Majka, giorno da campione pensando al papà. Mori racconta

29.08.2021
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L’ammiraglia si avvicina. Majka è alle ultime pedalate del Puerto de San Juan de Nava, poi per l’arrivo di El Barraco ci sarà soltanto da spingere in discesa. Mori si sporge, lo si sente urlare.

«Aveva i crampi – racconta il direttore sportivo toscano – bisognava sostenerlo. E allora gli ho detto che era per suo padre, che da lassù gli avrebbe dato una mano…».

La dedica di Majka per suo padre, portato via dal Covid (foto Instagram)
La dedica di Majka per suo padre, portato via dal Covid (foto Instagram)

La storia è tremenda, pari alle migliaia che hanno stremato il mondo. Parla di Covid e di una famiglia, quella Majka di Cracovia, che a causa del virus perde il capo famiglia. Il male fiacca anche Rafal, ma lui si riprende e torna a correre. Non è un anno facile. Per questo stringe i denti e si avventa sul traguardo indicando il cielo.

Per suo padre

«Volevo a tutti i costi la fuga – dice dopo l’arrivo – a capo di un anno che per me non è stato buono come speravo, soprattutto dopo la morte di mio padre. Questa vittoria è per lui, per i miei due bambini e per la squadra che mi è stata accanto. Ci sono giorni in cui provi a prendere la fuga e non ce la fai, ma oggi non ho voluto aspettare nessuno. Oggi volevo vincere a tutti i costi».

Aru in fuga con Majka per le prime due salite, poi ha dovuto arrendersi
Aru in fuga con Majka per le prime due salite, poi ha dovuto arrendersi

Non vinceva proprio dalla Vuelta del 2017, quando in maglia Bora-Hansgrohe conquistò la tappa di Sierra de la Pandera.

«Essere soddisfatto o meno – dice Mori – dipende da lui e dalle sue aspettative. Ma anche al Tour, nonostante sia caduto subito e avesse una costola messa male, nella terza settimana è sempre stato davanti a fare il suo lavoro».

Gruppetto esploso

Si è mosso sull’Alto de la Centera, quando il traguardo era così lontano da rendere inimmaginabile un’azione solitaria. Con lui Aru e Van Gils e poi soltanto Aru. Il sardo ci prova, non si può dire di no, ma quando Majka con un rapporto ben più lungo e redditizio ha attaccato sulla salita successiva, il Puerto de Pedro Bernardo, per Fabio si è spenta la luce.

«Quando ha deciso di andare da solo – ricorda Mori – gli ho solo che dopo la salita c’erano 15 chilometri di discesa e poi si ricominciava subito a salire. Quando ho passato il gruppetto dietro di lui per andare sulla testa, li avevo visti tutti finiti. Per la velocità non tutti erano riusciti a prendere il rifornimento. Per cui quando il gruppetto è esploso, l’unico in grado di attaccare era Kruijswijk. Ho detto a Rafal che se anche lo avesse ripreso, sarebbe stato morto. Ma non lo ha ripreso, perché Majka è un campione. Me lo ricordo quando queste fughe le faceva al Tour».

Gregario di Pogacar

Lo strano Giro d’Italia del 2020 si affacciava sulla terza settimana di ottobre. La Bora-Hansgrohe si era fermata per uno spuntino presso la cantina della famiglia Spinazzè a Pravisdomini e oltre a Sagan, in quel gruppo di corridori che nel giorno di riposo avevano poca voglia di fare fatica, c’era anche Rafal Majka che aveva da poco annunciato il passaggio al UAE Team Emirates. Le sue parole erano improntate alla più grande coerenza.

Si arriva a El Barraco, paese natale di “Chaba” Jimenez, grande scalatore socmparso (qui sull’Angliru nel 1999)
Si arriva a El Barraco, paese natale di “Chaba” Jimenez, grande scalatore socmparso (qui sull’Angliru nel 1999)

Gli anni da uomo di classifica erano ormai finiti, dalla stagione successiva il polacco si sarebbe messo al servizio di Tadej Pogacar. Nelle occasioni libere da doveri, avrebbe avuto le sue carte da giocare. Oggi Rafal si è preso la sua giornata di libertà nella 15ª tappa della Vuelta e ha tirato fuori un capolavoro di vecchia scuola. Di quelli che ti riescono quando non sei in classifica e hai ancora motore da capitano. Sulla sua strada per qualche chilometro ha pedalato anche Fabio Aru, che però nulla ha potuto.

Meritato riposo

Mori sta viaggiando sul pullman verso l’hotel in cui la squadra trascorrerà il giorno di riposo e intanto racconta.

«Volevamo andare in fuga – dice – avevamo già provato con Trentin, Oliveira e De La Cruz, ma è andata male. Rafal ci puntava e quando giorni fa ha vinto Caruso, rimase male per aver perso l’attimo, anche se non era nella sua giornata migliore.

Sul podio un sorriso bellissimo, come non si vedeva da tempo
Sul podio un sorriso bellissimo, come non si vedeva da tempo

«Prima di partire per la Vuelta, gli ho detto che quest’anno, dove vado io si vince. Per cui che non si sognasse di tornare dalla Spagna senza una vittoria. E che avrebbe dovuto dedicarla al suo babbo. Lui mi ha guardato un po’ perplesso, poi mi ha detto che lo avrebbe fatto. Dalla macchina non sapete quante volte gliel’ho ricordato. E adesso possiamo goderci un riposo con il buon sapore in bocca. Sono andati fortissimo e dopo due secondi posti, la vittoria ci voleva proprio. E lui è stato un vero campione».

Vinokourov e quel tarlo su Aru che volevamo toglierci

24.08.2021
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Fabio Aru abbandonerà il ciclismo a fine Vuelta. La notizia… non è più notizia, tuttavia il campione sardo fa parlare di sé. Lo ha sempre fatto, il suo appeal mediatico è sempre stato eccellente e di certo lascia un bel vuoto, specialmente se si pensa al suo potenziale. 

Ma tant’è: la decisione è la sua, non è stata facile (ve lo possiamo garantire) e va rispettata. E poiché dicevamo che Aru fa parlare di sé, noi abbiamo avuto un bell’incontro con Alexandre Vinokourov.

Alexandre Vinokourov e Giuseppe Martinelli, insieme anche al Tour de l’Avenir
Vinokourov e Giuseppe Martinelli, insieme anche al Tour de l’Avenir

L’Astana una famiglia

Sì, il Vino del ciclismo, colui che fu il team manager di Fabio e colui che disse una frase che per noi è rimasta scolpita nella roccia. «Se Aru vuole continuare a vincere deve restare con noi». Perché?

«Ah – sorride e ci pensa un po’ Vinokourov – tante volte i corridori vanno dietro ai soldi. E questa cosa è importante sì, ma non è tutto. E vale per tutti i corridori, non solo per Fabio, ma bisogna guardare anche dove sei e se ti trovi bene. Noi all’Astana siamo una famiglia per come trattiamo i corridori. E poi è una squadra anche molto italiana con Martino (Giuseppe Martinelli, ndr) e altri dello staff. I corridori pensano sempre che in altre squadre stanno meglio, ma poi trovano altre realtà.

«Ci sono tanti corridori che sono andati via che dovevano fare chissà quali cose, penso a Rosa, a LandaPotevano stare con noi e potevano vincere un grande Giro. Sicuro».

Il gruppo che fece quadrato intorno ad Aru nella Vuelta del 2015
Il gruppo che fece quadrato intorno ad Aru nella Vuelta del 2015

Non solo i soldi

Il kazako, tra l’altro visibilmente contento per essere tornato ad avere in mano le redini di quella che in gran parte è una sua creatura, l’Astana appunto, pondera bene le parole. E allora qual era la formula vincente di Astana?

«Un buon gruppo con gente che lavora al 100% – spiega Vinokourov – e lo fa con serenità. Non pensa solo ai contratti. Sì, ripeto, questi sono importanti ma è importante che tutti lavorino con piacere. Il nostro gruppo in questi anni è riuscito a fare questo e spero possa tornare ad essere forte nei prossimi anni con le vittorie che abbiamo conquistato prima».

E su questo possiamo aggiungere anche la nostra esperienza riguardo alle tante occasioni di lavoro avute in passato con i turchesi. Dai meccanici, ai diesse. Dagli anni d’oro di Nibali, alla superba Vuelta di Aru: si respirava davvero un grande clima di famiglia. Cuochi, massaggiatori, meccanici potevi entrare nel cuore del team. E questo succede quando le cose vanno bene. E ognuno è consapevole dei propri ruoli.

Aru concentrato, determinato e senza paura… anche contro i “bestioni” della Sky
Aru concentrato, determinato e senza paura… anche contro i “bestioni” della Sky

Quel super gruppo

In quel team, proprio parlando di ruoli e di armonia, c’era un’amalgama pazzesca intorno a Fabio. O almeno da fuori sembrava così. E giudicando a posteriori, la “macchina” era molto vicina alla perfezione. C’era il campione più forte: Nibali. C’era il delfino (già vincente) in rampa di lancio: Aru. C’erano uomini preziosi: Rosa e Cataldo. C’era un corridore fortissimo, e forse il più problematico all’epoca, ma ideale per fare l’ultimo uomo in salita: Landa. C’era il capitano in corsa nonché veterano: Tiralongo. C’erano i gregari puri (anche se più legati a Nibali): Agnoli e Vanotti. C’era un corridore che sapeva fare il gregario ma che era dotato di una classe sopraffina e di un rispetto enorme in gruppo: Luis Leon Sanchez. E poi un massaggiatore come Umberto Inselvini, mani fantastiche e sensibilità ancora di più nell’ascoltare il corridore. C’era Martinelli, che non ha bisogno di alcuna presentazione. E potremmo continuare…

«Io provai a trattenere Fabio – conclude Vinokourov – Ma lui aveva preso la decisione e non ci fu niente da fare. Non trovammo l’accordo con i suoi procuratori. L’ho visto recentemente a Livigno e l’ho visto lavorare sodo. Gli ho detto: Fabio, è la testa che comanda le gambe, se la testa va bene vanno bene anche le gambe. Bisogna allenarsi e se hai sempre la voglia puoi andare lontano.

«Se ha sfruttato tutto il suo potenziale? Non credo. Ha passato un periodo difficile, ma non fisicamente. Però adesso vedete, a Burgos è salito sul podio (secondo, ndr) e alla Vuelta non lo vedo male. Magari proverà a vincere una tappa e chiuderà così. Mi piaceva il fatto che sapeva battersi fino alla fine. Mi ricordo quando aveva la maglia gialla al Tour. Fece il massimo per tenerla, aveva e voleva tutto sotto controllo e questo oggi è difficile da trovare in un corridore.

«Ma adesso guardo avanti. Guardo ad un altro campione e se Vincenzo viene da noi…».

Dov’è finito Diego Rosa? Corre poco. E su Aru dice che…

17.08.2021
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Prima il controllo antidoping alle 6,30 e di conseguenza Diego Rosa è uscito in bici prima del solito. A quel punto, rientrato a casa, è salito in auto con sua moglie Alessandra e il figlio Elia e se ne sono andati a prendere un po’ di fresco a Isola 2000. Detto questo, dove fosse finito il piemontese di stanza a Monaco era un bel mistero, che ci siamo proposti di svelare.

Il suo calendario 2021 è stato ricco fino a giugno, poi lasciata alle spalle la Settimana Italiana in Sardegna, i tempi fra una corsa e l’altra si sono dilatati. Tanto che la prossima corsa si svolgerà fra quattro settimane e la successiva dopo un buco di tre, prima di addentare le gare italiane. Almeno quelle cui l’Arkea-Samsic è stata accettata. Avendo declinato l’invito per il Giro di Sicilia, pare che non saranno al via di Gran Piemonte e Milano-Torino.

Nonostante le intenzioni, quest’anno Diego Rosa ha corso pochissimo con Quintana. Qui nelle Asturie
Nonostante le intenzioni, quest’anno Diego Rosa ha corso pochissimo con Quintana. Qui nelle Asturie

Il piano B

Il piano A prevedeva che Diego avrebbe corso assieme a Nairo Quintana, il piano B prevede la ricerca di un contratto per il 2022 con quella strana sensazione di essere ad agosto senza sapere che cosa si farà nella prossima stagione. Nel frattempo, un po’ per ingannare l’attesa e un po’ perché a Burgos il corridore che l’ha tirato giù gli ha sfasciato la bici da strada, Diego ha ripreso ad allenarsi con la mountain bike.

«E devo dire – sorride – che sto riscoprendo un mondo, vengono fuori dei grandi allenamenti anche divertenti. Ho idea che continuerò a usarla anche dopo. L’allenatore della squadra mi segue come può, ma è chiaro che mentre gli altri corrono, io devo cercare di simulare a casa un bel ritmo. Ci vorrebbe qualcuno per fare dietro moto tutti i giorni, ma chi ce l’ha?».

Alla partenza del Mont Ventoux Denivele Challenge, chiuso da Diego Rosa al 37° posto
Alla partenza del Mont Ventoux Denivele Challenge, chiuso da Diego Rosa al 37° posto

Aru che lascia

La curiosa piega della sua carriera iniziò quando lasciò l’Astana, la magica Astana che con Nibali, Aru e Landa scrisse grandi pagine di ciclismo fino al 2016. Diego fu uno dei primi ad andarsene, probabilmente avendo capito che non avrebbe trovato grandi spazi per sé e nel 2017 approdò al Team Sky.

«Alla Vuelta a Burgos – racconta – ho scambiato poche parole con Aru, così quando ho letto il suo annuncio sono caduto dal pero. Non è una decisione facile, dopo che sei riuscito a rimetterti in sesto. Devi avere le palle e sono contento per lui se ha capito che questa è l’unica via per essere felice. Il gruppo Astana si è sciolto come succede sempre. Eravamo tutti amici da una vita, ma si sapeva che Fabio e Vincenzo avessero offerte per andare via. Magari quella scelta non ha sistemato la carriera, ma ha messo a posto la vita. Abbiamo fatto delle scelte, poi ognuno ha continuato per la sua strada».

Alla Freccia Vallone 2021, in fuga con Vervaecke e Velasco
Alla Freccia Vallone 2021, in fuga con Vervaecke

Alti e bassi

Partecipare al Giro di Sicilia gli avrebbe fatto gola, ma pare che il problema fosse logistico, per la troppa vicinanza in calendario della corsa successiva e la difficoltà nello spostare i mezzi. 

«Per cui – dice – l’ultima corsa di stagione potrebbe essere il Lombardia, cui partecipiamo grazie alla classifica Uci. Devo dire che in questa situazione ho un po’ di alti e bassi. Certi giorni dico che potrei smettere, ma mi darebbe fastidio uscire così, quasi di nascosto. Stiamo valutando varie situazioni, ma a quelli cui ho parlato ho chiesto prima di vedere il programma e poi l’ingaggio. Vorrei correre ancora, ma non voglio farlo a tutti i costi. Perciò ora mi organizzo con la mountain bike per passare le prossime tre settimane. E per il resto sto bene. La vita a Monaco procede bene, la famiglia gode di ottima salute. Magari ci vediamo alle corse italiane di fine stagione…».

Landa cauto al via della Vuelta: «Vengo da dove vengo»

13.08.2021
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Mikel Landa alla partenza della Vuelta è abbottonato come uno che non vuole dire una parola più del necessario. C’è da capirlo. L’ultima volta che si sentiva fortissimo e un minimo si è sbilanciato è stato al Giro d’Italia. E dopo aver fatto vedere grandi gambe a Sestola, è rimasto coinvolto nella caduta di Cattolica, tornando a casa con qualche costola e la clavicola rotta.

«E’ servita pazienza – dice con un filo di rassegnazione – ciclismo non è solo vincere, ma anche passare momenti difficili, gestirli e riprendere i sogni e i propri obiettivi».

La Vuelta che parte domani gli si addice per strade e spirito di corsa, ma la condizione non è ancora al top. Anche se alla Vuelta Burgos ha tenuto testa a tutti i rivali, compreso Bernal che era certo lì per fare la punta alle armi, ma a farsi staccare non ci sta mai troppo volentieri.

Al Giro dello scorso maggio era in gran forma. A Sestola è arrivato con Bernal e Ciccone
Al Giro dello scorso maggio era in gran forma. A Sestola è arrivato con Bernal e Ciccone

Landa bandiera

Landa è a detta di tutti i giornalisti spagnoli, l’unico corridore di casa che abbia ancora la capacità di infiammare il pubblico. Senza dover per forza definirlo l’erede di Contador e con Valverde in calando, il pubblico e gli addetti ai lavori si sono resi conto che Marc Soler ed Enric Mas non sono all’altezza dei desideri. Così, in attesa che arrivi Juan Ayuso (sulle cui spalle il carico delle attese è già smodato), Landa è la bandiera di quel correre all’attacco che tanto piace al pubblico. In più Mikel è basco, il carattere non gli manca.

Come stai?

Sto bene, sono motivato. Non ho la forma migliore, però verrà durante la corsa.

Si parte da Burgos, praticamente vicino casa…

Mi porta fortuna. Ho vinto la Vuelta la scorsa settimana e avrò i miei tifosi. Vedremo se sarò già in grado di lottare dalle prime tappe e se sarò in grado di farlo sino alla fine. L’obiettivo resta sempre quello: salire sul podio. Ma per vari motivi, tra cui soprattutto la sfortuna, quest’anno non ci sono riuscito.

La sfortuna era in agguato: a Cattolica, caduta, 4 costole rotte e anche la clavicola
La sfortuna era in agguato: a Cattolica, caduta, 4 costole rotte e anche la clavicola
Per questo sembri così… cauto?

Vengo da dove vengo, con quattro costole rotte e la clavicola. A forza di prendere simili botte, la fiducia va un po’ giù. Perciò mi limito a dire che vorrei salire sul podio e lottare per qualche tappa. E poi vedremo.

La Bahrain Victorious è una delle squadre rivelazione dell’anno.

E’ un gruppo tutto nuovo. L’anno scorso era cominciato un primo rinnovamento, ma poi a causa del Covid non si è potuto raccogliere troppo. Abbiamo sempre lavorato bene, seguendo criteri rigorosi e vincenti. E adesso che il periodo sfortunato è finito e abbiamo potuto allenarci in modo completo, i risultati sono iniziati a venire.

Ti aspettavi che Aru, secondo alla Vuelta Burgos, avrebbe annunciato il ritiro dopo la Vuelta?

Onestamente no e penso che sia una pena per i suoi tifosi. Lo vedevo tranquillo, peccato. E’ stato un compagno di squadra e di strada, un amico. La sua vita ha preso un cammino diverso.

Ti senti tra i favoriti della Vuelta?

Direi che quello è un ruolo che compete a Roglic e Bernal, per quello che hanno conseguito finora. Io spero di potermi infilare fra loro e giocarmela. Loro possono metterci le gambe e una grande stagione.

E tu?

Io ci metto una grande voglia di fare e di colmare la lacuna di forma. Spero di trovare l’energia per fare tutto questo ed essere nel vivo della corsa.

In percentuale, a che punto sei?

Non saprei dire, bisognerebbe chiederlo al mio preparatore, ma non so se un numero possa descrivere come sto. Spero di arrivare al 100 per cento durante la corsa, per potermela finalmente godere.

Il Team Bahrain Victorious ha vissuto un cambiamento radicale che al secondo anno sta dando i suoi frutti
Il Team Bahrain Victorious ha vissuto un cambiamento radicale che al secondo anno sta dando i suoi frutti

Maglia speciale

Fra le annotazioni, come si può vedere nella foto di apertura, c’è che il Team Bahrain Victorious ha messo da parte il rosso della maglia per rispetto verso il colore della Vuelta e indosserà un kit speciale di Alé, continuazione della maglia Cripto Art NFT, che mira ad aumentare la consapevolezza sull’obesità e i vantaggi dell’attività fisica nel ridurne  i rischi. Per cui sulla maglia compaiono messaggi in tal senso e iniziative legate alla pratica sportiva, i cui dettagli sono ben spiegati nel sito dedicato. Perciò, non resta che partire.

Sagan in Francia: la parola d’ordine sarà divertirsi

13.08.2021
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Prendi Sagan e arriva il mondo. Jean René Bernaudeau deve averlo pensato quando, ottenuta la firma dello slovacco, si è trovato davanti alla porta di casa anche Daniel Oss e Maciej Bodnar, il direttore sportivo Jan Valach, l’addetto stampa Gabriele Uboldi, le bici Specialized (non solo quelle di Peter, ma la dotazione per tutta la squadra) e l’abbigliamento Sportful. Neanche Amazon avrebbe garantito una consegna così. E poco importa che il Team TotalEnergies non sia una squadra WorldTour. I francesi sono stati fra i primi a mettersi sulle tracce di Peter e il loro progetto è quello che più lo ha convinto. A cominciare dalla richiesta esplicita di divertirsi.

«La cosa più importante – dice Sagan – non è lo stato attuale della squadra, ma cosa ne faremo. Bernaudeau vuole salire di livello e io mi assicurerò di aiutarlo. Anche la Bora quando arrivai era una piccola squadra…».

Bernaudeau ha colto appieno le potenzialità di Sagan e gli ha raccomandato di continuare a divertirsi (foto DirectEnergie)
Bernaudeau ha colto appieno le potenzialità di Sagan e gli ha raccomandato di continuare a divertirsi (foto DirectEnergie)

Una micro azienda

Si capisce subito dalle parole di Bernaudeau che il mondo Sagan sia qualcosa fuori dall’ordinario. I due, ha raccontato Peter, si conobbero casualmente al Tour di tre anni fa, a una festa organizzata dal team francese, con ostriche, barbecue e un buon clima.

«In questo ciclismo moderno ed estenuante, che porta i corridori all’esaurimento – racconta Bernaudeau a L’Equipe – Peter cerca di preservare se stesso. Ha creato intorno a sé una sorta di micro impresa, con persone molto vicine, che gli permette di essere felice. Anche la sua visione del ciclismo è particolare. Quando l’ho incontrato nella sua casa di Monaco, mi ha chiesto quasi intimorito, se potesse partecipare a eventi gravel. “Ma certo!”, gli ho risposto, divertirsi è la chiave per continuare. E’ un nuovo mercato legato all’ecologia, alla mobilità urbana, al piacere che io e lui stiamo cercando. Questo aprirà nuove porte. Certo che sarà autorizzato, a partire dal 2022, a variare il suo calendario e inserire nel suo programma alcuni eventi gravel e mountain bike».

Sagan ha corso le Olimpiadi di Rio 2016: non ci sono solo Van der Poel e Pidcock
Sagan ha corso le Olimpiadi di Rio 2016: non ci sono solo Van der Poel e Pidcock

Bici e divertimento

Più dei soldi, che ovunque fosse andato sarebbero stati garantiti anche dagli sponsor, l’apertura mentale di Bernaudeau ha convinto “Peterone” di aver fatto la scelta giusta.

«Quando Jean René è venuto a trovarmi a Monaco qualche mese fa – racconta – ho capito subito che saremmo andati d’accordo. E’ serio e divertente allo stesso tempo. Mi ha detto: so che i corridori hanno bisogno di divertirsi, devi saperti divertire nel ciclismo oggi, è una delle chiavi del successo. C’è molto lavoro dietro, certo, non mi spaventa. So mettermi in gioco ed essere serio quando necessario, ma questo discorso mi è piaciuto molto. Questa è la prima volta che un manager mi chiede di divertirmi…».

Oss e Sagan, un’amicizia nata dai primi tempi alla Liquigas
Oss e Sagan, un’amicizia nata dai primi tempi alla Liquigas

Pressione crescente

Sono le stesse parole tirate in ballo da Bernal e da Valverde, da Viviani e Aru, Dumoulin e Cavendish. Divertirsi, la sola chiave per sopravvivere allo stress. Lo sport professionistico non si ferma davanti a niente e schiaccia i suoi attori principali senza interrogarsi se in realtà non sarebbe più lungimirante preservarli meglio.

«Il ciclismo – spiega Peter – è cambiato molto negli ultimi anni. La pressione è diventata enorme all’interno delle squadre. E’ uno sport sempre più esigente con un approccio quasi scientifico. Ma soprattutto si è evoluto l’aspetto extra sportivo, non potete immaginare tutto quello che si deve fare oltre ad andare in bici, i piccoli dettagli da affrontare. E poi ci sono gli affari. Fare il corridore è un lavoro a tempo pieno e a volte può essere pesante. Sono stato in questo business abbastanza a lungo da sapere come affrontare tutto questo, ma per i giovani può essere molto difficile psicologicamente. Poi so da me che la la pressione continuerò a mettermela da solo. Ho sopportato molte aspettative da quando sono diventato professionista e continuare a fare al meglio il mio lavoro è parte della mia responsabilità. Raggiungere risultati, premiare l’investimento degli sponsor e la fiducia della squadra…».

Sagan si rialza dalla caduta nella 3ª tappa del Tour: sembra non aver riportato danni, ma si ritira nella 12ª per dolore a un ginocchio
Terza tappa del Tour, Ewan lo tira giù: si ritirerà nella 12ª tappa per dolore a un ginocchio

Classiche e Giri

Nonostante l’apertura per un ciclismo… alternativo, ancora tutto da pianificare, Sagan fa capire chiaramente che la priorità sarà per le corse su strada

«Le classiche, le tappe, le classifiche a punti dei grandi Giri – dice – devo occuparmi di recuperare dal mio infortunio e finire la stagione con la Bora perché ci sono i mondiali e la Parigi-Roubaix in arrivo. Poi continuerò a puntare a ciò per cui sono stato creato. Quando mi sono ritirato dal Tour, il caso ha voluto che la Bora alloggiasse nello stesso hotel della TotalEnergies e così ne ho approfittato per conoscere meglio alcuni dei futuri compagni e tutto il personale.

«Avevo già parlato con Edvald Boasson Hagen di Anthony Turgis, che avevo visto andare forte al Nord. E’ un grande corridore, saremo in grado di fare grandi cose insieme. Sarà tutto una grande scoperta. Ho iniziato in squadre italiane, poi sono passato alla Tinkoff e alla Bora. Nella TotalEnergies ci sono pochi stranieri e soprattutto una forte identità francese. Sarà bello partecipare al Tour in una squadra nazionale. Ne approfitterò anche per imparare finalmente il francese».

Turgis è una delle punte per il Nord, qui contro Van der Poel Alla Dwars Door Vlaanderen del 2019
Turgis è una delle punte per il Nord, qui contro Van der Poel Alla Dwars Door Vlaanderen del 2019

Il Team Peter

Infine un cenno per il Team Peter, la micro impresa di cui parla Bernaudeau, che permette allo slovacco di non perdere i suoi riferimenti e che ben conosciamo da anni.

«Ho iniziato la mia carriera con questi ragazzi, nel 2010 alla Liquigas – dice Peter – e il destino ci ha fatto incontrare alla Bora. Oss e Bodnar sanno come posizionarmi mentre mi avvicino agli sprint. Mi fanno stare meglio. Probabilmente anche alcuni giovani sarebbero in grado di farlo, ma la mia fiducia in Daniel e Maciej è totale e solo il tempo può costruire un rapporto del genere. Alla TotalEnergies arriverà anche Jan Valach, un direttore sportivo che conosco da quando avevo quindici anni. E’ il mio uomo di fiducia, quello con cui parlo prima e dopo ogni gara. Mi ha permesso di vincere tre titoli mondiali, ma è anche uno che mi ha aiutato molto nella mia vita privata, cose che non c’entrano niente con la bici. E’ un amico indispensabile».

Che cosa ci insegna l’annuncio del ritiro di Aru?

12.08.2021
5 min
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Forse ha atteso troppo. Oppure forse ha convissuto troppo a lungo con il malessere e si è spezzato. Il Fabio Aru che oggi ha annunciato a mezzo social l’imminente ritiro dalle corse è un uomo più sereno e solido di quello che sgomitava contro se stesso per venire a capo del disagio e un atleta più consapevole e performante di quando sia stato negli ultimi tre anni. E curiosamente ha detto basta al termine della rincorsa, come se abbia voluto dimostrare a se stesso di poter di nuovo lasciare il segno. Poi, di fronte allo stress e alla fatica che ciò comporta, abbia scelto di concentrarsi sulla famiglia.

Dumoulin, prima il ritiro, poi la riflessione e il ritorno. Qui vince i campionati nazionali della crono, sulla via per Tokyo
Dumoulin, prima il ritiro, poi la riflessione e il ritorno. Qui vince i campionati nazionali della crono

Prima Dumoulin

A un certo punto, durante la Vuelta dello scorso anno, anche Tom Dumoulin disse basta. Aveva corso un bel Tour, chiudendo al settimo posto nonostante il lavoro per Roglic. Non era più il corridore che nel 2017 aveva conquistato il Giro d’Italia, ma era pur sempre un riferimento per il gruppo.

«Sento come se mi fossi liberato di una zavorra di cento chili dalle spalle – disse – volevo fare il bene di molte persone. Volevo che la squadra fosse felice di me. Volevo gli sponsor fossero soddisfatti. Volevo che mia moglie e la mia famiglia fossero felici. Quindi volevo fare bene per tutti, ma a causa di questo nell’ultimo anno ho messo da parte me stesso. Ma cosa voglio io? Cosa vuole l’uomo Tom Dumoulin? Cosa voglio fare della mia vita?».

Probabilmente Tom si è fermato in tempo. E al di là che abbia fatto tutto per preparare la crono di Tokyo senza stress, è riuscito a fare ordine nei pensieri. E ora tutti sappiamo come sia finita la storia. L’olandese è tornato al Giro di Svizzera. E schiantando lo scetticismo generale ha conquistato il podio delle Olimpiadi a cronometro, per poi annunciare che tornerà ad essere un ciclista professionista.

Nel 2012 Fabio vince il Val d’Aosta (qui a Tavagnasco) poi passa all’Astana
Nel 2012 Fabio vince il Val d’Aosta (qui a Tavagnasco) poi passa all’Astana

L’analisi di Elisa

Qualche giorno fa Elisa Longo Borghini ha usato parole di una lucidità perfetta: «A volte i giornalisti non si rendono conto, ma te la fanno pesare. Io cerco sempre di guardare a quello che faccio e a non lasciarmi condizionare troppo da quello che viene scritto, ma resta il fatto che se un corridore non va, sente tutto amplificato. Certi giorni ti colpisce anche il commento negativo a bordo strada. Passi un po’ staccata davanti a una casa e senti dire: “Ma quella è la Longo Borghini?”. Ci resti male. Abbiamo una maglia, ma siamo persone».

Quante volte a partire dal 2018 Aru si è sentito fare le stesse domande? E in che modo esse gli hanno scavato nell’anima, come hanno fatto le domande sempre uguali con Viviani nei mesi scorsi e prima ancora con Marco Pantani?

Tour del 2017, Aru parte da Saint Girons in maglia gialla: l’Astana è la sua casa, ma piovono offerte
Tour del 2017, Aru parte da Saint Girons in maglia gialla: l’Astana è la sua casa, ma piovono offerte

La profezia di Vinokourov

Dire oggi che non fosse pronto per lasciare l’ambiente protetto dell’Astana è sin troppo facile, ma le parole di Vinokourov in quel luglio trionfale del 2017 risuonano profetiche ancora oggi.

«Sono convinto di una cosa – disse il kazako – se corrono dietro ai soldi, allora se ne vanno. Ma se Aru vuole vincere, allora deve restare con noi».

Aru ha smesso di essere Fabio al Giro d’Italia del 2018, giusto l’anno dopo, quando qualche goccia di troppo fece traboccare il vaso. Costantemente sotto pressione sin dagli under 23 perché fosse magrissimo (nessuna forzatura, lo ha raccontato lui). In perenne contrapposizione, per volere della stampa, con quella roccia di Nibali, cui apparentemente ogni cosa scivola addosso. Sotto accusa per ogni piazzamento diverso dal podio. Rallentato da guai fisici. La somma di tutto questo e di altro di cui probabilmente non ci siamo neppure accorti ha prodotto il guasto che Dumoulin ha subito individuato e affrontato.

Il Giro del 2018, il primo in UAE, non andò per niente bene
Il Giro del 2018, il primo in UAE, non andò per niente bene

“Testone” sardo

Avrebbe potuto mollare a fine giugno, quando dopo il campionato italiano si è reso conto di non avere il livello per correre il Tour. Invece Fabio è cocciuto, lo è sempre stato. Ha onorato l’impegno con il Team Qhubeka. Ha portato avanti il piacere ritrovato nel cross. Si è rimboccato le maniche. Ha risalito la china. Ha lottato per vincere al Sibiu Cycling Tour ed è arrivato secondo per 36” nella Vuelta a Burgos vinta da Landa (foto di apertura). Ha dimostrato di non essere finito. Poi ha annunciato il ritiro.

«Ho riflettuto a lungo su quale fosse la decisone giusta da prendere, notti insonni, pianti e quant’altro. Ma se devo essere sincero ho imparato ancora di più ad amare il mezzo e lo sport che mi ha portato a raggiungere traguardi che mai avrei immaginato. E oggi nonostante sia qui a comunicarvi questa scelta importante della mia vita, posso gridare a gran voce che amo il ciclismo, amo ancor di più andare in bici, amo allenarmi e non ho nessuna intenzione di lasciarla in garage. Ma come tutti gli inizi c’è sempre una fine. Ora è giunto il momento di godermi un nuovo capitolo della mia vita, accanto alla mia famiglia».

Fabio Aru, Montodino 2020
Nel ciclocross lo scorso inverno ha ritrovato il piacere di… giocare con la bici. Il ritiro è giunto inatteso
Fabio Aru, Montodino 2020
Nel ciclocross lo scorso inverno ha ritrovato il piacere di… giocare con la bici. Il ritiro è giunto inatteso

L’ultima Vuelta

Vivrà la Vuelta come l’ultima sfida o come l’ultimo cancello da saltare prima della libertà? E il suo esempio alla fine insegnerà qualcosa a chi continua a spingere sui corridori (stampa compresa) affinché diano sempre spettacolo, battano record, si rialzino dalle cadute, infiammino folle con numeri da fenomeni e tensioni più logoranti delle stesse salite? E’ possibile che il destino fosse già scritto e che per fare strada serva una solidità psicologica superiore. Eppure segnaliamo con una punta di rammarico come quasi tutti i ragazzi del Novanta siano andati incontro allo stesso destino. Proprio loro, i primi a passare professionisti molto giovani e capaci di grandi risultati sin dai primi anni. Oggi è tutto più veloce, facciamoci una pensata, per evitare che la stessa macchina stritoli altri talenti.

Toccherà a Ulissi raccontare la Sardegna a Fabio Aru

18.07.2021
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Diego Ulissi continua a tenere in pugno a suon di vittorie la “Settimana Ciclistica Italiana… sulle strade della Sardegna”, così si chiama la neonata corsa a tappe in chiusura oggi a Cagliari. Ma forse sarebbe stato ancor più semplice dire “Sulle strade di Fabio Aru”. Il Cavaliere dei 4 Mori è il convitato di pietra di questa prima edizione, che tra Giochi di Tokyo da preparare e necessità di un calendario Uci sempre affollatissimo, è rotolata nel bel mezzo di luglio. Proprio il suo mese, quello in cui Fabio compie gli anni (e con lui sua mamma Antonella e suo fratello Matteo). Quello in cui ha ottenuto il successo più prestigioso, sulla salita della Planche des Belles Filles, nell’ormai lontano Tour del 2017.

Aleotti, reduce dalla vittoria di Sibiu, racconta di un Aru in gran forma. A sinistra Ackermann
Aleotti, reduce dalla vittoria di Sibiu, racconta di un Aru in gran forma. A sinistra Ackermann

Le strade di Fabio

L’ultima frazione (Cagliari-Cagliari, come la penultima, ma con uno sviluppo totalmente diverso) si spinge verso il Sulcis, sino a Carbonia. Qui porterà il gruppo a una doppia ascesa sulla salita di Terraseo, classico terreno di allenamento per Fabio, quando viveva a Villacidro. Già la terza aveva esplorato i luoghi cari al trentunenne della Qhubeka-NextHash, con il simbolico gpm (definizione quantomeno generosa per un tratto di neppure 2 chilometri al 5 per cento) proprio a casa sua, nel Paese d’Ombre descritto da Giuseppe Dessì. Ben altro era l’omaggio che il “vero” Giro di Sardegna gli avrebbe riservato nell’edizione in calendario per ottobre, disegnata per lui ma che resterà nel cassetto! Perché la speranza di chiunque organizzi una gara nell’Isola è di avere alla partenza il più grande corridore sardo di sempre, orgoglio di un popolo che sussultò vedendolo salire sul podio di Madrid avvolto nella bandiera con i Quattro Mori, preferita al tricolore.

Milan continua a crescere, su strada e su pista. Qui con Volpi, suo diesse in Sardegna
Milan continua a crescere, su strada e su pista. Qui con Volpi, suo diesse in Sardegna

Il tabù Sardegna

Ma il tabù-Sardegna per Aru continua. Il Giro di Sardegna si è interrotto nel 2011, l’anno prima che lui vestisse la maglia dell’Astana. Da allora i pro’ sono sbarcati soltanto nel 2017, per il Giro d’Italia. Una caduta durante il ritiro in Spagna gli conciò male un ginocchio e alla Grande Partenza da Alghero Fabio si presentò in borghese, giusto per un saluto ai propri tifosi. Una delusione cocente. Stavolta c’era il Tour nei suoi programmi, ma il tricolore di Imola ha fatto scattare il piano B. Troppo tardi, però. La Qhubeka aveva già disdetto gli inviti e Aru non ha potuto dar seguito alle belle prove di Lugano e Sibiu Tour, dove soltanto Giovanni Aleotti gli ha negato (due volte) la decima vittoria in carriera. Ma è stato il primo segnale dopo tanto tempo.

Così dopo Sassari, Ulissi conquista anche Cagliari ed è sempre più leader
Così dopo Sassari, Ulissi conquista anche Cagliari ed è sempre più leader

L’omaggio di Aleotti

«Fabio è un grandissimo corridore, non c’è bisogno che lo dica io: il suo curriculum e la sua carriera parlano per lui», conferma l’emiliano della Bora-Hansgrohe che in Sardegna si è confermato in grande forma (è 3° in classifica). «In Romania andava veramente molto forte, quindi credo che sia ancora a un grandissimo livello».

Magari non avrebbe avuta la velocità per imporsi negli sprint, ma di sicuro il villacidrese sarebbe stato tra i protagonisti. Si farà raccontare la corsa da Diego Ulissi, suo vicino di casa a Lugano ed ex compagno per tre anni alla Uae Emirates. Dopo la seconda vittoria nello sprint ristretto di Cagliari, Diego è sempre più vicino al successo nella neonata Settimana Ciclistica Italiana sulle strade di Fabio Aru, pardon… della Sardegna.

Il Sibiu Cycling Tour riporta un po’ di luce su Aru

14.07.2021
6 min
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In quei 19 secondi alla fine del Sibiu Cycling Tour c’è la differenza fra un atleta che non riusciva a ritrovarsi e uno che ha provato a vincere. E d’accordo che la corsa rumena non fosse il Tour de France e alla partenza non ci fossero i più grandi fenomeni del ciclismo mondiale, ma a volte i risultati vanno contestualizzati. E per Fabio Aru essere lì a lottare contro Giovanni Aleotti è stato un momento importante. Se vi interessa capire il perché continuate a leggere.

Secondo sul podio del Sibiu Tour dietro Aleotti e prima di Schlegel
Secondo sul podio del Sibiu Tour dietro Aleotti e prima di Schlegel

Il ruolo del giornalista

A Fabio si vuol bene, come quando conosci qualcuno da ragazzino, ne condividi i sogni, lo vedi realizzarli, poi lentamente scivolare verso chine inaspettate. Ti fai mille domande, le fai a lui. Qualcosa puoi scrivere, qualcosa no. Ma inizialmente non conta ciò che scriverai, conta ciò che puoi dirgli cercando di dare una mano. Però alla fine il giornalista ha l’obbligo di raccontare, così questa volta la chiamata è per scrivere, con il gusto reciproco di spiegare e capire. Nei giorni scorsi, parlando con altri corridori, il punto di domanda non era tanto sulla sua capacità di allenarsi, quanto piuttosto sulle grandi attese non sempre facili da fronteggiare.

Fabio è di ritorno a Lugano dopo un paio di giorni a Torino. Il tempo mette a brutto e anche se da quelle parti non fa mai particolarmente caldo, una rinfrescata ci sta bene. Gli sarebbe piaciuto correre in Sardegna alla Settimana Italiana appena partita, ma la sua squadra non partecipa e in nazionale ci sono i corridori per Tokyo. Parlare di programmi sarà un cammino a margine.

A Lugano ha tentato l’attacco solitario a 100 chilometri dall’arrivo, restando solo per circa 40
A Lugano ha tentato l’attacco solitario a 100 chilometri dall’arrivo, restando solo per circa 40
Come è andata a Sibiu?

Chapeau ad Aleotti per come è andato. Potevo giocarmi meglio la tappa in cui ho fatto secondo, ma il giorno dopo l’ho attaccato forte e non l’ho staccato. Poco da dire. E’ andato forte e io ho fatto buoni valori. Sono tornato a casa con belle sensazioni, come non succedeva da un pezzo, dopo una corsa ben organizzata e con un bel livello. In realtà ero andato abbastanza bene anche a Lugano. Sono arrivato 14° ma prima ho attaccato. Oddio, forse da troppo lontano, visto che mancavano 100 chilometri…

Stai bene?

Nelle ultime due settimane, anche in allenamento ho notato un bel cambiamento nelle sensazioni e nei valori. Ho finalmente buoni riscontri in salita. Ho pagato a caro prezzo la discontinuità degli anni passati. Non era normale finire tutte le corse con i crampi. E non crampi da disidratazione, ma da disabitudine alla fatica. La testa mi avrebbe spinto ad andare oltre, ma le gambe non ce la facevano. In più finora avevo fatto un calendario di primo piano e ho dovuto accettare il fatto di non avere ancora il livello per fare bene. Invece arrivare davanti in una corsa pur minore mi ha dato morale e mi ha permesso di correre diversamente, di non subire il ritmo degli altri.

Un bel cambiamento nelle sensazioni e nei valori?

Nelle ultime due settimane ho fatto dei record in salita. Non sono uno che pubblica su Strava, ma forse a volte a qualche tifoso farebbe piacere leggerlo. Solo che ora mi serve dare continuità. Con i miei allenatori abbiamo contato che da settembre 2019 all’inizio di quest’anno, quindi in circa 18 mesi, ho fatto solo 26 giorni di gara. Sia a livello fisico che di fiducia sono arrivato alla ripartenza con qualche lacuna.

A Sibiu ha ritrovato la possibilità di correre senza subire la gara
A Sibiu ha ritrovato la possibilità di correre senza subire la gara
Come mai il campionato italiano è finito con un ritiro?

Non era quello il mio livello, sono rimasto male anch’io. Ho avuto sensazioni negative inattese, ma proprio in seguito a quel giorno ho scelto di non andare al Tour. Non so come sarebbe stato in Francia. Ora invece il trend è positivo ed ho un morale diverso rispetto a quando dovevo sempre inseguire.

Credi che questa nuova assuefazione alla fatica sia completa adesso?

Avrei avuto bisogno di trovarla qualche mese fa, ma non è arrivata. Però di ritorno da Sibiu, mi sono voluto testare su salite che conosco e sono rimasto colpito da me stesso. Parliamo di Marzio, che però è in Italia, oppure di Carona.

Bernal ha vinto il Giro dicendo che finalmente è tornato a divertirsi. Tu ti diverti ancora?

Ce ne sarebbe bisogno. Questo sport è diventato tanto più professionale, raramente ti senti dire di fare una salita a sensazione per capire come stai. Certe volte disporre di così tanti dati è deleterio. Un conto è prendere il tempo sulla salita, altra cosa dover inseguire sempre i numeri… Che tanto poi alla fine conta sempre chi scollina per primo.

La condizione di partenza non era all’altezza delle gare WorldTour: qui alla Parigi-Nizza
La condizione di partenza non era all’altezza delle gare WorldTour: qui alla Parigi-Nizza

Divertirsi in bici

L’esempio di Bernal è calzante. La schiavitù dei programmi e dei numeri non viene accettata da tutti i corridori in egual misura. Ci sono quelli che in essa trovano un riparo e una disciplina e altri che non vi trovano l’orizzonte per il quale hanno scelto di fare questo mestiere. Il fatto che sia stato David Brailsford a… staccare tutti i cavi da Bernal, consentendogli di approcciarsi al Giro con il divertimento come linea guida, certifica che il discorso sta effettivamente in piedi. L’ambiente certo non aiuta. Fra le pieghe del discorso, che è andato avanti a lungo, una parentesi si è dedicata al rapporto con i giornalisti. Non è facile essere corridori di vertice, perché si hanno sempre microfoni e obiettivi puntati e a volte può capitare di non avere cose da dire o di essere stanchi di ripetere sempre le stesse (chiedere a Caruso come sia cambiata la sua vita dopo il secondo posto del Giro). Se anche ciò genera pressioni, diventa difficile riuscire a concentrarsi sulle sensazioni e l’allenamento. Dopo un po’ tutto questo schiaccia e isolarsi rischia di sembrare il solo rimedio, purtroppo non sempre azzeccato.

Basta errori

In quei 19 secondi alla fine del Sibiu Cycling Tour c’è la differenza fra un atleta che non riusciva a ritrovarsi e uno che ha provato a vincere. Il prossimo passo, dopo qualche giorno in montagna con la famiglia, sarà stabilire un calendario da cui ripartire. Ci sarà forse la Vuelta? Fabio allontana le attese, il concetto è assai semplice.

«Memore di alcuni errori fatti in passato – dice e saluta – ho deciso che in certe corse si parte soltanto se stai bene a livello fisico e mentale. Essere meno che al meglio, non sarebbe salutare e una mazzata morale sarebbe l’ultima cosa di cui ora ho bisogno. Faremo i programmi, voglio correre. Ma al momento non so ancora dove. Tutto qua…».

Dove sono finiti quelli del 90? Solo pochi tengono duro

12.06.2021
6 min
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La paura fa… 90. Stavolta non c’entra nulla la cabala, ma un’annata che ha prodotto talenti incredibili anche se, per un motivo o l’altro, alcuni di loro si sono persi o non hanno mantenuto le aspettative trasmesse da dilettanti o dopo i primi anni di professionismo. Attenzione, in questa nidiata non mancano fenomeni assoluti però molti di loro hanno sofferto – anche più del dovuto – lo stress, fino ad arrivare al ritiro anticipato o ad una pausa di riflessione della carriera.

Sagan, classe 1990, continua a vincere ed è forse l’eccezione fra i corridori della sua età
Sagan, classe 1990, continua a vincere ed è l’eccezione fra i corridori della sua età

Capo Sagan

La stella polare di questa annata, in cui tengono banco Mikel Landa e Nairo Quintana, è senza dubbio Peter Sagan – 31 anni fatti a gennaio, passato nel 2010 in Liquigas, finora 117 vittorie totali di cui 58 nelle prime quattro stagioni da professionista – il quale ha abituato tutti sin troppo bene, al punto che qualche detrattore lo dipinge sul viale del tramonto quando, palmares alla mano, non gli si può contestare nulla. E tanto ha ancora da dare, pur dovendo fare i conti sia con la pressione del risultato, sia con la nouvelle vague dei giovani campioni affamati e pigliatutto.

Casi diversi

Della stessa classe di nascita dello slovacco abbiamo altri esempi di ragazzi che, dopo le speranze iniziali, avrebbero potuto dominare per molto tempo e che adesso sembrano essere invecchiati precocemente o appaiono incompiuti.

Naturalmente ci sono tante varianti – infortuni, avversari più forti – che condizionano una carriera e per qualcuno di essi hanno inciso tanto, troppo. Moreno Moser, Aru (in apertura contro Contador al Giro 2015), Cattaneo, Diego Rosa, Dumoulin, Pinot, Bardet e Phinney, per citare i casi più eclatanti, hanno alternato grandi successi a battaglie anche contro lo spettro di stati melanconici e umorali vicini alla depressione. E questi aspetti ti svuotano più di una tappa di trecento chilometri con settemila metri di dislivello.

Moreno Moser è del 90 e ha vissuto un primo anno da pro’ stellare, poi ha avuto cali di tensione
Moreno Moser è del 90 e ha vissuto un primo anno da pro’ stellare, poi ha avuto cali di tensione

Il punto di Amadori

Nel 1990 Marino Amadori – ct della Nazionale U23 dal 2009 – ha terminato la sua buonissima carriera da pro’ e a lui, che di giovani se ne intende, abbiamo provato a chiedere di analizzare questa particolare situazione proprio mentre sta seguendo dal vivo il Giro d’Italia U23 dove sta dominando il diciottenne Ayuso, il nuovo ennesimo fenomeno del panorama internazionale.

Da dove possiamo partire, da un confronto fra le varie epoche? 

Non è facile trovare i motivi o dire il perché. Ai miei tempi non c’era tutta l’esasperazione di adesso nel passaggio da dilettante a professionista. E che c’è anche tra gli juniores e le categorie vicine. Però va detto che non c’erano nemmeno tutta la attenzione e la cura che vengono riservate ai ragazzi attuali.

Battaglin ha lanciato lampi di classe e alternato momenti di buio
Battaglin ha lanciato lampi di classe e alternato momenti di buio
Spiegaci meglio.

Forse i ragazzi nati in quel periodo, fra il 1989 e il 1991, erano meno preparati nei minimi dettagli, sia fisici che mentali, rispetto a quelli di adesso al passaggio tra i pro’. Sono passati 10-11 anni, quindi non un’eternità, ma la differenza c’è e quelli di adesso soffrono meno il salto.

C’è un rovescio della medaglia per te?

Certo, e non è da sottovalutare. La seconda riflessione che faccio infatti è che così facendo si rischia di bruciare i ragazzi più di quelli del ’90, visto che l’abbiamo presa ad esempio. Adesso corridori, direttori sportivi, team manager, genitori, vogliono tutto e subito. Non c’è più pazienza, ma invece serve eccome, non bisogna avere fretta. Chiaramente non è così per tutti, però bisogna prestare attenzione. Inoltre molti ragazzi hanno attorno tantissime figure che da una parte tendono ad innalzare la loro qualità di atleta e dall’altra tendono a creare stress e pressioni.

Dumoulin, classe 90, vincitore del Giro 2017, poi un continuo calare
Dumoulin, classe 90, vincitore del Giro 2017, poi un continuo calare
Una volta un corridore a trent’anni suonati poteva essere considerato a fine corsa, ma lo sport dell’ultimo periodo ci propone talenti precoci e campioni datati. Nel ciclismo come funziona?

Intanto dico che per me un altro come Valverde (quarantunenne alla ventesima stagione da professionista ad altissimi livelli e pronto a rinnovare anche nel 2022, ndr) non lo troveremo più, mentre al giovane fuoriclasse non possiamo chiedere sempre il massimo perché vivono un insieme di situazioni non semplici. Poi dobbiamo anche considerare che talvolta qualcuno di loro si trova a convivere, ancora giovane, con un appagamento economico che può togliergli qualche stimolo. E questo può diventare un altro problema difficile da risolvere.

Secondo te Marino c’è una soluzione a tutto ciò?

La ricetta matematica non esiste, ci vuole molto buon senso da parte di chi gestisce questi ragazzi, ma non è semplice.

Giacomo Nizzolo, classe 1989, è esploso negli ultimi due anni perché vari infortuni lo hanno… protetto da un logorio eccessivo
Giacomo Nizzolo, classe 1989, è esploso negli ultimi due anni perché vari infortuni lo hanno… protetto da un logorio eccessivo
Ultima domanda: della lunga lista dei ragazzi del ’90, tutti di grande talento, da chi ti aspettavi qualcosa in più?

Li conosco tutti bene, sono diventato cittì quando loro erano dilettanti e ne ho convocati parecchi. Se posso allargo il discorso anche a qualche fuori età. Innanzitutto mi sento di fare i complimenti a Caruso, che è un po’ più vecchio ma che considero quasi di quella generazione, per il grande Giro d’Italia che ha fatto. E poi sono felice per Cattaneo che dopo anni di purgatorio sta facendo bene nella Deceuninck. Faccio però altri due nomi: Moreno Moser ed Enrico Battaglin, anche se lui è un ’89. Per me potevano fare tanto di più, ma è andata diversamente. Capita, questo è il ciclismo.