EDITORIALE / Il ciclismo in Italia, tesoro dimenticato

10.10.2022
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Alla vigilia del Lombardia, ospiti della cena per i 20 anni di Promoeventi Sport, che fra le sue cose organizza le corse bergamasche per RCS Sport, abbiamo ritrovato un gruppo di amici. E come accade da qualche tempo a questa parte, il discorso è finito sul ciclismo di casa nostra e la necessità di un team WorldTour italiano. Un concetto che oggi anche Ivan Basso riprende in un post pubblicato su Linkedin.

La cena per i 20 anni di Promoeventi di Bettineschi e Belingheri è stata l’occasione di riflessioni sul ciclismo italiano
La cena per i 20 anni di Promoeventi di Bettineschi e Belingheri è stata l’occasione di riflessioni sul ciclismo italiano

Un team italiano

Enrico Zanardo, che ha avuto squadre dilettanti per anni ed è oggi il referente di Vini Astoria nel ciclismo, era abbastanza perplesso circa la possibilità di fare una squadra di soli italiani. I grossi sponsor hanno interessi in tutto il mondo e questo fa sì che abbiano bisogno di corridori da diversi Paesi. Discorso ineccepibile.

Claudio Corti, manager della Saeco di Cunego e Simoni, ricordava di quando Sergio Zappella (il signor Saeco) raggiungeva il budget per la squadra raccogliendo il contributo delle filiali mondiali. Ne era ovviamente l’azionista di maggioranza, quindi l’impegno centrale era il suo, ma in questo modo raggruppava attorno alla squadra interessi in ogni angolo del mondo.

Serge Parsani, oggi alla Corratec (in procinto di rientrare come professional), ricordava gli anni alla Mapei in cui non mancavano corridori internazionali, ma con un forte nucleo italiano al centro. Sottolineando che anche il team di Giorgio Squinzi faceva un gran lavoro di coinvolgimento delle filiali estere.

La Saeco ruotava attorno a italiani come Cunego, Simoni, Cipollini e Savoldelli, ma vinse il mondiale con Astarloa
La Saeco ruotava attorno a italiani come Cunego, Simoni, Cipollini e Savoldelli, ma vinse il mondiale con Astarloa

Cresce la Svizzera

Oggi tutto questo sembra irraggiungibile. Eppure i grossi sponsor non mancano: manca piuttosto la voglia di fare il passo in più, impegnarsi davvero a fondo.

Probabilmente il sistema fiscale italiano non aiuta, magari è per quello che i nostri campioni risiedono all’estero e la nuova Q36.5, squadra di sponsor e dirigenza italiani, per partire ha scelto la Svizzera.

E proprio in Svizzera, i nuovi team saranno due. Oltre a quello che avrà fra le sue schiere un Vincenzo Nibali in veste di consulente d’eccezione, sarà varato il nuovo Tudor Pro Cycling Team di Fabian Cancellara. Mentre qui registriamo il rischio chiusura della Drone Hopper-Androni e non sarà certo il probabile ritorno della squadra toscana, che negli anni è andata e venuta con alterne vicende, a bilanciare la situazione.

L’addio di Nibali e Valverde al Lombardia non è stato il solo grande evento del weekend
L’addio di Nibali e Valverde al Lombardia non è stato il solo grande evento del weekend

La fuga dei talenti

E intanto i nostri se ne vanno all’estero ed entrano in un mercato florido che offre prospettive interessanti. In squadre ricche, che però metteranno al primo posto i corridori di casa. Pertanto, allo stesso modo in cui Paolo Bettini, già vincitore delle Liegi e dei mondiali, non ha mai potuto correre il Fiandre perché aveva davanti Boonen, altri verranno su come luogotenenti più che come leader. Perché il leader deve fare la corsa, non tirare per altri e poi osservarli andar via. Restano le poche occasioni di quando i capitani di casa non ci sono. E in quei casi i vari Bagioli, Aleotti e Covi hanno la possibilità di venir fuori. Ma non è facile. Il ciclismo non ti dà tutto e subito, la maturazione ha bisogno di esperienza e l’esperienza ha bisogno di occasioni ripetute.

In Belgio basta la presenza di un campione (qui Tom Boonen) per richiamare decine di media
In Belgio basta la presenza di un campione (qui Tom Boonen) per richiamare decine di media

Parliamo dei media

Il perché in Italia il ciclismo sia finito nell’angolo s’è sempre spiegato con i problemi di un tempo. Il fatto tuttavia è che niente è come prima, mentre provoca stupore il relativo disinteresse da parte dei grandi attori della comunicazione, che si sono ormai appiattiti sul calcio in modo a volte imbarazzante. I grandi giornali non mandano più inviati ai grandi eventi e quando lo fanno hanno vergogna di sparare la vittoria in prima pagina. Come il record dell’Ora di Ganna: il confronto delle prime pagine rispetto a quando il record lo fece Moser provoca ben più di un interrogativo.

La televisione ha aumentato le ore di diretta. Eurosport e i suoi ragazzi fanno vedere con competenza corse che un tempo erano soltanto nomi esotici, mentre la Rai continua con il suo lavoro complesso difendendo la posizione.

Lo scorso weekend è stato un fiorire di ciclismo, anche eccessivo (l’UCI compila i calendari senza logiche apparenti: non si è accorto il presidente Lappartient di non aver avuto il tempo per presenziare a tutti gli eventi?). Lombardia. Record dell’Ora. Parigi-Tours. Mondiale gravel (in apertura, Van der Poel firma autografi). Romandia donne. Perché lo si è vissuto come un problema e non come una risorsa?

La fantastica Ora di Ganna ha avuto il giusto risalto mediatico? Forse non del tutto
La fantastica Ora di Ganna ha avuto il giusto risalto mediatico? Forse non del tutto

Parliamo degli sponsor

In questo quadro avaro di coraggio, perché uno sponsor dovrebbe investire tutti quei soldi, se per molto meno può avere la scintillante vetrina del calcio? Giorgio Squinzi chiuse la Mapei ed entrò nel calcio, prima con la nazionale e poi col Sassuolo. Chi resta, attinge alla passione. Gli altri che magari vorrebbero, prendono atto delle porte chiuse e vanno altrove.

«Il nostro è uno sport che garantisce un ritorno importante – scrive Basso – ma non lo garantisce nell’immediato e io capisco che per un’azienda oggi è importante avere ritorni a breve termine. Però, il ciclismo non è solo un veicolo pubblicitario: è anche, e soprattutto, un veicolo di valori…».

Parole condivisibili, che faticano ad attecchire in un mondo in cui i grandi organizzatori cercano di accaparrarsi le corse importanti per arricchire il proprio portafogli. Nessuno si sogna di fare sistema, come ad esempio avviene in Francia con il Tour. Sono tutti attorno all’osso, vantando posizioni di privilegio vero o presunto, cercando di mangiarne più che possono.

Moser, l’ultimo italiano a vincere il Polonia. Che ricordi…

29.07.2022
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Sabato 30 luglio partirà da Kielce il 79° Tour de Pologne, corsa a tappe di categoria WorldTour che si concluderà a Cracovia il 5 agosto. Moreno Moser è stato l’ultimo corridore italiano ad aggiudicarsi la classifica generale di questa corsa, nel 2012, 10 anni fa (foto Facebook Tour de Pologne in apertura).

Moreno è di rientro da un giro in bici dopo il suo doppio esordio ai microfoni di Eurosport, prima al Giro d’Italia e poi al Tour de France.

«Non andavo in bici da un po’ di tempo – racconta con voce stanca – sono fuori allenamento, in questi mesi c’è stato tanto da lavorare. Tra l’altro parlando di Tour de Pologne, ho scoperto che non sarà trasmesso dai nostri canali di Eurosport».

Moreno Moser di spalle con la maglia gialla, simbolo del primato del Tour de Pologne (foto Facebook Tour de Pologne)
Moser di spalle con la maglia gialla, simbolo del primato del Tour de Pologne (foto Facebook Tour de Pologne)
Anche perché è stata la tua prima vittoria WorldTour nel tuo anno di esordio tra i professionisti…

E’ stata una gara davvero bella, tra l’altro mi sono ritrovato ad indossare la maglia fin da subito avendo vinto la prima tappa. L’arrivo era a Jelenia Gora e sono riuscito a regolare la volata di un gruppetto ristretto di una trentina di unità.

Leadership che hai perso alla terza tappa per soli tre secondi.

Questa è una storia abbastanza buffa. Il Giro di Polonia è sempre stata una corsa che si è decisa sul filo dei secondi. Infatti, fino alla terza tappa il mio vantaggio su Kwiatkowski era solamente di un secondo! 

E in quella frazione che è successo?

Il mio diesse non sapeva dell’esistenza del traguardo volante di metà percorso, così la mia squadra era davanti a tirare, visto che avevamo la maglia di leader. Ad un certo punto vedo “Kwiato” partire in tromba e fare una volata, rimango interdetto perché non me lo sarei mai aspettato. Sono venuto a scoprire dopo che mi aveva soffiato tre secondi e la maglia. Diciamo che non ero felicissimo, per usare un eufemismo.

Il 2012 era il primo anno tra i pro’ anche per Kwiatkowski che si è giocato il Tour de Pologne sul filo dei secondi (foto Andrzej Rudiak)
Il 2012 era il primo anno tra i pro’ anche per Kwiatkowski che si è giocato il Polonia con Moser (foto Andrzej Rudiak)
Nella tappa regina di Bukowina sei riuscito però a riprenderti la maglia e conquistare la seconda vittoria di tappa…

Ero partito con il pensiero che per me quella tappa fosse molto dura, non ero molto fiducioso. Si trattava di un percorso costantemente mosso e discretamente lungo, 191 chilometri. La tappa si concludeva su uno strappo tosto, ma che alla fine spianava leggermente. 

E com’è andata?

Sullo strappo che portava all’arrivo, misurava 2-3 chilometri, mi sono venuti i crampi a 500 metri dalla fine. Pensavo di piantarmi, invece sono riuscito a rimanere agile, respirare un attimo e lanciare la volata, battendo Henao e ancora Kwiatkowski (foto di apertura). 

Insomma, una sfida al secondo tra te e Kwiatkowski, hai battuto un polacco a casa sua.

Sì! Non so quanto siano stati felici lui ed i tifosi. Tra l’altro io e lui siamo dello stesso anno, 1990, e si trattava della nostra stagione di esordio tra i professionisti. Fino ad allora ci eravamo scontrati tra i dilettanti, era strano farlo tra i grandi.

Il primo successo tra i professionisti Moser lo ha ottenuto nel mese di febbraio al Trofeo Laigueglia, a pochi mesi dal debutto
Il primo successo tra i professionisti Moser lo ha ottenuto nel mese di febbraio al Trofeo Laigueglia, a pochi mesi dal debutto
Che impatto ha avuto questa vittoria nella tua carriera?

Alto, la ritengo la vittoria più importante della mia carriera da corridore. Nonostante fossi al primo anno tra i pro’ avevo già vinto due gare: il Laigueglia ed il GP di Francoforte. Però quella è stata la prima corsa a tappe, la prima gara WorldTour. Insomma, ha tutto un altro sapore.

E’ cambiata anche la percezione nei tuoi confronti?

Molto direi, a livello di consapevolezze e di responsabilità principalmente. Quando vinci una gara del genere aumentano le attenzioni in gruppo e dei media, ma anche dei tifosi che poi si aspettano di più da te. Ho cercato di rimanere con i piedi per terra, umile perché poi è facile farsi trasportare dall’entusiasmo.

Nel mese di maggio è arrivato il secondo successo in una gara di un giorno, questa volta al GP Francoforte
Nel mese di maggio è arrivato il secondo successo in una gara di un giorno, questa volta al GP Francoforte
Sei poi tornato a correre il Tour de Pologne?

Tre volte a distanza di qualche anno, ma non sono mai riuscito a ripetere quel che ho fatto nel 2012. La sensazione che avevo durante quella stagione era che tutto mi riuscisse piuttosto facile. Infatti, quando siamo tornati sul traguardo di Bukowina mi sono chiesto: “Ma davvero io ho vinto su questo percorso”?

E della gente che ricordo hai?

Piacevole, è una gara davvero molto seguita, poi con il fatto che sia classificata WorldTour richiama sempre un bel parterre di atleti. Di conseguenza il pubblico è invogliato a partecipare e riempie le strade.

Le telecronache da studio di Eurosport, ecco come nascono

05.07.2022
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Che la Rai non sia più l’assoluto riferimento televisivo nel ciclismo è cosa risaputa già dal secolo scorso. L’Ente di Stato continua però ad avere, rispetto ai concorrenti, il vantaggio di raccontare la maggior parte degli eventi con inviati sul campo. Apparentemente non è poco, ma è davvero un vantaggio? O meglio, questa possibilità viene sfruttata al meglio? Se dobbiamo guardare ai commenti, la risposta è dubbia, perché mese dopo mese, gara dopo gara prende sempre più piede la programmazione di Eurosport.

Il canale internazionale copre tutta l’attività di vertice (non solo il WorldTour) e soprattutto ha un’attenzione che si riversa su tutte le specialità ciclistiche, dalla strada a quelle offroad, fino alla pista con un palinsesto in continua evoluzione. Dopo aver parlato nei giorni scorsi con Wladimir Belli, abbiamo quindi sottoposto gli opinionisti di Eurosport a una serie di quesiti per capire come lavorano e da che cosa deriva l’indubbio successo, a fronte di un forzatamente diverso approccio alle gare.

Magrini bici 2018
Riccardo Magrini, pro’ fra il ’77 e l’86, vittorioso al Giro e al Tour nell’83. E’ ad Eurosport dal 2005
Magrini bici 2018
Riccardo Magrini, pro’ fra il ’77 e l’86, vittorioso al Giro e al Tour nell’83. E’ ad Eurosport dal 2005

Magrini: l’importanza del contatto

Riccardo Magrini (nella foto di apertura con il suo compagno di telecronache Luca Gregorio) era già un riferimento, per il suo carattere estroverso, quando correva. Figurarsi ora che è chiamato a commentare le corse: sui social i suoi giudizi spesso netti e senza peli sulla lingua generano sempre discussioni. I nuovi mezzi tecnologici sono per il toscanaccio una risorsa inesauribile.

«Si lavora di continuo – dice – si cerca di rimanere il più possibile in mezzo all’ambiente tramite whatsapp, messaggi, telefonate. Nell’ambiente ci siamo ricavati una certa credibilità, perché abbiniamo alla simpatia anche la correttezza: tante cose che ci vengono confidate non le divulghiamo. Cerchiamo invece per ogni gara di sapere il più possibile, anche perché quando andiamo in onda con telecronache integrali, cerchiamo di condire le ore di diretta con aneddoti e notizie dal gruppo proprio come se fossimo lì».

Che cosa comporta non esserci?

Non riesci a sapere tutto quel che avviene: cadute, forature, cedimenti li apprendiamo esattamente come il telespettatore e questo non ci favorisce di certo. Questo modo di lavorare però ci consente di mantenere un contatto diretto con tutti: corridori, manager, procuratori, addetti ai lavori. Molti ci dicono che il pubblico di Eurosport è fatto molto da chi opera nel settore e probabilmente è vero, ma questo significa che dobbiamo essere il più possibile credibili.

Rispetto a quando correvi, quanto è cambiato il rapporto fra chi corre e chi segue per lavoro? La sensazione è che i corridori abbiano sempre meno voglia e interesse ad aprirsi con i giornalisti…

E’ vero. Con i social si pensa che di sapere già tutto, ma non è così. Quello virtuale è un mondo asettico, che dice tutto e in realtà non racconta nulla. Io cerco di mantenere buoni rapporti con tutti e coltivare i contatti per saperne di più. Gli addetti stampa fanno quello che possono, ma spesso gli input per imporre un simile distacco arrivano dai vertici dei team. Certamente lavorare in questo modo è sempre più difficile.

Cannone 2020
Marco Cannone ha corso 4 anni da pro’, anche su pista. E’ anche responsabile allievi per la Fci lombarda
Cannone 2020
Marco Cannone ha corso 4 anni da pro’, anche su pista. E’ anche responsabile allievi per la Fci lombarda

Cannone, l’uomo della pista

Marco Cannone è l’uomo deputato a raccontare gli eventi del ciclismo su pista e, in questo caso, la penalizzazione del non essere nel velodromo pesa.

«Le gare su pista – spiega – vanno vissute sul posto, questo è innegabile. Basti guardare la madison: io l’ho praticata e so che, più che i corridori in gara, capisci la corsa guardando quelli che attendono il cambio e il loro modo di muoversi. Anch’io cerco di sfruttare le conoscenze, per fortuna ho buoni rapporti con i tecnici e gli atleti e cerco sempre di sondare il terreno al mattino, per capire fino a poco prima dell’inizio di ogni sessione gli umori e le novità».

Rispetto alla strada è più difficile?

Sì, perché nel ciclismo su pista tutto si fonda sulla tecnica, il racconto deve giocoforza cedere il passo ad aspetti tecnici che fanno la differenza e che non sempre sono fruibili dallo schermo. Un compito importante è però anche quello di trasmettere emozioni e far capire a chi segue quel che sta succedendo. La pista ha un impatto meno immediato rispetto alla strada e credo che la risposta positiva del pubblico dipenda proprio da questo.

Ilenia Lazzaro è stata ciclocrossista a livello internazionale. Alla Parigi-Roubaix ha fatto il suo esordio per Eurosport International
Ilenia Lazzaro è stata ciclocrossista a livello internazionale. Alla Parigi-Roubaix ha fatto il suo esordio per Eurosport International

Lazzaro, la prima chiamata a viaggiare

Da parte sua Ilenia Lazzaro non è più solo la voce dell’offroad: ormai la veneta è impiegata su tutto, ha anche avuto esperienze nel brand international di Eurosport e ha così potuto anche commentare sul posto. Nel suo caso l’aggiornamento è costante, attraverso contatti con quell’ambiente frequentato fino a pochissimi anni fa ma anche continuando a studiare.

«E’ vero – dice – studiare è la parola giusta: bisogna tenersi informati attraverso giornali e siti ogni giorno, mantenere rapporti con l’ambiente. Io sto anche studiando il fiammingo per riuscire a seguire in tempo reale l’informazione che arriva dai siti belgi e olandesi».

Nel mondo femminile i contatti sono più semplici?

Anche qui cominciano a essere diradati, alcune squadre pongono sempre più paletti. Inoltre ci sono team che non riescono a capire quanto sia importante mantenere rapporti con chi informa, perché la visibilità arriva proprio da chi scrive o commenta. Lavorando all’estero ho visto bene quanto il contatto diretto sia importante, poi venendo dal ciclocross ammetto che la conoscenza diretta di personaggi come Van Aert o Van Der Poel, costruita negli anni anche prima che arrivassero alla strada, dà i suoi vantaggi.

Moreno Moser 2020
Moreno Moser ha lasciato l’attività solo 2 anni fa, ma da allora ha già riscontrato molti cambiamenti
Moreno Moser 2020
Moreno Moser ha lasciato l’attività solo 2 anni fa, ma da allora ha già riscontrato molti cambiamenti

Moser e il ciclismo che cambia

Ultimo entrato nel gruppo, Moreno Moser adotta un approccio un po’ diverso, pur essendo quello che da meno tempo ha lasciato l’attività.

«I contatti con il gruppo aiutano – dice – ma cerco di non essere troppo addosso ai corridori, li chiamo quando serve. La cosa che ho notato è che il mondo del ciclismo cambia davvero in fretta, tante cose sono già diverse rispetto a quando correvo io e si tratta di un paio d’anni, non di più. Per questo sono sempre restio a dare risposte nette ai quesiti degli amatori che ci seguono quando chiedono di preparazione, alimentazione o altro, perché non ci sono risposte univoche, ogni squadra, ogni corridore ha le proprie».

Quanto è importante questo contatto diretto con gli spettatori, che vi parlano attraverso i social mentre siete in diretta?

Credo che sia fondamentale, ma è anche un’anticipazione di quella che sarà la televisione del futuro, sempre più interattiva in tal senso. Bisogna però che si mantenga sempre un equilibrio, seguire quel che gli amatori dicono ma anche anticiparli e fornire loro sempre nuovi stimoli. Non è facile, ma è fondamentale uscire sempre dai soliti discorsi e raccontare quel che vediamo da angolature sempre differenti. E’ così che catturiamo l’attenzione.

Un po’ corridore, un po’ preparatore: è il Belli commentatore

03.07.2022
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Che un commentatore tecnico sia anche un ex corridore non è una novità. Ma che sia anche un preparatore sì. A questo profilo risponde Wladimir Belli, grande professionista a cavallo tra gli anni ’90 e il 2000.

Belli è sempre molto tecnico nei suoi commenti: snocciola numeri e nozioni di chi certe cose le vive da dentro. Per un periodo, era il 2017, è stato anche nello staff della Gazprom-RusVelo. Adesso lo ascoltiamo nelle dirette di Eurosport.

Wladimir Belli (classe 1970) è stato pro’ per 16 stagioni. A fine carriera ha sempre fatto il preparatore
Wladimir Belli (classe 1970) è stato pro’ per 16 stagioni. A fine carriera ha sempre fatto il preparatore
Wladimir, quando e come è iniziata la tua carriera di commentatore?

E’ iniziata sette anni fa quasi per caso. 

Cioè?

Io ho corso fino al 2007. Poi per due anni sono stato relativamente “alla finestra”, diciamo così, per quel che riguarda il mondo del ciclismo. In quei due anni ho aperto una ditta edile con un mio amico. Poi lui ha continuato mentre io sono uscito dalla società. E ho deciso di tornare nel ciclismo. Che poi in qualche modo ci ero rimasto sempre come preparatore, biomeccanico…

Come ti hanno contattato?

Diciamo che mi hanno ascoltato presso un’emittente della concorrenza. Eurosport stava ampliando il suo pacchetto inerente al ciclismo. Gli sono piaciuto per come parlavo e mi hanno contattato.

Cosa ti affascina di questo mestiere?

Di stare nel ciclismo. Mi piace l’idea di commentare e dare al pubblico le mie esperienze e i miei aneddoti da corridore. Riesco a leggere la corsa e ad anticipare ciò che succede. In questo modo riesco a condividere le emozioni col pubblico. Alcune cose che prima vivevo da corridore, adesso le vivo da commentatore.

Wladimir Belli, Giro d'Italia 2003, Zoncolan
Sin da quando era corridore, Belli è sempre stato molto attento ai numeri
Wladimir Belli, Giro d'Italia 2003, Zoncolan
Sin da quando era corridore, Belli è sempre stato molto attento ai numeri
C’è passione in ciò che dici. E come si mescolano quindi il “tifoso”, l’ex corridore e il preparatore?

In effetti certe emozioni rimangono. E’ un bel mix. In alcune corse entro proprio nella parte, a volte anche troppo! Mi immedesimo nel corridore, in ciò che sta facendo, in quell’azione o in quell’impresa.

Hai quasi il mal di gambe anche tu!

Magari non mi batte il cuore a 200 pulsazioni, ma ho la pelle d’oca. Per esempio mi ha colpito molto quando ha vinto Girmay alla Gand.

Tante emozioni, Wladimir, però sei molto tecnico: quanto incide la componente del preparatore?

Io faccio dei test, curo la biomeccanica e la preparazione: pertanto ho dei riferimenti, dei numeri rispetto ai ragazzi che seguo e già questo mi aiuta. In più sono sempre stato appassionato di numeri e ritmi. Ai miei tempi quando correvo e mi allenavo prendevo i tempi sulle salite. Controllavo la cadenza, incrociavo il tutto con le sensazioni, anche in base a quanto avevo spinto, e cercavo di capire come stavo.

E tutto ciò trova riscontro anche nelle tue telecronache?

Non vorrei sembrare arrogante, ma sì. Molto spesso ci azzecco. Vedendo come affrontano magari una salita o determinati tratti, capisco come stanno, capisco se la fuga può andare oppure no. Per esempio la fuga di Ciccone al Giro era chiaro che sarebbe andata in porto.

Cosa guardi?

Cadenza, rapporto, incrocio i dati.

Per Belli l’impresa più bella che ha seguito da commentatore è stata quella di Froome (qui sul Finestre) al Giro 2018
Per Belli l’impresa più bella che ha seguito da commentatore è stata quella di Froome (qui sul Finestre) al Giro 2018
C’è qualche impresa che hai commentato e ti ha colpito particolarmente?

Beh, devo dire che Girmay alla Gand è stato un gran bel momento, come ho detto. Mi è piaciuto molto il Fiandre di Bettiol, ma più di tutti credo mi sia rimasta dentro l’impresa di Chris Froome al Giro del 2018. E io non ero un ammiratore di Froome. Per me che sono vecchia scuola, lui era troppo robotico. Ma quel giorno ha compiuto un’impresa che mi ha fatto ricredere sul suo conto. Non credevo potesse farcela, sul piatto mise tanto.

Ecco, per esempio, quel giorno cosa guardavi, come ti regolavi per i tuoi commenti?

Cercavo di capire come andava Froome e come andavano gli altri, tanto più dopo che il gruppo era esploso. Cercavo di intuire la sua prestazione, se poteva tenere quel passo fino in fondo. Mi rendevo conto che stava facendo numeri importanti.

E come?

Calcolavo i tempi e in base al suo peso, i wattaggi e la Vam (velocità ascensionale media, ndr). Chiaramente non era facile non conoscendo il suo peso esatto. Però avevo una buona stima di ciò che stava facendo. Restava il dubbio se potesse tenere sino in fondo. Ma più passavano i chilometri e più la sua azione assumeva una dimensione storica. Ci ha messo tanta testa, tanto cuore e tante gambe. Che poi è un po’ il mio motto.

Veloplus, la nuova casa del ciclista

28.06.2022
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Nei giorni scorsi abbiamo avuto il privilegio di essere fra i primi a visitare il nuovo showroom di Veloplus, azienda specializzata nella produzione di abbigliamento personalizzato per il ciclismo. A farci da guida è stato Matteo Spreafico, che con il papà Maurizio e le sorelle Alice ed Erika porta avanti con passione e competenza l’azienda di famiglia.

Matteo ricopre diversi ruoli in Veloplus tanto da definirsi un vero e proprio “tuttofare”. Si occupa infatti di ricerca e sviluppo, testa personalmente ogni nuovo prodotto e si dedica alla definizione delle strategie di marketing finalizzate a far crescere il marchio. E’ lui a raccontarci la genesi di questo nuovo progetto che per Veloplus vuole essere una “vetrina elegante” dove poter esporre il meglio della propria produzione.

La serata di presentazione è continuata poi all’interno del nuovo showroom
La serata di presentazione è continuata poi all’interno del nuovo showroom
Cosa vi ha portato a decidere di aprire uno showroom?

Ad essere sinceri, all’inizio non avevamo in previsione di fare uno showroom. E’ stata una decisione presa nel momento stesso in cui ci siamo trasferiti nella sede dove ci troviamo oggi. Siamo qui dall’inizio di quest’anno. Avevamo bisogno di più spazio dal momento che il lavoro continuava a crescere. La sede che abbiamo scelto aveva già un edifico accanto alla struttura principale, oggi occupata da produzione e uffici, che si prestava perfettamente ad essere uno showroom. E’ nata così l’idea di creare un ambiente elegante ed accogliente dove mostrare i nostri prodotti ed incontrare i nostri clienti.

Se non ci sbagliamo, nuova sede e showroom arrivano in un momento molto particolare nella storia di Veloplus?

E’ corretto. Quest’anno Veloplus festeggia i suoi primi 15 anni. Il marchio nasce infatti nel 2007. Nell’ultimo anno ci sono state poi tantissime novità a testimonianza della forte crescita che abbiamo avuto. Per prima cosa abbiamo rinnovato il nostro sito internet, sia da un punto di vista grafico che dei contenuti. Successivamente abbiamo lanciato il nostro e-commerce a supporto della nuova collezione firmata Veloplus che è andata ad affiancarsi al personalizzato e per la quale abbiamo creato un logo ad hoc. Le novità sono state davvero tante e tutte concentrate in un breve periodo.

L’idea del nuovo showroom è di avere un posto elegante ed accogliente dove mostrare le nuove collezioni
L’idea del nuovo showroom è di avere un posto elegante ed accogliente dove mostrare le nuove collezioni
Se dovessimo definire il nuovo showrom che parole potremmo usare?

Mi piace pensarlo come “la casa del ciclista”. La mia idea, la stessa di mio papà e delle mie sorelle, è che diventi un luogo dove ciascuno possa trovare il prodotto perfetto per il proprio modo di interpretare il ciclismo. Chi entra nel nostro showroom può trovare il meglio della nostra produzione, ma anche capi che potremmo definire entry level, adatti a chi si avvicina al mondo del ciclismo ma vuole comunque indossare un prodotto di qualità spendendo il giusto.
Tutto è ordinato. Da una parte si trova l’abbigliamento da uomo, dall’altra quello riservato alle donne. Uno spazio particolare è stato inoltre dedicato ai ciclisti più piccoli. La nostra è davvero un’offerta completa. Da poco abbiamo anche inserito una collezione particolare realizzata con l’artista Bob Marongiu con capi ricchi di colori e di allegria.

Che ruolo avrà lo showroom nel vostro rapporto con i team ciclistici?

Veloplus nasce come azienda in grado di soddisfare al meglio le richieste delle società ciclistiche. Ora possono venire qui da noi e toccare con mano i tessuti con i quali realizzare poi la loro divisa. Anche per questo motivo all’interno dello showroom abbiamo previsto una sala riunioni dove accogliere i team e scegliere insieme a loro tessuti e tagli della divisa che andranno poi ad indossare. Lavorando con i team professionistici (quest’anno Veloplus veste il Team Corratec, ndr) possiamo inoltre dare a tutte le società, soprattutto a quelle più esigenti, la possibilità di indossare la stessa divisa di un professionista.

Presentazione del nuovo showroom di Veloplus: al centro Matteo Spreafico alla sua destra: Davide Ballerini e Riccardo Magrini, chiude la fila Luca Gregorio
Presentazione del nuovo showroom di Veloplus: al centro Matteo Spreafico alla sua destra: Davide Ballerini e Riccardo Magrini, chiude la fila Luca Gregorio

L’inaugurazione ufficiale dello showroom è avvenuta lo scorso 18 giugno alla presenza di oltre 300 persone tra le quali alcuni amici di Veloplus come gli ex professionisti Riccardo Magrini, Wladimir Belli, Stefano Allocchio e i giornalisti Sandro Sabatini e Massimo Nebuloni. Con loro c’era Davide Ballerini attualmente in forza alla Quick Step – Alpha Vinyl, ex compagno di squadra di Matteo Spreafico. La serata è stata brillantemente condotta da Luca Gregorio, una delle voci del ciclismo per Eurosport. Nel salutarci Matteo Spreafico ci ha accennato ad alcuni progetti futuri ancora top secret ma che ci hanno confermato come Veloplus voglia continuare a crescere.

Veloplus

Nuovo Contador: testa su Eurosport, il cuore sulla strada

25.05.2022
4 min
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Guardando Alberto Contador all’opera sul traguardo di Aprica, è chiaro che lo spagnolo sia un signor professionista anche con il microfono in mano. Super concentrato. Preciso come quando si allenava. Meticoloso nel dare spiegazioni e interpretazioni. Quando poi ci parli, capisci che questo mondo ce l’ha ancora addosso e la voglia di correre non l’ha mai lasciato. E allora, vedendo nel frattempo passare Valverde al termine della tappa chiusa al quinto posto, capisci che questi giganti hanno davvero uno spirito speciale e solo il cedimento fisico mette fine a carriere che meriterebbero d’essere eterne. La gente lo sa, al punto che lo acclama con lo stesso slancio che riserva ai corridori in gara.

«E’ bello stare qui – dice Alberto – alla fine serve per calmare un po’ il mio desiderio di gareggiare. Sei in contatto con la gara, una sensazione in cui sono immerso quotidianamente anche con la squadra, la Eolo-Kometa. E’ gradevole, mi piace. Posso stare un po’ nell’atmosfera da diversi punti di vista».

Lopez si è fermato accanto a lui dopo l’arrivo: Juanpe ha corso nella Fundacion Contador, Alberto gli ha dato consigli
Lopez si è fermato accanto a lui dopo l’arrivo: Juanpe ha corso nella Fundacion Contador
Com’è questo ruolo in Eurosport?

E’ un piacere che mi abbiano chiesto di esserci per un altro anno. Mi permette di continuare a godermi questo sport. Inoltre vedere l’impegno che mettono anche acquisendo i diritti delle gare maschili e femminili, mi fa pensare che per il ciclismo ci siano bei tempi in arrivo.

In che modo si vivono giornate come questa?

In un modo speciale, perché alla fine in questi posti ho vissuto alcuni dei giorni più importanti della mia vita, che mi hanno segnato. Però dall’altro lato cerco di scollegarmi. Cerco di dirmi: “Alberto, quel momento è passato, ora stai facendo altre cose”. E’ il modo per calmare un po’ il desiderio di competizione.

E’ difficile?

A volte sì, specialmente in alcune tappe come questa.

Al Giro 2015, Contador bucò prima del Mortirolo. Landa e Aru lo attaccarono: la sua rimonta fu pazzesca
Al Giro 2015, Contador bucò prima del Mortirolo. Landa e Aru lo attaccarono: la sua rimonta fu pazzesca
Hai già parlato due volte di desiderio di competizione.

Ho sempre detto che non si può passare dal fare 200 chilometri al giorno a una vita sedentaria. Per cui mi sono preso l’impegno di uscire 3-4 volte a settimana in bicicletta. Ma non avevo valutato l’aspetto psicologico. Staccare mentalmente è stata la parte più dura.

Cosa ti pare di questo Giro?

Mi piace, un Giro molto godibile per gli spettatori, ma la mia sensazione è che i corridori siano molto stanchi. Credo che le alte temperature di questo Giro d’Italia abbiano fatto sì che abbiano speso più del solito. E giorni come questo sono una barbarie (il modo spagnolo di far risaltare la durezza di un percorso, con accezione eroica, ndr), con 5.000 metri di dislivello. Sono andati molto forte e domani (oggi per chi legge, ndr) li aspetta una nuova tappa complicata. Credo sia un bel Giro.

Nessuno si aspettava tanto caldo.

La cosa più speciale del Giro è che è una corsa vissuta più quotidianamente del Tour o della Vuelta. Il corridore sa di doversi adattare il più possibile alle condizioni meteorologiche, diventa praticamente una sorta di sopravvivenza. Ma nessuno pensava di trovare due settimane così calde.

Fatte le interviste ai corridori, Contador ha realizzato due commenti flash sulla tappa e la previsione per l’indomani
Dopo le interviste ai corridori, Contador ha realizzato due commenti flash e la previsione per l’indomani
Carapaz ha già vinto?

Non ancora. Hindley, Landa e Almeida sono tra i principali candidati. Credo che Richard abbia la situazione abbastanza sotto controllo. Però sia la Bora, che il Bahrain e Almeida non glielo renderanno facile.

Credi che la crono di Verona sarà decisiva?

Penso di no.

Wiggins 2022

Wiggins a tutto campo, con un po’ di nostalgia…

04.04.2022
5 min
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Una mattina in mezzo alla settimana, una come tante, in un fast food in Belgio. Una tazza di caffè davanti, avventori che scorrono alle spalle, un PC di fronte collegato in videoconferenza con il mondo. Bradley Wiggins a disposizione per qualsiasi tipo di domanda.Per poco meno di un’ora il cinque volte olimpionico e vincitore del Tour de France si è messo a rispondere alla stampa, parlando di tutto. Raccontando soprattutto come vede il ciclismo attuale dall’alto della sua esperienza, con quella lunga barba che dà alle sue parole il sapore della saggezza.

Wiggins siamo ormai abituati a vederlo commentare le corse ciclistiche su Eurosport, al seguito del gruppo sulla moto e questo gli dà un luogo di osservazione privilegiato. Dalle sue parole traspare sempre quel senso di meraviglia bambinesca di chi vive nel mondo dei suoi giochi preferiti e guarda i protagonisti con quell’ammirazione con cui è guardato lui. L’intervista parte dal trionfo di Biniam Girmay alla Gand-Wevelgem e dalle implicazioni future di quel che a tutti gli effetti è stato un momento storico.

Wiggins stampa 2022
Un momento della conferenza stampa virtuale di Wiggins, 18 i giornalisti accreditati
Wiggins stampa 2022
Un momento della conferenza stampa virtuale di Wiggins, 18 i giornalisti accreditati

«Altri Paesi emergeranno come l’Eritrea»

«Lo capiremo con il tempo, ma siamo alle prese con una rivoluzione. Il ciclismo ora è molto più inclusivo e un campione può nascere dappertutto, è uno sport sempre più universale. Biniam sarà un ispiratore per tanti altri Biniam, nel suo Paese e in altri. Una volta a vincere le corse erano ciclisti di poche nazioni, quelle con la tradizione alle spalle, ora possono vincere tutti. Imprese come quelle di Girmay fanno capire che sono possibili a chiunque e questo è il vero segno del cambiamento».

Sembra che Wiggins abbia smesso un secolo fa, eppure era ancora sul podio olimpico a Rio 2016. Per sua stessa ammissione, da allora il ciclismo è cambiato molto. «Seguo le gare di mio figlio fra gli juniores – racconta – e mi accorgo che, come lì si parte a tutta e si va avanti fino alla fine, lo stesso avviene al massimo livello. Quando correvo io no: agli inizi – ricordo in particolare il Giro del 2003 dove c’erano Cipollini in maglia iridata e Pantani – si partiva piano e man mano si accelerava. Ora, testa bassa e andare. E’ cambiato l’allenamento, sono cambiate le tattiche di gara, è cambiato anche l’impatto sociale del ciclismo. Ora grazie a tivù e social puoi vedere ciclismo ogni giorno a ogni ora, questo trasforma tutto».

E’ mutato anche l’impatto economico: «Sì, ma questo è il meno, non c’è stato ancora quel boom come per la Formula Uno, ad esempio. Ci sono grandi aziende che investono, ma lo fanno spinte dalla passione di chi è ai vertici più che per un vero ritorno economico. Questa forse sarà una frontiera futura».

Pogacar Belgio 2022
In Pogacar, nel suo voler gareggiare in prove apparentemente non sue, Wiggins vede un ritorno al passato
Pogacar Belgio 2022
In Pogacar, nel suo voler gareggiare in prove apparentemente non sue, Wiggins vede un ritorno al passato

La Ineos deve cambiare strategie

Ineos è l’emanazione di Sky, la “sua” Sky e si sente, nel parlarne, come un pezzo di cuore sia rimasto legato lì. Allora era la squadra dominante, ora? «I vertici sono altrove, combattere con campioni come Pogacar non è facile. La Ineos ha grandi corridori, ma non all’altezza sua o di Roglic o Van Aert. Questo significa dover cambiare modo di correre per cercare di sovvertire le gerarchie e non è facile. Io sono convinto che, per i grandi Giri, l’uomo giusto per il futuro sia Pidcock, ma ci vorrà ancora un po’ di tempo per farlo maturare».

Pogacar ricorre spesso nelle sue parole, Wiggins è un suo grande ammiratore: «Mi piace soprattutto il suo modo di mettersi in gioco a 360°, non puntare solamente alle “sue corse”. Il fatto che provi a vincere un Giro delle Fiandre è enorme. Per uno con i suoi obiettivi potrebbe essere un rischio, potresti compromettere obiettivi futuri ma lui non ha paura e lo fa. E’ un po’ come avveniva una volta, stiamo tornando al passato e per me è una buona cosa perché ne guadagna lo spettacolo. Poi, se mi chiedete come batterlo al Tour, penso che il modo migliore sia pagarlo profumatamente per non correrlo…».

Wiggins ora 2015
L’ennesima impresa di Wiggins, la conquista del record dell’Ora, poi superato da Campenaerts nel 2019
Wiggins ora 2015
L’ennesima impresa di Wiggins, la conquista del record dell’Ora, poi superato da Campenaerts nel 2019

Il problema non è la bici…

Se si parla della Ineos, non si può dimenticare che per ora (e ancora per un po’) bisognerà fare a meno di Bernal. Molto si è discusso sul suo incidente e sull’opportunità di utilizzare le bici da cronometro in allenamento. Qui il britannico è netto: «Ostacolare il progresso è un errore, non possiamo nasconderci la verità, dipende sempre dalle nostre azioni. Se hai la tendenza a tenere la testa abbassata, a guardare manubrio, potenza, frequenza cardiaca, sei distratto. Non vedi quel che c’è attorno e non bisogna dimenticare che ci si allena su strada, in mezzo alle macchine. Tutto sta all’attenzione e alla responsabilità di chi guida la bici, non a quale bici stai guidando».

Wiggins ha avuto parole di elogio anche per Filippo Ganna, a proposito della sua idea di attaccare il record dell’Ora: «Ne ho parlato con lui e mi ha chiesto se mi piacerebbe esserci quel giorno, chiaramente gli ho detto di sì, che sono anche pronto a consigliarlo, ma lui ha già davanti la sua strada e io posso dirgli ben poco. Lo conosco da tempo e so quel che può fare, io credo che possa anche andare vicino al limite fantascientifico dei 60 orari, ma serve molto lavoro per questo. Comunque, se mi vuole come portafortuna, io ci sono…».

Luca Gregorio e Riccardo Magrini, a voi la linea…

08.10.2021
6 min
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Telecronache. Si pensa che basti infilarsi un paio di cuffie, avere in mano un microfono, e sia fatta. Beh, non è proprio così. Almeno per Luca Gregorio, un po’ di più per Riccardo Magrini… come vedremo!

Ad Eurosport il ciclismo è di casa. E lo è diventato anche grazie a questo duetto che si completa alla grande. Gregorio conduttore-giornalista, Magrini commentatore tecnico. I due si sono anche sciroppati le dirette da casa nel periodo del Covid e partiamo proprio da qui.

Magrini (a sinistra) e Gregorio (a destra): nelle loro telecronache non manca il divertimento
Magrini (a sinistra) e Gregorio (a destra): nelle loro telecronache non manca il divertimento

Le cronache da casa

Magrini: «Da casa ormai è un po’ che non le facciamo più. Prima dovevamo rispettare le policy di Discovery per cui non potevamo essere in studio. In quei casi ci fornivano una scheda audio, un computer per essere collegati alla regia e la telecronaca da remoto era pronta. Era quasi come essere in studio». 

Gregorio: «L’anno scorso abbiamo fatto una grandissima parte del Giro da casa. Non c’è una grossa differenza tecnica, ma manca un po’ quella comunicazione non verbale fatta di sguardi, di gomito a gomito, d’intesa… che poi è il nostro divertimento. Da casa, quando andiamo in bagno ce lo scriviamo su WhatsApp!».

Prima del via delle gare e delle dirette i due s’informano moltissimo
Prima del via delle gare e delle dirette i due s’informano moltissimo

Cuffie, microfono e…

Magrini: «Non abbiamo una scaletta. Soprattutto io… La corsa non ha mai un andamento predefinito quindi cosa prepari? Seguo quello che succede ed è tutto improvvisato. Mi procuro sempre un elenco partenti, quello sì. Semmai dò un occhio al computer se non ricordo qualche palmares o qualche dato di un corridore. Sento dire: devi studiare, devi studiare… Ma cosa devo studiare? Sono 50 anni che sono nel ciclismo: da appassionato, da corridore, da direttore sportivo, certo devo essere aggiornato e infatti faccio le mie telefonate ai diesse, ai corridori».

Gregorio: «Non abbiamo una scaletta vera e propria. Ci piace andare “a braccio”, a volte sembra di fare intrattenimento radiofonico. Prima del “Papi”, così chiamo Riccardo che per me è stato come un padre che mi ha preso sotto la sua ala, preparavo molto di più le dirette. Adesso mi tengo informato fino all’ultimo, leggo giornali, siti come il vostro e qualcosa mi appunto, anche se il più delle volte poi me lo ricordo a memoria».

Il mondiale di Alaphilippe nonostante le 7 ore di diretta è “volato” vista l’intensità della corsa
Il mondiale di Alaphilippe nonostante le 7 ore di diretta è “volato” vista l’intensità della corsa

Le maxi dirette

Magrini: «Molto dipende dall’andamento della corsa, ma se ti capita un mondiale come l’ultimo in cui hai sette ore di diretta è facile. Non c’è mai stato un momento di pausa. E’ un bel ciclismo da commentare quello attuale, semmai è più difficile quando non accade nulla. Lì ti devi inventare qualcosa. In quel caso Luca lancia un argomento e si chiacchiera. Un argomento di attualità che magari neanche è inerente alla cronaca della corsa. E va avanti fin quando la gara non entra nel vivo. Da quel momento ti concentri sulle immagini».

Gregorio: «La cosa simpatica è che ogni volta che ci sono queste dirette parto spaventato. Mi chiedo: ma cosa dico per 5-6 ore? Poi invece va bene ed è un piccolo miracolo che si realizza ogni volta. Va detto però che tanto dipende dalla corsa. Per esempio europei, mondiale e Roubaix sono stati così intensi che abbiamo divagato pochissimo. Semmai è più difficile in quelle tappe piatte del Giro o del Tour in cui succede poco o la fuga ha 5′ e resta lì. In quel caso l’argomento di giornata è importante e lo svisceriamo insieme.

«Un altra cosa è l’extra ciclismo – riprende Gregorio – Per esempio, l’Italia è tutta bella e quando magari inquadrano una chiesa mi limito a dire di cosa si tratta e non approfondisco. A Riccardo non interessa e anche il pubblico tutto sommato preferisce la corsa».

L’intervento dei social in trasmissione non sempre è facile
L’intervento dei social in trasmissione non sempre è facile

Il pubblico

Magrini: «Avevamo l’interazione con il pubblico ma l’abbiamo tolta. Stava prendendo un andazzo che non andava bene. Diciamo così…».

Gregorio: «Ci appoggiavamo soprattutto a Twitter. All’inizio era un aiuto ma abbiamo deciso di “segarlo”. Mettevi sul piatto degli argomenti e spesso qualcuno esagerava. A volte qualche risposta faceva arrabbiare Riccardo che partiva in quarta e in quel caso era comodo perché passavano 20′-30’».

Alberto Bettiol, Giro delle Fiandre 2020
Alberto Bettiol, re del Giro delle Fiandre 2020
Alberto Bettiol, Giro delle Fiandre 2020
Alberto Bettiol, re del Giro delle Fiandre 2020

Le telecronache più belle

Magrini: «Il Fiandre di Bettiol – risponde secco Riccardo – perché lo vedevo che pedalava bene e in diretta era un po’ che lo spronavo e gli “dicevo”: parti. E lo dissi quando mancavano 100 chilometri all’arrivo. Fu entusiasmante tutta la sua gara, incerta fino alla fine e io ci avevo azzeccato. In più quel giorno fu una telecronaca a tre, visto che c’era anche Wladimir Belli. Poi mi hanno appassionato gli scatti di Contador, le frullate di Froome, il Tour di Nibali. Ma devo dire che ultime telecronache sono state molto belle. Pensiamo alla Roubaix di Colbrelli e Moscon l’altro giorno o il mondiale di Alaphilippe, c’è stata tensione per tutta la gara».

Gregorio: «La Sanremo di Alaphilippe, un po’ perché lui è uno dei miei idoli e un po’ perché eravamo sul posto, affianco alle cabine della Rai per capirci. Sul posto abbiamo fatto quella Sanremo e due Lombardia, altrimenti sempre da studio. Poi direi il mondiale di Valverde, altro campione che mi piace, e la Roubaix di Colbrelli. Mentre fu difficile commentare la tappa dopo la morte di Bjorg Lambrecht al Giro di Polonia 2019. E anche il Giro di Croazia di qualche anno fa: la corsa era piatta, il livello bassissimo e si era a fine stagione. Magro quasi si addormentava!».

Magrini, ex corridore e ds, è il commentatore tecnico. Gregorio è il telecronista. Fa telecronache da 20 anni: basket, calcio e ora ciclismo
Magrini, ex corridore e ds, è il commentatore tecnico. Gregorio è il telecronista. Fa telecronache da 20 anni: basket, calcio e ora ciclismo

Il duetto

Magrini: «Con Luca ci intendiamo bene. Lui lancia gli argomenti, descrive la corsa e io integro con spunti tecnici, aneddoti… Poi lui a volte va a cercare cose del passato e io attacco a raccontare. Luca è giovane, va in bici quasi tutti i giorni è appassionato… Gli dò anche dei consigli ma fa come gli pare: gli piacciono le salite e va sempre in salita!».

Gregorio: «Come detto, lui è un “Papi”. Arriviamo in studio un’ora prima per fare la prova audio, che dura pochissimo. Successivamente stampiamo la starting list, prendiamo un caffè, diamo uno sguardo alle ultime news e cantiamo. Celentano, De Gregori, i Nomadi… i grandi classici, perché Riccardo non conosce molto la musica moderna!».