Groupama)
In base a cosa verrà fatta la selezione per il Giro?
Non solo i risultati, credo sia una valutazione globale. Per questo ci stanno mettendo tanto a dare i nomi, sono un po’ indecisi.
Quando ti vedremo digrignare i denti?
Me lo dice anche Manuel (Quinziato, il suo agente, ndr). Dice che va bene cercare di rimanere umile ed essere educati, ma devo crederci di più. Fra poco si parte, le occasioni per provarci non mancano. Ci provo di sicuro (sorride, ndr).
Abbiamo chiesto a Paolo Slongo di leggere per noi la preparazione di Lenny Martinez. I volumi sono in linea con gli juniores, ma usa metodi troppo avanzati
Lenny Martinez, primo anno da U23 e vincitore del Lunigiana 2021, ha partecipato al Tour fo the Alps accanto a Pinot. Terzo tra i giovani. Il suo racconto
Trentin ha la faccia scura, la maglia sudata, gli occhi che fiammeggiano di fierezza, il volto scavato e un sorriso che non glielo togli neanche a ceffoni. Per il quarto europeo di fila, Cassani si è affidato a lui come regista e la missione è riuscita perfettamente. Quando nel finale si sono sganciati Evenepoel, Colbrelli e Cosnefroy, il bresciano del Team Bahrain Victorious aveva in tasca la benedizione di Matteo, che lo aveva già battezzato come il più in forma dei nostri.
«Abbiamo corso come sempre alla grande – dice – poi alla fine, all’attacco del penultimo giro chi aveva le gambe era lì e chi non le aveva non c’era. Punto! Peccato per il terzo posto, ma avendo Sonny davanti non potevo rischiare di menare le danze per riprendere Cosnefroy. Ho vinto la volata con un chilometro di vantaggio, potevo portare a casa una medaglietta che non era male».
Trentin è stato il regista di Cassani in corsa: un ruolo svolto con precisione e fierezzaTrentin è stato il regista di Cassani in corsa: un ruolo svolto con precisione e fierezza
In sottofondo si capisce che sul palco stiano per suonare l’Inno di Mameli, ma qui intanto si ragiona ancora. E Trentin è già alla fase dei sassolini nelle scarpe.
Cosa si è visto oggi?
Per l’ennesima volta si è vista l’Italia. Nonostante tutti i sapientoni che ci sono in giro a dire non ci sono i corridori – rivendica con fierezza – oggi i corridori c’erano e abbiamo vinto lo stesso. Domani voglio vedere chi dice che non siamo bravi. Abbiamo vinto il quarto europeo di fila. Mancavano solo Van Aert e Alaphilippe.
Su un percorso comunque duro, no?
Penso che ho fatto poche gare così dure. Bastava vedere l’altimetria, la brevità della corsa e i corridori che erano presenti. La nostra tattica era di riuscire a tenere la corsa insieme e attaccare nella discesa del Bondone, per sgretolare un po’ il gruppo e mettere in difficoltà Evenepoel.
Obiettivo non raggiunto…
Bisogna fargli i complimenti perché è venuto giù proprio bene, non lo abbiamo messo in difficoltà proprio per niente. E da lì però ci sono stati un grande Ulissi e un grande Ganna, ma sono stati grandi tutti. E quando si corre così, si porta a casa un grande risultato.
Sei riuscito a parlare con Sonny prima degli ultimi attacchi?
Avevo visto che aveva una bella gamba. Noi eravamo fuori in cinque. Di quelli che sono rientrati, c’erano Evenepoel, Ben Hermans e lui. Si è visto che le possibilità di andare con il belga le aveva. E così gli ho detto che lui aveva solo Remco da curare e io avrei pensato agli altri. Giro dopo giro si andava sempre più piano. La salita che hanno attaccato è forse quella che si è fatta più lentamente. Eravamo tutti finiti.
Fierezza sul traguardo per la volata vinta facilmente: se avessero ripreso Cosnefroy, c’era il bronzoFierezza sul traguardo per la volata vinta facilmente: se avessero ripreso Cosnefroy, c’era il bronzo
Che vigilia è stata?
Bella. Si sono un po’ rilassati gli animi post Olimpiadi e il gruppo c’è. Quando è così, è un piacere venire a correre.
Poi alza lo sguardo e strilla: «Claudia, guarda che sono qua…». Sua moglie è passata di gran carriera con Jacopo al collo, mentre Giovanni lo porta Quinziato, prima amico e poi procuratore. Gli chiede quanto pesi e il bimbo risponde che sono 22 chili, che però a Monaco sono 20.
«Ci credo – risponde Claudia – qua in Trentino ci sono i salumi e i formaggi, mentre a Monaco quando c’è Matteo, dobbiamo stare tutti attenti…».
Moscon ha fatto la sua parte, rintuzzando gli attacchi sul BondoneMoscon ha fatto la sua parte, rintuzzando gli attacchi sul Bondone
Percorso da mondiale
Intanto è arrivato Moscon, sfinito e sorridente. Magari non sarà stato risolutivo, ma si è mosso anche lui dietro alcuni attacchi importanti e adesso fa rotta verso i mondiali e percorsi che più gli sorridono.
«Agli altri è mancato il gruppo che abbiamo noi – dice – il nostro obiettivo era non trovarci ad inseguire e ci siamo riusciti. Anche i leader delle altre squadre hanno dovuto muoversi in prima persona, perché eravamo in tutti i movimenti. Il circuito si è rivelato molto bello, un percorso durissimo che andrebbe benissimo per un campionato del mondo. E’ stato bello correre in casa. Avevo già vissuto questa esperienza a Innsbruck, che è la mia casa adottiva, però qui è stato qualcosa di speciale. Non avevo la condizione per esaltare i miei tifosi, ma speriamo di trovarla per i mondiali».
Ieri, ma dieci anni fa, Cadel Evans vinceva il Tour de France. Lo aveva sfiorato. Nel 2007 e nel 2008 era arrivato secondo. Nel 2010 lo aveva finito correndo con un braccio rotto, perdendo per questo la maglia gialla. Il 2011 fu speciale, un otto volante. Sembrò colare a picco dopo la vittoria di Andy Schleck sul Galibier, ma nella crono di Grenoble, 24 ore prima della fine, mise nei pedali le delusioni degli anni precedenti e le fatiche di tutta la vita e volò a prendersi la maglia gialla.
«Secondo me avrebbe potuto vincere anche la crono – racconta John Lelangue, allora sull’ammiraglia della BMC – ma avrebbe rischiato di cadere. Arrivò 7 secondi dietro Martin, ma non gli dissi che era così vicino, altrimenti in discesa avrebbe provato a vincere rischiando però di perdere il Tour».
Saturnia, casa BMC
Ieri e oggi, dieci anni dopo, Cadel Evans ha raccolto a Saturnia i compagni di allora per festeggiare quella maglia gialla. Mancano soltanto Santaromita, Schar che è a Tokyo e Burghardt che sta per avere un bambino. Gli altri sono tutti qui, compresi John Lelangue (oggi team manager alla Lotto Soudal) e il massaggiatore di sempre David Bombeke. Hincapie è venuto apposta dagli Stati Uniti, Quinziato dalla Spagna. Tutti qui per stringersi attorno al capitano di allora, nel segno di un’amicizia che è ancora tutta qua.
Cadel è sempre Cadel. La differenza è qualche ruga in più sul volto e quel filo di barba che tutto sommato sa di vacanza. Si aggira per l’enorme hall del Resort delle Terme con i figli Aidan e Blake e la compagna Stefania (foto di apertura). Quando poi viene a sedersi, il suo tono di voce è lo stesso della prima volta, nel lontanissimo 2002 in cui perse la maglia rosa a Passo Coe. Il passare del tempo lo riconosci da questo e devi esserne grato.
Vinto il Tour de France: giusto ieri, 10 anni fa, il 24 luglio del 2011
Tour del 2011, sul Galibier paura di aver perso tutto
Nella crono di Grenoble, un capolavoro di forza e deternminazione
Dopo la crono di Grenoble, presa la maglia. Il guerriero si commuove
A Parigi con Andy Rihs: vincere il Tour era un sogno per entrambi
Con i compagni a Parigi, sembra un film, era realtà
Vinto il Tour de France: giusto ieri, 10 anni fa, il 24 luglio del 2011
Tour del 2011, sul Galibier paura di aver perso tutto
Nella crono di Grenoble, un capolavoro di forza e deternminazione
Dopo la crono di Grenoble, presa la maglia. Il guerriero si commuove
A Parigi con Andy Rihs: vincere il Tour era un sogno per entrambi
Con i compagni a Parigi, sembra un film, era realtà
Già passati 10 anni dal Tour…
Non mi ero reso conto fino ad adesso, ma davvero sono passati. Eppure che ogni volta che lo dico, tutti rispondono: «Già 10 anni?».
Il Tour cambia le cose?
Il Tour cambia la vita. Avevo già avuto delle vittorie che mi avevano cambiato la carriera, ma il Tour proprio mi ha cambiato la vita. Più del mondiale. Dalla mia prospettiva, il mondiale cambia la tua posizione nel mondo del ciclismo, ma il Tour de France cambia tutto. Lo hanno visto tutti, anche negli altri sport e in tanti mondi lontani. E’ una cosa enorme.
Da cosa si capiva che potesse essere la volta buona?
Per due volte ero stato secondo per meno di un minuto. Nel 2010 eravamo messi benissimo, ma ho avuto una piccola caduta, ho finito la tappa, ho preso la maglia gialla e ho scoperto di avere la frattura del braccio. Ero il leader e ho continuato, ma lo finii lontanissimo. Avevo due minuti di vantaggio su Contador, già lì senza la caduta mancava poco. Anche nel 2007 e nel 2008 con più fortuna potevo fare di più. Ero vicino, ma lontano.
Ci hai sempre creduto, però…
Ho continuato a credere in me stesso e ad insistere, anche se forse ormai la gente aveva dubbi. Io no li ho mai avuti, ma le squadre e il ciclismo in generale, in quel tempo lì… Sarei stato il più anziano vincitore del Tour nel dopoguerra, anche i numeri iniziavano a dire che diventava difficile. Ho continuato a insistere e poi avevo questa squadra dietro di me…
Tutto il team con la maglia commemorativa
Orso Francardo, titolare di BMC Italia, ricorda la figura di Andy Rihs
Manuel Quinziato, uno degli uomini fidati dell’australiano nel 2011
Tutto il team con la maglia commemorativa
Orso Francardo, titolare di BMC Italia, ricorda la figura di Andy Rihs
Manuel Quinziato, uno degli uomini fidati dell’australiano nel 2011
Ecco, la squadra: perché fu così magica quelle BMC?
Al primo incontro che feci con Jim Ochowitz, manager della squadra, abbiamo parlato, abbiamo messo in chiaro le cose che erano successe, perché non avessi vinto. Lui mi ascoltò e disse: «Tu hai bisogno di una squadra che creda in te». E io gli dissi di sì, che chiedevo solo quello e da lì abbiamo cominciato. E’ stata un’ottima opportunità per la mia carriera, la migliore visti i risultati.
Scegliesti tu gli uomini per quel Tour?
Lo facemmo insieme ai direttori sportivi. Sapevamo da prima chi meritava di andare. Una cosa bella che si era creata fra di noi è che nessuno era sotto pressione per dimostrare il suo valore, ma al contempo nessuno voleva essere l’anello debole della catena e tutti si impegnavano al massimo. Parlavo stamattina con Quinziato e quel venerdì di 10 anni fa, a tre giorni dalla fine, aveva il dubbio che saremmo riusciti a vincere il Tour. E me lo ha raccontato solo adesso, 10 anni dopo…
Pochi minuti alla partenza dell’uscita. Evans scalpita
George Hincapie è arrivato appositamente dagli Usa
Con Dalia Muccioli, Cadel ha da poco condiviso un tour dalla Svizzera a Parigi
Morabito buca, interviene Andrea Gurayev, uomo BMC e anima di Saturnua Bike
Sosta per fare qualche foto: Evans, Bookwalter e Hincapie
Il percorso è stato frecciato nella notte
Pochi minuti alla partenza dell’uscita. Evans scalpita
George Hincapie è arrivato appositamente dagli Usa
Con Dalia Muccioli, Cadel ha da poco condiviso un tour dalla Svizzera a Parigi
Morabito buca, interviene Andrea Gurayev, uomo BMC e anima di Saturnua Bike
Sosta per fare qualche foto: Evans, Bookwalter e Hincapie
Il percorso è stato frecciato nella notte
Fu un anno magico per tutti.
Era una squadra, per la fortuna del ciclismo, con un appassionato come Andy Rihs (il proprietario della Bmc, scomparso nel 2018, ndr) che investiva tanto. Devo ringraziarlo per l’opportunità che mi ha dato. Ma ribadisco questa cosa: nessuno voleva essere l’anello debole e questo ha creato la forza tra di noi. Avevamo avuto una bella stagione, dalla Tirreno al Romandia, solo il Delfinato così e così. Quella forza tra noi si è trasformata in una bella amicizia, tanto che siamo ancora qua, felicissimi.
Ricordi tutto di quel Tour?
L’ho raccontato così tante volte (ride, ndr) che purtroppo ho dimenticato poco. Ti metti lì, scrivi libri, vai su internet… Ricordo tutto molto bene. Nel mio Paese non si riesce a capire cosa fosse successo.
Che cosa?
Per il pubblico australiano è stato il successo sportivo più importante nella storia. Per questo le curiosità, le domande, le analisi… Io non sapevo neanche che tutta l’Australia guardasse la televisione e che tutti ancora oggi si ricordano dov’erano il giorno della cronometro di Grenoble. Una cosa incredibile. Hugh Jackman (l’interprpete di Wolverine, ndr) era lì sui Campi Elisi a guardare il podio. Un uomo di Hollywood, lì per me. Il primo ministro mi chiamava. Io non sapevo, ma l’Australia era dietro di me a seguirmi con speranza. Mai con pressione, ma sempre con speranza.
Un brindisi con Evans a metà percorso: occasione da non perdereUn brindisi con Evans a metà percorso: occasione da non perdere
Ti manca tutto ciò? Ti è pesato smettere?
Sinceramente sono tornato dal Tour 2012 e ho scoperto che stavo male. Sapevo di non poter rientrare a un buon livello, avrei dovuto faticare di più con meno possibilità. Lavori di più e non arrivi neanche e a un certo livello… Così ho pensato che ero via da casa da 17 anni per correre, facendo tanti sacrifici. Il mio obiettivo di carriera era dare tutto, ma per non avere rimorsi il giorno che fosse finita l’opportunità di essere ciclista.
Così è andata?
Nell’ultima corsa ho fatto la volata per il quinto posto. Era la mia corsa, la Cadel Evans Great Ocean Road. Ho passato il traguardo e ho detto: «Ho dato tutto». Avevo i crampi, avevo dato il massimo e per questo smettere non è stato troppo pesante. Sarò per sempre grato per la fortuna di aver fatto questa carriera, ma era arrivato il momento di dire basta. Sono quello che sono per il ciclismo. Mi ha dato l’opportunità di viaggiare, incontrare persone, esperienze sportive.
Come è nata l’idea di questa riunione?
All’inizio volevo farla nella mia corsa in Australia, ma negli ultimi mesi (sorride amaro, ndr) sono cambiate un po’ di cose per tutti. Allora ho cercato di fare qualcosa per ricordare. E’ nato da BMC Italia grazie a Orso Francardo, poi sono arrivati Andrea e Karin qui a Saturnia con Saturnia Bike. Non sono venuti tutti, ma ci siamo ritrovati come in un ritiro di squadra, ma su misura a come siamo adesso. Ieri abbiamo fatto una pedalata fra di noi, tranquilli. Sosta alla cantina, bicchiere di vino, spuntino, degustazione di cibo toscano. Ma anche con la voglia di essere insieme in bici, che è parte della nostra storia personale.
Quinziato firma un telaio commemorativo, ovviamente giallo
La pedalata si è conclusa presso la sede del rent Saturnia Bike
Una giornata torrida, alla fine un buffet con tanta frutta fresca
Il sorriso di Dalia Muccioli, testimonial BMC e volto di bici.PRO
In gruppo c’è anche Alessandro Ballan, testimonial e ambassador di BMC
Quinziato firma un telaio commemorativo, ovviamente giallo
La pedalata si è conclusa presso la sede del rent Saturnia Bike
Una giornata torrida, alla fine un buffet con tanta frutta fresca
In gruppo c’è anche Alessandro Ballan, testimonial e ambassador di BMC
Il sorriso di Dalia Muccioli, testimonial BMC e volto di bici.PRO
Vi siete sempre tenuti in contatto?
C’è sempre stato un bel rapporto fra quasi tutti i corridori. Ci frequentiamo, vado spesso da George (Hincapie, ndr) in vacanza con la famiglia. Morabito lo vedo spesso, facciamo insieme piccoli eventi in Svizzera. Poi sento spesso Brent (Bookwalter, ndr), Quinziato ogni tanto.
Cosa ti pare del ciclismo di oggi?
Lo vedo da fuori. Ci sono novità interessanti, nuove corse. Su certe cose si sta reinventando. Però per quel che riguarda questi ultimi tempi con la pandemia, non invidio niente ai corridori. Uno stress incredibile. Il livello della preparazione dei corridori al Tour de France è pari a quella che una volta faceva il leader. L’ottavo della squadra è come il capitano di 10 anni fa, se non di più. I sacrifici sono sempre di più e magari anche per questo vengono fuori più giovani, che hanno l’entusiasmo di reggerli. Ogni periodo ha le sue caratteristiche e adesso sta cambiando, è una variazione continua.
Da sinistra, Bookwalter, Moinard, Evans, Hincapie, Quinziato, Morabito. Dietro Karin Bernardi, Gurayev e un assessore di SaturniaDa sinistra, Bookwalter, Moinard, Evans, Hincapie, Quinziato, Morabito. Dietro Karin Bernardi, Gurayev e un assessore di Saturnia
Nel 2022 si farà nuovamente la tua corsa?
Speriamo, non vado in Australia da un anno e mezzo e con i vaccini non sono messi tanto bene. Dipende dalle decisioni del Governo, ma la voglia di farla c’è ancora. Sarebbe tornare alla normalità, come l’abbiamo conosciuta prima della pandemia.
Grazie Cadel.
Grazie a voi, speriamo di ricominciare a vederci più spesso.
In questo periodo si parla molto della figura dei procuratori nel ciclismo, anche un tecnico storico come Beppe Martinelli li ha chiamati in causa come componente che fa parte di questo mondo ma deve dare di più e non essere legata solamente al contratto di questo o quel corridore. Quando si parla di procuratori è facile andare con la mente al calcio, dove ognuno ha il suo e anzi se non ce l’hai, una squadra non la trovi più. Nel ciclismo il loro approdo è molto più recente.
Parla Quinziato
«Io ho iniziato a correre fra i professionisti nel 2002 – racconta Manuel Quinziato, noto non solo per le sue grandi qualità di cronoman, ma anche per riuscire a conciliare la professione sportiva con gli studi e la conseguente laurea in legge – ma di procuratori si parlava già da una decina d’anni. Una cosa che ritengo sia alla base della mia professione è che l’impegno non si esaurisce con il mettere sotto contratto un atleta e trovargli una squadra, il rapporto deve continuare tutto l’anno, consolidarsi e per questo credo che sia bene avere un numero limitato di corridori nella propria agenda».
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Scuola Lombardi
Nell’intraprendere questa strada, Quinziato ha avuto un maestro d’eccezione in Giovanni Lombardi, l’olimpionico di Barcellona ’92 oggi considerato, in una recente classifica pubblicata da Forbes, tra i 50 personaggi più influenti nel mondo del ciclismo.
«Abbiamo corso insieme – dice – e mi ha instillato questa passione come modo per poter restituire al ciclismo un po’ di quel tanto che mi ha dato, aiutando i ragazzi a districarsi in questo mondo».
Presenza alle corse
Quinziato, che tra gli altri cura gli interessi fra gli altri di Matteo Trentin (nella foto di apertura, i due sono insieme alla Vuelta del 2018), Jonathan Milan, i fratelli Bagioli, tiene molto all’aspetto umano della sua figura.
«Non so se ricordate il film Jerry Maguire con Tom Cruise – spiega – che seguiva la carriera di un campione del football americano, accompagnandolo in quasi tutte le sue trasferte, facendo da confidente oltre che curatore dei suoi interessi. Il nostro lavoro deve per forza essere così. Io seguo tantissime corse, sono presente con i corridori, ma naturalmente anche con le loro squadre. E se ci sono problemi da affrontare, ad esempio infortuni e conseguenti controlli medici, mi impegno in prima persona. Quando poi si tratta di strategie e di allenamenti, è mio dovere fare un passo indietro, lì contano soprattutto la squadra, il corridore e il rapporto che c’è fra loro».
Lo scouting
A differenza di quanto avviene nel calcio, dove ormai ogni team sa che deve passare attraverso i procuratori e la loro presenza è costante e certe volte anche invadente, nel ciclismo il rapporto con i team è ancora in divenire. Molti direttori sportivi, soprattutto di vecchia guardia, mal sopportano la loro figura, intesa come un semplice intermediario che porta ostacoli e perdite di tempo.
Gianluigi Stanga, tecnico di lunga milizia e che tra l’altro è fra i pochi ad avere anche il patentino Uci di procuratore, a tal proposito ha le idee abbastanza chiare.
Stanga oggi si è defilato, dall’attività. L’ultimo grande team fu la Milram di Petacchi. Qui con Capello il cui figlio è procuratoreStanga, qui con Capello, ha il patentino da procuratore
«La figura del procuratore nel ciclismo – dice – solo da poco è diventata così importante, perché si vanno a cercare i talenti già nelle categorie giovanili per metterli sotto contratto. Io dico che se questa professione è fatta in maniera corretta, è un bene per il movimento, ma non guardando al proprio tornaconto. Pensare solo a trovare ai corridori residenze all’estero in paradisi fiscali… Avere un procuratore per un corridore non è un obbligo, se sa trattare direttamente i suoi interessi: io presi Fignon e Moser, ad esempio e vi posso assicurare che i loro interessi sapevano curarli molto bene…».
Non da solo
Stanga punta molto sulla professionalità della figura: «Un procuratore non può far tutto, io mi fido più di quelli che hanno insieme a loro commercialisti e avvocati, fanno parte di agenzie ben strutturate in tal senso. L’importante però è che il procuratore abbia sempre a cuore il suo assistito non solo economicamente. Non basta curare i suoi contratti di assunzione e di sponsorizzazione, deve essere una presenza costante, dare un supporto anche alla squadra in questo senso, svolgendo il ruolo di referente, anche e anzi soprattutto quando le cose per l’atleta non vanno. Allora anche i più renitenti alla fine accetteranno di parlare con lui».
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