La paura fa… 90. Stavolta non c’entra nulla la cabala, ma un’annata che ha prodotto talenti incredibili anche se, per un motivo o l’altro, alcuni di loro si sono persi o non hanno mantenuto le aspettative trasmesse da dilettanti o dopo i primi anni di professionismo. Attenzione, in questa nidiata non mancano fenomeni assoluti però molti di loro hanno sofferto – anche più del dovuto – lo stress, fino ad arrivare al ritiro anticipato o ad una pausa di riflessione della carriera.
Capo Sagan
La stella polare di questa annata, in cui tengono banco Mikel Landa e Nairo Quintana, è senza dubbio Peter Sagan – 31 anni fatti a gennaio, passato nel 2010 in Liquigas, finora 117 vittorie totali di cui 58 nelle prime quattro stagioni da professionista – il quale ha abituato tutti sin troppo bene, al punto che qualche detrattore lo dipinge sul viale del tramonto quando, palmares alla mano, non gli si può contestare nulla. E tanto ha ancora da dare, pur dovendo fare i conti sia con la pressione del risultato, sia con la nouvelle vague dei giovani campioni affamati e pigliatutto.
Cattaneo ha da poco ritrovato il filo dopo una carriera molto faticosa Fra incidenti e poca tenuta psicologica, Phinney era attesissimo nelle classiche Bardet attesissimo a grandi vittorie: sopravvalutato o troppa pressione? Pinot è passato dopo aver vinto il Val d’Aosta: lo hanno subito puntato sul Tour, al punto da fuggirne per il Giro
Cattaneo ha da poco ritrovato il filo dopo una carriera molto faticosa Fra incidenti e poca tenuta psicologica, Phinney era attesissimo nelle classiche Bardet attesissimo a grandi vittorie: sopravvalutato o troppa pressione? Pinot è passato dopo aver vinto il Val d’Aosta: lo hanno subito puntato sul Tour, al punto da fuggirne per il Giro
Casi diversi
Della stessa classe di nascita dello slovacco abbiamo altri esempi di ragazzi che, dopo le speranze iniziali, avrebbero potuto dominare per molto tempo e che adesso sembrano essere invecchiati precocemente o appaiono incompiuti.
Naturalmente ci sono tante varianti – infortuni, avversari più forti – che condizionano una carriera e per qualcuno di essi hanno inciso tanto, troppo. Moreno Moser, Aru (in apertura contro Contador al Giro 2015), Cattaneo, Diego Rosa, Dumoulin, Pinot, Bardet e Phinney, per citare i casi più eclatanti, hanno alternato grandi successi a battaglie anche contro lo spettro di stati melanconici e umorali vicini alla depressione. E questi aspetti ti svuotano più di una tappa di trecento chilometri con settemila metri di dislivello.
Il punto di Amadori
Nel 1990 Marino Amadori – ct della Nazionale U23 dal 2009 – ha terminato la sua buonissima carriera da pro’ e a lui, che di giovani se ne intende, abbiamo provato a chiedere di analizzare questa particolare situazione proprio mentre sta seguendo dal vivo il Giro d’Italia U23 dove sta dominando il diciottenne Ayuso, il nuovo ennesimo fenomeno del panorama internazionale.
Da dove possiamo partire, da un confronto fra le varie epoche?
Non è facile trovare i motivi o dire il perché. Ai miei tempi non c’era tutta l’esasperazione di adesso nel passaggio da dilettante a professionista. E che c’è anche tra gli juniores e le categorie vicine. Però va detto che non c’erano nemmeno tutta la attenzione e la cura che vengono riservate ai ragazzi attuali.
Spiegaci meglio.
Forse i ragazzi nati in quel periodo, fra il 1989 e il 1991, erano meno preparati nei minimi dettagli, sia fisici che mentali, rispetto a quelli di adesso al passaggio tra i pro’. Sono passati 10-11 anni, quindi non un’eternità, ma la differenza c’è e quelli di adesso soffrono meno il salto.
C’è un rovescio della medaglia per te?
Certo, e non è da sottovalutare. La seconda riflessione che faccio infatti è che così facendo si rischia di bruciare i ragazzi più di quelli del ’90, visto che l’abbiamo presa ad esempio. Adesso corridori, direttori sportivi, team manager, genitori, vogliono tutto e subito. Non c’è più pazienza, ma invece serve eccome, non bisogna avere fretta. Chiaramente non è così per tutti, però bisogna prestare attenzione. Inoltre molti ragazzi hanno attorno tantissime figure che da una parte tendono ad innalzare la loro qualità di atleta e dall’altra tendono a creare stress e pressioni.
Una volta un corridore a trent’anni suonati poteva essere considerato a fine corsa, ma lo sport dell’ultimo periodo ci propone talenti precoci e campioni datati. Nel ciclismo come funziona?
Intanto dico che per me un altro come Valverde (quarantunenne alla ventesima stagione da professionista ad altissimi livelli e pronto a rinnovare anche nel 2022, ndr) non lo troveremo più, mentre al giovane fuoriclasse non possiamo chiedere sempre il massimo perché vivono un insieme di situazioni non semplici. Poi dobbiamo anche considerare che talvolta qualcuno di loro si trova a convivere, ancora giovane, con un appagamento economico che può togliergli qualche stimolo. E questo può diventare un altro problema difficile da risolvere.
Secondo te Marino c’è una soluzione a tutto ciò?
La ricetta matematica non esiste, ci vuole molto buon senso da parte di chi gestisce questi ragazzi, ma non è semplice.
Ultima domanda: della lunga lista dei ragazzi del ’90, tutti di grande talento, da chi ti aspettavi qualcosa in più?
Li conosco tutti bene, sono diventato cittì quando loro erano dilettanti e ne ho convocati parecchi. Se posso allargo il discorso anche a qualche fuori età. Innanzitutto mi sento di fare i complimenti a Caruso, che è un po’ più vecchio ma che considero quasi di quella generazione, per il grande Giro d’Italia che ha fatto. E poi sono felice per Cattaneo che dopo anni di purgatorio sta facendo bene nella Deceuninck. Faccio però altri due nomi: Moreno Moser ed Enrico Battaglin, anche se lui è un ’89. Per me potevano fare tanto di più, ma è andata diversamente. Capita, questo è il ciclismo.