Da Tignes ai Pirenei, il Tour a distanza di Affini e compagni

21.07.2022
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Nelle stesse ore in cui i compagni al Tour combattevano sui Pirenei contro Pogacar e i suoi uomini, sulle strade alpine nella zona di Tignes dieci corridori della Jumbo Visma uscivano per la… distanzona del mercoledì. Fra loro Edoardo Affini, salito lassù tre settimane fa per riprendere dopo il Giro d’Italia e avviato sulla via della Vuelta España. E’ la prima volta che il mantovano affronterà due Grandi Giri nello stesso anno. Ma intanto, tra i motivi di curiosità e i chilometri di lavoro, al rientro da ogni allenamento la squadra si mette davanti alla tivù a tifare per i compagni in Francia. Ieri però hanno fatto in tempo a vedere soltanto gli ultimi 3 chilometri, perché alla fine sono scappate fuori 7 ore.

«Si lavora ancora fino a domenica – spiega Affini, in apertura nella foto Bram Berkien – tre settimane sono il periodo giusto per ottenere dei buoni frutti. Fossi venuto solo per una decina di giorni, sarebbe servito a poco».

Tignes è da anni quartier generale della Jumbo Visma per i ritiri in altura (foto Jumbo Visma)
Tignes è da anni quartier generale della Jumbo Visma per i ritiri in altura (foto Jumbo Visma)
Com’è guardare il Tour in tivù, con un compagno in maglia gialla?

Si guarda molto volentieri soprattutto con una squadra così. Stanno facendo davvero un bel Tour, ma è una corsa matta. Sono sempre a blocco.

E’ più sorprendente la maglia gialla di Vingegaard o la forza pazzesca di Van Aert?

Sono entrambi dei fenomeni (ride, ndr), capaci di fare grandi cose. I preparatori e lo staff che hanno seguito Vingegaard in ritiro erano abbastanza ottimisti che potesse fare queste cose.

Giusto ieri Martinello diceva che Pogacar sta ancora pagando gli errori del Granon.

E ha ragione. Quel giorno noi abbiamo fatto un grande numero, mentre lui è caduto nella trappola o si è sentito superiore. Del resto, negli ultimi tempi ha vinto tutte le corse a tappe cui ha partecipato, un po’ di peccato di presunzione ci può anche stare.

Affini racconta che Roglic e Vingegaard sono partiti alla pari, poi la strada ha scelto
Affini racconta che Roglic e Vingegaard sono partiti alla pari, poi la strada ha scelto
Cosa ti è piaciuto quel giorno della tua squadra?

Vedere Roglic che si è messo subito a disposizione, senza accampare scuse sul fatto che avrebbe potuto rientrare in classifica.

Il ragazzo ha la sfortuna che lo perseguita.

Sarà anche vero, ma trovo assurdo che al Tour si cada per una balla di paglia spostata da una moto. Dalle immagini si vede che i tifosi o addirittura un poliziotto avrebbero potuto dargli un calcio e toglierla di mezzo, ma non lo ha fatto nessuno ed è una vergogna. Se Primoz fosse passato dall’altra parte dello spartitraffico, magari ora vedremmo un altro Tour oppure no.

Da dove ricominci?

Dalla Vuelta a Burgos e poi ho vinto il biglietto omaggio per la Vuelta. Non so quando la squadra renderà ufficiali le convocazioni, ma a me l’hanno detto. Adesso sono tutti impegnati al Tour, anche quelli dell’ufficio stampa. Il povero Ard (Ard Bierens, addetto stampa del team olandese, ndr) ha da gestire Van Aert che a livello mediatico è fra i top 3 al mondo. E poi la maglia gialla che attira giornalisti da tutte le parti.

Affini ha condiviso con Vingegaard i ritiri di inizio anno e la Tirreno (foto Bram Berkien)
Affini ha condiviso con Vingegaard i ritiri di inizio anno e la Tirreno (foto Bram Berkien)
La Vuelta potrebbe venire bene per i mondiali, no?

L’idea sarebbe proprio quella, anche se il viaggio potrebbe dare da pensare. In Spagna si chiude l’11 settembre e là si corre il 18. Un giorno se ne va con il volo, se non altro però a livello fisico le tre settimane della Vuelta saranno perfette. Ma è la prima volta che faccio due Giri, non so come risponderò. Confido che se lo hanno deciso, abbiano valutato che sia all’altezza. E poi si parte dall’Olanda, la cronosquadre sarà a mezz’ora da dove vive la mia compagna. Avrò il fan club olandese…

Invece gli europei?

M’è toccato dire di no alla nazionale e mi è dispiaciuto. Si corrono 3-4 giorni prima che parta la Vuelta e sarebbe troppo. Mi dispiace perché la nazionale è importante, ma per il mio sviluppo credo che abbia più senso fare la Vuelta.

Vi sentite mai con i ragazzi del Tour?

Con parsimonia e senza interferire troppo. Sappiamo da chi c’è stato che razza di tensioni ci siano là, quindi siamo rispettosi. Però dopo la tappa del pavé gli ho scritto che erano andati bene, perché quel giorno potevano volare minuti pesanti.

La sera della tappa del pavé, da Tignes sono partiti messaggi di complimenti verso Arenberg
La sera della tappa del pavé, da Tignes sono partiti messaggi di complimenti verso Arenberg
Vingegaard e Roglic sono partiti alla pari?

L’anno scorso, Primoz aveva la precedenza. Quest’anno sono partiti sullo stesso piano e poi sarebbe stata la strada a decidere. E purtroppo ha deciso presto.

E questo Vingegaard che l’anno scorso vinceva la Coppi e Bartali e adesso ha la maglia gialla?

Incredibile, vero? Mi sembra rimasto uguale a prima. Devo essere onesto, ho corso poco con lui. Abbiamo fatto insieme i ritiri, poi la Tirreno, dove è stato secondo dietro Pogacar. E’ sempre molto tranquillo, anche se di suo non è tanto estroverso.

Ad Affini piacerebbe entrare nel gruppo Tour?

In una squadra così c’è sempre rivalità. Non che ci prendiamo a legnate, però siamo tutti in lizza per qualcosa. E’ chiaro poi che le scelte vengano fatte dai tecnici. Si compone la rosa più ampia, che poi viene via via snellita. Ci si basa sul rendimento dell’anno prima e magari se c’è qualche nuovo, lo mettono dentro perché l’hanno preso apposta.

Vingegaard e Van Aert sono partiti per il Tour con grandi attese
Vingegaard e Van Aert sono partiti per il Tour con grandi attese
Fra poco smetterai di essere il solo italiano della Jumbo…

Ho letto la notizia dell’arrivo di Belletta. Non lo conosco, è giovanissimo, ma quassù sono bravi a far crescere i ragazzi.

Come è andata la distanza?

Eterna. E’ caldo anche qui, siamo vicini al Monte Bianco, ma di neve se ne vede proprio poca. Abbiamo fatto sette ore senza lavori specifici, ma a un bel passo. Qualcuno ha fatto meno e ha tagliato. Ma insomma, non è che siamo proprio andati a spasso

Peyragudes, fuori una. Sul Tour pesa il verdetto del Granon

20.07.2022
6 min
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«Forse anche chi lo gestisce pensava di vincere facile – riflette Martinello – e invece hanno commesso sul Galibier l’errore che sta costando a Pogacar il Tour. Ci sono ancora domani e poi la crono, per carità, ma quando l’ho visto fare il segno di dare gas prima del Granon, ho pensato che fosse troppo spavaldo e l’avrebbe pagata. Senza tutti gli errori di quel giorno, il Tour si risolverebbe per secondi. E probabilmente Pogacar avrebbe ancora la maglia. Ma nulla toglie che Vingegaard sia davvero una roccia».

Un Tour che secondo Martinello è stato fortemente condizionato dal giorno del Granon
Un Tour che secondo Martinello è stato fortemente condizionato dal giorno del Granon

Pirenei, tappa a Pogacar

Come quando vai a vedere il film del secolo, poi esci e hai quasi paura di dire che non t’è piaciuto. La prima tappa pirenaica del Tour si è risolta in una bolla di sapone, ricalcando l’equilibrio che era costato al Giro bordate di critiche e qui si risolve invece in una grandeur oggi (forse) immotivata. Pogacar ha vinto la tappa (risultato che tanti sognano e pochi raggiungono), ma Vingegaard ha fatto un altro passo verso Parigi.

Chi viene da lontano, si aspettava i dieci scatti e il brillantino fatto saltare e sarà rimasto certamente deluso. C’è chi dice che al posto del brillantino ormai si guardi il misuratore di potenza e quando quello dice che sei al massimo, ti fermi. E poi per fortuna c’è chi fa un’analisi meno di pancia e conclude che semplicemente le forze in campo sono queste e sarebbe stato illogico aspettarsi di più.

Abbiamo scelto Martinello come avvocato del Tour, cercando di capire cosa sia successo finora e cosa potremo eventualmente aspettarci nei quattro giorni che restano.

McNulty fenomenale: ha portato i primi due fino ai 300 metri. Forse dietro non c’erano grandi gambe
McNulty fenomenale: ha portato i primi due fino ai 300 metri. Forse dietro non c’erano grandi gambe
Se un gregario come McNulty porta i primi due del Tour ai 300 metri di una tappa di montagna, forse dietro non c’erano tante gambe…

Stanno interpretando un Tour di alto livello, ma si vede che sono tutti morti. Oggi La UAE Emirates ha provato con le ultime forze a disposizione e Pogacar ha giocato d’astuzia. Ha finto di non averne più e poi ha vinto la tappa perché è più veloce.

Nell’unico giorno in cui Vingegaard è rimasto davvero solo.

Oggi la Jumbo non era quella dei giorni scorsi, Kuss non ha avuto una grande giornata. Semmai ci si poteva aspettare un atteggiamento diverso da parte della Ineos, ma è chiaro che siano tutti lì a difendere le posizioni. Il caldo li sta ammazzando. E McNulty è stato superlativo, però chi può dire se domani anche lui non pagherà?

La vittoria di Pogacar è stata figlia del suo grande cambio di ritmo: in volata fra i due non c’è partita
La vittoria di Pogacar è stata figlia del suo grande cambio di ritmo: in volata fra i due non c’è partita
Vingegaard isolato non ha tremato, si poteva pensare che accadesse?

Hanno raggiunto l’obiettivo di privarlo dei compagni, ma non ha mostrato cedimenti. Il vantaggio inizia a essere rassicurante. E se domani non cambia nulla, l’ultima crono sarà un fatto di energie rimaste e lui ha forza e sa difendersi contro il tempo. Non credo che arrivi a perdere più di 2 minuti da Pogacar.

Tanti hanno criticato la Jumbo Visma.

Non sono d’accordo neanche un po’. Possono aver commesso qualche sbavatura, ma nei giorni decisivi, da quello del Galibier alla tappa di ieri, la maglia gialla si è sempre ritrovata sul percorso i compagni mandati in fuga. Davanti hanno un Pogacar che non fa la differenza, perché finora Vingegaard non ha perso un millimetro. Sta diventando determinante davvero il giorno del Granon.

Dopo la tappa mirabolante di ieri (al pari di McNulty oggi), Kuss ha pagato pesantemente dazio
Dopo la tappa mirabolante di ieri (al pari di McNulty oggi), Kuss ha pagato pesantemente dazio
Spiega, per favore…

Hanno corso con troppa spavalderia, giocando come il gatto col topo. Si sono gestiti con superficialità. Perché inseguire Roglic sul Galibier, quando dopo il pavé ha già 2’36” di ritardo? Lascialo andare. E se Pogacar voleva inseguirlo perché ha 23 anni ed è esuberante, doveva intervenire l’ammiraglia.

Che cosa dovevano fare?

Fallo andare, hai attorno ancora tutta la squadra, lo riprendi quando vuoi. Anzi, vedrai che torna indietro da solo ben prima del Granon. Invece ha fatto lo spavaldo ed è andato in crisi perché ha gestito male l’alimentazione in una tappa durissima, in cui sono passati più volte sopra i 2.000 metri. Se avessero corso con un minimo di intelligenza tattica, avevano ancora il Tour in mano. E comunque anche in quell’occasione, Tadej si è rivelato un fenomeno.

Nonostante fosse decimata, oggi la UAE Emirates è stata maiuscola. Qui con Bjerg
Nonostante fosse decimata, oggi la UAE Emirates è stata maiuscola. Qui con Bjerg
In cosa?

Il giorno dopo, all’Alpe d’Huez, non lo avrà staccato, però era già in palla. Non ho mai creduto che avesse altro, quella è stata una crisi di fame. Ed essere così forti il giorno dopo è cosa da numeri uno.

Anche Vingegaard non usa la squadra quando scatta Pogacar.

L’ho notato e per me sbaglia anche lui. Ma forse pensa che l’attacco di Pogacar possa essere decisivo. Insomma, Pogacar è Pogacar… Però se invece di saltargli a ruota, lo inseguissero di squadra, correrebbero meno rischi.

Thomas ha difeso alla grande il suo terzo posto dal possibile ritorno di Quintana e Bardet
Thomas ha difeso alla grande il suo terzo posto dal possibile ritorno di Quintana e Bardet
Perché Pogacar ha corso così sul Galibier?

Forse perché si era abituato a vincere facilmente. Se alla Planche des Belles Filles ha davvero dichiarato che Vingegaard è lo scalatore più forte al mondo, forse il giorno del Granon avrebbe potuto essere più attento.

A cosa è servito invece lo scattino di oggi al Gpm di Val Louron?

Ci ha provato. Oppure lo ha fatto perché è un corridore che un po’ concede allo spettacolo. Oppure magari ha in mente anche la maglia a pois. E’ terzo in classifica a 18 punti da Geschke e magari domani potrebbe puntare a prenderla.

Entrambi sfiniti dopo l’arrivo: Pogacar ha vinto, ma la giornata è positiva anche per Vingegaard
Entrambi sfiniti dopo l’arrivo: Pogacar ha vinto, ma la giornata è positiva anche per Vingegaard
Ci si poteva aspettare un finale come fra Pantani e Tonkov a Montecampione?

Pantani fece una serie di scatti e Tonkov alla fine si staccò, ma Pantani era molto più scalatore di Tonkov. Qua invece la sensazione è che Vigegaard sia molto più scalatore di Pogacar. Mentre lo sloveno è più abile a limare e più veloce.

Ti aspettavi un Vingegaard così?

L’anno scorso ha vinto la Coppi e Bartali e tre mesi dopo ha fatto il podio al Tour. Quest’anno è cresciuto ancora, dall’inizio dell’anno è sempre davanti. Non è un predestinato, ha dovuto lavorare sodo ed è migliorato tanto fisicamente e mentalmente. Una situazione come questa, con la maglia gialla, potrebbe destabilizzarti e logorarti. Invece mi pare ben saldo sulle gambe. Insomma, domani se la giocano ancora. Ma Vingegaard sembra avere le carte in regola per tenere ancora duro.

Fra lacrime e abbracci nel giorno di Houle, aspettando scintille

19.07.2022
5 min
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Pierrik era fuori a fare jogging nei giorni che portavano al Natale del 2012. Hugo Houle studiava per diventare un agente di polizia e condivideva col fratello minore la grande passione per il Tour de France. Non passava giorno di luglio, senza che si sedessero insieme per seguire quelle immagini che arrivavano da così lontano.

Nel piccolo villaggio del Quebec in cui vivevano non c’era molto da fare, per cui non vedendolo tornare, Hugo uscì per andarlo a cercare. Lo trovò disteso sulla strada, nessuno intorno. Qualcuno lo aveva investito, poi era scappato.

«Questa vittoria è per mio fratello – dice Houle dopo aver vinto la tappa di Foix – non avevo mai vinto, questo era il posto giusto per cogliere la prima. La sua morte all’inizio mi ha distrutto più di quanto abbia aiutato, dopo un po’ invece questo è cambiato. Pierrick ha avuto appena il tempo di vedermi diventare professionista. Ho dovuto aspettare dieci anni, ma finalmente ho centrato questa vittoria per lui. Incredibile, non ho parole per questo».

Le dita al cielo, lacrime e sorrisi. Il canadese è frastornato. Nella tappa che ci ha fatto sperare in Caruso e ha vissuto della grande attesa del duello fra Pogacar e Vingegaard (sicuramente iniziato senza che però la maglia gialla abbia mostrato più di tanto il fianco), il romanzo del canadese in fuga per fare da riferimento a Woods è uno spicchio di storia che merita un racconto.

Cresciuti insieme

Di questa sua voglia di vincere per onorare il fratello, Houle parlava spesso e in gruppo tutti ne erano al corrente. Per questo i corridori che gli sono sfilati accanto hanno colto la profondità dello sguardo e di quella gioia e sono andati a congratularsi con lui.

«Passavamo tutta la mattina – ricorda – a guardare le tappe, ma lui non ha mai avuto la possibilità di venire in Europa. Ho sempre pensato che sia molto triste. Quando cresci insieme, ti somigli per forza. E Pierrick era un po’ come me. Abbiamo iniziato insieme nel triathlon. Avevamo tre anni di differenza, abbiamo corso insieme e all’inizio era più veloce di me.

«Ci piaceva fare sport insieme, con i nostri genitori che ci accompagnavano. Poi dal triathlon sono passato al ciclismo, ma lui dopo un po’ ha lasciato la bici e ha iniziato a giocare a calcio. Era timido, ma davvero intelligente e un gran lavoratore».

Caruso era nella fuga che ha deciso la tappa e ha provato da solo, pagando forse una crisi di fame
Caruso era nella fuga che ha deciso la tappa e ha provato da solo, pagando forse una crisi di fame

Ho provato ad andare in fuga, ma poi mi sono spento. Forse ho sbagliato ad alimentarmi. Almeno ho fatto vedere che ci sono e nei prossimi giorni ci riproverò

Damiano Caruso

Il primo Tour

Il resto della storia sono i sogni che diventano realtà. Il professionismo arrivato come per miracolo. Gli studi interrotti nel 2010 per fare un solo tentativo convinto. La maglia del team canadese Spidertech. Il WorldTour nel 2013 con la AG2R-La Mondiale nel 2013. E poi il primo Tour nel 2019 con la maglia Astana.

«Non ci sono molti ciclisti del Quebec – sorride – quindi è stato un grande momento. E inoltre ero davvero orgoglioso di avercela fatta. Il passo successivo sarebbe stato ottenere un risultato nel Tour e non semplicemente correrlo. E oggi questo risultato è arrivato».

Non è facile trattenere le lacrime. La stessa linguaccia sul traguardo dopo un po’ è diventata un brivido che lo ha scosso e ancora un’ora dopo la vittoria nei suoi occhi continuano a galleggiare le lacrime.

Dopo i tre attacchi di Pogacar, Kuss ha preso in mano la corsa e ha portato Vingegaard all’arrivo
Dopo i tre attacchi di Pogacar, Kuss ha preso in mano la corsa e ha portato Vingegaard all’arrivo

Assaggi di Pogacar

A margine di tutto questo, si segnalano i due scatti in salita di Pogacar e il suo allungo in discesa, con la netta sensazione (probabilmente accentuata dalla facilità d’azione di Vingegaard) che allo sloveno manchi il rapporto.

«Non è stata una brutta giornata – ha detto appena tagliato il traguardo – ma non è stata nemmeno una giornata perfetta. Spero in occasioni migliori. Ho provato le strade, quindi ho un’idea anche delle discese, anche se sarà meglio fare la differenza in salita. Come ho detto già ieri, i prossimi due giorni saranno perfetti per andare a tutto gas».

Il Tour intanto si è preso anche Marc Soler, arrivato fuori tempo massimo, mentre Majka ha dovuto lasciar andare il giovane capitano per un guaio meccanico sull’ultima salita. Vingegaard è parso in totale controllo per tutto il giorno.

«Due corridori in meno – dice Van Aert, che si è rialzato dalla fuga – cambiano la tattica. Soprattutto perché parliamo di Roglic e Kruijswijk. Ma se Jonas ha le gambe che ha avuto nelle ultime due settimane, lavoreremo per portarlo ai piedi delle ultime salite. Per noi la cosa più complicata sarà l’inizio delle tappe, il controllo della situazione».

Domani, nella 17ª tappa da Saint Gaudens a Peyragudes di appena 129,7 chilometri, i primi 53 saranno proprio di pianura. Poi si scatenerà un inferno incandescente sulle rampe di Aubisque, Horquette de Arcizan, Val Louron-Azet e Peyragudes dove nel 2017 Aru strappò la maglia gialla dalle spalle di Froome. Ha ragione Pogacar, domani sarà per lui un’occasione da non lasciar passare invano.

Vingegaard la sua ombra, ma Pogacar promette spettacolo

18.07.2022
4 min
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«Sul Granon – ammette Pogacar sorridendo – sono stato staccato per la prima volta. Ero sfinito. Avevo dato tutto. La sera ho fatto un’analisi di quello che era successo e mi sono ricalibrato. Non mi sono arreso. Ho mangiato. Ho fatto una bella dormita. E ho cercato di dimenticare».

Inizia così l’ultima settimana del Tour 2022. Vingegaard ha la maglia gialla con i 2 minuti e più, guadagnati in quel giorno sulle Alpi. Pogacar indossa la maglia bianca e deve inseguire: una posizione per lui poco abituale. Ci si chiedeva da più parti come avrebbe reagito alle prime difficoltà e presto lo sapremo. Quello che ha fatto vedere sull’Alpe d’Huez e poi a Mende ha risposto in parte al quesito.

Sul Galibier, dice Pogacar, ha commesso un suicidio, rispondendo agli attacchi e mangiando poco
Sul Galibier, dice Pogacar, ha commesso un suicidio, rispondendo agli attacchi e mangiando poco

Condizione a tempo

Terzo giorno di riposo, conferenza stampa online. Lo schermo è pieno di computer collegati, nessuno vuole perdersi le esternazioni dello sloveno, chiamato a ribaltare la classifica. Quello che fece in un sol giorno nel 2020 senza che nessuno lo aspettasse e che invece adesso tutti gli chiedono.

Il nodo è la condizione e il riposo è il momento perfetto per simili ragionamenti, in attesa che da domani i Pirenei inizino a scolpire sagome più nette.

Vingegaard ha iniziato ad andare fortissimo al Delfinato (5-12 giugno), contro avversari di prima grandezza. A nessuno sfugge il fatto che nell’ultima tappa abbia vinto aspettando abbastanza palesemente il suo capitano Roglic. Al punto di pensare che il leader del Tour sarebbe stato proprio il giovane danese.

Dieci giorni più avanti, Pogacar è andato a rifinire la condizione al Giro di Slovenia (15-19 giugno), dando l’impressione di giocare, ma contro squadre e avversari di cabotaggio decisamente più basso.

Al Delfinato, Vingegaard andava già fortissimo: pagherà nella terza settimana?
Al Delfinato, Vingegaard andava già fortissimo: pagherà nella terza settimana?

Suicidio sul Granon

Chi dei due ha ancora margine di crescita? C’è il rischio che la maglia gialla possa iniziare a perdere smalto? Quello che si è visto finora non va in questa direzione, ma è certo che le prossime salite saranno corse a temperature altissime e ritmi non certo inferiori.

«Sul Granon – riprende Pogacar – mi sono trovato con poca benzina. Ho risposto a tutti gli attacchi. E’ come se avessi fatto dieci volate in salita nello stesso giorno. Mi sono suicidato. Ora dovrò cogliere ogni occasione. Proverò su tutte le salite per riguadagnare più tempo possibile e non avere poi alcun rimpianto. Dipenderà dalle gambe. Se vedrò un’opportunità, andrò a prenderla. E’ il momento di essere forti. L’Alpe d’Huez mi ha ridato fiducia. A Mende la salita era troppo corta e lui era attaccato a ruota. Ma in tre giorni può succedere di tutto e Jonas (Vingegaard, ndr) potrebbe cominciare a essere stanco».

L’Alpe d’Huez ha riportato la fiducia. A Mende, pur su una salita troppo breve, Pogacar ha attaccato
L’Alpe d’Huez ha riportato la fiducia. A Mende, pur su una salita troppo breve, Pogacar ha attaccato

Ad armi pari

Appare sereno. Sa che l’altro è il favorito naturale e questo se non altro semplifica gli schemi: la Jumbo Visma correrà in difesa, la UAE Emirates all’attacco.

«Più o meno – dice – guardando gli uomini, adesso abbiamo squadre simili. Sappiamo quanto sia stato duro fare a meno dei compagni che ci hanno lasciato e se non altro per la Jumbo Visma adesso sarà meno facile. Sui Pirenei sarà un testa a testa. Avremo 50-60 corridori a tutto gas, dalla partenza all’arrivo. Non vedo possibili alleanze, penserò ad andare il più forte possibile. Rischiare il tutto per tutto? E’ pur sempre una corsa. Per cui darò il 100 per cento di tutto quello che posso. Attaccherò. Cercherò di guadagnare. Ma se non dovessi arrivare in giallo, mi consolerò pensando che ho già vinto due Tour e arrivare secondo con la maglia bianca non è tanto male».

Domattina si riparte così, con la sfida fra la maglia bianca (classe 1998) e la gialla (classe 1996)
Domattina si riparte così, con la sfida fra la maglia bianca (classe 1998) e la gialla (classe 1996)

Prima di sabato

Se qualcuno a questo punto starà pensano che il prodigioso sloveno sia sul punto di arrendersi, tirerà un sospiro di sollievo sentendo la chiosa al suo ragionamento. C’è quella crono là in fondo che per lui potrebbe essere un’ancora di salvezza, cui però non vuole pensare.

«Voglio azzerare il gap prima di arrivare a sabato – dice – perché anche lui è forte contro il tempo. Non mi sento di dire quale potrebbe essere un margine per essere capace di batterlo. Conosco il percorso, l’ho fatto due volte. Ma cercherò di riprendere il più possibile in salita».

Chiappucci rimanda Pogacar e alla crisi non ci crede

14.07.2022
5 min
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Nel 1992 Chiappucci scalò l’Alpe d’Huez cercando di staccare Indurain. Sono trent’anni tondi tondi. Lo spagnolo vestiva la maglia gialla, l’italiano era secondo in classifica. E il giorno prima con la fantastica impresa di Sestriere gli aveva guadagnato 1’42”. Claudio doveva recuperare i 5’26” lasciati a Miguelon nella crono di Lussemburgo lunga 65 chilometri. Per questo quando gli chiedi della reazione alla crisi di ieri avuta oggi da Pogacar con i suoi scatti, prima sta zitto e lo senti che si trattiene. Poi risponde.

«Reazione ne ho vista poca – dice – se voleva davvero fargli male, doveva partire all’inizio dell’Alpe d’Huez per mettere in difficoltà la sua squadra. Altrimenti con quegli scattini, gli fai le carezze. E soprattutto, come recupera se non ha la squadra?».

Il giorno dopo la crisi di fame si potrebbe avere paura di non aver recuperato, non credi?

Non so se abbia avuto davvero una crisi di fame. Oggi se ne è stato quatto quatto sino alla fine, poi ha fatto i suoi scatti e dopo l’ultimo si è piantato. Se vuoi attaccare davvero, tiri dritto e soprattutto non ti volti dopo ogni accelerazione. Sennò non serve a niente.

Se non è stata crisi di fame, cosa è stato?

Ha sprecato tanto nella prima settimana. Anche il giorno sul pavé, a cosa serviva fare quelle sparate? Lo guardo correre e ho la sensazione che ogni volta voglia dimostrare di essere il più forte. Solo che questa volta è diverso dallo scorso anno. Adesso ha davanti un avversario più forte, con un gregario come Roglic e altri compagni fortissimi. Mentre lui non ha la squadra che serve. Credo che la UAE abbia gli uomini, ma forse doveva portarne altri. E di sicuro adesso nessuno gli darà una mano…

Secondo Chiappucci l’errore di Pogacar è stato lasciare la corsa in mano alla Jumbo per i 3/4 della salita
Secondo Chiappucci l’errore di Pogacar è stato lasciare la corsa in mano alla Jumbo per i 3/4 della salita
In che senso?

Nel senso che se adesso possono fargli un dispetto, glielo fanno. Quando uno vuole tenerti sempre sotto scacco, appena puoi gliela fai pagare. Non è forte come credevamo, ma vedremo andando avanti. Il Tour è lungo e magari lui può crescere. Però mi spiegate a che cosa è servita la volata di oggi? A sprecare ancora?

Cosa ti pare di questo ciclismo così battagliero?

Mi piace relativamente poco. Quando arrivai davanti in quell’Alpe dHuez, venivamo dalla tappa di Sestriere, ben più dura di quella di ieri. E’ vero che magari sembrava tutto più faticoso perché avevamo mezzi diversi, non avevamo il potenziometro ma solo il cardio. Di sicuro avevamo una maggior fame agonistica che piaceva alla gente. Non facevamo le nostre cose per piacere agli altri, veniva da sé.

Froome si è giocato l’Alpe sino alla fine, ma ancora il gap dai migliori è notevole
Froome si è giocato l’Alpe sino alla fine, ma ancora il gap dai migliori è notevole
Torniamo all’ipotesi che abbia avuto una crisi di fame, qualcuno doveva ricordargli di mangiare?

Mica è colpa sua, questo è il ciclismo che rincorrono. Li vogliono professionisti già da juniores, si bruciano le tappe. A 18 anni non sono più ragazzini, sono sviluppati fisicamente e tecnicamente, ma si perdono in un bicchier d’acqua se salta la tecnologia. Ma alla crisi di fame non ci credo…

Proprio no?

Non credo che a questi livelli si trascurino i dettagli e che la maglia gialla possa dimenticarsi di mangiare, sarebbe grave. Il ragazzo ha vinto due Tour non la corsa del paese, credo abbia già fatto le sue esperienze. Non credo che i 23 anni possano essere una scusante, per lui e per chi lo gestisce.

Ti manca non aver mai vinto sull’Alpe d’Huez?

Avrei potuto quando arrivai quinto, ma c’era davanti la fuga e non riuscimmo a riprendere tutti. E alla fine è diventata la salita di Bugno, che l’ha vinta due volte. Ma non mi lamento, credo di aver fatto parlare. Credo che tutti noi abbiamo dato e ci siamo dati, mentre oggi c’è un’esagerazione tecnologica che li limita. Pensate che io non avevo neanche il procuratore…

Sei stato al Tour nella prima settimana, giusto?

Sì, lungo la strada, mischiato tra la gente, accompagnando tifosi. Loro chiedono e io rispondo. Ma non vado nei villaggi e nemmeno in televisione. Lì sono già tanti quelli che parlano di ciclismo.

Pogacar, per Hinault è stata fringale. «E oggi subito all’attacco»

14.07.2022
4 min
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Il Villaggio a Briancon deve ancora aprire, per questo c’è meno gente e Bernard Hinault ha qualche minuto in più da dedicarci. Il Tasso è al Tour per godersi lo spettacolo e non si può dire che ieri questo sia mancato.

Il vincitore di cinque Tour, tre Giri e due Vuelta ha 67 anni e appare in splendida forma. Si scusa ridendo per il cappello e dice che non vuole bruciarsi sotto questo sole che, malgrado siamo fra le montagne, picchia già sodo. E’ il giorno della Festa Nazionale francese e fra poche ore l’Alpe dHuez sarà giudice di una parte importante della corsa.

«Ieri è stato meraviglioso – dice con un sorriso – questi ragazzi mi ricordano il nostro modo di correre. Sono presenti all’inizio dell’anno, in estate e poi fanno il finale. E’ quello che facevano i corridori anziani come me ed è fantastico».

Al Villaggio di Briancon, un Hinault in veste di turista con bici.PRO
Al Villaggio di Briancon, un Hinault in veste di turista con bici.PRO
Si aspettava il crollo di Pogacar?

Proprio no, non ci aspettavamo che la maglia gialla avesse una defaillance così grande. Ma questo promette scenari molto interessanti per il Tour che sta arrivando. 

Pensa ci sia un motivo per questo crollo?

Penso che sia stata più una fringale, un calo di zuccheri. Non credo a un calo fisico. Quando lo abbiamo visto sul Galibier e poi ai piedi dell’ultima salita, non sembrava affatto sulla porta di una crisi. Ha recuperato tutti gli attacchi senza troppi problemi. Poi sull’ultimo scatto, ha ceduto di schianto. Bene, lo vedremo oggi e poi nei giorni che vengono

Si aspetta che possa attaccare già oggi?

Se fossi io al suo posto, attaccherei per riprendermi un minuto, non per la maglia. Per un po’ quella sta bene dov’è.

Vingegaard ha attaccato a 5 chilometri dall’arrivo, il crollo di Pogacar è stato istantaneo
Vingegaard ha attaccato a 5 chilometri dall’arrivo, il crollo di Pogacar è stato istantaneo
Si parla di Pogacar come del nuovo Hinault…

Ci sono cose in comune. Perché non ha paura, attacca. E penso che sarà ancora più pericoloso ora che è terzo piuttosto che se fosse primo. Opinione mia, sia chiaro…

Ha una squadra alla sua altezza?

No, no. Ed è la cosa che lo penalizza di più. Lo rallenta. Ecco perché deve lasciare la maglia a Vingegaard. Così potrà approfittare per risalire dei Pirenei e della cronometro.

Cosa pensa di Van Aert?

E’ un corridore eccezionale. Puoi pensare che sia più un corridore da classiche, invece anche oggi sarebbe capace di fare dei numeri in montagna. E la strategia che avevano ieri non è stata malvagia (sorride, ndr). Tutti pensano che non sarebbe dovuto andare davanti, invece nella valle si è rivelato un’ottima staffetta. L’abbiamo visto. Ha lottato per scalare il Galibier e dopo il Galibier ha aspettato i suoi leader in fondo. E’ lui che ha fatto tutto…

Pogacar è parso in forma fino al Galibier: questo il gesto del dare gas, colto dalle telecamere della tivù
Pogacar è parso in forma fino al Galibier: questo il gesto del dare gas, colto dalle telecamere della tivù
L’Alpe d’Huez all’indomani di una tappa dura come quella di ieri conviene o è rischiosa più a Vingegaard o a Pogacar?

A entrambi. Credo che entrambi rischiano di pagare della fatica di ieri. Oppure al contrario potrebbero approfittarne per guadagnare ancora. Lo potremo dire stasera, lo sapremo fra qualche ora.

Si allontana richiesto da un poliziotto per un selfie. E’ l’ultimo corridore ad aver vinto la Roubaix e il Tour nello stesso anno, un gigante, un concentrato di forza e coraggio. Uno di quelli che ancora adesso guardi con ammirazione e ascolti sempre volentieri. E la sensazione è che in cuor suo il grande bretone pensi ancora che il Tour lo vincerà Pogacar.

All’ennesimo scatto di Vingegaard, la maglia gialla affonda

13.07.2022
7 min
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Cinque chilometri alla vetta. Il Col du Granon è solo l’ultimo di una tappa in cui i corridori della Jumbo Visma hanno messo in mezzo Pogacar, ricavandone ogni volta risposte sconfortanti. Sul Galibier gli scatti di Vingegaard e Roglic lo hanno preoccupato giusto il tempo di reagire e poi metterli a sua volta in riga. Il gesto di dare gas in favore di telecamera è ancora oggetto di dibattito in sala stampa. Ma lassù Pogacar stava bene, al punto che Roglic l’ha pagata cara e si è staccato.

Manca così poco all’arrivo con Majka che tira e Pogacar che gestisce, da pensare che anche oggi attaccheranno domani. Invece Vingegaard parte ancora e questa volta alle sue spalle qualcosa si rompe. I trenta gradi e la quota si fanno sentire. Pogacar di colpo abbassa la lampo sul torace bianco e la sua pedalata perde consistenza.

«Solo quando ho fatto l’ultimo ultimo attacco sul Granon – dice Vingegaard – ho capito che me ne ero andato. Mi sono voltato, ho visto che non veniva. Poco prima avevo fatto un semplice pensiero: se non ci provi, non lo saprai».

Tutto in un quarto d’ora

Come sia stato che in un quarto d’ora sia crollato il dominatore dell’ultimo Tour è qualcosa che resterà nell’aria fino a che stasera in hotel la UAE Emirates non avrà approfondito il discorso. Intanto Vingegaard spinge con tutto se stesso, con la forza che il suo allenatore Zeeman ha spiegato ieri dopo il traguardo.

«Pogacar ha ancora molta esplosività – ha detto cercando di spiegare quel che ci attendeva – che può esprimere dopo una salita più breve. Jonas in proporzione ne ha meno, ma sulle salite più lunghe si avvicina a Tadej. I valori che ha espresso qui al Tour sulle salite più brevi sono i migliori che abbia mai avuto. Questo ci dà fiducia per il resto del Tour. Presto ci saranno salite dove non puoi nasconderti. E’ lì che si deciderà il Tour».

Solo quando si è voltato sul Granon, Vingegaard ha avuto la certezza di aver staccato Pogacar
Solo quando si è voltato sul Granon, Vingegaard ha avuto la certezza di aver staccato Pogacar

Il sogno di una vita

Vingegaard ha mollato la proverbiale agilità e porta sul Granon i suoi 60 chili con una cadenza cattiva, messa lì per scavare il solco profondo. Alle sue spalle Pogacar deve vedersela con Thomas che gli va via e poi anche con Yates. E come succede in questi casi, la fatica del fuggitivo porta solo buone sensazioni, mentre dietro sta trascinando lo sloveno a fondo.

«Penso che sia davvero incredibile – dice Vingegaard – è difficile per me metterci le parole. Questo è quello che sognavo. Ho sempre sognato una vittoria di tappa al Tour e ora è venuta anche la maglia gialla. E incredibile. Abbiamo preparato un piano dall’inizio della tappa e immagino che abbiate capito quale fosse. Volevamo fare una gara super dura e ne ho ricavato molto vantaggio. Non ci sarei riuscito senza i miei compagni, li devo ringraziare. Sono stati incredibili oggi.

«Negli ultimi due chilometri ho sofferto tanto, volevo solo finirlo – prosegue – ero già totalmente al limite da un chilometro e ho dovuto lottare fino alla fine. A dire il vero, quando abbiamo fatto la ricognizione dei passi con il team, non avevo provato quest’ultima salita, ero salito in macchina. Quindi non avevo grandi sensazioni. Ma ora che l’ho provato, posso dire che è stato duro».

Prima di ritirarsi, Van der Poel non ha resistito all’ultima punzecchiatura ed è andato in fuga con Van Aert
Prima di ritirarsi, Van der Poel non ha resistito all’ultima punzecchiatura ed è andato in fuga con Van Aert

Il giorno perfetto

Fra i compagni c’è sicuramente Van Aert, partito in fuga di buon mattino con il suo… amico Mathieu Van der Poel, che ha concluso il Tour con un ritiro.

«Quando mi sono girato – racconta la maglia verde – ho visto Mathieu ed è stata una bella sorpresa. Siamo subito andati a tutta. E’ stato divertente. Io volevo soprattutto vincere il traguardo volante, ho preso i punti e ora abbiamo anche la maglia gialla. E’ stata una giornata perfetta per la squadra. Eravamo pronti per questo giorno, ma non è stato facile. Pogacar è riuscito a stroncare ogni attacco sul Galibier. Ho pensato che sarebbe stata un’altra giornata dura. Gli stavamo già mettendo pressione dall’inizio del Tour. Avevamo già fatto degli sforzi, ma dovevamo andare oltre. Volevamo farlo soffrire. E alla fine Jonas è riuscito a staccarlo».

Jumbo al settimo cielo

In casa Jumbo Visma il buon umore è contagioso, anche se il Tour è ancora lungo e Pogacar potrebbe ancora rivestire i panni del cannibale.

«Questo era il piano – dice il manager Richard Plugge – i nostri direttori e i corridori lo avevano pianificato da un pezzo ed è riuscito al 90 per cento. Il programma infatti era che Roglic se la cavasse sulla Galibier, ma questo sfortunatamente non ha funzionato. Ma era caldo ed erano sopra i 2.000 metri. Vedendo Pogacar contrattaccare, ho pensato che avrebbe speso tanto…».

“Spallone” Kruijswijk al traguardo era fra i più contenti, dopo anni a tirare per conquiste spesso sfumate.

«Abbiamo cercato di demolire Pogacar – dice l’olandese che vide naufragare la sua maglia rosa al Giro del 2016 – è stata davvero una bella giornata. Lo aspettavamo da molto tempo. Speravamo anche in un risultato migliore, perché volevamo riportare davanti anche Primoz (Roglic, ndr). Abbiamo cercato di mettere su Pogacar. Tadej è davvero forte, ma non poteva rispondere a tutti. Avevamo molta fiducia in Jonas e adesso siamo pronti a difendere la maglia».

Bardet ha attaccato sulla salita finale: è arrivato 3° a 1’10” e ora è secondo in classifica a 2’16”
Bardet ha attaccato sulla salita finale: è arrivato 3° a 1’10” e ora è secondo in classifica a 2’16”

Fino a Parigi

Dopo l’arrivo Vingegaard è crollato in un pianto coinvolgente, anche se fra le immagini più belle di questo pomeriggio sulle Alpi, ci sono state le congratulazioni da parte di Pogacar mentre il danese faceva girare le gambe sui rulli.

«E’ molto difficile per me esprimere a parole quello che penso – ha detto il danese – tutto questo è incredibile. Sul Galibier, Tadej mi ha fatto paura. Era molto forte e ripreso tutti. Ero insicuro se valesse la pena provarci. Poi mi sono scosso. Arrivare secondi è un bel risultato, ma l’ho già fatto l’anno scorso e ora voglio puntare alla vittoria in classifica generale. Per fortuna oggi ci sono riuscito e ora ho la maglia gialla.

«Ovviamente Pogacar reagirà. Lo vedo ancora come uno dei miei principali avversari – dice Vingegaard – è un grande corridore, probabilmente il migliore al mondo. Togliergli la maglia gialla era impensabile. Mi aspetto che cerchi di attaccarmi ogni giorno, ogni volta che ne ha la possibilità. Sarà una gara difficile fino a Parigi, cercheremo di fare del nostro meglio ogni giorno per vincerla. Sarà una bella battaglia».

Jonas Vongegaard è nato il 10 dicembre 1996. E’ altro 1,75 e pesa 60 chili. E’ pro’ dal 2019
Jonas Vongegaard è nato il 10 dicembre 1996. E’ altro 1,75 e pesa 60 chili. E’ pro’ dal 2019

Meritato riposo

L’ultima parola è per il direttore sportivo Grischa Niermann, che ha seguito Vingegaard dalla prima ammiraglia ed è fra coloro che hanno elaborato la strategia di attacco.

«Jonas questa mattina – racconta – mi ha detto che poteva vincere. La strada è ancora lunga, ci sono ancora dieci tappe e alcune sono molto dure. Dipenderà dalla situazione se nei prossimi giorni gareggeremo in modo offensivo o difensivo. Jonas ha fatto molti passi avanti negli ultimi anni, anche come leader. Sono convinto che guiderà bene la squadra nella prossima settimana. I piani non sempre funzionano, ma stasera potremo andare a letto soddisfatti».

Le storie della Planche e Vingegaard sulla strada di Tadej

08.07.2022
6 min
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Quassù c’è qualcosa di magico. Forse è la leggenda delle ragazze che 400 anni fa si lasciarono annegare nel lago per sfuggire agli stupri dei mercenari svedesi durante la Guerra dei Trent’anni. Oppure è la storia di destini che si incrociano a La Planche des Belles Filles e raccontano storie di corsa.

Anche in questo giorno caldo di grandi attese mantenute, uomini di valore si sono arrampicati portando con sé ricordi e missioni da compiere. Solo uno è riuscito a mantenere il voto dichiarato ieri dopo la vittoria di Longwy, ma stavolta ha dovuto stringere i denti contro il giovane Vingegaard che già sul Mont Ventoux lo guardò negli occhi senza timori. Anche lui lo ha fissato nel momento di passarlo, si esercita così la pressione del leader. Sugli altri è calato lo stesso silenzio di quel giorno crudele, quando le ragazze di Plancher les Mines scelsero una morte dignitosa per sfuggire a una ben più terribile.

Ritorno sul luogo del delitto

Qui Pogacar spodestò Roglic e chissà se nella sua determinazione di vincere sia passata anche la voglia di dimostrare che non fu per la fortuna. C’era la sua famiglia, c’erano motivazioni speciali, ma per vincere ha dovuto pescare nella tasca dell’orgoglio.

«Da quando è stato annunciato il percorso – ha detto – ho voluto vincere quassù. Vingegaard è stato davvero forte. Ha corso alla grande, ma io non potevo rinunciare. Per Urska al traguardo, per la mia famiglia ai piedi della salita, per la mia squadra che ha lavorato così duramente. Ho dovuto davvero spingere a fondo per superarlo. Questa è una vittoria molto speciale. Anche perché oggi abbiamo lanciato una fondazione per la ricerca sul cancro. Per questo ho indossato per la prima volta queste scarpe speciali».

Vingegaard oggi ha fatto soffrire Pogacar. Non ha paura e riproverà
Vingegaard oggi ha fatto soffrire Pogacar. Non ha paura e riproverà

Un avversario vero

Ma forse stavolta Tadej potrebbe aver trovato un degno avversario. Quantomeno uno che non ha paura di sfidarlo in campo aperto, comunque andrà a finire.

«E’ stato sicuramente un finale brutale – racconta il giovane danese della Jumbo Visma, l’unico a non avere conti aperti con la Planche, ma avendone appena aperto uno – ma penso di poter essere felice. Ci ho provato, ma sono arrivato a 20 metri dalla fine e poi basta. Ero davvero vicino al traguardo e ora spero di stare meglio sulle salite più lunghe. Le gambe hanno risposto bene quindi sono felice».

Pogacar lo ha definito il miglior scalatore al mondo circondato da una squadra fortissima. Il danese sorride e si dirige verso il bus. Per oggi altro da dire non ce l’ha.

Roglic sta tornando. Arriva nella scia di Pogacar e promette battaglia
Roglic sta tornando. Arriva nella scia di Pogacar e promette battaglia

La risposta delle gambe

Roglic ha preferito dire poche parole, lasciando che a dare il suo messaggio fossero le gambe. Il terzo posto a 14 secondi da Pogacar dice che forse le botte dei giorni scorsi si stanno assorbendo e che altre montagne potrebbero diventare sue amiche. Chissà se salendo ha riconosciuto qualche scorcio di quel giorno in cui aveva gli occhi sbarrati e la vita contro.

«Sapevo cosa stava succedendo – ha detto alla partenza – ma non potevo più spingere. Stavo lottando contro me stesso per ogni metro. Oggi non sapevo cosa aspettarmi. Ho abbastanza esperienza dopo le cadute. Ogni spinta del pedale è come un coltello che mi taglia la schiena. Mi fa male la parte bassa, ma non sono qui per piangere, sono qui per combattere».

La Planche questa volta non lo ha respinto e chissà che non cedendo al forcing del giovane connazionale non abbia ritrovato la fiducia che sprofondò con lui nel lago quel giorno.

Ancora una volta nella stessa fuga, Teuns e Ciccone stavolta si arrendono
Ancora una volta nella stessa fuga, Teuns e Ciccone stavolta si arrendono

Teuns e Ciccone, deja vu

Curiosamente nella fuga si sono ritrovati i due uomini che se la giocarono nel 2019. Teuns vincendo la tappa, Ciccone prendendo la maglia gialla.

«Avevo già previsto questo scenario ieri sera – ha detto il belga del Team Bahrain Victorious – sapevo che c’erano buone possibilità che Pogacar volesse vincere oggi e alla fine è andata così. Ho capito presto che non saremmo riusciti ad arrivare alla fine. Se il gruppo ti concede solo un massimo di due minuti e mezzo, sai che hai poche possibilità. Sulla salita finale, Kamna era chiaramente anche il più forte. Ma per me ci sono ancora molte opportunità in questo Tour».

Forse è stato per questo senso di impotenza che Ciccone a un certo punto ha preferito mollare?

«Era una tappa adatta agli attacchi quindi ci ho provato. Il fatto che fosse una salita che aveva già detto qualcosa di importante cambiava poco. Quando sei lì per giocartela, ogni salita più o meno diventa uguale. La fatica è quella, neanche me la ricordavo benissimo».

Teuns è arrivato a 3’52”, Ciccone a 16’30”. Si fa così quando si vuole entrare liberamente nelle fughe. Ma forse l’abruzzese non ha ancora ritrovato la gamba di fine Giro.

Dieci anni dopo, non è più lo stesso Froome. Solo la testa è identica
Dieci anni dopo, non è più lo stesso Froome. Solo la testa è identica

Dieci anni così lunghi

Parlando davanti al bus grazie ai buoni uffici del suo addetto stampa, Chris Froome ieri aveva sorriso ripensando alla salita che nel 2012, giusto 10 anni fa, gli portò la prima vittoria di tappa, in quel Tour di tensioni che fu poi vinto da Wiggins.

«Ho dei bei ricordi del 2012 – ha detto – in quel Tour fu anche la prima occasione per misurare la mia condizione e credo che sarà così anche domani. Mi aspetto che gli scalatori cercheranno di recuperare il terreno perso nella crono, per poi cominciare una rimonta nei giorni successivi. Alcuni dei miei rivali cercheranno di recuperare tempo e di passare all’offensiva sin da domenica».

Ha concluso prevedendo distacchi contenuti fra i primi del Tour. Quei dieci anni non sono stati facili da colmare, ma l’esperienza ha visto giusto. Froome è arrivato a 3’48” da Pogacar, in questo primo Tour senza i legacci dell’infortunio, rincorrendo le sensazioni del campione che fu. Sapremo nei prossimi giorni quanto il tempo avrà scavato a fondo. E per fortuna non ci sarà da aspettare troppo.

E se Vingegaard smette di sorridere? Chiediamo a Garzelli

19.06.2022
5 min
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Il “Garzo” lo intercettiamo a Milano, dove si trova per il commento del Giro del Belgio. In precedenza aveva raccontato con Rizzato il Delfinato da Roma e, con lo stesso giornalista veneto, comporrà la coppia RAI per il Tour de France. E proprio su un aspetto che riguarda il Tour vogliamo punzecchiarlo, perché osservando la Jumbo Visma c’è venuto di pensare che la quiete domestica sia relativa. E che di coppie in crisi negli anni ne abbiamo viste ormai parecchie. Lasciando in pace per una volta Roche e Visentini, basta voltarsi per ricordare Garzelli-Pantani al Giro del 2000, Simoni-Cunego nel 2004, Amstrong-Contador al Tour del 2009 e anche Froome-Wiggins in quello del 2012.

«La mia esperienza fu diversa – ricorda – Marco non doveva correre quel Giro, lo decise 10 giorni prima. Io lo avevo preparato per essere leader, non nascondo che i primi giorni non furono facili. Diciamo che quella fu una situazione estrema. Ma se hai due leader, devi puntare su uno solo. Se ne hai due, rischi di dividere la squadra».

Garzelli è in partenza per il Tour, che commenterà accanto a Stefano Rizzato
Garzelli è in partenza per il Tour, che commenterà accanto a Stefano Rizzato
A voi successe…

Marco aveva creato il modo moderno di correre, con la squadra attorno al capitano. E poi gli piaceva correre dietro, per cui io che preferivo stare davanti non ero appoggiato dalla squadra e un po’ soprattutto nelle prime tappe, ne risentii. Finiva che mi appoggiavo a chi lavorava per gli altri. Ma la squadra divisa è un rischio, soprattutto nelle tappe dei ventagli o magari la prossima sul pavé. Cosa succede se Roglic buca? Fermi metà squadra o la fermi tutta? E fermi anche Vingegaard, se è davanti?

L’Astana di Armstrong e Contador era divisa a metà…

Armstrong era al rientro, Contador era ambizioso. Bruyneel, il tecnico, sapeva che Contador potesse vincere, ma era dalla parte di Lance. Chissà le tensioni! Fra Simoni e Cunego fu ancora diverso. Io ero loro avversario ed era chiaro che in partenza fossero tutti per Gilberto. Poi però fu la strada a dire chi fosse il più forte. Ci fu la spaccatura eclatante a Bormio, quando volarono parole, ma a quel punto il Giro era già deciso. Bisogna che chi guida la squadra abbia le idee chiare. E Bisogna che abbia carisma. Gli episodi di cui abbiamo parlato, soprattutto quelli con Marco, Armstrong e Contador riguardano personaggi con più personalità dei loro direttori.

Nel momento in cui ci fosse tensione in casa Jumbo, sarebbe lo stesso Tour a dare spessore ad entrambi, no?

Vero anche questo. Vingegaard ha dimostrato che ora è più forte. Nell’ultima tappa al Delfinato lo ha proprio aspettato e non so se Roglic abbia avuto una crisi di fame. Sono d’accordo con Malori sul fatto che Roglic punti tutto sul Tour, perché potrebbe essere l’ultimo a un certo livello, ma non dimentichiamo che l’altro nel 2021 è arrivato secondo. E il Tour è la corsa pià difficile da gestire. Caldo. Stress. Tutti che vogliono vincere. Devono partire con le idee chiare.

Anche perché, si parte dalla Danimarca…

Per Vingegaard una spinta pazzesca. Poi c’è la tappa del pavé. Se io fossi il diesse e Roglic buca, non fermerei Vingegaard e viceversa. L’importante è come hai costruito la squadra e quello che sei in grado di far passare. Va detto chiaramente davanti a tutti quello che si farà in determinate circostanze. Se da un lato penso che avere due capitani sia un ostacolo, quando hai davanti uno come Pogacar è bene portarne due, perché sai che nel testa a testa sono tutti perdenti. E in tappe come quella del pavé, male non fa. E’ la tappa che tutti temono…

Proprio grazie alla tappa del pavé, Nibali ipotecò il Tour del 2014, ben supportato da Fuglsang
Proprio grazie alla tappa del pavé, Nibali ipotecò il Tour del 2014, ben supportato da Fuglsang
Nibali ci vinse il Tour.

Ebbe dei compagni perfetti come Boom e Fuglsang e mentalmente crebbe.

Può esistere il rischio che la squadra si spacchi per simpatie verso uno o l’altro?

Non credo, sono professionisti. Non accadde con Armstrong, tanto che vinsero il Tour con Contador e anche Alberto ha il suo bel carattere. E nemmeno con Marco, che per noi era un idolo. Per lui davamo l’anima.

Sulle montagne del Delfinato, Vingegaard ha mostrato più freschezza di Roglic. Lo sloveno crescerà ancora?
Sulle montagne del Delfinato, Vingegaard ha mostrato più freschezza di Roglic. Lo sloveno crescerà ancora?
Tu lavori tanto con i giovani, si può lavorare su questi aspetti con loro?

Ci provo, ma non è semplice, perché ci sono di mezzo i genitori che credono di sapere tutto. Però a volte capitano episodi da pelle d’oca, come quando si mettono spontaneamente a lavorare per quello di loro che sta meglio. Senza radiolina né altro. Succede con gli allievi e anche con gli juniores, nonostante io sia molto preoccupato. Da qualche anno ci facciamo del male da soli. La mentalità di passare a tutti i costi non va. Quelli che passano precoci, non hanno la struttura per reggere la pressione e magari smettono perché non sono attrezzati a sopportare il mal di gambe. Quelli che non passano, si demoralizzano e non si sentono all’altezza. Continuando così, in un modo o nell’altro, il ciclismo perde.