Sono 18 anni che un francese non vince una corsa a tappe professionistica appartenente al WorldTour, l’ultimo fu Christophe Moreau nel 2007 al Delfinato. Se poi andiamo a guardare un grande giro, l’astinenza dura da trent’anni, con Laurent Jalabert alla Vuelta 1995. Al Giro addirittura bisogna risalire al 1989 e al compianto Laurent Fignon. A tutto questo spera di mettere fine David Gaudu, al via del Giro d’Italia, ma le premesse non sono certamente delle migliori.
A inizio stagione il leader della Groupama-FDJ era abbastanza fiducioso delle sue possibilità nella corsa rosa: «Mi hanno sempre parlato bene del Giro – aveva detto a Eurosport – quando sei leader di una squadra francese, tutti ti aspettano al Tour. Pinot e Bardet si sono costruiti una fama alla Grande Boucle prima di provare il Giro, io faccio un po’ la stessa cosa e non vedo l’ora di provarci».
Un inizio stagione dranmatico
Quello era a inizio stagione, ma poi le cose non sono andate molto bene: caduta a inizio stagione a causa di un cane randagio che gli ha attraversato la strada. Neanche il tempo di rimettersi in sesto ed altra caduta alla Strade Bianche, poi la peggiore, alla Tirreno-Adriatico che l’ha costretto a un’operazione alla mano e a sette settimane di stop. E’ chiaro che la condizione non può essere quella sperata, anche se David vuole provarci, anche per rispondere con i fatti a chi lo critica ritenendolo un’altra delle tante promesse francesi non mantenute.
Gaudu arriva al Giro dopo aver fatto le prove generali al Romandia. Corso senza grandi test precedenti, ripartendo di fatto da zero. DirectVelo lo ha seguito passo passo, per verificare la sua crescita fisica ma anche morale sempre con la corsa rosa sullo sfondo. Perché diciamoci la verità: non capita spesso che una grande corsa a tappe arrivi senza uno dei “tre tenori” al via, Pogacar, Vingegaard, Evenepoel, che già schiacciano tutti gli altri sul piano dell’attenzione mediatica e che poi impongono la loro legge in corsa. Al Giro i pretendenti alla vittoria sono parecchi, e il transalpino vorrebbe essere tra loro.
La difficoltà delle prime uscite
Gli inizi in Svizzera non erano stati semplici, perché il ventottenne di Landivisiau sapeva di non avere il serbatoio pieno, anzi: «E’ la corsa ideale per preparare il Giro – aveva detto – ma devo affrontarla senza prendere rischi, pensando solo ad accumulare chilometri, fatica e condizione. Devo ritrovare il ritmo gara, vedere come rispondono le gambe, il risultato non conta».
Le prime frazioni lo hanno visto correre sempre nelle retrovie: «Il livello è sempre più alto, si evolve ogni anno e se non sei più che pronto, paghi le conseguenze. Io avevo anche iniziato bene la stagione, al Tour of Oman avevo vinto una tappa, chiuso sul podio nella generale, c’erano tutte le avvisaglie per una buona primavera, ma mi accorgo, correndo ora in una prova WorldTour, che rispetto ad allora avrei dovuto andare molto più forte, per ottenere qualcosa».
Il cammino verso la rinascita
Ottantacinquesimo nella prima tappa, poi sempre intorno alla quarantesima posizione, ogni tappa finiva con lo sguardo di compagni e dirigenti con quell’aria interrogativa: «Non posso recuperare il tempo perduto, parto da una base molto più bassa di tutti gli altri. Posso solo sperare di crescere verso la partenza albanese».
Intanto Gaudu ripercorreva il cammino svolto dal punto più basso: «Dopo l’operazione sono stati 6 giorni senza pedalare e poi due settimane sui rulli. Sono uscito su strada per una settimana per accumulare ore poco per volta, poi ho cominciato a fare sul serio e quella è stata la parte che mi è piaciuta di più, una settimana a casa e una a Tenerife ma senza andare in altura. Un’altra settimana a casa e poi valigie pronte per il Romandia. E’ impossibile pensare che ciò possa bastare…».
In salita si è rivisto a sprazzi il vero Gaudu
Una situazione non semplice da gestire, anche psicologicamente: «La condizione non è la peggiore, vedo ogni giorno qualche miglioramento, ma non posso pensare di essere al livello degli altri. Ho solo la consapevolezza di aver fatto tutto quello che potevo, poi sarà la strada a dire se sarà stato sufficiente».
Poi è arrivato il giorno più importante, la prova del nove con il tappone di Thyon 2000 e a fine frazione Gaudu, finito 32° a 6’26” dal vincitore Lenny Martinez era felice quasi quanto lui: «Mi sento rassicurato perché sono andato meglio di quanto pensavo. Ho iniziato con sensazioni non buone, ho corso in difesa nelle prime tre tappe, ma qui ho ritrovato il piacere di pedalare e lottare, senza mai andare in difficoltà e non era scontato».
A cronometro, prove tecniche di Giro
Poi la cronometro finale, interpretata senza guardare il cronometro: «Non era assolutamente importante, guardavo altre cose, le sensazioni dopo un giorno faticoso, pensando soprattutto a curare la posizione in bici. Alla fine ho chiuso 30° in classifica e posso assicurarvi che per come stavo all’inizio, per quel che ho passato nelle settimane precedenti, non era assolutamente scontato».
Ciò però era il passato, ora il momento del via albanese è alle porte: «Devo guardare le cose obiettivamente: non riesco a reggere gli scatti, vado in difficoltà. Io confido nella struttura del Giro dove la prima settimana è abbastanza tranquilla, ci sono solo due tappe difficili dove dovrò limitare i danni, poi faremo il punto. Il Giro è davvero speciale quest’anno e io spero molto nel giorno di riposo dopo la tre giorni albanese per recuperare».
Tappe come obiettivo, ma basterà?
Con che progetti si parte, allora? «Noi partiamo guardando alle vittorie di tappa, come abbiamo fatto – e con costrutto – all’ultima Vuelta, poi vediamo come si mette la classifica. Io ho una buona squadra, ho un ottimo feeling con tutti, c’è poi Enzo Paleni che è un vero maestro in tutto a dispetto dei suoi 22 anni. Io parto con il cuore sollevato perché sono tutto intero, ho finito il Romandia senza cadere e divertendomi, per ora è già qualcosa. Vediamo ora che cosa possiamo costruire…».