Uno-due Jumbo: Laporte e Van Aert si prendono la Gand

26.03.2023
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Uno-due. Wout Van Aert, Christophe Laporte. E’ bastata una sgasata, apparentemente neanche mostruosa sul Kemmelberg e i due Jumbo-Visma hanno salutato tutti. La Gand-Wevelegem di fatto si è decisa a poco più di 50 chilometri dall’arrivo.

Sembra quasi che il maltempo al Nord aspetti le corse per palesarsi, per renderle più mitiche e tradizionali. La pioggia, il freddo e a tratti anche un po’ di vento non sono mancati nei 261 chilometri in questa “quasi monumento”.

Un solo corridore

Senza Van der Poel, che cova il bis al Fiandre e si nasconde, ecco che tutti i fari sono puntati sul “Wout nazionale”, tanto più che Remco Evenepoel non c’è e se la “spassa” al sole della Spagna. La corsa si accende sin da subito. Tra gli attaccanti della prima ora anche Greg Van Avermaet.

La Gand è una sorta di Amstel Gold Race delle Fiandre e nel suo dedalo di stradine e cambi di direzione è facile restare coinvolti in una caduta, come è successo a Filippo Ganna. Per ora non sembra nulla di grave, se non una forte contusione ad un ginocchio. Ma quel che avevamo scritto giusto questa mattina, riguardo al saltare la Ronde, per non mettere a rischio la Roubaix si è puntualmente verificato.

Il Belgio si stringe dunque intorno a Van Aert e lui non delude i suoi connazionali. Lo aspettano sotto la pioggia. Lo applaudono, lo filmano con gli smartphone mentre le nuvolette escono dalla bocca. E lui spesso la bocca ce l’ha chiusa. 

Su un muro al 17% Van Aert piega ma non spezza Laporte. I due hanno fatto uno crono a coppie
Su un muro al 17% Van Aert piega ma non spezza Laporte. I due hanno fatto uno crono a coppie

Wout il buono

Pedala composto, potente come nei giorni migliori. Lui un filo più agile di Laporte. Su uno dei muri ad un tratto toglie di ruota anche il compagno francese. E se ne accorge. Non molla subito – vuol far vedere chi è il più forte – tuttavia non affonda il colpo e in cima lo aspetta.

E lo aspetta anche perché okay che è Van Aert, ma mancano ancora parecchi chilometri all’arrivo. I due vanno via di comune accordo. Belli. Spianati sulle loro Cervélo. Il distacco continua ad aumentare in modo costante ma regolare. E arriva a toccare 2’15”.

Dietro si muovono un po’ come degli juniores. Tirano a momenti. Scattano. Ineos Grenadiers e Bahrain-Victorius ci provano un po’ di più, ma alla fine è questione di gambe. E i due Jumbo ne hanno di più. Amen.

Il chilometro finale è una lunga – forse anche troppo – parata. I due si parlano. Si abbracciano, si riparlano. Si riabbracciano, si voltano a guardare l’ammiraglia che lampeggia nel grigio pomeriggio belga. Alla fine la ruota che taglia per prima la linea è quella di Laporte. Ma la gioia del Belgio non è strozzata. Wout ha vinto lo stesso.

«Siamo andati “full gas” fino ai -10 dall’arrivo – ha detto Van Aert – quando era chiaro che avremmo vinto. Io ho alzato le braccia al cielo venerdì e ho gli occhi puntati sui prossimi obiettivi (si legga Giro delle Fiandre, ndr). Posso dire che fare la Gand è stata una buona scelta», quest’ultima frase era la risposta a chi lo incalzava sul fatto che VdP era rimasto a riposarsi.

«La vittoria di Christophe è stata una decisione facile. Ne parlavamo giusto qualche giorno fa: pensavamo che un nuovo arrivo in parata non sarebbe mai più accaduto, visti i livelli elevati che ci sono, e invece… Tutto questo è frutto del duro lavoro di squadra».

Laporte ringrazia

Laporte intanto gioisce e anche lui torna ai dieci chilometri dal traguardo: «Lì Wout mi ha chiesto se volevo vincere. Penso che conoscesse già la risposta! È davvero incredibile. Wout è stato più forte di me oggi, quindi devo a lui questa vittoria a lui. Vincere una classica e una tappa al Tour era il mio sogno sin da bambino. Ora l’ho realizzato. Questa vittoria è per mia moglie e i miei due figli. Sono stanco, ho sofferto ma sono anche molto felice».

«La nostra tattica? Volevamo accelerare al secondo passaggio sul Kemmelberg e l’abbiamo fatto – ha detto il francese – anche se mancavano 52 chilometri. Da lì abbiamo dato tutto fino alla fine. Ho fatto di tutto per restare con Wout. Era davvero forte oggi. Sono felice di condividere questo successo con lui».

Baffi: dall’esempio Sanremo ecco come cambia la fuga

24.03.2023
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Il tema della fuga alla Milano-Sanremo tiene ancora banco, dopo aver sentito due dei fuggitivi di giornata abbiamo ascoltato anche la voce di chi ha gestito la rincorsa. Sull’argomento delle fughe ci sono delle cose da dire. Come sottolineato anche da Contessa, parlando di Lucca e del suo motore adatto ai tentativi da lontano, si è notato come i corridori abbiano sempre meno spazio per cercare azioni di questo genere.

Alla Classicissima la fuga è sempre stata braccata dal gruppo
Alla Classicissima la fuga è sempre stata braccata dal gruppo

Sempre sotto controllo

Alla Classicissima proprio la Trek-Segafredo, guidata in primis da Jacopo Mosca, si è messa a gestire subito lo svantaggio, non facendolo mai decollare. Sull’ammiraglia era presente il diesse Adriano Baffi, con lui entriamo nel merito di questo lungo inseguimento e non solo. 

«Nel caso della Milano-Sanremo – spiega Baffi – uno deve fare delle previsioni e porsi delle priorità da seguire in corsa. Le scelte tattiche vengono decise prima della convocazione, poi in base a come si vuole gestire la corsa si portano determinati corridori. Sabato noi avevamo intenzione di tenere la fuga sotto controllo fin da subito (lo aveva anticipato lo stesso Mosca parlando a Maestri e Tonelli prima del via da Abbiategrasso, ndr). Sapevamo che sulla costa ci sarebbe stato vento a favore e quindi era bene non rischiare nulla. Poi c’è da dire una cosa: una squadra parte con la sua idea, ma non sa quello che accadrà in gara. Alla Sanremo noi volevamo gestire il distacco, siamo stati fortunati perché anche la Jumbo era della stessa idea. In questo modo ci siamo potuti spartire un minimo il lavoro».

Pedersen alla sua seconda Sanremo, è arrivato sesto, eguagliando il risultato del 2022
Pedersen alla sua seconda Sanremo, è arrivato sesto, eguagliando il risultato del 2022

Di necessità virtù

Il team americano ha lavorato per Mads Pedersen che ha eguagliato il risultato dello scorso anno: sesto sul traguardo di via Roma. L’altra punta era, invece, Jasper Stuyven, che ha concluso decimo. 

«In base alle necessità della squadra – riprende Baffi – e dei propri capitani, si decide che tipo di corsa fare. Mettersi in testa a gestire l’inseguimento permette di rimanere sempre nelle prime posizioni, evitando il nervosismo fin dai primi chilometri. In più, quando hai un uomo che tira, il capitano prende responsabilità perché vede nel concreto il lavoro dei suoi compagni. C’è da aggiungere che noi avevamo pensato fin da subito di controllare la corsa, per questo abbiamo portato Mosca, lui è un corridore che si presta molto bene a questo tipo di lavoro. Se ci pensate, grazie al lavoro di Jacopo la squadra ha utilizzato un solo uomo fino ai Capi, ci ha dato davvero una grande mano».

La presenza di Mosca è stata funzionale alla tattica che si è voluta applicare in corsa
La presenza di Mosca è stata funzionale alla tattica che si è voluta applicare in corsa

Livello sempre più alto

Va bene gestire la gara, ma un distacco così minimo tra gruppo e fuga, alla Sanremo, non si vede spesso. E’ una caratteristica degli ultimi anni, le fughe non prendono più tanti minuti di vantaggio sul gruppo, e di conseguenza faticano ad arrivare all’arrivo. 

«Questo perché il livello si è alzato – risponde Baffi – anche corridori che tu pensi possano essere meno pericolosi, alla fine, vanno forte comunque. Si sono alzate le medie (questa Milano-Sanremo è stata la seconda più veloce di sempre, ndr) ed è migliorata anche la qualità degli interpreti. Ormai le squadre sono impostate e costruite per vincere sempre, Roglic alla Tirreno-Adriatico ha portato a casa tre tappe di fila. Qualche anno fa vincevi una tappa ed eri soddisfatto, e così in quella successiva lasciavi spazio alla fuga. Magari mettevi la squadra davanti a tirare, ma solo per gestire il distacco, non di certo con l’obiettivo di andare a riprendere il gruppetto davanti. Nella tappa dei muri, quest’anno, i fuggitivi sono stati riagganciati a 60 chilometri dall’arrivo, così come a quella di Tortoreto.

«Questo nuovo sistema ha cambiato il modo di vedere la corsa, anche per le squadre WoldTour – conclude – non ci sono più le classiche fughe d’appoggio. Ora mandare un corridore in avanscoperta, sperando possa dare una mano ad un possibile attacco, non funziona più, quando viene ripreso dagli inseguitori è sfinito ed il suo lavoro è pressoché inutile. Di conseguenza, mandi un corridore in fuga solo per muovere la corsa o eventualmente per farti vedere se non hai alternative valide (l’Astana, priva di capitani, alla Sanremo ha mandato in fuga Riabushenko per questo motivo, ndr)».

A Van Aert è mancato poco. E forse quel 52…

19.03.2023
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Un po’ come Pogacar ieri, anche Wout Van Aert sembra fare “buon viso a cattivo gioco”. Si dichiara non dispiaciuto di come è andata la sua Milano-Sanremo e si complimenta con l’eterno rivale Van der Poel.

La verità è che la Classicissima della Jumbo-Visma, la squadra più attesa, non è stata affatto facile. Più volte hanno avuto qualche incidente di percorso, ma tutto sommato sono sempre rimasti dove volevano. E alla fine la differenza l’hanno fatta le gambe. E poi c’è quel quid che riguarda il monocorona da 52 denti che tanto fa discutere.

Van Aert e Pogacar stanchi dopo l’arrivo di Sanremo. Hanno dato tutto
Van Aert e Pogacar stanchi dopo l’arrivo di Sanremo. Hanno dato tutto

Nessun rimpianto

«Non ho nessun rimpianto – ha detto Van Aert dopo l’arrivo – Mathieu ha dimostrato a tutti di essere stato fortissimo. E’ stata una Sanremo velocissima, anche se la Cipressa è stata più facile del previsto, quindi sul Poggio c’erano più persone. E la corsa alla fine si è fatta tutta lì».

«Siamo rimasti in quattro, tutti corridori molto forti e tutti abbiamo corso per vincere. Ed è quello che ha fatto anche Mathieu. Lui è stato intelligente. Bisognava chiudere subito quel buco, ma io ero ero a tutta quando ha attaccato Pogacar.

«Semmai sono rimasto sorpreso dal fatto che Mathieu avesse ancora qualcosa nelle gambe. In discesa ho provato a chiudere, ma sapevo che al massimo saremmo potuti scendere alla stessa velocità. Poi una volta entrati a Sanremo, all’ultimo chilometro, ci siamo giocati il secondo posto. Ma si sapeva, è normale. E’ stata una bella gara, una bella battaglia».

Wout dice di non essere deluso, ma poi aggiunge anche: «Mathieu è andato via al momento giusto. Io non mi pento di come ho corso – quasi a giustificarsi – Questa gara mi piace. È la quinta volta che la faccio e sono sempre stato nella top 10. Devo provare a rivincerla».

Richard Plugge, grande capo della Jumbo-Visma
Richard Plugge, grande capo della Jumbo-Visma

Parla Plugge

E di tattica in qualche modo ci ha parlato anche il grande capo della Jumbo-Visma, Richard Plugge. Nella zona dei bus il general manager ha detto: «Erano rimasti in quattro, i più forti di oggi ed era più o meno quello che ci aspettavamo. Van der Poel è stato molto intelligente.

«Si sapeva in anticipo che qualcuno sarebbe scattato lì, ma servivano le gambe. Non è facile e Wout aveva speso tanto per chiudere su Pogacar… con Van der Poel a ruota».

«Siamo stati anche un po’ sfortunati. Abbiamo avuto qualche guaio di troppo. Avremmo potuto utilizzare meglio Jan Tratnik nel finale, ma è caduto (prima della Cipressa, ndr). Alla fine per me ottenere un podio in una classica monumento va bene».

E il fatto di spingere di più sulla Cipressa lo ha confermato anche il diesse, Grischa Niermann. L’assenza di Tratnik non ha scombussolato del tutto i piani, ma ha inciso.

E se fosse stata questa scelta, il monocorona, ad aver deciso la Sanremo di Van Aert?
E se fosse stata questa scelta, il monocorona, ad aver deciso la Sanremo di Van Aert?

Persa in partenza?

E così la corsa dei giallo-neri è stata molto meno semplice di quel che si possa pensare. Però è anche vero che Van der Poel nel finale non aveva tutti questi compagni e anche la UAE Emirates non aveva lavorato al meglio sulla Cipressa. Pertanto la domanda, e le riflessioni, da farsi riguardano proprio il famoso monocorona da 52 denti che ha utilizzato Van Aert.

Che quel rapporto lo abbia “cotto a fuoco lento”? Che lo abbia logorato nei quasi 300 chilometri da Milano a Sanremo? O, analisi ancora più tecnica, che il 52 sul Poggio a quelle velocità forse è “poco” per rispondere a certi attacchi? Non che in una corsa del genere si utilizzi così spesso il 39 o il 40, ma va da sé che con il 52 quando si va forte, e alla Sanremo capita praticamente per 270 chilometri, per forza di cosa si va a cercare un pignone posteriore più duro. A rafforzare questa ipotesi, consideriamo anche che Van Aert, il quale a volte si getta persino nelle volate di gruppo, ha perso lo sprint con Ganna.

Dubbi che lo stesso Plugge non smentisce. Con la tipica lucidità di chi lavora con i numeri, alla domanda se Van Aert rifarebbe questa scelta lui replica così: «Bisognerebbe chiederlo a Wout, ma come vedete sono appena sceso dalla macchina e ancora ci devo parlare. E’ una cosa che analizzeremo». 

Cervélo S5, la “spada” di Roglic per le tappe veloci

13.03.2023
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Oggi più che mai, per vincere nel ciclismo la bici conta. Proprio perché a fare la differenza sono i dettagli ogni aspetto della bicicletta deve essere al massimo. E il cavallo di battaglia che Primoz Roglic ha sfoggiato nell’ultima tappa della Tirreno-Adriatico era davvero al top. Ovviamente parliamo della sua Cervélo S5.

La S5 è una bici dalla spiccata vocazione aerodinamica, ma non solo quella chiaramente. Anche se in Jumbo-Visma, per stessa ammissione dello staff performance, tendono a preferire l’aerodinamica al peso.

Primoz ha usato la S5 nella veloce frazione di San Benedetto del Tronto, mentre in quelle più dure e nervose di Sassotetto e dei muri di Osimo ha preferito la più snella Cervélo R5.

Telaio “piccolo”

Ma entriamo nel dettaglio. La Cervélo S5 dello sloveno è una taglia 51. Un telaio quindi relativamente piccolo per lui che è alto 177 centimetri. Secondo le indicazioni di Cervélo dovrebbe usare una 54. Ma è una scelta che ci sta, visto che il telaio S5 non fa della rapidità dei cambi di direzione la sua arma principale.

Come tutte le bici aero infatti è meno “snella” in una discesa tecnica, con curve strette, o sugli strappi più duri, però è molto più stabile, veloce e se vogliamo anche comoda – visto i materiali – nei tratti più pedalabili e regolari. E conti alla mano, questi sono in percentuale la netta maggioranza durante ogni frazione. Pertanto optando una taglia potenzialmente più piccola rispetto a quella che potrebbe utilizzare, Roglic va a riprendersi qualcosa in fatto di guidabilità.

Anche in virtù di questa scelta il particolare manubrio integrato a “V” della sua Cervélo ha un attacco manubrio pronunciato. Questo corrisponde infatti ad una lunghezza di 130 millimetri.

Altro aspetto che emerge dalla scelta di questa taglia è il dislivello sella-manubrio. Non abbiamo numeri certi alla mano, ma dovrebbe essere ben al di sopra dei 10 centimetri. E lo si nota anche dal fatto che quando la gamba si trova nella parte alta del pedale il suo ginocchio appare ben più alto del manubrio stesso. Ma è una tendenza che in Jumbo-Visma adottano un po’ tutti i corridori.

Posizione avanzata

Da questo concetto del ginocchio alto, passiamo ad un’analisi della sua catena cinetica e quindi delle sue misure. Roglic ama pedalare parecchio in avanti. In questo modo riesce a sfruttare i due distretti muscolari maggiori delle gambe: i quadricipiti e il grande gluteo. Grande gluteo che in quanto ex saltatore dal trampolino con gli sci ha ben sviluppato.

Altro aspetto non trascurabile è la scelta delle pedivelle. Lo sloveno potrebbe usare tranquillamente le 172,5 millimetri ma ha scelto le 170. E questa è una opzione in linea con le tendenze attuali che protendono per la rapidità di rotazione, piuttosto che per l’effetto leva.

E poi anche la combinazione corone/pignoni. Non di rado il campione sloveno utilizza la cassetta posteriore con la scala 10-33, mentre il plateau è 52-39. Questo sulla S5 e anche sulla Cervélo R5. Il vantaggio, oltre alle esigenze dettate dalla planimetria, è quello di sfruttare meglio il penultimo ingranaggio della scala, ovvero il 28, anche con un incrocio 52-28. Diversi colleghi usano la cassetta 10-28, dove l’undicesimo pignone ha 24 denti.

Le chicche di Primoz

Per il resto, le ruote sono quelle “made in Cervelo”, le Reverse. A San Benedetto del Tronto il setup prevedeva l’alto profilo differenziato fra anteriore e posteriore, rispettivamente di 52 e 63 millimetri. Mentre a Osimo e Sassotetto, complice anche il vento, aveva montato quelle con profilo da 34-37 millimetri.

Queste ruote ad alto profilo con canale interno largo (25 mm all’anteriore e 24 mm al posteriore), consentono un alloggio ottimale per i tubeless Vittoria Corsa Pro da 28 millimetri. Sotto questa misura in casa Jumbo-Visma non si va, l’alternativa è il 30 millimetri, cosa che notammo già in autunno nel nostro raid presso il loro Service Course in Olanda.

La larghezza del cerchio ha anche valenze aerodinamiche, legate sia alla struttura stessa della ruota che alla copertura che vi si alloggia. Pertanto la scelta di un battistrada largo è stata fatta pensando non solo alla scorrevolezza, ma anche al pacchetto aerodinamico: ruota-copertone-bici. Tutto ciò secondo gli studi in galleria del vento, va a ridurre anche le turbolenze, specie in caso di vento laterale.

Sempre in merito a queste ruote, voci di corridoio, dicono che stiano sperimentando un nuovo tipo di carbonio.

Infine, Primoz ha i doppi comandi: sia quelli tradizionali delle leve che i Blips di Sram, semi-nascosti sotto il nastro e posizionati al modo “velocista”, ovvero all’interno della piega. Roglic pedala molto con le mani basse bassi anche quando la strada si impenna. In questo caso ha il pulsante interno alla piega anche per la guarnitura anteriore e non solo per il cambio posteriore. 

Benoot è tornato: il collo è a posto, le gambe girano

11.03.2023
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Tjesi Benoot era partito per la Tirreno-Adriatico come capitano della Jumbo-Visma. Primo a Kuurne e terzo alla Strade Bianche, non poteva immaginare che Roglic sarebbe tornato in così grande spolvero. Rivederlo davanti a lottare ha dato alla squadra la certezza di aver recuperato un uomo chiave dopo il brutto incidente di Livigno dello scorso agosto.

«La condizione è buona – aveva detto dopo la crono – dopo settimane in cui pensavo che non sarei stato mai più un corridore. Primoz è arrivato all’ultimo minuto, non sappiamo bene cosa aspettarci, ma è un top player, con lui non si sa mai. I prossimi giorni mostreranno chi di noi sarà battuto in classifica. Partiamo con ambizione, vedremo dove andremo a finire».

La strada ha detto che Roglic e Kelderman si sono trovati più a loro agio sulle pendenze fra l’Abruzzo e le Marche, ma Benoot non molla il suo buon umore. E quando lo incontriamo al via della tappa di Osimo, il suo passivo in classifica è pesantissimo per aver lavorato ieri per Roglic e aver perso 35 posizioni.

Tutto nei piani?

Fino a due giorni fa ero quarto, ma se riusciamo a vincere con Primoz, va più che bene. Di certo non mi ha fatto male andare in profondità nello sforzo questa settimana, in vista delle classiche.

Non vinci spesso, ma a Kuurne è andata bene…

E’ stato bellissimo, sono anche passato nel bar dei tifosi. Però sono stato anche attento a non fare cose strane, perché questo di solito è il periodo dell’anno in cui ci si ammala

Da una frattura al collo alla vittoria in una classica. Ti sei tolto un peso?

Ero già andato bene il giorno prima alla Omloop Het Nieuwsblad, la vittoria di Kuurne è stata una conferma. Il sabato le mie gambe giravano come volevo e domenica sono stato capace di vincere e riscattarmi da quella sfortuna.

Tiesj Benoot e Attila Valter: le incomprensioni della Strade Bianche sono state superate
Tiesj Benoot e Attila Valter: le incomprensioni della Strade Bianche sono state superate
Eri appena arrivato dal Teide, ormai non se ne fa più a meno?

Pensare che l’altura sia alla base di tutto lo trovo eccessivo. Secondo me rappresenta il 10 per cento del lavoro totale. Il resto è composto da allenamento, alimentazione, materiale, conoscenza del percorso, tattica… E ovviamente dal livello dei corridori di cui si parla.

Come mai secondo te il peso della corsa è spesso sulle vostre spalle?

Non lo so, però mi sono accorto che lasciano a noi la corsa. Fortunatamente come squadra lo fronteggiamo bene e tutto sommato è meglio gestire la corsa che sprecare energie con avversari che non vogliono stare al passo.

Sei arrivato terzo nella Strade Bianche che avevi già vinto nel 2018: in cosa sei diverso da quel corridore?

Fisicamente sono migliorato, ma il livello generale è molto più alto. La più grande differenza è la mia esperienza. Mi avvicino alle gare con più calma e non ho paura di rischiare, pur di vincere. In passato avrei potuto tirare tutto il giorno anche per una certa piazza d’onore. Ora penso alla vittoria, come a Kuurne, e corro qualche rischio di più per salvare le forze.

Nella cronometro di Lido di Camaiore, ritardo di 1’14” da Ganna
Nella cronometro di Lido di Camaiore, ritardo di 1’14” da Ganna
Cosa cambia se, come a Siena, in squadra non c’è Van Aert?

Senza Wout, le aspettative della squadra sono un po’ inferiori. Con lui lì si corre sempre per vincere. Per questo il podio è stato un buon risultato. Non nascondo di aver sentito un po’ di pressione, ma non me ne sono preoccupato. Dopo aver vinto, mi sono molto tranquillizzato.

Ora che Wout è tornato, pensi di poter lottare per qualche altra gara in futuro?

Sono già arrivato tra i primi cinque in ogni gara di un giorno che ho corso, tranne la Liegi. L’anno scorso sono arrivato terzo nell’Amstel e a San Sebastian, secondo alla Dwars door Vlaanderen, dove potevo davvero vincere. A Kuurne probabilmente nemmeno mi aspettavo di vincere, ma è andata bene.

Alla partenza da Follonica, Benoot con la compagna Fien e la figlia Roos
Alla partenza da Follonica, Benoot con la compagna Fien e la figlia Roos
Abbiamo visto un Van Aert un po’ sotto tono, che idea ti sei fatto?

E’ vero, ma non siamo affatto preoccupati per questo. Ero lì quando si è ammalato. Non si è allenato per due giorni e causa di questo non ha potuto allenarsi. E’ arrivato qui. Ha avuto tre giorni per recuperare e ora è lanciato verso la primavera.

Si comincia a pensare che siate in grado di decidere le corse da soli.

E’ importante che continuiamo ad avere dubbi per migliorare. Nel primo ritiro è stata usata la similitudine del coniglio e delle volpi. Negli ultimi anni siamo stati le volpi che inseguono il coniglio. Oggi siamo il coniglio che corre davanti alle volpi. Gli obiettivi più grandi sono avanti nella stagione, questo ci permette di mantenere la concentrazione.

Inverno (e dubbi) alle spalle, Roglic è tornato

09.03.2023
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E dire che Primoz Roglic aveva deciso di venire alla Tirreno-Adriatico solo due giorni prima del via da Camaiore. E oggi, alla quarta corsa della stagione, ha subito piazzato un successo. Come solo i veri grandi campioni sanno fare, specie in questo ciclismo.

A Tortoreto, che da un lato si affaccia sugli Appennini innevati e dall’altro sul mare, lo sloveno della Jumbo-Visma ha messo tutti in fila. E lo ha fatto con una volata apparentemente facile, con quella scioltezza di quando la gamba è piena e gira il rapporto con naturalezza.

Dopo sei mesi…

Ma è chiaro che il successo non è stato così scontato. Sul primo passaggio in cima alla collina abruzzese, Roglic si era anche sfilato un po’. Col senno del poi probabilmente non era una questione di gambe, ma tattica: si era fatto sorprendere dall’affondo di Alaphilippe.

Ed ora eccolo qui in sala stampa. Primo. Felice. Sorridente. Scherzoso come poche altre volte.

Questo inverno Roglic ci aveva detto che il suo primo obiettivo era quello di tornare in forma, di tornare ai suoi livelli. Non pensava d alcun traguardo intermedio, né tantomeno a questa o a quella corsa. Non sapeva neanche se avrebbe fatto il Giro o il Tour.

«Quando ho deciso di venire alla Tirreno? All’ultimo minuto. Era importante tornare a correre! Volevo fare un piccolo upgrade dopo l’ultimo stage duro di allenamento e così sono venuto qui. Dopo sei mesi ci voleva. Ora però il mio programma verso il Giro d’Italia resta quello, con Catalunya e altura.

«Ci voleva un po’ per tornare a questo livello – va avanti Roglic – Ma io non ho mai avuto dubbi di farcela. Anche perché sono riuscito allenarmi come volevo. Era più questo quello che mi “spaventava”. Da parte mia mi alleno sempre forte e in corsa cerco di fare sempre il meglio. Quindi questo successo è una sorpresa parziale».

Mostri del passato?

Il finale di Tortoreto però è stato nervoso, più di quel che ci si poteva attendere. Ma forse proprio questo nervosismo, una volta tanto ha sorriso alla causa di Roglic.

Ad agevolarlo verso questo successo infatti ha inciso anche la caduta di Wout Van Aert che, ci hanno detto dalla Jumbo-Visma, essere il capitano designato al via da Greccio. 

Di contro, per Roglic, c’è da dire che questo arrivo ricordava quello della Vuelta 2022, quando lo sloveno era caduto. Un arrivo veloce, di un gruppo ristretto, in cima ad una salita con lui a fare la volata. Si era rotto la spalla sinistra e da lì aveva iniziato il suo calvario autunnale. Un calvario fatto di operazione, placche, ripresa degli allenamenti, dubbi… 

«Un po’ sì: lo ricordava – ammette Primoz – ma tanti arrivi sono così». Nella sua mente quindi non c’erano i fantasmi di Monastero de Tentudia, ma solo la concentrazione per l’arrivo di Tortoreto.

Primoz ha cercato, ed è riuscito, ad essere freddo. Ha controllato fino alla fine e quando ai 300 metri si “scollinava” per le semicurve del traguardo, si è fatto intelligentemente sfilare e si è così preparato allo sprint vincente.

Per la cronaca Alaphilippe, nervoso dopo l’arrivo, è andato subito a rivedere lo sprint dietro al palco. Anche se va detto che il francese è stato il primo a complimentarsi con lui. Al contrario di Van Aert che con il sedere sanguinante mentre passava 7’40”, lo cercava con gli occhi sul podio e una volta incrociato lo sguardo ha alzato il braccio al cielo.

Fortuna e squadra

Prima abbiamo detto che la caduta di Van Aert, in qualche modo ha aperto le porte a Roglic.

«Vero – prosegue lo sloveno – la caduta di Wout un po’ ha inciso. Le cose cambiano in fretta in corsa e noi siamo stati bravi a riorganizzarci. E sono stato anche fortunato ad evitare la caduta. Un po’ di fortuna ci vuole sempre.

«Ora pensiamo a domani e dopodomani. Vediamo come starò. Intanto è stato bello tornare a stappare lo spumante. E stasera mi raderò i peli! Avevo detto che lo avrei fatto dopo la prima vittoria».

Il gruppo ritrova ufficialmente un suo grande interprete. Se qualcuno aveva qualche dubbio adesso sa che Roglic è tornato.

Tratnik, una freccia in più per l’arco della Jumbo-Visma

26.01.2023
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La Jumbo-Visma ha vinto il ranking UCI 2022. E’ stata la miglior squadra, quella che ha raccolto più punti. Merito di un grande team, di atleti come Vingegaard, Van Aert, Roglic ma anche di tanti corridori che hanno permesso loro di poter primeggiare. Insomma, merito dei gregari. E proprio perché sanno bene che il ciclismo, checché se ne dica, è uno sport di squadra, ecco che ne hanno preso un altro di gregario, Jan Tratnik (in apertura foto Instagram Jumbo-Visma).

Lo sloveno viene dalla Bahrain-Victorious. E’ uno di quei corridori tosti. Forse in bici non è un “cigno”, ma di certo ci puoi contare. Tratnik sa vincere e sa far vincere. Porta punti e li fa fare. Un uomo così lo vorrebbero tutti.

Occasione giallonera

Mentre era intento a farsi fare il calco del piede per le nuove scarpe Nimbl, Tratnik ci ha raccontato  del suo passaggio.

«Sono stato in contatto con diverse squadre – ci ha detto qualche tempo fa Tratnik – e vengo da una squadra importante come la Bahrain. Ma alla fine ho deciso per questo team perché penso sia il massimo in questo momento.

«Qui penso di poter ottenere il top dal punto di vista dei materiali, della preparazione… E così la scorsa estate, quando si fanno i contratti, c’è stata questa opportunità ho deciso di accettare».

A dispetto della sua statura, ma ormai conta poco vedendo Evenepoel, lo sloveno è un ottimo cronoman. E anche questo, ci aveva detto Mathieu Heijboer, responsabile della performance, aveva inciso sul suo passaggio. Poter disporre di un corridore così duttile è un’arma in più. Può essere utile in più occasioni.

Lo sloveno è un ottimo cronoman. Ha vinto quattro titoli nazionali contro il tempo
Lo sloveno è un ottimo cronoman. Ha vinto quattro titoli nazionali contro il tempo

Missione rosa

E infatti Tratnik è stato inserito nella missione Giro d’Italia, dove il leader sarà Roglic. Con così tanta crono, oltre al fatto che potrebbe cogliere un buon successo, magari Jan potrà essere utile al suo capitano e connazionale Primoz Roglic.

Potrà essere una pedina molto interessante per capire gli ultimi dettagli prima della prova del leader. Spesso infatti si fa fare al gregario la crono “a tutta” proprio per capire i punti critici e le condizioni del tracciato e riportare così info preziose per il leader. E se questo “gregario” è anche un cronoman tanto meglio. E ovviamente anche per tutto il resto: salita, pianura, il fatto che sono entrambi sloveni…

«Sono nel miglior team per quanto riguarda le crono – prosegue Tratnik – e penso di poter fare delle prove abbastanza buone. In questa squadra avrò bici, scarpe, materiale, tutto il meglio e per questo sono curioso di vedere come andrà. Il mio obiettivo è raggiungere il mio massimo».

Tratnik Giro 2020
L’impresa di San Daniele del Friuli al Giro 2020. Tratnik vinse al termine di una lunga fuga
Tratnik Giro 2020
L’impresa di San Daniele del Friuli al Giro 2020. Tratnik vinse al termine di una lunga fuga

Motivazione super

Ma come abbiamo detto all’inizio, un atleta come Tratnik non è solo un gregario. E’ vero che in certe squadre il “pedigree” si alza, ma se vinci quattro titoli nazionali a crono in uno stato in cui ci sono Pogacar, Roglic e Mohoric, se alzi le braccia in una tappa del Giro, non sei uno qualunque. 

«Dovrò aiutare e lo so bene – spiega Tratnik – ma penso anche che se ci sarà la possibilità potrò essere libero per cogliere dei risultati personali. 

«Sembro molto motivato? E’ vero, lo sono. So che non sono più giovane e forse proprio per questo sento di avere con questa nuova sfida la maggior motivazione della mia carriera.

«Mi piace molto la cura di tutti gli aspetti, come ho detto, dalla preparazione all’alimentazione. So che tanti altri ragazzi sarebbero voluti venire qui, proprio per l’organizzazione che c’è e per la possibilità che si ha di esprimersi al massimo. E per questo non vedo l’ora di scoprire come andranno le cose. Loro sanno bene cosa vogliono».

La squadra olandese rinforza così la sua rosa con un altro corridore di sostanza. E se Tratnik dovesse rivelarsi un nuovo Laporte ne vedremo delle belle.

Scarpe più basse, posizione da rifare? L’esempio di Affini

17.01.2023
5 min
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La Jumbo-Visma quest’anno ha apportato diverse novità nel suo allestimento tecnico. Non solo è passata da Shimano a Sram, ma è intervenuta anche sul set pedali e scarpe, ora Nimbl. Questo nuovo mix ha inciso anche sulla posizione in sella degli atleti.

Le scarpe Nimbl hanno una conformazione particolare. Sono full carbon e soprattutto hanno una suola diversa, ben più bassa della media. E questo va a modificare, o quantomeno ad influenzare, le catene cinetiche dell’atleta, la sua messa in sella.

Affini durante le prove per la creazione della sua scarpa full carbon
Affini durante le prove per la creazione della sua scarpa full carbon

Spinta più diretta

Edoardo Affini già in tempi non sospetti ci parlò di quanto queste scarpe avrebbero inciso. E le sue parole hanno trovato riscontro nella realtà dopo i primi mesi di utilizzo.

«Alcuni di noi – racconta il mantovano – con la suola e i nuovi pedali si sono abbassati anche di 7 millimetri. Io devo ancora provare la soluzione definitiva delle scarpe, vale a dire quella senza adattatore. Quelle con l’alloggio specifico per l’attacco del pedale Wahoo (sviluppato sulla piattaforma SpeedPlay). Con questa soluzione infatti, in pratica sarà il pedale ad “entrare” nella scarpa.

«La sensazione in sella è effettivamente differente, ma anche molto soggettiva. In generale tutti ci troviamo bene e Nimbl lavora molto sul piano della personalizzazione. Sono sempre aperti e disponibili per le modifiche. Poi è chiaro che alcune problematiche potrebbero emergere con il passare del tempo. Penso per esempio a quando farà più caldo e si alzeranno le temperature nella scarpa, ma appunto ci servirà del tempo…».

Oggi si parla di ciclismo del millimetro e quando in ballo ce ne sono tanti come quei 7 millimetri di altezza sella, ne risente anche la posizione. 

«La sensazione in sella cambia – prosegue Affini – senti una spinta più diretta sul pedale. Hai proprio l’idea che ci sia una minore dispersione di forza. La spinta parte diretta da sotto al piede».

Rispetto allo scorso anno, Affini (qui nel 2022) si è abbassato di 4 millimetri con la sella. Ma gli interventi potrebbero non essere finiti
Per ora, rispetto allo scorso anno cui si riferisce la foto, Affini si è abbassato di 4 millimetri con la sella

Giù il baricentro

Ma in una catena cinetica, se si interviene su un punto e si vuol mantenere l’equilibrio, bisogna intervenire anche sugli altri punti, almeno quelli nevralgici. 

«Ci siamo abbassati anche con il manubrio – va avanti Affini – ognuno si è abbassato anche in base alla sua flessibilità e questo è un buon guadagno immagino. Non è uno stravolgimento, ma nel ciclismo dei marginal gains, quando metti tutto insieme…  conta anche quello.

«Nella maggior parte dei casi si è tolto uno spessore da 5 millimetri, che è un po’ la misura standard. Ma non è così matematico che se abbassi la sella, tu debba abbassare anche il manubrio. Te lo devi anche sentire perché se poi sei troppo chiuso, comprimi troppo gli angoli, magari hai problemi con i glutei, o con la schiena.

«Di certo ne guadagna la guida. In questo modo si abbassa un po’ il baricentro e in discesa soprattutto c’è più maneggevolezza».

I tecnici della Jumbo-Visma stanno lavorando da mesi sul nuovo set scarpe-pedali
I tecnici della Jumbo-Visma stanno lavorando da mesi sul nuovo set scarpe-pedali

Biomeccanica da rivedere

Edoardo Affini ci spiega tutto ciò dalla Spagna, dove è in ritiro con la sua squadra. E lì il “laboratorio è ancora aperto”. Insomma, lavori in corso.

Andando a toccare scarpe, pedali, altezza sella e altezza manubrio… va da sé che si riveda la biomeccanica. E c’è chi stando a cavallo tra due misure potrebbe valutare di cambiare il telaio e passare alla misura inferiore.

«La squadra – dice Affini – ci mette a disposizione un tecnico e a turno, solitamente la sera, andiamo a farci dare un’occhiata. Lo farò anche io. Anche se io vado dal mio biomeccanico di sempre, Alfiero Dalla Piazza (e suo figlio Michele) a Sommacampagna non lontano da casa. 

«Per quanto mi riguarda, in attesa come ripeto della scarpa definitiva, io mi sono abbassato di 4 millimetri con la sella e di 5 millimetri con il manubrio. Per ora, al netto di quelle sensazioni di guida differenti in quanto a spinta e maneggevolezza, non ho avuto nessun problema di schiena o altro».

Lo squadrone olandese con le nuove scarpe durante il ritiro spagnolo (foto Instagram)
Lo squadrone olandese con le nuove scarpe durante il ritiro spagnolo (foto Instagram)

Feedback positivi

E che i lavori procedano spediti ce lo conferma anche Francesco Sergio, di Nimbl, il quale si trova nel ritiro di Denia per seguire la messa punto delle scarpe ai piedi degli atleti.

«Stiamo ultimando le consegne finali – ha detto Sergio – mancano solo le donne che abbiamo fatto in questi giorni. Quasi tutti hanno provato la scarpa definitiva con gli attacchi per i nuovi pedali Whaoo. I feedback sono tutti positivi. Sul piano della biomeccanica qualche intervento c’è stato».

Sergio non può esporsi troppo, ma lascia intendere che gli angoli di spinta tutto sommato sono rimasti invariati sul piano orizzontale, a parte un atleta che ha spostato un po’ le tacchette in avanti. Mentre sono variati quelli sul piano verticale, appunto le altezze di sella e manubrio.

Nimbl, una storia italiana ai piedi della Jumbo-Visma

07.01.2023
6 min
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Ricordate quando qualche tempo fa eravamo andati al Service Course della Jumbo-Visma? In quel regno del massimo ciclismo in mezzo a campioni, test, reparti di meccanica… siamo stati testimoni di un appuntamento davvero all’avanguardia e segretissimo: la consegna delle scarpe Nimbl.

Il team olandese e l’azienda italiana ci hanno aperto le porte per questa esperienza che ci regala un esempio concreto di quei marginal gains di cui tanto parliamo.

Un accordo incredibile

Un po’ come per la scelta dei nuovi gruppi, è stata la corazzata giallonera a contattare Nimbl. In test privati, dopo aver acquistato in incognito alcune paia di scarpe di varie marche, gli olandesi avevano visto che quelle italiane rispondevano ai loro canoni di performance. Da lì è germinato l’accordo, tra Jumbo-Visma e Nimbl.

«In effetti – racconta Francesco Sergio di Nimbl – i Jumbo ci hanno espresso il loro desiderio di correre con le nostre scarpe, ma visto che siamo un’azienda artigianale, la cosa all’inizio poteva “spaventarci”. Tra continental, WorldTour e squadra femminile qui ci sono 60 corridori, avremmo avuto difficoltà nella capacità di rispondere alle loro esigenze. E parlo proprio di produzione.

«Quando ci siamo trovati, avevo con me le scarpe e i loro tecnici mi hanno detto che le conoscevano. In qualche modo già le avevano provate ed erano rimasti soddisfatti. C’era solo un piccolo miglioramento da fare riguardo al sistema di posizionamento delle tacchette, ma solo perché loro avevano preso un modello prodotto fino a maggio.

«A quell’epoca ancora non avevamo un macchinario specifico e le faceva Luigino (Verducci, ndr) a mano. Ma in quanto a peso, rigidità e aerodinamica, erano soddisfatti dei nostri modelli».

Luigino Verducci e Francesco Sergio hanno unito le loro esperienze per il progetto Nimbl e la sfida Jumbo-Visma
Luigino Verducci e Francesco Sergio hanno unito le loro esperienze per il progetto Nimbl e la sfida Jumbo-Visma

Sfida accettata

Pensate, una piccola realtà con base nelle Marche che opera sì nella sfera dell’altissima qualità, ma anche dei piccoli numeri, che si ritrova sul piatto una collaborazione con il team che ha appena vinto la classifica UCI e il Tour. Non solo, la vita di Nimbl è recentissima: due anni e mezzo. Alla base c’è la grandissima esperienza di Luigino Verducci e dello stesso Francesco Sergio nel mondo delle scarpe e dei materiali. Sin qui le collaborazioni con i professionisti erano state con i singoli corridori e non con i team. 

«A quel punto ci siamo guardati in faccia. E ci siamo dettI: “Abbiamo la possibilità di collaborare con il più grande team del momento. Buttiamoci!”. E abbiamo accettato la sfida».

Parte quindi questa collaborazione e nei mesi intermedi tra le due stagioni, in attesa della fine del contratto col brand precedente, Nimbl realizza per i ragazzi della Jumbo-Visma un modello camouflage. Perché qui ogni cosa va provata e riprovata al millimetro. Sono le richieste del settore performance dei materiali, i quali volevano che i corridori appunto provassero le scarpe, anche per guadagnare tempo.

Col nuovo anno la collaborazione italo-olandese ha visto la luce (foto Instagram)
Col nuovo anno la collaborazione italo-olandese ha visto la luce (foto Instagram)

Iniziano i lavori

Guadagnare tempo per metterle a punto. I feedback dei ragazzi infatti sono utilissimi. Quelle scarpe camouflage erano modelli standard e sono serviti come base di partenza per la personalizzazione, fiore all’occhiello di Nimbl e una delle peculiarità che ricercava la Jumbo-Visma.

«Una volta fatto l’accordo, abbiamo ricevuto le taglie dal team – va avanti Sergio – e abbiamo inviato le scarpe ad ogni atleta. Come potete vedere, a turno vengono qui e ci dicono cosa va bene, cosa bisogna cambiare, i dettagli da affinare.

«Essendo la produzione nostra, per noi è facile intervenire sulla tomaia, ma anche sul layup del carbonio. Non si tratta d’intervenire solo sulla forma, ma anche sulla rigidità. C’è infatti chi vuole la scarpa più rigida avanti e meno rigida dietro e chi il contrario. Per la realizzazione di una scarpa, c’è bisogno di circa 7 giorni, mentre per i piccoli cambiamenti servono mediamente 3-4 ore per corridore. Per alcuni abbiamo dovuto rifare la suola ex novo.

«Abbiamo sviluppato un’App con la quale annotiamo misure e richieste di intervento. Per esempio se c’è un corridore che ha un osso sporgente, cerchiamo di aumentare la parte esterna dove c’è il punto di pressione. O ancora, c’era un corridore che aveva una taglia 47 in quanto a lunghezza, ma una 44 quanto a larghezza. In questo caso abbiamo rifatto la suola nuova direttamente».

Il calco

E mentre Sergio ci spiegava questo progetto, Verducci eseguiva il calco sugli atleti. Seduti su una sedia, a sua volta posta su un tavolo, l’artigiano marchigiano eseguiva un calco in gesso che riprendeva la forma esatta del piede fino alla caviglia.

Una volta ottenuto il calco, Verducci con un frullino apriva “la scultura” e sfilava il piede. In fase di realizzazione vengono presi in considerazione il calco, chiaramente, ma anche i feedback del corridore.

I feedback dei corridori sono importantissimi. Qui le prime indicazioni dopo aver provato il modello camouflage (prima del calco)
I feedback dei corridori sono importantissimi. Qui le prime indicazioni dopo aver provato il modello camouflage (prima del calco)

Dettagli e progetti

Per il momento Nimbl ha messo a disposizione il modello Ultimate (con il Boa), Air Ultimate (con i lacci) ed Exceed.

«Perché i lacci? Non ci crederete ma le scarpe risultano essere più aerodinamiche. E non di poco, secondo alcuni test in pista sono emersi vantaggi fino a 4 watt».

Come dicevamo Nimbl ormai è presa totalmente in questo progetto. Dopo l’accordo c’è stato un grande riassetto aziendale, grazie al quale si prevede di raddoppiare la produzione, migliorare ulteriormente il sistema per il serraggio delle tacchette e lanciare nuovi modelli. In arrivo infatti ci sono un modello full carbon, uno special edition per il Tour e anche uno gravel.

Le indicazioni dei corridori sono annotate su un’App
Le indicazioni dei corridori sono annotate su un’App

Feedback preziosi

La cosa bella è che i corridori sono rimasti piacevolmente colpiti da questo nuovo modo di lavorare, questa personalizzazione così certosina. Uno di questi è stato Primoz Roglic, che ha tempestato di domande per oltre mezz’ora i tecnici di Nimbl (foto di apertura). Il lavoro a stretto confronto fa alzare l’asticella da entrambe le parti.

Un esempio di alcune domande? Si dice che il carbonio non aiuti molto a refrigerare il piede e vedendo così tanto carbonio gli stessi corridori hanno posto la questione a Sergio e colleghi.

«E’ una domanda che ci hanno fatto in parecchi – ha detto Sergio – noi abbiamo risposto che tra coloro che l’hanno utilizzata nei 40°C del Tour de France nessuno si era lamentato. Era ben più calda la suola in plastica di qualche tempo fa. Se ricordate c’erano corridori come Cipollini che con il trapano andavano a forare le suole. In ogni caso è un aspetto che abbiamo preso in considerazione e che non trascureremo».