Rui e la Zalf Fior, una storia consegnata alla storia

29.11.2024
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Si sono ritrovati ed erano più di cento. Le convocazioni sono partite dal cellulare di “Ciano” Rui, classe 1958, il direttore sportivo che dal 1990 ha tenuto sulle ginocchia tutti i campioncini della Zalf Fior. E anche quando ha passato il testimone a Faresin, ne è rimasto l’anima. Dopo 43 anni la squadra di Castelfranco Veneto non sarà più ai nastri di partenza della stagione e per chi segue il ciclismo da tanti anni, sarà una mancanza non da poco. Dire che cosa abbia rappresentato la Zalf Fior per il ciclismo mondiale richiederebbe un libro e forse non basterebbe. Da quelle stanze sono venuti alla luce diversi campioni del mondo e fior di professionisti che hanno reso grande il ciclismo italiano. Negli anni in cui, come ha raccontato ottimamente Gianluca Geremia (altro corridore di Rui e della Zalf), qui si facevano le cose sul serio e i corridori erano prima uomini e poi atleti.

Perciò noi, che di anni con loro ne abbiamo vissuti 33 e assieme a Rui abbiamo trascorso giornate di corsa e serate a parlarne (decifrando il dialetto con una birra o una grappa in mano), lo abbiamo chiamato per un assaggio di quel che è stata la Zalf dei dilettanti. E come per ogni articolo di questa lunga vita in parallelo, la raccomandazione finale del tecnico veneto, che fu per due anni professionista, è stata sempre la stessa: «Mi raccomando, scrivi bene!».

Intervistato accanto a Gaspare Lucchetta, il signor Euromobil, Rui (a destra) racconta la sua Zalf
Intervistato accanto a Gaspare Lucchetta, il signor Euromobil, Rui (a destra) racconta la sua Zalf
Ciano, che cosa è stato questo viaggio con la Zalf?

Ho iniziato dal 1990, dal mondiale di Gualdi fino al 2024. E’ stato un viaggio bellissimo, 34 anni in cui è cambiato tutto. E’ cambiato il modo di rapportarsi e il modo di correre. Io ho avuto la fortuna di avere due famiglie (Lucchetta, titolari della Euromobil, e Fior, ndr) che mi hanno permesso di lavorare in maniera sicura e con lungimiranza, senza problemi economici. Ai primi tempi andavamo alle corse in tre persone. C’eravamo io, un meccanico e un accompagnatore e si facevano le stesse corse di oggi, si vinceva e si perdeva. Adesso è cambiato il mondo e si portano dieci persone per un atleta.

Sei sempre stato un fratello maggiore per i corridori, più che un sergente di ferro…

All’inizio avevo 7-8 anni di più, ero un po’ l’amico confidente, giocavo con loro. Non sono mai stato un grande preparatore, ma un buon comunicatore. Poi mi sono affidato a Gianni Faresin che mi ha permesso di crescere ancora. Ai miei ragazzi dicevo che per diventare corridori servivano tre F: Forza, Fortuna e Furbizia. E’ quello che serviva per fare bene, mentre adesso si guardano solo i wattaggi. Una volta si faceva gruppo, si faceva famiglia. C’era la famosa casetta, ti ricordi? Quanti aneddoti si possono scrivere? C’è stata l’era di Fondriest e poi quella di Gualdi. L’era di Bertolini contro Simoni e Rebellin. L’era di Figueras contro Palumbo, quella di Colbrelli e quella di Moscon. Tutte storie bellissime, sempre correndo a buoni livelli. Magari non abbiamo fatto niente di eccezionale, ma di certo abbiamo fatto qualcosa di importante.

Bertolini e Pontoni, entrambi campioni italiani nel 1993: il primo su strada, il secondo nel cross
Bertolini e Pontoni, entrambi campioni italiani nel 1993: il primo su strada, il secondo nel cross
Era un ciclismo diverso, con gli elite che tenevano a battesimo i giovani e li facevano crescere.

C’erano squadre di corridori già adulti, come la Paultex, che ti insegnavano a correre. Mi ricordo che un anno avevamo un squadrone forte, ma le vittorie più belle le fece Figueras che era un ragazzino di primo anno. E correndo in mezzo a quelli più grandi, maturavano anche come personalità. In quegli anni per un corridore c’erano tre cose fondamentali: la patente, il servizio militare e le prime morose. Maturavano così e rimanevano con noi per quattro anni. C’era un altro spirito. In Veneto c’erano 20 squadre, ma mi ricordo sempre la guerra contro Locatelli, Tortoli e Piccoli. Guerra sportiva, ma amicizia fra noi. Ogni sera alle corse, era una cena. Adesso ci sono solo le e-mail e non c’è più dialogo. Il ciclismo al giorno d’oggi è fatto così e forse per questo tanti sponsor e tante squadre non sono più innamorate.

Quanto orgoglio c’era nell’essere direttore della Zalf?

Senza fare lo sbruffone, dico sempre che non ho mai avuto problemi a prendere un corridore, il problema era dirgli no. Un anno sono andato a Livigno e in 30 secondi ne ho presi cinque della nazionale. Oss, Modolo, Ponzi, Boaro e forse Malacarne, non ricordo bene. Era davvero bello, perché proponevamo un sistema innovativo, in quegli anni era più facile creare delle cose nuove. Dopo i primi anni che si faceva tutto in tre, siamo stati i primi ad andare alle corse col dottore e i primi a prendere il camion per i meccanici. Adesso invece sono tutti legati a questi grandi squadroni, gli juniores vivono come dilettanti, è tutto più grande.

Sul tabellone dei corridori di questi ultimi 43 anni, anche la firma di Cristian Salvato
Sul tabellone dei corridori di questi ultimi 43 anni, anche la firma di Cristian Salvato
Quando è cambiata la situazione?

Da quando le squadre professionistiche hanno iniziato a portarsi via tutto il vivaio, tutta la linfa, perché ormai un corridore, buono o meno buono, preferisce fare la riserva di un grande team che essere protagonista in una squadra normale. Ha cominciato Reverberi, ma capirete bene che con un budget di 4 milioni è facile fare la squadra e farci passare gli juniores. Adesso è cambiato tutto, ma se pensiamo che lui e anche altri devono salvare il bilancio dell’annata con gli under 23, qualcosa di sbagliato c’è.

Sicuramente qualcosa di diverso rispetto alle abitudini.

Abbiamo visto passaggi strani. Ricordiamo il nome dei due che sfondano, ma chi ricorda i nomi degli 80 che si perdono? Mi ricordo corridori non buoni, ma stra-buoni che sono passati da juniores e si sono persi, perché non hanno tempo di maturare. Noi facevamo quello, li lasciavamo maturare, ma ultimamente non eravamo più appetibili sul mercato. Forse eravamo anche abituati troppo bene e alla fine ci è passata la voglia di fare le cose. Forse non abbiamo colto cosa significasse fare una continental, siamo rimasti troppo legati al calendario italiano, che una volta era appetibile in tutto il mondo, mentre adesso le gare regionali o nazionali sono poco più che un ordine d’arrivo. Nelle internazionali invece arrivano i devo team con corridori di livello più alto, quindi è tutto più difficile. Qualche errore è stato fatto, ma è normale che capiti in 43 anni. Però abbiamo fatto anche qualcosa di buono.

Lello Ferrara e Ivan Basso: due uomini agli antipodi, uniti dal nome della Zalf
Lello Ferrara e Ivan Basso: due uomini agli antipodi, uniti dal nome della Zalf
I vostri corridori sono sempre tornati, anche anni dopo, a salutare, partecipare a cene…

La nostra forza è stata la famiglia. L’altro giorno abbiamo fatto questa piccola rimpatriata con 150 corridori. Io non sono un gran chiacchierone, così ho mandato solo dei whatsapp e su 160 corridori, fra cui dei campioni del mondo, hanno aderito in 150, dopo 30 secondi che avevo scritto. Vuol dire che abbiamo seminato bene. Oggi invece lavoriamo tanto sulle performance, ma non sull’uomo. Attenti, a 18 anni bisogna lavorare anche sull’uomo. Spesso sono viziati, ma che colpa ne hanno? Se tutti ti dicono che sei bello, sei forte, sei grande, è normale che dopo un po’ ci credi. Però il mondo fuori è cattivo e disordinato. E quando vanno in crisi, vengono e ti raccontano. Guardate Moscon, prima bambino felice e adesso fa fatica. Dimentichiamoci di Fondriest o Nibali che duravano vent’anni. Adesso avremo corridori che arrivano a dieci, se va bene.

Che vuoto lascia la Zalf nel ciclismo italiano?

Per i vecchi sicuramente sparisce qualcosa di importante. Mi auguro che la Colpack vada avanti ancora tanti anni, perché se mancano questi punti di riferimento il gruppo si sgretola. Mi hanno chiamato tanti organizzatori dispiaciuti, quelli di Montecassiano o Castelfidardo, corse dove abbiamo lasciato il segno. E loro sono un po’ preoccupati perché noi avevamo il nostro stile e il nostro modo di fare e davamo il ritmo anche agli altri. In fin dei conti era lo stile Zalf: inconfondibile e discutibile finché vuoi, ma abbiamo fatto qualcosa di grande. Per il resto, è normale che per le squadre minori ci siano più possibilità di vincere. Qualcuno sarà felice, come si dice sempre. La federazione va avanti, il mondo va avanti. Sicuramente alle corse sarà un ciclismo più povero. Abbiamo chiuso noi, ha chiuso la Named, ha chiuso la Q36.5 e anche la Work Service fa fatica. Vengono a mancare un po’ di qualità e di guerra sportiva.

La maglia iridata di Mirko Gualdi: presa tra i dilettanti in Giappone nel 1990
La maglia iridata di Mirko Gualdi: presa tra i dilettanti in Giappone nel 1990
La cena dell’altra sera è stata una rimpatriata allegra o un po’ triste?

Quarant’anni anni sono 10 generazioni di corridori. Abbiamo fatto tanto, forse siamo durati anche più di quello che si potesse pensare. Si sono ritrovati i gruppetti degli anni 80 e i gruppetti degli anni 90 e quelli dopo. Era impossibile che De Pretto si mischiasse con Bertolini e Dalla Bianca, ma erano lì. E vedendoli tutti insieme ho capito quanti fossero e quante storie potrebbero raccontare. C’era quello guascone da corridore, che lo è rimasto anche adesso. Tutti hanno avuto parole per raccontare anni bellissimi nella loro vita. Ed è importante essere riusciti a fare qualcosa di buono a quell’età. Penso alle parole di Paolo Lanfranchi. Lui veniva da Bergamo e ha raccontato che passava tre settimane al mese nella casetta dove c’era il ritiro. E ha detto che a un certo punto gli piaceva più stare lì che tornare a casa. Perché si era creata una sinergia tra atleti, personale, la famiglia Fior e la famiglia Lucchetta. Avevamo i presupposti per creare delle persone.

Ci siete riusciti?

Sono diventati uomini. Alcuni sono diventati imprenditori, qualcuno ha fatto fortuna, altri un po’ meno. Alcuni non hanno capito il modo per riciclarsi una volta smesso di correre e questo sarà ogni anno più difficile. Noi in compenso abbiamo i capelli bianchi. Giriamo ancora in pantaloncini corti e ciabatte (ride, ndr), ma sempre con dignità. Mi raccomando una cosa, quando scrivi questa storia.

Scrivo bene?

Esatto, scrivi bene! Sono le cose che dicevo sempre. Come quando guardavo in faccia un corridore e gli chiedevo: «Sei sicuro di avere i mezzi per fare il corridore?». Scrivi bene, mi raccomando. E’ una storia importante.

Borgo Molino, il blocco dei rapporti e l’arrivo di Rui

13.01.2023
4 min
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Da un comunicato di inizio stagione della Borgo Molino si legge che nello staff tecnico è entrato un nome di spicco del ciclismo giovanile: quello di Luciano Rui. Si tratta di una grande novità se si pensa che “Ciano” è stato il volto della Zalf dal 1991. Così, dopo trentuno anni il ruolo di Rui cambia, o meglio, rimane lo stesso, a cambiare è la squadra. 

«Luciano Rui è un grande amico – spiega Cristian Pavanello, diesse della Borgo Molino – è una persona molto competente che ha fatto la storia del ciclismo giovanile. Averlo in squadra con noi è qualcosa in più ed una grande occasione».

Luciano Rui è stato professionista ed è il riferimento storico nella Zalf di Castelfranco (foto Scanferla)
Luciano Rui è stato professionista ed è il riferimento storico nella Zalf di Castelfranco (foto Scanferla)

Un bel cambiamento

La notizia dell’arrivo di Rui nel team juniores della Borgo Molino è molto interessante. Una figura di riferimento per il movimento dilettantistico italiano è un valore aggiunto, soprattutto se potrà portare la sua esperienza a favore dei giovanissimi. 

«Non si tratta di una collaborazione con la Zalf – specifica Pavanello – con loro c’è sempre stato un buon rapporto, ma è l’equivalente di quello che abbiamo con le altre squadre under 23. Rui lo conosco da quando io stesso ho corso in Zalf nel 1994 e 1995, da allora il rapporto di amicizia non si è mai dissolto. Ha collaborato con noi, in maniera più blanda, anche negli anni passati. La svolta è arrivata in questa stagione, dove sarà più coinvolto. In particolar modo per quanto riguarda l’aspetto tecnico, anche la domenica, d’ora in poi, sarà in ammiraglia con noi».

Pavanello, qui a destra, è stato corridore di Rui nel ’94 e ’95. Ora i due lavoreranno insieme alla Borgo Molino (foto photors.it)
Pavanello è stato corridore di Rui nel ’94 e ’95. I due lavoreranno insieme alla Borgo Molino (foto photors.it)

Un nuovo mondo

Passare dagli under 23 agli juniores non è semplice, anche se si gode di un’esperienza come quella di Luciano Rui. Sono due mondi vicini, ma assolutamente diversi, soprattutto per l’età dei ragazzi con i quali si ha a che fare.

«Rapportarsi con atleti così giovani – riprende Pavanello – non è semplice, parliamo di ragazzi di 17 anni. E’ un mondo nuovo anche per Luciano, lui ha sempre avuto a che fare con corridori più pronti e maturi. Il nostro ruolo, in quanto team juniores, è legato alla formazione dell’atleta. Il suo ruolo in Zalf non sarà più quello di prima, ma ugualmente non uscirà dal team di Castelfranco. Però, quando ho saputo che a livello tecnico non sarebbe più stato così coinvolto, ho deciso di proporgli questa nuova avventura».

La categoria juniores ha grandi squilibri a livello di sviluppo: eliminare il blocco dei rapporti aprirà ancor di più la forbice?
La categoria juniores ha grandi squilibri a livello di sviluppo: eliminare il blocco dei rapporti aprirà ancor di più la forbice?

Rapporti liberi

Una seconda novità, che riguarda per intero tutta la categoria juniores, è l’annullamento del blocco dei rapporti. I ragazzi da questa stagione non avranno più l’obbligo di usare il quattordici come ultimo ingranaggio del pacco pignoni, ma potranno montare l’undici. 

«Con questa nuova regola bisogna andare con i piedi di piombo – dice il diesse – dal nostro punto di vista è cambiato un po’ il modo di gestire la palestra. Abbiamo terminato la parte più “corposa” nella settimana di Natale e le bici sono state consegnate solamente il 27-28 dicembre. La preparazione in bici rimarrà la stessa, il lavoro in palestra no. Ci concentreremo un po’ più sulla forza, per preparare la muscolatura e la useremo anche in via precauzionale, così da evitare infortuni».

I diesse dovranno insegnare ai loro corridori l’utilizzo corretto dell’intera scala dei rapporti (photors.it)
I diesse dovranno insegnare ai loro corridori l’utilizzo corretto dell’intera scala dei rapporti (photors.it)

La forbice si allarga

L’impressione generale nella categoria juniores, è che i ragazzi siano pronti sempre prima, non tutti chiaramente. C’è chi è “avvantaggiato” da una maturazione precoce e togliere il blocco dei rapporti potrebbe non essere stata la mossa giusta…

«A mio modo di vedere – continua Pavanello – questa regola era da cambiare, ma non da togliere. Le bici ormai sono talmente performanti anche per gli junior che il quattordici era quasi limitante, però si poteva passare al dodici. Il cambiamento lo si sarebbe sentito comunque. L’impressione che ho avuto, fin dai primi allenamenti, è che con questa nuova regola i forti andranno ancora di più e chi era limitato soffrirà ancora maggiormente. La forbice si aprirà ancora di più, specialmente se consideriamo che chi è già fisicamente più pronto potrà sfruttare ancor di più questo vantaggio. C’è anche da dire che spingere l’undici non è semplice, un conto è averlo nella ruota, un altro è pedalarci sopra. Uno dei lavori che spetterà a noi diesse sarà quello di tenere il fucile puntato, per evitare che i ragazzi spingano i “rapportoni”. Dovremo insegnare loro come si usano».

EDITORIALE / Due così li avevamo anche noi. Anzi, tre!

14.11.2022
4 min
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Savini nel 2015. Pogacar nel 2016. Innocenti nel 2017. Evenepoel nel 2018. Piccolo nel 2019. Questo è l’albo d’oro del Giro della Lunigiana nei cinque anni prima del Covid. Alla ripresa, l’hanno vinto prima Lenny Martinez e poi Antonio Morgado. Noi però vogliamo però soffermarci su quei cinque anni per tornare al tema che tanti definiscono noioso e abusato, vale a dire l’attività juniores in Italia e il perché di colpo qui da noi abbiano smesso di venire al mondo corridori da grandi Giri. Anzi no, come mai siano venuti al mondo e poi siano finiti su un binario morto.

Di Pogacar ed Evenepoel abbiamo detto ogni genere di mirabilia. Uno arrivato al ciclismo quasi per gioco in Slovenia, con 3 vittorie in due anni da junior e 4 da U23 fra cui il Tour de l’Avenir. L’altro salito in bici dopo la carriera nelle giovanili del pallone, con 24 vittorie in due anni da junior e poi subito il salto tra i pro’.

Guardando da noi, Savini ha fatto due anni da U23 fra Petroli Firenze e Maltinti e poi nel professionismo la sua è stata più che altro una discesa. Di Innocenti abbiamo raccontato ieri: è stato fermato da una squalifica di 4 anni al primo anno da U23 ed è appena rientrato alle corse. Piccolo era partito bene con la Colpack, poi ha avuto una serie di contrattempi e solo quest’anno è tornato a brillare di luce propria.

Europei juniores 2019, comunione di intenti fra De Candido, Cassani e Villa: vittoria a Piccolo
Europei juniores 2019, comunione di intenti fra De Candido, Cassani e Villa: vittoria a Piccolo

L’accusa di Bragato

E’ solo per caso? Oppure è tempo che la Federazione Ciclistica, cui noi offriamo come contributo il lavoro degli ultimi mesi, inizi a collegare i puntini per capire quale forma abbia l’attività giovanile in Italia e porvi rimedio?

«C’è troppa enfasi sulla categoria juniores – ha detto Diego Bragatoenfasi legata ai volumi, al simulare quello che fa il professionista, invece di costruire una formazione a lungo termine. Purtroppo il nostro movimento spinge per la ricerca del risultato da junior, piuttosto che per la costruzione di un atleta che avrà risultati dopo 5-6 anni. Ma questo ciclismo non esiste più. Le altre Nazioni hanno ridotto di molto il numero di gare durante l’anno, a vari livelli: da junior in su. E insegnano agli atleti a costruire la prestazione in funzione di un obiettivo.

«Da noi, i nostri ragazzi trovano la condizione con le gare, hanno dei risultati a livello giovanile, ma non imparano ad allenarsi. Così arrivano in un mondo professionistico in cui non puoi più sfruttare le gare per allenarti e non sono capaci di adattarsi, né fisicamente né mentalmente».

Nel 2014, Savini vince da junior la Liberazione Città di Massa. L’anno dopo arriverà il Lunigiana
Nel 2014, Savini vince da junior la Liberazione Città di Massa. L’anno dopo arriverà il Lunigiana

L’accusa di Rui

Le società degli under 23 hanno responsabilità diretta, ma forse non la avrebbero se si permettesse loro di lavorare nel tempo necessario per prendere un ragazzino e farne un corridore.

«Oggi non ci sono tanti atleti con cui lavorare – ha detto di recente Luciano Rui – perché passano subito. E poi, una volta di là, diventano tutti principini. Io glielo dico sempre: qualche volta meglio provare a vincere fra quelli della propria età, che prendere sempre schiaffi con i più grandi. Bisogna rimanere umili e serve chiarezza. Prima, con il corridore che restava 3-4 anni, avevamo tutti modo di lavorare meglio. Adesso passano, ma sono più quelli che si perdono. Hanno fatto la licenza da professionisti, ma non una carriera».

Questo è Innocenti: il 2017 è il suo anno migliore da junior, con 9 vittorie, fra cui il Lunigiana (duzimage)
Questo è Innocenti: il 2017 è il suo anno migliore da junior, con 9 vittorie, fra cui il Lunigiana (duzimage)

Il tempo da riprendere

Difficile dire se sia nato prima l’uovo o la gallina. Capire se il meccanismo messo in moto dai team e dai procuratori per prendere i ragazzi sempre più giovani sia la conseguenza di un’attività giovanile esasperata. Oppure se questa, per contro, lo sia diventata avendo i corridori a disposizione per un tempo troppo breve. Di certo qualcosa non funziona.

Per questo il ritorno di Andrea Innocenti in gruppo, come la rinascita di Piccolo, vanno accolti come un presagio felice. A Innocenti si chiede ancora di fare nomi: in realtà il giovane toscano ha già pagato in abbondanza e magari quei nomi – se esistono – altri avrebbero dovuto trovarli e metterli in galera. Non si può colpire oltre un ragazzo di 19 anni e pretendere che risolva da sé problemi che per anni hanno affossato il ciclismo e che ora sembrano sempre più lontani.

Sia Innocenti sia Piccolo avranno le loro difficoltà da superare, ma si spera che i loro motori così potenti ed esuberanti abbiano mantenuto le qualità che gli permisero di vincere lo stesso Lunigiana di Pogacar ed Evenepoel. Innocenti ha davanti a sé un inverno molto importante, così come Piccolo. Entrambi sono usciti a testa alta da un tunnel piuttosto buio: speriamo che questo li abbia resi più forti. Hanno (e noi con loro) tanto tempo perso da riprenderci.

L’attacco di Rui: il ciclismo è un libro da riscrivere

09.11.2022
6 min
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Luciano Rui è nel ciclismo dei dilettanti da 37 anni e prima ha fatto il professionista. Come dice Wikipedia, ha anche partecipato al Tour de France del 1982, ma questo è solo uno dei suoi meriti. Chi come noi lo conosce da trent’anni potrebbe compilare un elenco ben più lungo. Perciò, quando parla “Ciano”, è bene starlo a sentire.

«Il ciclismo italiano di oggi – dice – è un libro da riscrivere. Ma chi è capace di farlo? E a chi conviene che si faccia?».

Luciano Rui è il general manager della Zalf Fior di Castelfranco. Il diesse è Faresin (photors.it)
Luciano Rui è il general manager della Zalf Fior di Castelfranco. Il diesse è Faresin (photors.it)

Da Gregori a Bragato

Rui è il general manager della Zalf Euromobil Fior e ha 63 anni (in apertura è con Lello Ferrara, che fu a sua volta un suo corridore, immagine photors.it). Lo spunto della conversazione è una riflessione sull’intervista dei giorni scorsi a Diego Bragato. Fra i tanti temi posti, c’è la scarsa abitudine nelle nostre squadre di lavorare per obiettivi con gruppi di atleti. Qualcosa che si fa abitualmente nelle migliori continental europee e che in Italia tenne banco fino a quando la Federazione interruppe i rapporti con Antonio Fusi, che aveva ereditato il metodo impostato da Claudio Gregori e perfezionato da Giosuè Zenoni. Nomi che a molti diranno ormai poco, ma che tennero in piedi il ciclismo italiano negli anni in cui (non per caso) sbocciavano ancora i campioni

La nazionale a quel tempo preparava i corridori, non li selezionava come deve fare oggi Amadori. Il tecnico individuava un gruppo di lavoro per ciascun obiettivo, portava i ragazzi in ritiro e poi a correre in giro per l’Europa. Ad agosto, quando un eccesso di attività nei club avrebbe danneggiato i corridori in ottica mondiale, si facevano sempre due settimane di ritiro a Livigno. Generazioni di corridori hanno imparato così a lavorare per obiettivi.

Antonio Fusi è stato cittì degli U23 dal 1993 al 2005. Dal 1998 al 2000 ha seguito anche i pro’
Antonio Fusi è stato cittì degli U23 dal 1993 al 2005. Dal 1998 al 2000 ha seguito anche i pro’
Il sistema funzionava, non trovi?

Aveva cominciato Gregori. Adesso invece si fanno centomila corse in maglia azzurra che non servono a molto. Zenoni e Fusi prendevano 10-12 atleti e li portavano avanti. Nell’anno in cui Basso vinse il mondiale andarono in Germania, al Gp di Wallonie e alla Montpellier-Barcellona. Forse però adesso non è facile con gli atleti che corrono nelle squadre straniere. La nazionale li avrebbe a disposizione? Una volta erano tutti qui…

Dicono di andare via perché qui non fanno lo stesso livello di attività.

All’estero ci sono 7-8 corse a tappe per le quali vale la pena investire, mentre non ha senso andare in Belgio per fare le kermesse. Il problema è che in Italia una volta c’erano 8-9 corse a tappe per under 23, quindi la voglia di andare fuori non ti veniva. Adesso magari non ti invitano, ma perché siamo fuori dal giro, avendo preferito per anni stare qua. Bisogna ricominciare e piano piano si entra nel giro.

La sensazione guardando oggi i team U23 italiani è che il lavoro sia spesso fine a se stesso.

Di sicuro manca il confronto con una squadra importante e si finisce col lavorare per noi stessi.

La Groupama Continental ha svolto quasi soltanto attività U23 con brevi puntate in Coupe de France (foto Alexis Dancerelle)
La Groupama Continental ha svolto quasi soltanto attività U23 con brevi puntate in Coupe de France (foto Alexis Dancerelle)
Nel ciclismo di oggi, sareste ancora disposti a dare i corridori alla nazionale affinché li prepari per gli eventi?

Le squadre più grandi hanno sempre lavorato in sinergia con la nazionale. Sapevamo che dopo il Giro d’Italia avrebbero scaricato, poi sarebbero andati in altura, a correre all’estero e poi dritti sul mondiale. Se fossero rimasti con noi, quando rimangono con noi, noi corriamo per il risultato immediato. Penso che le squadre sarebbero disponibili, la maglia azzurra ha il suo peso. Se credi in un progetto, devi dare il ragazzo alla nazionale. Sennò tirati fuori! Infatti De Pretto da agosto non l’ho quasi più visto e Moro è fisso col gruppo della pista.

Cosa ti pare della nazionale oggi?

Amadori è bravissimo e i risultati degli ultimi anni gli danno ragione, mentre prima è stato a lungo a secco, forse perché lasciando il vecchio sistema, c’è stato bisogno di tempo per assestarsi. Oggi non ci sono tanti atleti con cui lavorare, perché passano subito. E poi, una volta di là, diventano tutti principini. Io glielo dico sempre: qualche volta meglio provare a vincere fra quelli della propria età, che prendere sempre schiaffi con i più grandi. Bisogna rimanere umili e serve chiarezza. Prima, con il corridore che restava 3-4 anni, avevamo tutti modo di lavorare meglio.

Davide De Pretto, corridore della Zalf Euromobil Fior, con la nazionale ha corso europei e mondiali
Davide De Pretto, corridore della Zalf Euromobil Fior, con la nazionale ha corso europei e mondiali
Mentre adesso?

Adesso passano, ma sono più quelli che si perdono. Hanno fatto la licenza da professionisti, ma non una carriera. E’ possibile che i migliori italiani del Giro siano stati ancora Nibali e Pozzovivo? Chi vedete prendere il loro posto?

Vuoi un nome da noi?

Sì, vediamo.

Per i Giri viene da fare il nome di Garofoli…

E’ un bel corridore e dopo che è rientrato dall’intervento è andato forte. Se adesso sale nel WorldTour, non lo vedremo fra gli U23 e avrà bisogno di un paio di anni per venire fuori. Però è un nome giusto. Ha un carattere particolare, ma è giusto che lo sia. Quelli che sono piatti in bici, poi lo sono anche nella vita. E l’agonismo è parte del gioco. Invece siamo diventati tutti educati e finisce che ci accontentiamo del sistema. Qualche litigata a volte fa bene. Una volta c’era il tempo, adesso non più…

Potrebbe essere Garofoli un giovane da seguire in ottica Giri? Rui non lo esclude (foto Instagram/Getty)
Potrebbe essere Garofoli un giovane da seguire in ottica Giri? Rui non lo esclude (foto Instagram/Getty)
Bruttomesso va al CT Friuli per poi andare al Bahrain…

Bruttomesso lo abbiamo tirato su bene. E se aveva già il contratto con il Bahrain, non poteva rimanere con noi? Chissà, magari Miholjevic ha detto di volerlo seguire nella squadra satellite, ma a noi questo non è stato detto. Quando si trattò di far firmare Gatto alla Gerolsteiner, andammo in macchina in Germania e alla fine ci bevemmo due belle birre. Stessa cosa con Oss alla Liquigas. Oggi non sarebbe più possibile. Oggi i procuratori hanno interesse a farli passare subito, tanto loro non rischiano. Ma se gli dai contro, possono anche farti la guerra. Così però finisce il rapporto umano. Ripeto: secondo me, il ciclismo di oggi è un libro da riscrivere. Ma chi è capace di farlo? E a chi conviene che si faccia?

Passaggi precoci, un danno per i ragazzi: parola dei diesse

30.04.2022
7 min
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Corridori che passano troppo giovani, o quantomeno che non sono pronti: non è la prima volta che ne parliamo. Ma visti gli ultimi casi, vedi Trainini, Romano… vale la pena ritornarci. Diversi ragazzi come loro, per scelta o per “demeriti” in quanto non erano maturi, hanno smesso.

Senza contare poi i campioncini che sembrava dovessero spaccare il mondo e che invece stanno faticando più del previsto. Cerchiamo di fare il punto con alcuni diesse del settore U23 che hanno sottomano questi ragazzi.

Antonio Bevilacqua è uno degli storici tecnici alla corte di Beppe Colleoni (foto Colpack)
Antonio Bevilacqua è uno degli storici tecnici alla corte di Beppe Colleoni (foto Colpack)

Parola a Bevilacqua

Partiamo da Antonio Bevilacqua, della Colpack-Ballan. Bevilacqua ne ha visti di corridori nella sua lunghissima carriera, in bici prima e in ammiraglia poi.

«Sono tutti alla ricerca del Pogacar e dell’Evenepoel – dice Bevilacqua – Noi abbiamo avuto Antonio Tiberi e Andrea Piccolo, anche se lui va detto che è rimasto impigliato nel caso Gazprom, però stanno attraversando delle difficoltà. Un anno con noi e sono subito passati. Nella storia c’è stata qualche eccezione di ragazzi che sono passati precocemente, ma adesso sembra essere la norma. E infatti ormai conviene andare forte da juniores. Li alleni come bestie, vanno forte e passano pro’. Ma chi facciamo passare? Non certo un corridore formato».

«Tutti, team e procuratori, hanno paura. La frase ricorrente è: questo è forte, se non lo prendi tu, lo prende qualcun altro. E quando è così alla lunga anche la nostra continental non ha più senso di esistere. Il bello e lo scopo di una squadra come la nostra era di introdurre i ragazzi al professionismo con gradualità. Portarli a fare un Laigueglia, un Coppi e Bartali, un Larciano… Oggi vincono una corsa e via: campioni, professionisti. Quando passai io avevo nel sacco 6 vittorie, 11 secondi posti e quasi mi vergognavo. 

«Certo, il ciclismo è cambiato da allora e oggettivamente i giovani vanno più forte, ma resta le necessità di tempo per farli maturare».

Tiberi 2021
Per Bevilacqua, Tiberi sarebbe dovuto passare alla Trek-Segafredo un anno dopo: avrebbe accusato meno il salto di categoria
Tiberi 2021
Per Bevilacqua, Tiberi sarebbe dovuto passare alla Trek-Segafredo un anno dopo: avrebbe accusato meno il salto di categoria

Tiberi? Arriverà

«Torniamo a Tiberi – riprende Bevilacqua – Un anno in più gli avrebbe fatto bene. Premesso che Antonio è un ottimo corridore e verrà fuori, ma se fosse rimasto con noi per un’altra stagione avrebbe fatto un programma di gare importante con i pro’ e magari avrebbe vinto un Giro del Belvedere. E sarebbe passato anche in altro modo. Sarebbe stato subito vincente e magari avrebbe anche guadagnato di più. Perché se vinci da giovane, guadagni di più. Dal mio punto di vista non avrebbe perso un anno, ma lo avrebbe guadagnato».

«Perché poi un ragazzo che fa fatica in tutto, nei risultati, ad ambientarsi… alla fine rischia di perdere stimoli, di disamorarsi. L’ultimo dei nostri grandi che è rimasto quattro anni con noi è stato Consonni».

Luciano Rui, colonna portante della squadra veneta (foto Scanferla)
Luciano Rui, colonna portante della squadra veneta (foto Scanferla)

Il pensiero di Rui

Da un veterano dell’ammiraglia all’altro: Luciano “Ciano” Rui, della Zalf Euromobil Desirée Fior. Anche lui ha le idee chiare.

«E’ il solito discorso che sostengo da tempo – dice Rui – non puoi andare all’università senza prima aver fatto le medie e le superiori. Poi uno si laurea pure, ma uno, non cento. Per me ancora oggi si dovrebbero fare come minimo due o tre anni tra gli under. Devo dire che quasi tutti i miei ragazzi hanno osservato questo periodo. Sì, magari firmavano al secondo o al primo anno, ma poi restavano con noi ancora una stagione».

«In merito a questo discorso mi viene in mente Nicola Boem, uno dei ragazzi più talentuosi che abbia mai avuto. Ad un certo punto c’è stata fretta di farlo passare, anche se aveva fatto due anni con noi, ma poi una volta tra i pro’ non gli è piaciuto quel mondo. Lui aveva anche un carattere particolare, derivante da una situazione familiare non facile e di là non lo hanno capito. Andava accompagnato, ma c’era fretta di risultati. E così ha smesso. E non si tratta di squadre WorldTour o meno. Si tratta di passare in team che credano in te».

«Tra i pro’ sei solo. L’atleta che deve passare non deve solo essere pronto fisicamente ma anche mentalmente. Adesso ho Alberto Bruttomesso, un primo anno che ha già vinto tre corse. Se ne vince un’altra vedrai cosa succede. Lo avvicineranno e gli diranno che deve passare subito. Dobbiamo imparare a convivere con i procuratori, ma ci vorrebbe più sinergia fra tutti: team dilettantistici, procuratori e squadre dei pro’».

Per Pozzovivo una lunga gavetta alla Zalf prima di passare, ma è ancora in gruppo (e tra gli italiani migliori)
Per Pozzovivo una lunga gavetta alla Zalf prima di passare, ma è ancora in gruppo (e tra gli italiani migliori)

Pozzovivo un esempio

«Una volta prima di passare si doveva fare il militare- dice Rui – E non era cosa da poco. Passava un altro anno, finivi che ne avevi 20 e avevi una testa diversa rispetto a quando ne avevi 18-19, un’altra visione di vita. Oggi passano da ragazzini e quanto durano? Secondo voi perché Daniel Oss o Domenico Pozzovivo sono ancora lì? Pozzo con noi ha fatto cinque anni, Oss quattro. Daniel quando incontra i corridori della Zalf ancora gli dice: “Ciano è stato il mio maestro di vita”. 

«E poi è semplice: un ragazzo raggiunge la sua maturazione ormonale e quindi di equilibrio mentale tra i 24 e 26 anni. Sono dati medico-scientifici, supportati dal parere degli psicologi».

Leonardo Scarselli, da anni dirige i ragazzi della Maltinti
Leonardo Scarselli, da anni dirige i ragazzi della Maltinti

Scarselli…

Leonardo Scarselli è uno dei diesse della Maltinti Lampadari, storica U23 toscana. Anche a quelle latitudini si è verificato più di un caso di passaggi precoci, il più eclatante è stato quello di Daniel Savini. Due vittorie al primo anno, quattro al secondo e via alla Bardiani Csf Faizanè. Adesso, dopo due anni col Greenteam, milita nella Mg.K-Vis, squadra continental. 

«Io – dice Scarselli – penso che ci sia troppa esasperazione nelle categorie giovanili. Soprattutto tra gli juniores i ragazzi spesso non sono gestiti nella maniera più corretta nei confronti della loro crescita. A 17 anni gli fai fare dei carichi di lavoro che vanno al di là di quel che può supportare il loro fisico alla lunga. Poi sono giovani, si allenano e vanno forte. Ma come esplodono si spengono».

«Senza fare nomi, in passato ne ho avute di delusioni. Ragazzi anche che avevano vestito la maglia azzurra da juniores e poi si sono persi».

«Se avrei fatto passare Savini? Assolutamente no. Non era pronto dal punto di vista mentale, non si tratta solo di quello fisico. Non aveva quella maturazione che richiede il mondo dei pro’, una maturazione che è essenziale. E infatti ecco le conseguenze… Perdi il primo anno, perdi il secondo e alla fine perdi anche la fiducia: quella in te stesso e quella da parte del team».

Daniel Savini (classe 1997) passato alla Bardiani adesso milita nella continental Mg.K-Vis
Daniel Savini (classe 1997) passato alla Bardiani adesso milita nella continental Mg.K-Vis

E il caso Savini

Quando Scarselli parla di maturazione per il mondo dei pro’ si riferisce alle responsabilità, agli orari, all’alimentazione. Insomma alle cose concrete.

«Parlo di orari, di puntualità da rispettare, all’invio dei dati degli allenamenti – spiega Scarselli – Per esempio all’epoca chiesi a Zanatta (allora diesse alla Bardiani, ndr) come andasse il mio corridore e lui mi disse che ogni volta c’era una scusa per non inviare i files, in ritiro si era presentato sovrappeso… era partito col piede sbagliato. E infatti lo avrebbero fatto correre quando si sarebbe rimesso in sesto».

«Mi dispiace, perché Daniel poteva essere davvero un buon corridore. Un anno in più tra gli U23, tanto più con l’accordo con i Reverberi in tasca, gli avrebbe fatto bene per quella quotidianità che poi è quella che ti fa fare la differenza nel bene o nel male nel professionismo. In squadra con noi avrebbe avuto delle persone che magari gli sarebbero andate contro. Gli avrebbero parlato a brutto muso nel caso non avesse fatto le cose a modo. Ma se poi ero il solo a pensarla così…

«Io ho fatto il corridore, la mia esperienza conta, sono stato anche in team importanti come la Quick Step, so come funzionano le cose di là».

Caro Rui, che cosa pensi della parabola di Lonardi?

27.01.2022
4 min
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L’ultimo anno da under 23, Giovanni Lonardi lo ha corso alla Zalf Fior. Per questo quando l’altro giorno fra i tanti messaggi ricevuti dopo la vittoria di Valencia ha visto atterrare quello… di “Ciano” Rui che bonariamente lo prendeva un po’ in giro, la sua risposta è stata piena di gratitudine per i bei tempi passati. Il veronese arrivava alla Zalf dopo tre stagioni alla General Store in cui aveva tirato insieme 8 vittorie. Nella squadra di Castelfranco in quel solo 2018 ne centrò 11, fra cui una tappa al Giro d’Italia.

«Ha vinto tante corse – ricorda Rui – fisicamente era pronto per passare. Forse non aveva fatto il salto mentale necessario, ma ci si aspetta che gli investimenti su un atleta vengano fatti a lungo termine e che gli si lasci il tempo per salire quel gradino. Cambiare squadra gli ha fatto bene, ha trovato nuovi stimoli. E quando parti con la vittoria, le cose vanno certamente meglio».

Luciano Rui è stato professionista ed è il riferimento storico nella Zalf di Castelfranco (foto Scanferla)
Luciano Rui è stato professionista ed è il riferimento storico nella Zalf di Castelfranco (foto Scanferla)

Bisogno di sinergie

Rui sa stare al mondo. Ricorda gli anni in cui andava a firmare i contratti con Reverberi direttamente a casa sua. E sa anche che puntare il dito non sarebbe una scelta lungimirante, ma non rinuncia a dire la sua.

«Non si tratta di dire di chi sia la colpa – sorride – semplicemente però si può far notare che negli anni precedenti la squadra e l’atleta non hanno lavorato nella stessa direzione. Con noi Giovanni stava bene, ci siamo lasciato in ottimi rapporti. Pensavo che avrebbe vinto subito perché aveva un bel potenziale, ma la considerazione è sempre la stessa. Per fare l’Università bisogna essere passati per il liceo. E questa fase di formazione ha bisogno dei suoi tempi. Per questo credo che servirebbero sinergie fra atleti, procuratori e squadre. Prima i ragazzi si affidavano al tecnico, adesso le valutazioni sono diverse. Non so se fosse meglio prima».

«Oggi si guardano solo quelli che vincono – riprende – e si perdono gli altri. Uno come Vendrame alla fine è arrivato a dimostrare quanto vale. Prima quasi non lo si conosceva, ma lui si è messo d’impegno e si è costruito. L’altro giorno si è allenato con noi, dimostrando ai ragazzi che in Spagna sarà sicuramente più caldo, ma si può lavorare bene anche facendo avanti e indietro da Asiago. I piedi per terra sono la miglior ricetta».

Un passo per volta

Si guardano quelli che vincono e si punta a farglielo fare anche da professionisti, alzando l’asticella e proponendo esperienze al limite del controproducente.

«Portare Lonardi di primo anno al Giro d’Italia – rimarca Rui – secondo me è stato un errore. Non serve a nulla ritrovarsi ancora ragazzino in mezzo a tutti quei marpioni, non ti fa crescere. Non serve neanche dirgli che tornerà a casa dopo un tot di tappe, perché i corridori non ci stanno mai a mollare. Un ragazzino lo convinci fin troppo facilmente a fare quello che vuoi. Tu lo segui ogni giorno e gli dai 700 euro al mese, poi arriva chi gliene dà 30 mila all’anno, lo lascia da solo e lui automaticamente accetta. E a noi non pagano nemmeno i punti. Giusto ieri ne ho versati per 26 mila dei ragazzi che abbiamo preso.

Nel 2019 viene fatto debuttare al Giro d’Italia, centra un 8° e un 9° posto e si ritira alla 13ª tappa
Nel 2019 viene fatto debuttare al Giro d’Italia, centra un 8° e un 9° posto e si ritira alla 13ª tappa

«Sono sempre gli stessi argomenti – annota Rui – ma non si parla per non subire danni. Vogliono essere tutti come Evenepoel e per diventarlo vanno a correre all’estero o dove trovano l’offerta migliore. Noi abbiamo i nostri 17 corridori con 5 di primo anno, fra cui Bonetto e Bruttomesso: faranno bene. Ma tornando a Lonardi, sono certo che verrà fuori. Non gli conviene pensare al Giro d’Italia, dove prevale il tatticismo. Gli consiglierei di ricavarsi una dimensione nelle corse alla sua portata. Partire forte gli servirà magari a trovare il posto in squadra per la Tirreno, va bene che si conquisti i riflettori un passetto per volta».

Moscon e Velasco: dalla Zalf all’Astana, ce li racconta Rui

29.11.2021
4 min
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Simone Velasco e Gianni Moscon (in apertura, foto Scanferla) si rincontreranno all’Astana nella prossima stagione. I due avevano già corso insieme alla Zalf Euromobil Desirée Fior. Da allora hanno fatto tanta strada e percorso tanti chilometri in gruppo sempre fianco a fianco ma con maglie di colore diverso. Luciano Rui era, ai tempi come ora, il direttore sportivo della Zalf ed ha visto i due ragazzi crescere. Abbiamo così chiesto a chi li ha lanciati nel mondo del professionismo cosa potranno fare una volta ricongiunti nella nuova squadra.

“Ciano” Rui storico diesse della Zalf ha guidato Velasco e Moscon nel 2014 e 2015 (foto Scanferla)
“Ciano” Rui diesse della Zalf ha guidato Velasco e Moscon nel 2014 e 2015 (foto Scanferla)

Tanto amici quanto diversi

«Gianni e Simone – esordisce Luciano, detto “Ciano”, Rui – sono due caratteri completamente differenti. Il primo è timido e serio, un vero montanaro amante della natura e silenzioso. Simone, invece, è il classico uomo di mare: ha un carattere acceso è un vero guascone». Che poi prosegue: «Hanno corso con me (alla Zalf, ndr) per due anni, nelle stagioni 2014 e 2015. Poi Simone è passato professionista con la Bardiani mentre Gianni con la Sky».

Come erano arrivati alla Zalf?

Velasco è arrivato da noi con l’etichetta di ragazzo prodigio e pieno di belle speranze. Mentre Moscon arrivava da una squadra più piccola e si era messo meno in mostra. La sua è stata una crescita più graduale.

Che primo ricordo ha di loro?

Era il primo anno da under 23 e correvamo a Vittorio Veneto. Diluviava, veniva giù davvero forte. Gianni e Simone sono spuntati da soli sul rettilineo d’arrivo e con un gesto molto bello Velasco ha lasciato la vittoria al compagno.

Perché?

Simone quell’anno aveva già vinto mentre quella a Vittorio Veneto è stata la prima vittoria nella categoria per Gianni. Che quella stagione vinse un’altra corsa mica da ridere: il Piccolo Lombardia.

Il secondo successo per Gianni Moscon al suo primo anno da Under 23 è stato al Piccolo Lombardia (foto Scanferla)
Nel 2014 Moscon vinse anche il Piccolo Lombardia (foto Scanferla)
Magari Moscon quest’anno ricambierà il gesto.

I due sono due corridori intelligenti e guardano l’interesse della squadra prima del loro…

E l’anno successivo?

Hanno corso meno insieme, anche perché hanno fatto un calendario differente. Gianni ha corso il Giro delle Fiandre U23 dove ha fatto secondo e il mondiale di Richmond dove è arrivato quarto (dove fece secondo Consonni alle spalle di Ledanois). Velasco ha corso di più in “casa”, ha vinto Coppa della Pace e Ruota d’Oro. Si è piazzato secondo a Poggiana e a Capodarco.

I due quindi anche se diversi vanno d’accordo…

Velasco ha un carattere molto inclusivo, soprattutto quando era più giovane. Sa essere amichevole anche ma rispettando il carattere degli altri, quando erano con me alla Zalf sono sempre andati d’accordo grazie a questa dote di Simone.

L’anno delle risposte

«Arrivano da due squadre diverse – dice Rui – e da anni vissuti in maniera opposta. Moscon viene da una squadra fatta di corridori con la “c” maiuscola ed è riuscito comunque a mettersi in mostra. Simone è alla sua prima esperienza in una squadra World Tour dovrà prendere le misure ed imparare a correre sotto i riflettori. E’ l’anno della raccolta per Gianni e della pesca a strascico per Simone, bisogna raccogliere i frutti del lavoro fatto fin’ora».

Simone Velasco, Coppa Cicogna 2015(Foto Scanferla)
Simone Velasco, Coppa Cicogna 2015(Foto Scanferla)
Simone Velasco, Coppa Cicogna 2015(Foto Scanferla)
Simone Velasco, Coppa Cicogna 2015(Foto Scanferla)
Caratteri tanto diversi che li hanno portati nella stessa squadra, scelta giusta?

Penso che l’Astana sia la squadra adatta alle caratteristiche di entrambi. Velasco è un corridore che può andare a caccia di tappe nei grandi Giri e di qualche semi-classica. Gianni sarà il protagonista nelle classiche senza ombra di dubbio e senza il timore di ricevere i classici “ordini di scuderia”.

Moscon ha il carattere da leader?

Già quando correva con noi aveva il carattere giusto, silenzioso ma deciso. Quando prendeva una scelta la portava fino in fondo.

Velasco?

Per lui mi aspetto un anno di transizione dal punto di vista del carattere, correre in gruppo con la stessa casacca di Nibali è oro colato per lui. Sicuramente darà una mano a Vincenzo Nibali nelle corse a tappe ma è un corridore che il “giorno libero” lo sa cogliere.

Che sensazione prova nel rivederli insieme?

Sono contento, vuol dire che come squadra qualcosa di giusto lo facciamo – ci dice ridendo – abbiamo creato dei grandi uomini e corridori che sono il patrimonio del ciclismo italiano.

Luciano Rui, Marco Frigo, 2019

E alla fine Rui porta Zalf tra le continental

29.10.2020
4 min
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Alla fine sta per cadere anche l’ultimo baluardo del vecchio dilettantismo italiano: la Zalf Desiree Fior diventa continental. E siccome non si tratta di voltare le spalle alla gloriosa storia della squadra di Castelfranco, ci permettiamo di salutare la novità con un applauso. Da troppo tempo infatti i corridori avevano smesso di considerarla un approdo che agevolasse l’accesso al professionismo. E questo indubbiamente significava tradirne la tradizione.

«Per questo motivo – spiega Luciano “Ciano” Rui, carismatico direttore sportivo del team – negli ultimi anni abbiamo perso corridori come Dainese, Battistella e Frigo (i due sono insieme in apertura, foto Scanferla), che ha vinto la maglia tricolore e se l’è portata in Olanda. Loro me lo hanno detto in modo esplicito. Siamo riusciti a trattenere soltanto Moscon, grazie all’attività con i professionisti svolta con la nazionale. E speriamo che qualcuno vada a riprenderlo, Gianni. Era duro di testa allora, temo lo sia rimasto…».

Alessio Portello (Borgo Molino Rinascita Ormelle), Go Rinascita 2020
Alessio Portello, nuovo acquisto, vincitore del Gp Rinascita 2020
Alessio Portello (Borgo Molino Rinascita Ormelle), Go Rinascita 2020
Portello, nuovo acquisto, al Gp Rinascita
Insomma, vi siete decisi…

E’ stata versata la fideiussione, direi che ormai è fatta, anche se ci siamo mossi nel momento più sciocco, con questo Covid ancora nell’aria. Però serviva una svolta, per non perdere i giovani che cresciamo e poi vanno via. Dà fastidio rendersi conto che la Lotto Under 23 non sia continental, ma loro sono il vivaio di una WorldTour…

E poi all’estero ti fanno correre lo stesso.

Qua invece alcuni organizzatori hanno la puzza sotto il naso e altri per correre ti chiedono di pagarti le spese. Ma va bene, si doveva fare e si farà.

Quanti corridori avrete?

Saranno in 15 e sull’ammiraglia torna Faresin. Gianni se ne era andato per fare esperienza continental, ma ha visto che con i corridori lontani da casa non riusciva a seguirli come voleva. Lui sarebbe rimasto se fossimo già stati continental. E assieme a Gianni, tornano a casa suo figlio e Zurlo.

Dici che sarà amore tra Faresin e Contessa, che gli è subentrato l’anno scorso?

Posso dire che sto… mescolando la pasta. Io farò un passo indietro, diventando più manager che tecnico, e ho cominciato a raccomandargli che dovranno lavorare nell’interesse della società. Faresin è super motivato, Contessa ha l’entusiasmo del giovane. Speriamo bene. La squadra del resto è sempre la stessa. Faremo solo corse importanti, qualcosa tra i pro’ e qualcosa all’estero.

Ben figurare tra i pro’ vale quanto vincere una corsa del martedì?

Probabilmente è anche meglio, spero lo capiscano gli sponsor. Ma certo dovremo fare esperienza. Saremo con loro alla partenza, magari non saremo tutti all’arrivo, ma per crescere serve ragionare così.

Edoardo Zambanini, Zalf Desiree Fior, Giro d'Italia Under 23, 2020
Edoardo Zambanini ha conquistato la maglia bianca Aido del Giro
Edoardo Zambanini, Zalf Desiree Fior, Giro d'Italia Under 23, 2020
Zambanini, miglior giovane del Giro U23
Su quali nomi puntate?

E’ arrivato Gabriele Benedetti, che nel 2019 alla Mastromarco aveva fatto due vittorie e cinque podi, poi è passato alla Casillo e non ha brillato, ma ha tanto da dare. Abbiamo preso un paio di buoni juniores, Moro e Portello dalla Borgo Molino. E non dimentichiamo Zambanini, che ha vinto la maglia bianca al Giro d’Italia U23.

Al Giro è arrivata anche la maglia rossa di Colnaghi. Come hai vissuto la sua positività?

Male. Ha fatto una cavolata, ma non me ne lavo le mani. Abita vicino a Spreafico, entrambi positivi allo stesso integratore comprato su internet. Non capisco perché rovinarsi la carriera, dopo essere stato in nazionale e avere delle prospettive. Gli ho parlato da padre. Gli ho consigliato di andare in procura e raccontare la verità, sperando che trovi qualcuno che capisca e non abbia la mano troppo pesante. La domanda che mi faccio è se l’abbiano fregato, nel senso che non c’erano avvisi sul prodotto, oppure no. Internet è un posto rischioso, ma peggio ancora è la mentalità di cercare certe cose.

Correrete ancora con bici Pinarello?

Sì, avremo le F12 con freno a disco. Fausto ci teneva ad avere una continental a Treviso. Il futuro ha i freni a disco. A parte Ineos che fa come vuole, hai visto che al Giro le avevano tutte così? E voi come andate con bici.PRO?

Si lavora, Ciano, si mena e si spera di conquistare pubblico.

– Solo sul web, giusto? Come per i freni a disco. Il futuro è sul web. In bocca al lupo.