Mauduit: «Su Pinot è tornato a splendere il sole»

27.01.2022
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Sembra essere questa la stagione buona per tornare a vedere un grande Thibaut Pinot. Il campione francese della Groupama-FDJ finalmente sembra aver ritrovato la sua costanza di allenamento, i suoi problemi alla schiena sono alle spalle e chi gli è vicino, come il suo diesse Philippe Mauduit, parla di un Thibaut sereno.

«Thibaut sta bene. Il suo stato fisico è buono… non come il meteo da voi in Italia, ma quasi! Anche su di lui splende un bel sole».

Philippe Mauduit, classe 1968, è uno dei diesse della Groupama-FDJ (foto Groupama-FDJ)
Philippe Mauduit, classe 1968, è uno dei diesse della Groupama-FDJ (foto Groupama FDJ)

Alla ricerca del sole

Il francese ha passato davvero un terribile 2021. E anche una brutta fetta di 2020. Ogni volta i dolori alla schiena lo fermavano. Lui si allenava, neanche bene, e ogni volta doveva alzare bandiera bianca. Alla fine solo un lungo stop durante la scorsa primavera lo ha rimesso in piedi. 

«Pinot – spiega Mauduit – ha fatto un buon inverno nonostante il freddo e la pioggia che c’è nella sua regione (Vosgi, Borgogna, ndr). Ogni tanto gli tornava il mal di schiena e così più di qualche volta ha preso l’aereo ed è andato alla ricerca del sole che sicuramente lo agevola per quanto riguarda i dolori e il recupero. Grazie a questa costanza di allenamento sta tornando al suo livello. Che dire, sta, e stiamo, solo aspettando le prime gare per giudicare finalmente il suo reale stato fisico».

«Thibaut farà la prima gara al Tour des Alpes Maritimes et du Var (18-20 febbraio, ndr), ma proprio negli ultimi giorni del ritiro a Tenerife, abbiamo deciso di lasciare una porta aperta: se ci sarà la possibilità infatti potrebbe iniziare anche un po’ prima (sembra a Besseges, ndr)».

E questo è certamente un buon segnale per Pinot. Di solito le porte aperte si tengono per posticipare, in questo caso invece c’è voglia di mettersi subito in gioco.

Pinot, va per i 32 anni, questa sarà la sua 13ª stagione da pro’, tutte nel team di Madiot
Pinot, va per i 32 anni, questa sarà la sua 13ª stagione da pro’, tutte nel team di Madiot

Nel segno della continuità

Mauduit parla di un lavoro svolto nel segno della continuità. Di solito quando le cose non vanno bene si va a ritoccare la preparazione e persino la posizione in bici, tanto più che i problemi di Pinot riguardavano la schiena.

«Grossi cambiamenti – dice Mauduit – non ce ne sono stati. Chiaramente come tutti i corridori che invecchiano anche Pinot deve fare qualcosa in più per essere al suo livello. I corridori esperti e di classe come lui sanno cosa è giusto per loro e cosa no. Tendono a riprodurre quelle cose che gli hanno fatto bene, che gli hanno permesso di ottenere risultati. Quindi nessuna rivoluzione francese!».

«La cosa più importante per Thibaut è che la sua infiammazione passasse, che non tornasse più: così è stata strutturata la sua preparazione e per questo l’unica cosa che ha cambiato e che ha fatto un po’ più di esercizi senza bici (il core zone)».

«Neanche sulla bici abbiamo cambiato nulla. Abbiamo sentito tanti pareri, tanti dibattiti, tante opinioni… Oggi ognuno può dire la sua pur bevendo una birra sul divano. Noi abbiamo un gruppo di esperti con i quali abbiamo fatto delle valutazioni.

«Sì, qualche piccolo aggiustamento c’è stato, ma sono stati aggiustamenti dettati anche dalle sensazioni del corridore sul momento. E, come ho detto, un corridore di alto livello, un campione come Pinot, ha le sue abitudini, ha la sua “base”».

E sul concetto di base Mauduit insiste parecchio. Quando un corridore, un atleta, ha dei problemi deve tornare sempre alla sua base, alle sue certezze. E da lì ripartire.

«Le sue qualità – riprende Mauduit – non spariscono, magari non riesce a tirarle fuori in quel momento, ma ci sono.

«Guardiamo al calcio, pensiamo ai grandi allenatori, non so Wenger, Ancelotti, Guardiola… Ecco, proprio di Pep leggevo un’intervista in cui diceva: “Quando le cose non vanno guardo i miei giocatori negli occhi e dico loro di stare tranquilli, di fare un passo indietro verso le loro certezze, che le cose torneranno a posto. Di fare ciò che sono capaci di fare”. Ed è la stessa cosa che abbiamo detto a Pinot».

Thibaut Pinot, caduta Nizza, Tour de France 2020
La caduta di Nizza al Tour 2020: da lì sono iniziati i problemi alla schiena
Thibaut Pinot, caduta Nizza, Tour de France 2020
La caduta di Nizza al Tour 2020: da lì sono iniziati i problemi alla schiena

Tour sì, ma il Giro…

Quando si parla poi di Pinot, è impossibile non tirare in ballo anche il Giro d’Italia. Il francese ama molto il nostro Paese ed è innamorato del Giro. Più volte ha detto che la corsa rosa per lui è la più bella e che se potesse farebbe ogni anno il Giro e il Tour.

Però è anche vero che ci sono le scelte del team e quest’anno la Groupama-FDJ vuole presentarsi con una squadra di grandi scalatori alla Grande Boucle.

«Se tutto confermato – continua Mauduit – Pinot dovrebbe andare al Tour e non fare il Giro. Non possiamo prendere dei rischi con la sua salute. Per lui abbiamo previsto un programma di gare ben studiato, un programma fatto di periodi molto intensi, nei quali crescere, e di altri molto più tranquilli per recuperare: il tutto in vista proprio del Tour».

Il francese ha in lista tra le altre gare anche: Tirreno, Tour of The Alps, Romandia e Giro di Svizzera.

A Tenerife un buon lavoro di squadra e un buon feeling con i compagni. Pinot in testa a tirare con Valter (foto Instagram)
A Tenerife un buon lavoro di squadra e un buon feeling con i compagni. Pinot in testa a tirare con Valter (foto Instagram)

Tra Gaudu e Valter

E a proposito di scalatori, alla Groupama-FDJ questi proprio non mancano. In particolare ce n’è uno, David Gaudu, con il quale c’è una bella rivalità. Davvero si aiuteranno al Tour? I due hanno legato?

«Thibaut è molto legato davvero alla squadra, è parte integrante di questo team. Fa gruppo. In Spagna c’era davvero un bell’ambiente. La cosa che mi ha colpito è stato vedere come corridori che non si incontrano molto spesso durante la stagione delle gare, penso a Valter, Van den Berg, Reichenbach… si sono trovati bene. Vederli scherzare a tavola è stato bello».

Qualche giorno fa abbiamo scritto che Pinot non era proprio felicissimo di non aver dimostrato di essere il migliore in ritiro. E che proprio Gaudu lo ha messo in difficoltà.

«Questo però è successo a dicembre – conclude Mauduit – nel ritiro di gennaio le cose sono cambiate un po’! Io ho visto un Pinot davvero forte. Sta tornando al suo livello. Con David c’è una stimolazione continua.

«Il primo anno che David era in Groupama-FDJ, io facevo ancora il direttore sportivo in Italia, ma ho sentito che il “piccolo” gli faceva sempre la “mezza ruota”. E Pinot rispondeva. Questo gioco è rimasto tra loro due. Questa competizione fa crescere entrambi. Posso garantire che sono amici e che amano correre insieme».

Un Pinot tutto grinta in caccia della vittoria

21.01.2022
5 min
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Gaudu è cresciuto e anche Storer si sta facendo grande con i suoi 24 anni. Per questo, sentendo parlare Marc Madiot nella conferenza stampa in cui ha annunciato il 2022 della sua Groupama-Fdj la sensazione che Pinot non sia più il solo ad avere grandi responsabilità ha sollevato il diretto interessato e dato un sospiro di sollievo ai tifosi francesi. Madiot in sostanza ha detto che i suoi scalatori punteranno al podio del Tour, non ha detto quale di loro porterà la bandiera o la… croce.

Per Thibaut, che non vince una corsa dalla famosa tappa del Tourmalet al Tour del 2019, l’obiettivo sarà quello di farlo ancora. Ma la domanda che ormai affligge la Francia è solo una: avrà superato gli acciacchi derivanti dalla caduta in avvio di Tour 2020 che hanno vanificato anche tutto il suo 2021?

La squadra ha leader molto forti, ma per lasciare spazio agli scalatori, Demare verrà al Giro (foto Groupama Fdj)
La squadra ha leader molto forti, ma per lasciare spazio agli scalatori, Demare verrà al Giro (foto Groupama Fdj)

«E’ davvero una libertà e mette meno pressione – ha raccontato – condividere il ruolo di leader del Tour. Il mio inverno è stato un po’ più complicato del solito a causa del tempo. Mi sono allenato, ma faceva davvero freddo e ha piovuto spesso. Ogni tre giorni ero sui rulli, quindi le sessioni di allenamento non sono state necessariamente di buona qualità. Sono stato ben contento di andare a Calpe prima di Natale e poi a Gran Canaria all’inizio dell’anno. Il prossimo ritiro a Tenerife mi farà un gran bene. Il peggio è passato».

Schiena a posto?

Pinot è un tipo particolare, lo è sempre stato, sin da quando voltava le spalle al Tour per tentare di vincere il Giro d’Italia. Con i suoi modi schivi da montanaro, nato e cresciuto ai piedi dei Vosgi, amante più dei suoi animali che dei cliché social. E così mentre Instagram e le sue stories mostravano il gruppo ormai trapiantato stabilmente fra la Spagna, le Canarie e qualche spicchio alle Baleari, lui non si è mosso da casa.

Pinot e Bardet, classe 1990, sono stati per anni le bandiere francesi al Tour con risultati altalenanti
Pinot e Bardet, classe 1990, per anni bandiere francesi al Tour

«Non sono un grande fan dei rulli – ha ammesso – e di solito riuscivo a compensare facendo jogging, ma questa volta sono venuti fuori dei piccoli dolori, una periostite (infiammazione vicino alla tibia, ndr), quindi ho smesso alla svelta. Ma non sono particolarmente preoccupato, vivo senza grossi allarmi. Anche per la schiena. Quando il mio corpo è stanco, spesso mi fa male. Ma era mal di schiena per la fatica, non per la mia caduta al Tour. Per quella ho fatto molto lavoro con il fisioterapista e l’osteopata per recuperare tono muscolare alle catene della schiena e in genere la parte superiore del corpo. Il periodo sui rulli e il fatto di non poter uscire così spesso mi ha consentito di continuare questo lavoro».

Rinascita in Spagna

Come dire che aver cominciato a rivedere il sole e la sensazione di aver ultimato il recupero gli hanno restituito anche un approccio positivo. E non è detto, fanno sapere i suoi preparatori, che un inverno leggermente più blando sul fronte dei lavori specifici non gli permetta di arrivare più fresco alle sfide d’estate.

La squadra è dalla nascita in mano a Marc Madiot, che qui parla al team in avvio di ritiro (foto Groupama Fdj)
La squadra è dalla nascita in mano a Marc Madiot, che qui parla al team in avvio di ritiro (foto Groupama Fdj)

«L’inverno è stato lungo – ha confermato anche a L’Equipe – non ho avuto il tempo che speravo e quindi nemmeno la condizione giusta. Novembre e dicembre non mi sono mai piaciuti. Manca la luce, il sole, tutto il resto. Divento più scontroso del solito e non va bene in un momento in cui voglio solo voltare pagina sugli ultimi due anni, smettere di parlarne. Le persone che incontro, non tutte ma quasi mi parlano del mal di schiena. Per me è diventato faticoso, ecco perché voglio andare forte. In Spagna sono migliorato ogni giorno. Quando fai 34-35 ore di allenamento alla settimana e ti senti bene dopo uscite di 5-6 ore, sei felice.  L’unica cosa (ride, ndr) è che mi piace essere il più forte di tutti in ritiro e chiaramente non ho potuto esserlo…».

Il Giro è meglio

Poi finalmente, a margine delle parole del capo e confermando che la sua isola è differente, Pinot ha lasciato capire che il suo programma sarà incentrato sul Tour, ma se fosse per lui sarebbe differente.

Una lavagnetta per raccontarsi. Pinot è nato nel 1990 e vuole tornare a vincere (foto Groupama Fdj)
Una lavagnetta per raccontarsi. Pinot è nato nel 1990 e vuole tornare a vincere (foto Groupama Fdj)

«Il percorso del Giro è stato davvero disegnato per gli scalatori – ha ammesso – quindi mi ha fatto venire voglia di andarci. Ci sono delle scelte che devono essere fatte e la squadra quest’anno ha deciso di portarmi al Tour, con argomenti altrettanto sensati. Abbiamo discusso, come è giusto che sia, lo stiamo ancora facendo. E’ normale che gli sponsor vogliano la squadra migliore in Francia e quest’anno la avremo. Anzi, secondo me in montagna avremo la migliore squadra che abbiamo mai schierato. Eppure se potessi scegliere, farei Giro e Tour ogni anno. L’obiettivo è tornare a vincere. La prossima estate saranno due anni dall’ultima vittoria. Non è la fine del mondo, ma ero abituato a lasciare il segno ogni anno e mi manca il gusto di alzare le braccia. Va bene tutto, ma la vittoria è la medicina migliore».

Guarnieri, il ciclismo è come la vita: nessuno si salva da solo

29.11.2021
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C’è un tempo per fuggire e uno per restare, nella vita come nel ciclismo. E’ un istante, che in una tappa dura un millesimo di secondo a consentirti di vincere o perdere una corsa e in una carriera può essere un giorno, un episodio, una scelta sbagliata. Per Jacopo Guarnieri, 34enne della Groupama-Fdj, la scelta di smettere di fuggire e iniziare a restare è sopraggiunta in due momenti. Agli esordi da pro’, quando ha provato ad inserirsi in due fughe ma si è sentito «come Fantozzi alla Coppa Cobram». Poi quando ha provato a vestire i panni di velocista di punta di una squadra, ma ha capito che non avrebbe potuto primeggiare. E così, ha scelto di restare, accanto al proprio capitano, che da quattro anni si chiama Arnaud Demare.

Assieme a Marangoni

La sua trasformazione l’ha raccontata in una serata al Bikefellas di Bergamo dal titolo “L’insostenibile leggerezza della fuga” introdotto dalla redazione di Bidon che ha presentato il suo ultimo libro “Vie di fuga”. In una sorta di cronometro a coppie, con l’imprevedibile ex pro’ Alan Marangoni come spalla, Guarnieri ha raccontato dei suoi tentativi di fuga.

«La prima volta a De Panne. Correvo nella Liquigas – ha detto – e in fuga mi ci ero ritrovato, così dall’ammiraglia mi hanno preso a male parole, ordinandomi di tornare in gruppo per aiutare il nostro velocista, Chicchi. L’ho fatto, ma nel tirargli la volata ho tamponato Cavendish e abbattuto Leif Hoste, idolo di casa.

«Mi ero detto che in fuga non ci sarei più andato e invece l’ho rifatto qualche anno dopo, sempre in Belgio. Fu una fuga composta da corridori “pazzi” e infatti il gruppo ci riprese a 100 chilometri dall’arrivo. Lì, mi sono detto che il mio posto era rimanere in quel ventre materno che è il gruppo».

Fra Demare e Guarnieri c’è ormai un grandissimo rapporto di stima iniziato nel 2017 (foto Instagram)
Fra Demare e Guarnieri c’è ormai un grandissimo rapporto di stima iniziato nel 2017 (foto Instagram)

Aiutare chi è più forte

Giusto qualche volata in proprio per capire poi una cosa: «Il mio posto nel mondo – spiega – era aiutare chi era più forte di me. Arriva un punto nella carriera che devi decidere chi essere e cosa fare, serve grande onestà con se stessi. Ora, io rimpiango di non aver preso prima quella decisione, perché provo una grande emozione nell’aiutare Demare. Sono privilegiato perché sono il suo ultimo uomo, quello che lo vede più da vicino quando alza le braccia al cielo al traguardo e il primo a poterlo abbracciare». 

La tensione del gregario

Lo sguardo e la voce di Guarnieri, a questo punto, si incrinano, quasi commosso abbandona la goliardia che lo contraddistingue e che ha reso la serata frizzante come una volatona di gruppo, e veste i panni del gregario modello, quale è.

Guarnieri e Marangoni sono amici dagli anni assieme alla Liquigas
Guarnieri e Marangoni sono amici dagli anni assieme alla Liquigas

«Il gregario è il simbolo del ciclismo – osserva – al di là di ogni retorica. Gregario lo sei dal primo all’ultimo chilometro, ci sono momenti della corsa che dalla tv sembrano noiosi, ma in gruppo bisogna sempre sgomitare, la tensione è altissima. Penso a quando bisogna portare le borracce. In gruppo c’è una legge non scritta che quando si risale dalle ammiraglie dal rifornimento, si grida “service” e si ottiene una corsia preferenziale ai lati, ma mica sempre ti fanno passare. E se stai prendendo una salita e non riesci a servire il tuo capitano, hai perso».

Nessuno si salva da solo

Ma fare il gregario è molto di più, è anche convivere col proprio capitano fuori dalle corse, conoscersi, capire le difficoltà da uomo e da corridore e fare di tutto per porvi rimedio. Guarnieri è gregario anche sul divanetto del Bikefellas quando preferisce esaltare le doti umane di Demare, evidenziando come sia uno che ringrazia sempre e che si prende tutte le colpe quando le cose non vanno al meglio.

Sono passati 10 anni esatti, dal 31 marzo 2011, dall’ultima vittoria di Guarnieri a La Panne
Sono passati 10 anni esatti, dal 31 marzo 2011, dall’ultima vittoria di Guarnieri a La Panne

Oppure raccontando della sua ultima vittoria, quando fu proprio Marangoni – compagno di squadra alla Liquigas – ad aiutarlo più che nel sostenerlo in gara e raccogliergli «i copriscarpe che avevo deciso di togliermi in una giornata tremenda» standogli vicino in un periodo in cui i rapporti col team erano naufragati.

«Questo è lo spirito del gregario, questo è il ciclismo», che ci piace tanto perché è metafora della vita: nessuno si salva da solo.

L’oscar di Malori: la posizione migliore ce l’ha Kung

25.11.2021
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Alla fine, dopo tanto osservare, raccontare e scrivere di altri, il “Malo” ha calato la maschera e si è lasciato scappare chi sia il corridore in circolazione che secondo lui è meglio messo sulla bici da crono. Rullo di tamburi: lo svizzero Stephen Kung, campione d’Europa a Trento, maglia Groupama-Fdj, bici Lapierre Aerostorm DRS.

«Adesso però – gli abbiamo intimato con tono fintamente minaccioso – ci dici il perché!». E siccome Adriano non aspettava altro, ecco un altro viaggio interessante in questo mondo di uomini spesso grandi, con grandi motori e la necessità di infilarsi nell’aria, malgrado appunto la loro stazza.

«Kung è alto 1,93 – osserva Malori – e pesa 83 chili, praticamente un altro Ganna. Però rispetto a Pippo è messo meglio, anche se poi il nostro fa la differenza per motore e sicurezza. Ma andiamo per gradi, così provo a spiegarvi la mia idea. La premessa però è sempre la stessa: in aerodinamica conta più essere stretti che bassi».

Giro di Romandia, prologo. Si notano i rialzi sotto le scodelle del manubrio e la posizione delle mani
Giro di Romandia, prologo. Si notano i rialzi sotto le scodelle del manubrio e la posizione delle mani

Le foto scorrono nello schermo e il ragionamento prende il largo, proprio partendo dalla doverosa premessa, in base alla quale Malori aveva stigmatizzato il tentativo della Deceuninck-Quick Step di abbassare troppo Mattia Cattaneo.

Da dove partiamo?

Dallo spessore sotto le protesi del manubrio. Si vede che fra il manubrio e le scodelle c’è parecchio spazio, ma le spalle sono strette e… guardano verso il basso. Sono ben incurvate. Inoltre tiene giù la testa, cercando di avvicinarla alle mani, facendo cuneo. Anche la posizione delle mani è ottima, con i polsi ruotati in avanti. Si vede che il manubrio gliel’hanno fatto su misura. E’ messo anche meglio di Ganna…

Non avevi sempre detto che Pippo è il top?

Non so se dipenda dalla ginnastica che fa, ma Kung è messo meglio con le spalle. Pippo ha spalle larghe e dritte, Kung ha una flessione molto migliore. Potrebbe anche dipendere semplicemente da madre natura, che ti fa più o meno flessibile. E ora guardiamo la foto laterale.

Eccola qua, cosa vedi?

La testa è incassata bene verso le scodelle ed è messo così in tutte le foto che ho trovato in rete, quindi vuol dire che è una posizione comoda e naturale. Le braccia hanno angolo di 90 gradi ed è retto anche quello fra braccio e tronco. Se guardate, forma un ovetto: la linea ideale fra testa, coda del casco e curva della schiena. Non è tanto sacrificato ed è tanto alto davanti, con il collo libero e la possibilità di muovere le spalle.

Non ti sembra un po’ basso di sella?

Quello è molto personale. A me ad esempio piaceva andare alto. Ci sono tante correnti di pensiero sulla migliore altezza di sella, ma nella crono c’è da valutare anche l’allungamento delle pedivelle che potrebbe variare e di conseguenza portare qualche variazione. Comunque per la posizione della schiena e delle braccia e per il modo in cui è compatto, mi sembra meglio anche di Van Aert.

E allora perché Ganna lo batte sempre?

Pippo magari non sarà la perfezione aerodinamica, ma a fronte di questo, ha tanti watt da spendere. D’altra parte non esiste la biomeccanica perfetta: va applicata e personalizzata. Ganna è comodo e va forte. E poi ha tanta testa…

E quella con l’aerodinamica c’entra meno, giusto?

Kung spesso stecca i grandi appuntamenti e può dipendere da questo. Se batti Ganna all’europeo, dieci giorni dopo non fai quarto al mondiale. Magari fai secondo, ma quarto… Forse ha sentito troppo l’appuntamento. Pippo ha una freddezza maturata ormai in anni di sfide ad alto livello, da quando a vent’anni ha vinto il primo mondiale di inseguimento. Kung è a questi livelli da 2-3 anni. Sappiamo quanto conta la testa nelle crono. E Ganna è uno che aggredisce le crono, le corre all’attacco. Come Pantani aggrediva le salite.

Demare a Tours, la fuga e lo sprint come Cipollini alla Gand

11.10.2021
4 min
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Un velocista che non vince in volata è una notizia. Arnaud Demare ha conquistato la Parigi-Tours ma non nella maniera in cui tutti immaginiamo, cioè col suo treno della Groupama-Fdj pronto a scortarlo fino ai 250 metri. No, stavolta ha vinto scattando, rincorrendo, sprintando… E per questo la Parigi-Tours è stata una gara strepitosa.

Dal 2019 sono stati introdotti dei tratti sterrati tra i vigneti della Loira
Dal 2019 sono stati introdotti dei tratti sterrati tra i vigneti della Loira

Un finale super

La gara fila via veloce, quasi 47 la media oraria finale. I tratti di sterrato introdotti qualche tempo fa e le ultime facili cotes, hanno regalato un epilogo incredibile. Il gruppo era praticamente sparito, davanti la fuga viaggiava sul filo dei secondi e dietro Demare e Stuyven facevano di tutto per scappare via dal “gruppo”. Venti secondi, quindici, cinque… da Bonnamour e Dewulf. Ma anche 15 chilometri, dieci, uno all’arrivo e un gap ancora non chiuso. Stuyven collabora sin troppo, visto con chi sta rintuzzando, ma persa per persa…ci sta anche. Davanti si guardano altrettanto un pelo più del dovuto… sapendo chi sta rientrando.

Alla fine, a poco più di 300 metri dall’arrivo lo sprinter francese e Stuyven piombano sui due. Qualche secondo per guardarsi. Gli altri lasciano sfilare Arnaud in testa. Demare va a cercare le transenne e inizia a guardare dietro. La volata è senza storia e gioca come il gatto col topo con i tre. Che tutto sommato lo fanno spingere più di quel che si pensava. Ma uno come Demare non lo batti in volata. Almeno che tu non sia Ewan o Cavendish… in ottima condizione.

Demare imposta la volata in testa e molto lunga, chi gli esce di ruota non riesce a rimontarlo
Demare imposta la volata in testa e molto lunga, chi gli esce di ruota non riesce a rimontarlo

Come Cipollini alla Gand

Una Parigi-Tours che ha ricordato la Gand-Wewelgem del 2002 vinta da Mario Cipollini. Re Leone stava per perdere la sua classica preferita. Viste le brutte, scappò e si gettò da solo all’inseguimento di Hincapie e compagni. Li raggiunse a pochi chilometri dalla fine. Lo sprint, chiaramente, non ebbe storia. Tanto che il toscano fece gli ultimi dieci metri senza pedalare e con le braccia al cielo. E Cipollini fu anche più fortunato di Demare visto che non fece la volata di testa. 

Un’azione così, dopo l’impresa di Pogacar al Lombardia, ci dice di un ciclismo davvero bello, interessante e mai scontato da guardare. Almeno nelle classiche. Nessuno si risparmia. Si attacca da lontano e alla fine emergono sempre i corridori di qualità. 

Non solo la moglie, Demare è attaccatissimo alla famiglia: eccolo con il papà Josué
Non solo la moglie, Demare è attaccatissimo alla famiglia: eccolo con il papà Josué

Da Tignes a Tour

E Demare di qualità ne ha eccome, anche se quest’anno ha faticato più del dovuto. “Solo” sette vittorie per lui, tutte nella prima parte dell’anno e nessuna di peso. Un solo podio al Tour prima di finire fuori tempo massimo verso Tignes. E come spesso accade in questi momenti un corridore si attacca a quel che di più caro ha: la famiglia.

«Con Morgane, la mia eccezionale moglie – ha detto Arnaud con un po’ di commozione ma due occhi davvero sereni a fine gara – abbiamo fatto di tutto per continuare a crederci. Sono davvero felice di aver vinto in questo modo e per di più all’ultima gara della stagione».

«Questa Parigi-Tour, piena di trappole non avvantaggiava i velocisti, visto il nuovo percorso. Ma questi sterrati e le stradine tra i vigneti mi sono piaciute molto. Con Jasper Stuyven, siamo usciti bene, ma ad un certo punto il distacco restava sempre sui 10” e lì non è stato facile. In più temevo Jasper perché in volata è molto bravo (ma c’è chi dice che sia stato il compagno di fuga ideale proprio perché veloce, altrimenti un corridore molto più lento non avrebbe collaborato, ndr).

«Come ho impostato lo sprint? Ho deciso di partire lungo, sapevo che erano tutti stanchi e io tengo bene nelle volate lunghe».

Il podio con Demare (primo) Bonnamour (secondo) e Stuyven (terzo)
Il podio con Demare (primo) Bonnamour (secondo) e Stuyven (terzo)

Guesdon e il destino

Piombando come un falco nel lungo viale alberato di Tours in sella alla sua Lapierre Aircode Drs e con il body super stretto, il tre volte campione di Francia ha ritrovato le sue certezze. Adesso Demare potrà passare un inverno molto più sereno, come sostiene anche il suo diesse Frederic Guesdon, che tra l’altro fu l’ultimo francese a vincere questa gara nel 2006.

«Arnaud – ha detto Guesdon – ha avuto un anno molto complicato, non ha raccolto i risultati che sperava. Non mi piace dire che questa vittoria gli salva la stagione, ma gli farà bene in vista della prossima. Non è facile vincere sempre e tanto come fa lui, ma questo successo dimostra che quando combatti sei capace di “cercare” la vittoria».

Mauduit su Pinot: il mal di schiena, le capre, il ritorno

12.08.2021
4 min
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«Oui, Pinot rientrerà in gara al Tour du Limousin», ci dice non senza gioia Philippe Mauduit, diesse della Groupama-Fdj. Già, ma che fine ha fatto Thibaut Pinot? Le ultime due volte che avevamo visto il transalpino le cose per lui non erano andate bene: una brutta Tirreno, morale basso e qualche chiletto di troppo, e la mazzata del Tour of the Alps, dopo il quale dovette alzare bandiera bianca in vista del Giro.

Da allora, era fine aprile, il francese non ha più corso. Il suo inverno era stato dominato dal mal di schiena e da quel fastidio che, specie quando andava sotto sforzo, tornava puntualmente a farsi sentire. Pertanto non era neanche riuscito ad allenarsi bene.

Philippe Mauduit, diesse della Groupama-Fdj
Philippe Mauduit, diesse della Groupama-Fdj
Philippe, come sta Pinot?

Thibaut adesso sta finalmente meglio. Ha attraversato un periodo molto difficile dovuto a questo forte dolore alla schiena. Un dolore che non passava mai. Abbiamo fatto esami su esami, abbiamo ascoltato degli specialisti… ogni volta sembrava stesse un po’ meglio. Ma poi nulla.

Come avete affrontato il problema?

Gli specialisti ci dicevano che il suo problema, per una persona normale, si risolve in 6-8 settimane, ma per un atleta professionista che non sta mai fermo ci sarebbero potuti volere anche 6-12 mesi. Non sapevamo nulla neanche noi. E solo adesso possiamo dire che tornerà in gara.

Okay il mal di schiena, ma cosa ha avuto di preciso Thibaut?

Lui era caduto nella prima tappa del Tour (quello 2020, ndr). Lo avevano preso molto forte con la ruota anteriore nella parte bassa della schiena andando a toccare in modo molto violento dei nervi e dei legamenti nella zona del sacro-illiaco. Facemmo subito degli esami, ma poiché l’ematoma era enorme questo nascondeva tutto. Così, con uno sforzo estremo, Pinot riuscì ad arrivare a La Rochelle, dove c’era il primo giorno di riposo. 

Thibaut Pinot, caduta Nizza, Tour de France 2020
Pinot dopo la caduta nella prima tappa del Tour de France 2020
Thibaut Pinot, caduta Nizza, Tour de France 2020
Pinot dopo la caduta nella prima tappa del Tour de France 2020
Però quel Tour lo ha finito…

Lui insistette molto perché ci teneva, il Tour passava dalle sue parti. Subito dopo si fermò un po’. Sembrava stesse migliorando e ci disse che voleva andare alla Vuelta. «Magari punto a un paio di tappe e alla maglia di miglior scalatore», ci disse. Invece si bloccò subito. Inoltre le prime tre tappe erano già abbastanza impegnative. A quel punto facemmo il primo vero stop. L’ematoma si era ritirato, ripetemmo gli esami e nel punto in cui aveva subito la botta c’erano dei segni di frattura e quando s’infiammava diventava molto doloroso.

Hai parlato di specialisti: ne avrete girati tanti…

Sì, si… c’era anche chi si proponeva per curarlo! Sapete, con un campione così in tanti si sono fatti avanti. Ma noi siamo andati per la nostra strada. Il primo a vederlo fu il medico di un team di rugby, proprio a La Rochelle, quella è la mia zona e ho delle conoscenze. I giocatori di rugby ne prendono tante di botte. E la sua diagnosi alla fine fu corretta. Ma non si sbilanciò proprio perché l’ematoma nascondeva tutto. Comunque ci disse che era stata interessata la zona ileo-sacrale. Più in là siamo andati a Parigi, dallo specialista che segue la nazionale di calcio, lo stesso che rimise in piedi Zidane e abbiamo seguito i suoi consigli.

Quali? 

Che la prima cosa che serviva era del riposo…

Tuttavia alla Tirreno Pinot non andava proprio. Anzi lo avevamo visto anche un po’ giù di morale…

Ma non aveva scelta povero Thibaut – dice con tono affranto Mauduit – dopo la Tirreno lo abbiamo fatto riposare pensando al Giro. Quando è tornato al Tour of the Alps sentiva dolore. Ci ha provato lo stesso, ma quello non era il suo livello. E quindi sì: è stata una grande delusione. Non dico depressione, ma se come lui hai la passione per quello che fai e non ci riesci, non è facile. Il tuo corpo ti dice stop, però non ti dice quando riprendere. E’ difficile vivere così.

Però guardiamo avanti, alle cose belle, come il rientro al Tour du Limousin (17-20 agosto). Come ha lavorato in questi ultimi mesi Pinot?

Dopo il riposo ha ripreso a pedalare ed è andato in altura con la squadra sulle Alpi. Lì ha fatto uscite di 4-5 ore e ha detto che si sentiva bene. Anzi, era già a livello di alcuni suoi compagni, ma è normale: un campione riprende a velocità supersonica. Così abbiamo detto che si poteva provare al Limousin, corsa ideale: impegnativa, ma non durissima e senza scalate di 20′.

Thibaut ha una vera passione per gli animali, eccolo con le sue caprette (foto Instagram)
Thibaut ha una vera passione per gli animali, eccolo con le sue caprette (foto Instagram)
E avete tirato giù un programma da qui a fine stagione?

Diciamo un “programmino”. Molto dipende proprio da cosa ci dirà questa corsa. Dopo praticamente un anno di problemi, dobbiamo essere molto attenti a porre degli obiettivi.

Lui fermo e Gaudu che esplodeva, cosa vi diceva Thibaut?

Cosa ci diceva… non era facile per lui vedere i compagni correre e non sapere quando poter tornare in gara. Si scriveva con i compagni e anche con me. Ma non aveva senso parlare di bici con lui, magari era troppo stressante. E così gli chiedevo dei suoi animali.

Animali?

Sì, Thibaut ha una fattoria e ha tantissimi animali: mucche, vitelli, asini, capre… e questo di sicuro gli ha fatto bene.

Lapierre Xelius Sl leggera ma anche aero. E se lo dice Guarnieri…

15.07.2021
6 min
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Spesso si dice, erroneamente: «Le bici sono tutte uguali». Dando per scontato criteri di ricerca e sviluppo e sulla realizzazione dei vari modelli. In realtà più ci addentriamo nel mondo del professionismo e più scopriamo che non è così. Di certo non lo è per Lapierre e la nuova Xelius Sl.

Già lo scorso anno quando ci trovammo di fronte alla nuova Aircode (la bici aero del brand francese) capimmo che non si trattava di una bici “banale”. Oltre alla presentazione, che avvenne al Italian Bike Festival in cui venivano spiegati i processi di sviluppo di questa bici, ad occhio nudo si potevano capire la cura per certi dettagli e il perché di certe soluzioni.

Sulla Xelius Sl i simboli di Lapierre e Groupama-Fdj
Sulla Xelius Sl i simboli di Lapierre e Groupama-Fdj

Xelius dal 2010…

Ebbene per il progetto Xelius si è andati oltre. O meglio, si è continuato su quel metodo, ma di fatto si è creata una bici senza compromessi. Xelius resta infatti il modello leggero, quello per gli scalatori, ma inevitabilmente ci sono state influenze aero. Come ormai si ha in tutti i settori del ciclismo.

La prima Lapierre Xelius è del 2010 e in questi undici anni ha raccolto successi in tutti e tre i grandi Giri, il Giro di Lombardia e diversi titoli nazionali. E così dopo tre anni dall’ultimo restyling ecco arrivare la Xelius Sl, lanciata in anteprima al Tour de France con i corridori della Groupama-FDJ. Anche se capitan Gaudu l’aveva già sfoggiata al Delfinato.

Leggera, aero, aggressiva

Come accennato: nonostante il peso leggero sia il dogma di questa bici, l’integrazione e l’aerodinamica sono i punti sui quali in Lapierre ci si è concentrati di più. Attacco e manubrio sono integrati fra loro. O meglio: a vista sembra un integrato totale, poi se si va a vedere la piega (flat) può ruotare all’interno dell’attacco. Una buona possibilità che supera il limite del manubrio integrato totale, pur mantenendo i vantaggi aero. A questo set si lega il passaggio dei cavi totalmente interno al manubrio, appunto, e al telaio. Un qualcosa che va anche a vantaggio della pulizia estetica.

Grazie all’utilizzo di una nuova fibra di carbonio, la Uhm (Ultra High Modulus), non solo diminuisce il peso, ma si è potuto variare un po’ le geometrie (che però Lapierre non fornisce) e le forme dei tubi senza compromettere la rigidità e la reattività. Anzi, queste sono state migliorate. Per esempio i tubi dei foderi alti (carro posteriore) sono adesso dritti, mentre nella precedente versione erano leggermente arcuati verso l’alto. Tubi dritti però fanno pensare ad una maggiore scomodità, in realtà, come scopriremo con Guarnieri, non è così. In più, le sezioni di: orizzontale, piantone, obliquo e appunto foderi alti sono tutte un po’ più grandi. Quindi più materiale, ma meno peso: pensate che carbonio!

Si è poi lavorato molto sull’avantreno. La forcella ha steli dritti e con forme (impercettibilmente) affusolate “a goccia”. In modo tale da far defluire meglio l’aria e ridurre le turbolenze. Nella nuova Xelius Sl si rivede molto dell’Aircode Drs. 

Guarnieri sulle Alpi con la Xelius Sl
Guarnieri sulle Alpi con la Xelius Sl

La vera prova su strada di Guarnieri

«Su tutte le bici – spiega Jacopo Guarnieri – c’è il nostro zampino. A noi davvero arrivano tre prototipi con tre carbonio diversi ciascuno. Da lì poi ecco che nel tempo subentrano nuove migliorie. Noi diamo agli ingegneri i nostri feedback e ogni volta arriva il prototipo successivo modificato. L’anno scorso Lapierre aveva presentato la bici aero, la Aircode Drs, mancava all’appello quella per gli scalatori, appunto la Xelius Sl.

«Una bici per scalatori che però è stata resa anche molto aero. Io che faccio parte dei velocisti e che uso molto l’Aircode Sl, posso dire che alle altissime velocità senti la differenza aerodinamica, altrimenti no. In salita la Xelius Sl è una signora bici, è molto leggera e si sente, ma devo dire che nonostante io non sia un peso leggero mi ha stupito la sua reattività. 

«E va molto bene anche in discesa. L’Aircode è veloce e stabile quando si scende forte, la Xelius però grazie alle sue geometrie più snelle è sicuramente più veloce nelle discese tecniche e guidate in quanto è più rapida nei cambi di direzione. E soprattutto ti perdona anche qualche errore di troppo. Ha un avantreno eccezionale.

«Nelle tappe alpine del Tour l’ho usata con le ruote Shimano Dura Ace C60 ed era davvero rigida».

E sulla comodità? Guarnieri  che è molto alto fa un’osservazione non banale.

«I miei compagni sentono molto la differenza di comodità rispetto all’Aircode, loro trovano la Xelius molto più comoda. Io invece l’avverto di meno. Sarà che con le Shimano C60 mi trovo molto bene…».

Il modus operandi di Lapierre

Ma se queste sono le specifiche tecniche, merita (e non poco) ascoltare le parole di Jacopo Guarnieri per quel che vi dicevamo in quanto a sviluppo e ricerca. E scoprire la bellezza della nascita di una bici Lapierre… e non solo della Xelius.

Guarnieri spiega come in linea di massima i velocisti e i passistoni abbiano contribuito allo sviluppo della Aircode mentre gli scalatori a quello della Xelius.

«Tanto per dire quanto siano importanti i nostri feedback e quanto ci tengano in Lapierre – conclude Guarnieri – Stefan Kung per la bici da crono ha provato tre prototipi solo per il portaborracce. E per ognuno ha svolto dei test in galleria del vento. Sviluppiamo le nostre bici soprattutto durante i training camp invernali. Demare in una settimana ha provato tre bici quest’anno. Avere la possibilità di essere parte attiva nello sviluppo non è poco per noi corridori. E alla fine tu corridore dici: ho una bici come voglio io e va “da Dio”. Quando ci consegnarono le Aircode Sl definitive inviai un messaggio di complimenti ai tecnici Lapierre».

Gaudu, adesso conta vincere una tappa. E oggi rischio neve

14.07.2021
4 min
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Erano arrivati a un soffio da Konrad, poi un po’ la discesa e un po’ la consapevolezza che quel Colbrelli a ruota somigliasse davvero a uno scorpione e come tale si stava gestendo, sta di fatto che Gaudu ha smesso di credere nella rincorsa e la possibilità di vincere la tappa si è chiusa lì. Il Tour fino a quel punto non era stato come nei suoi sogni, sebbene dalla sera di Tignes si fosse ritrovato leader indiscusso della squadra, senza più Demare con cui dividere lo spazio. Invece appena due giorni dopo, il Ventoux lo ha buttato al tappeto con la brutalità di cui è capace quella montagna nei giorni storti. Che sia stato il caldo o lo sforzo eccessivo, quel giorno il bretone della Groupama-Fdj si è trascinato fra crampi e attacchi di vomito, raggiungendo il traguardo 26 minuti dopo Van Aert. Era partito decimo della generale, quella sera non aveva più nulla da stringere fra le dita, se non la fede di potersi risollevare nella terza settimana. E la fuga di ieri, in qualche modo, è parsa una timida ripresa.

«Ci sono ancora tre grandi opportunità – diceva ieri alla partenza – e non ce le lasceremo scappare. Ora dovremo andare avanti ogni giorno per cercare la vittoria. Mi è sempre piaciuta la terza settimana dei grandi Giri».

Nel giorno di Malaucene, crisi nera sul Ventoux, mal di stomaco e 26 minuti di ritardo
Nel giorno di Malaucene, crisi nera sul Ventoux, mal di stomaco e 26 minuti di ritardo

Sorpresa Konrad

Quel che gli è mancata ieri è stata la capacità di crederci sino in fondo, unita allo scetticismo (tradito dallo stesso Colbrelli) sulle possibilità di Konrad, anche se il Tour nei giorni precedenti aveva offerto esempi analoghi andate in porto.

«Come sempre in questo Tour – ha raccontato dopo l’arrivo agli inviati de L’Equipe – è un’altra tappa partita a tutta. La fuga è partita dopo quasi 70 chilometri, ma si vedeva che potesse arrivare in fondo. Allora ho provato a infilarmici dentro, cercando anche di risparmiare un po’ di energie. Sono riuscito a fiutare lo scatto giusto. Avevo buone gambe. Però quando Konrad è partito da solo sul Portet d’Aspet, mi sono detto che comunque era davvero lontano dal traguardo. Invece alla fine ha avuto ragione lui».

Dopo la crisi del Ventoux, non è più tempo di stare con le mani nelle mani: da ieri Gaudu cerca la riscossa. Ora vuole vincere
Dopo la crisi del Ventoux, non è più tempo di stare con le mani nelle mani: da ieri Gaudu cerca la riscossa

Poca collaborazione

Eppure lo avevano preso. I 25 secondi in cima al passo, tristemente celebre per la caduta di Fabio Casartelli in quel giorno maledetto del 1995, erano un margine su cui si poteva lavorare gestendo lo sforzo con la testa e arrivando nella scia di Konrad nel finale.

«Sulla cima – dice – ho provato a rilanciare perché il gruppo non era salito abbastanza velocemente. Pensavo che saremmo rientrati, visto che con Colbrelli siamo arrivati a una trentina di secondi. Ma poi Sonny ha iniziato a collaborare di meno e proprio in quella fase, Konrad ha rilanciato e ha ripreso vantaggio. Ho avuto buone sensazioni per tutto il giorno, magra consolazione, ma avevo forza. Ora mancano due tappe per dare il massimo. Spero che il mio corpo riesca a recuperare bene e di poter attaccare ancora».

Nella tappa di Saint Gaudens, ha inseguito Konrad con Colbrelli, ma la possibilità di vincere la tappa è sfumata presto
Ieri ha inseguito Konrad con Colbrelli, ma la possibilità di vincere la tappa è sfumata presto

Prevista neve

Nonostante la batosta del Ventoux, Gaudu, ieri nono all’arrivo, è risalito all’11° posto della generale. Ma a questo punto la classifica non gli importa. L’obiettivo adesso è vincere una tappa, magari già oggi, sull’arrivo ai 2.209 metri del Col du Portet su cui le previsioni prevedono la neve.

«Mi piacciono i prossimi due arrivi – ha detto prima di rientrare nel pullman e sparire nei suoi pensieri – anche se il cuore propende per la tappa di Luz-Ardiden, mi fa pensare alla vittoria di Pinot sul Tourmalet nel 2019. Il ricordo di quel giorno è ancora pieno di emozioni».

La tregenda di Guarnieri e Demare verso Tignes

07.07.2021
5 min
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Il Tour de France oggi torna ad affrontare le grandi salite, nello specifico il Mont Ventoux, eppure sono ancora freschi i responsi della frazione di Tignes. O’Connor che vola, Pogacar che domina e i velocisti che fanno la lotta disperata per restare nel tempo massimo. Tra questi c’è chi ne ha pagato le conseguenze, anche in modo molto grave. Arnaud Demare e il suo apripista, e amico, Jacopo Guarnieri infatti non ce l’hanno fatta e sono dovuti tornare a casa.

Dlamini ha fatto tutta la tappa in ultima posizione con il carro scopa e il fine corsa alle spalle
Dlamini ha fatto tutta la tappa in ultima posizione con il carro scopa e il fine corsa alle spalle

Finita sul Roselend

Molti sprinter temevano quella frazione: forse perché un po’ corta e molto dura, forse perché sapevano del ritmo che avrebbero imposto i leader. Fatto sta che Cavendish sull’arrivo ha gioito come se avesse vinto per essere riuscito a centrare il limite orario. Dlamini, il sudafricano della Qhubeka-Assos, caduto nei primi chilometri, è arrivato a Tignes un’ora e 24′ dopo O’ Connor. E poi il freddo, la pioggia… Il limite era appena inferiore ai 38′ di ritardo. Demare è arrivato a 41′ e Guarnieri che aveva tirato in precedenza a 52′.

«Abbiamo cercato di finirla in ogni modo – racconta proprio Guarnieri – ma con le cadute dei giorni precedenti e il freddo… avevamo qualcosa in meno nelle gambe. Sono cose succedono, stavolta è toccato a noi. Siamo rimasti con il gruppo di Cavendish fino a 5 chilometri dalla penultima salita, il Cormet de Roselend. A quel punto, causa freddo, ci siamo staccati e di fatto è finita lì».

L’incitamento a Demare, per lui sempre tanti tifosi a bordo strada
L’incitamento a Demare, per lui sempre tanti tifosi a bordo strada

Pericolo fiutato

«Sono un po’ infastidito nei confronti dell’organizzazione. Al mattino, tramite il Cpa avevamo chiesto di allungare il tempo massimo. Il limite in teoria lo decide l’Uci, in pratica lo fa il Tour. Ma ci avevano detto di stare tranquilli perché visto il meteo ci avrebbero ripescato. Invece non è stato così. Al Giro certe cose non succedono, avrebbero dato almeno 15′ in più e alla lunga ne avrebbe guadagnato lo spettacolo nei giorni successivi perché ci sarebbero stati più sprinter in gara. Per me è stato un bell’autogoal da parte del Tour. 

«E noi, sia chiaro, non è che siamo usciti perché siamo andati piano. Io ho fatto tra i miei valori migliori di sempre. Su cinque ore di gara ho passato il 97% del tempo al massimo. Quando sei nel gruppetto tieni una certa velocità, ma in due… cosa vuoi fare? E’ un Tour il cui livello è altissimo e sarebbe stata difficile anche se fossimo stati al 100%, così il rischio era totale e il 100% non è stato sufficiente».

Le ferite di Guarnieri, caduto nelle prime tappe (foto Instagram)
Le ferite di Guarnieri, caduto nelle prime tappe (foto Instagram)

Con la tagliola nella testa

Guarnieri è tornato in Italia il lunedì dopo la tappa di Tignes. Il morale non era dei più alti, ma lui stesso ammette di non aver rimpianti. Sa che con Demare hanno dato tutto. In più Jacopo ha corso con dei fortissimi dolori al costato dovuti ad una caduta che gli aveva procurato dei problemi anche nei giorni precedenti: faceva fatica ad alzarsi sui pedali.

«Siamo rimasti soli per 45 chilometri – riprende Guarnieri – e tutto sommato nella vallata prima della scalata finale eravamo a 2′ dal gruppetto di Cav. Abbiamo speso moltissimo là sotto. Ci informavano sui distacchi e sul limite di tanto in tanto – correre con una tagliola simile nella testa non è facile – e ai piedi della salita verso Tignes avevamo 29′ di ritardo. Per stare dentro avremmo dovuto perdere in 22 chilometri di salita solo 8′ dalla testa della corsa (alla fine Demare ne ha persi “solo” 13, ndr). Non era una scalata impossibile, ma come facciamo noi che siamo di 80 chili contro gente che non arriva a 65 a perdere così poco?

«Se abbiamo parlato? Non molto, con Arnaud ci siamo scambiati giusto qualche parola d’incitamento ogni tanto. Poi nel finale quando io ho mollato, sfinito, gli ho dato una voce un po’ più grande. Ma credetemi il freddo ci ha davvero bloccato. Forse perché non eravamo al massimo, non so… Ma di certo non era il meteo né la temperatura che mi sarei immaginato di trovare al Tour.

«Ripeto, non ho, anzi non abbiamo, rimpianti. Ammetto che sull’arrivo una lacrimuccia mi è scappata quando abbiamo visto che non ce l’avevamo fatta dopo che avevamo dato tutto. Con Demare siamo in camera insieme, ci siamo abbracciati, sappiamo di aver fatto il massimo e siamo stati anche un po’ sfortunati che O’Connor abbia fatto una prestazione simile. Ci sono tante cose che hanno inciso».

Demare arriva a Tignes 41’38” dopo O’Connor. Subito cerca il cronometro con lo sguardo
Demare arriva a Tignes 41’38” dopo O’Connor. Subito cerca il cronometro con lo sguardo

La riflessione di Guarnieri

Spesso si guarda solo alla lotta davanti, in realtà una grande fetta della corsa è anche dietro. Spesso si dice che per vedere un pro’ andare davvero forte in discesa bisogna guardare il gruppetto come scende nelle tappe di montagna. Ci sono regole non scritte che vanno avanti da decenni: quando mollare, quando spingere, quando stare insieme… E a proposito di regole, Guarnieri, che non è mai banale nei suoi giudizi, solleva una questione interessante sul tempo massimo. 

«Ma ha davvero senso il tempo massimo? E non lo dico per opportunismo – riprende il corridore della Groupama-Fdj – Per me serve solo perché non puoi chiudere una strada per 24 ore, ma siamo professionisti, non ce la prenderemmo “a ridere” se il limite non ci fosse. Dicono: c’è sempre stato il tempo massimo. Ma spesso anche gli addetti ai lavori e il pubblico non lo percepiscono bene. Vi faccio un esempio.

«Tour 2018, situazione simile a quella di Tignes. Io e Demare restiamo nel tempo massimo, mentre Greipel, Cavendish, Gaviria, Groenewegen, Kittel e altri vanno a casa. Dopo la tappa di Pau si arriva in volata, vince Demare e cosa dice l’opinione pubblica? Arnaud ha vinto perché tanto era solo. Non c’erano più velocisti in gara. Ma come? Allora non ha valore l’aver tenuto duro quel giorno? Stessa cosa qualche tempo fa quando in una cronosquadre tre corridori della Garmin caddero all’inizio e finirono fuori tempo massimo. Se solo fori in uno di quei momenti sei fritto. Ma tanto come sempre la nostra voce in capitolo è ridicola».