Imatra rafforza ulteriormente la propria presenza nel mondo del ciclismo internazionale, grazie alla collaborazione con Eurosport. Prosegue infatti con successo la campagna pubblicitaria “More pain more gain”. Dopo l’ottimo riscontro ottenuto durante il Tour de France, lo spot viene difatti trasmesso anche durante la Vuelta a Espana. Questa nuova fase della campagna rappresenta un passo fondamentale per Imatra. L’obiettivo infatti è espandere la propria influenza e consolidare il brand nel mercato spagnolo: territorio strategico per il ciclismo.
«Siamo molto soddisfatti di come si è sviluppata l’attività con Eurosport», ha dichiarato Manolo Bianchini, il fondatore e presidente di Imatra. «Assieme a loro abbiamo avuto grandi risultati in termini di awareness e di download della nostra app. La Vuelta è per noi un passaggio molto significativo».
Un mercato importante
Il mercato spagnolo è di particolare interesse per Imatra, dato il suo crescente ruolo nel panorama ciclistico globale, che proprio in Spagna ha mosso i primi passi. La Spagna è infatti riconosciuta come una delle mete più ambite per il cicloturismo. Lo si deve a strade considerate tra le più sicure in Europa e ad una varietà di percorsi che attraggono ciclisti da tutto il mondo. Da Gran Canaria a Girona, le località spagnole offrono condizioni ideali per la pratica del ciclismo, rendendole perfette per promuovere la filosofia di Imatra. Imatra, con la sua missione di diffondere sane abitudini e promuovere uno stile di vita attivo attraverso il ciclismo, vede in questo paese un’opportunità unica per espandere la propria community.
«La Vuelta coinvolge un mercato importante – ha aggiunto Bianchini – nel quale Imatra sta investendo molto. Ci sono molte città che stanno diventando un vero punto di riferimento per i ciclisti di tutto il mondo. Sicuramente qui la filosofia del brand è ancora più condivisibile, in quanto già fa parte di un determinato lifestyle. Vediamo Imatra ben posizionata nel panorama ciclistico spagnolo, abbiamo molte aspettative su questo canale comunicativo».
“More pain more gain”
La campagna “More pain more gain” viene trasmessa in lingua spagnola con uno spot di 30 secondi, in onda quotidianamente durante le dirette live di Eurosport dalla Vuelta a España. Questo spot non solo promuove il marchio, ma ribadisce anche l’impegno verso l’energia sostenibile e il cambiamento positivo, portando avanti il messaggio che ogni pedalata contribuisce a un mondo migliore.
La collaborazione tra Imatra ed Eurosport durante la corrente Vuelta rappresenta un’importante occasione per rafforzare il brand in un mercato strategico come quello spagnolo. Con l’obiettivo di ispirare e motivare sempre più persone a pedalare, Imatra continua a promuovere un messaggio di benessere e sostenibilità, consolidando sempre più il proprio ruolo nel mondo del ciclismo globale.
Ormai ci siamo, ancora tre giorni e mezzo e poi finalmente si aprirà lo scenario sul Tour de France “italiano”. Firenze e il suo Piazzale Michelangelo ieri sono stati teatro della partenza dei campionati italiani vinti da Bettiol, ma giovedì a partire dalle 18,30 si tingeranno ufficialmente di giallo con una preannunciata spettacolare team presentation.
Le gambe dei corridori si accenderanno sabato 29 giugno alle 12 col via della prima tappa da Piazza della Signoria, mentre i cuori degli appassionati hanno iniziato a scaldarsi già da un po’ di tempo. Fra loro c’è Riccardo Magrini che, per forza di cose, è un trait d’union ottimale tra Toscana e Tour de France. Nonostante non sia fiorentino, “il Magro” vive questa Grand Départ con profondo sentimento come abbiamo capito dalla nostra chiacchierata. Qualcosa che non è facile da descrivere e che dovrà riversare sul microfono durante la cronaca su Eurosport assieme a Luca Gregorio.
Evento storico
Il feeling di Magrini col Tour è legato, fra i tanti ricordi, al 1983 quando vinse la settima tappa da Nantes ad Ile d’Oleron con un colpo da finisseur in prossimità del triangolo rosso dell’ultimo chilometro. Quarantuno anni dopo le emozioni si spostano per un evento storico.
«Questa edizione del Tour de France – racconta – la sento particolarmente, prima di tutto perché per la prima volta parte dall’Italia e poi perché, seppur indotta dalla collaborazione con l’Emilia Romagna, si parte dalla Toscana. Il fatto che si inizi da Firenze, la terra di Gino Bartali, Gastone Nencini e Alfredo Martini, credo che sia il giusto modo di rendere omaggio a tre giganti del ciclismo internazionale, non solo italiano. Sicuramente ci saranno interessi economici, però per me c’è qualcosa che va oltre alla scelta di partire da qua. In questo caso si parla di storia e valori dello sport. E poi ragazzi, avete presente il contesto artistico di Firenze, che ci invidiano in tutto il mondo, che si sposa col Tour?».
Firenze, prima iridata, ora gialla
Che la Toscana sia la culla del ciclismo non si discute. Per dare un’idea, chi cresce da quelle parti e si addentra in quel mondo come corridore o addetto ai lavori non può prescindere dalla conoscenza dei tre nomi fatti prima da Magrini. Oppure della stessa Firenze, che nel 2013 assieme ad altre località ospitò la rassegna iridata tra prove a cronometro e in linea. Ma che differenza c’è col Tour de France?
«Il mondiale di quell’anno – continua – coinvolse una buona parte di Toscana con tutte le gare in programma e fu una bella vetrina anche dal punto di vista turistico, nonostante la nostra regione sia conosciuta ovunque. Però il Tour ha completamente un altro richiamo. Lo sappiamo tutti, dopo Olimpiadi e mondiali di calcio che si tengono ogni quattro anni, è il terzo evento sportivo e si svolge tutti gli anni. E’ qualcosa di clamoroso per Firenze, si va in tutto il mondo.»
«Non dimentichiamoci poi – analizza Magrini – che tornaconto economico che ci può essere per la città e i suoi dintorni. Anzi, direi tutte le strade che saranno attraversate dalla prima tappa che porterà a Rimini. Anche il solo transito davanti a casa propria è davvero un evento da vivere in modo unico, qualcuno me lo ha già detto che sarà così. Tuttavia mi viene da pensare che forse la gente non si era resa conto veramente di quello che adesso sta per succedere realmente.»
Percezione mediatica
L’ultima frase di Magrini è un assist, o meglio una volata tirata da sfruttare. Toscani, romagnoli, emiliani e piemontesi hanno realizzato che tipo di evento gli sta per passare sui piedi? La percezione non è uguale ovunque. L’impressione è che Firenze, Rimini, Cesenatico e Bologna siano più preparati delle altre città coinvolte, però diventa difficile da dire finché non lo si vede dal vivo.
«Posso dire – prosegue il commentatore di Eurosport – che a Firenze è tutto pieno. Si parla che oltre il 90 per cento della ricettività alberghiera sia occupata già diverso tempo. E so che anche in Romagna è la stessa cosa. Certamente gli eventi collaterali legati al Tour sono stati importanti per far capire alla popolazione cosa ci sarà. Può darsi che a Firenze e in Romagna abbiano avuto un avvicinamento più coinvolgente perché le due tappe sono molto mosse e promettono spettacolo. Ad esempio l’arrivo di Bologna col San Luca nel finale è bellissimo».
«Alla base di tutto però – va avanti Magrini – credo che sia una questione di comunicazione in generale. Ovvio che se organizzi serate in vista del Tour e non le pubblicizzi, non puoi sperare che tutti sappiano cosa ci sarà. Questo è un po’ il grande limite del ciclismo, anche sugli eventi importanti. L’ho visto in questa settimana appena finita con i campionati italiani. E’ vero che erano a Grosseto e a Firenze, ma a Montecatini dove hanno soggiornato molte formazioni, nessuno sapeva nulla del perché fossero lì. Mentre altri sport, il calcio in testa, riescono a comunicare meglio, noi del ciclismo dovremmo fare una riflessione su questo aspetto.»
Spunti per una prossima volta?
La storica partenza dall’Italia chiama in causa tutto il ciclismo di casa nostra in modo trasversale. ASO, società organizzatrice del Tour de France, per le prime quattro tappe si appoggerà a diversi reparti di RCS Sport, organizzatore del Giro d’Italia. Una bella collaborazione che potrebbe dare spunti o frutti per il futuro.
Team presentation itinerante. Il pubblico vedrà sfilare le squadre in più punti di FirenzePrima tappa. Passerella dentro a Firenze prima di partire dal km 0 fissato a Bagno a Ripoli
«Credo che sia sempre utile il confronto – conclude Magrini – con altre realtà. In questo caso ci si potrà rendere conto della potenza del Tour, che comunque vedremo solo in parte qua in Italia. Ad esempio, non tutti i mezzi della loro carovana circoleranno da noi per questioni di omologazione. Per me il Giro resta la corsa più bella e più dura che c’è per percorsi e panorami, ma il Tour è sempre riuscito ad essere più incisivo a livello pubblicitario.»
Ancora deve iniziare questo Tour “italiano” che già si pensa ad una prossima volta. Il “Magro” lancia sul piatto una proposta. «Non possiamo avere il Tour ogni anno da noi, ma nel 2025 la Vuelta, che è gestita dagli stessi organizzatori, potrebbe partire dal Piemonte. Sarebbe bello che il Tour potesse rifare una Grande Partenza da noi fra qualche anno. D’altronde dall’Olanda ci è partito per sei volte…»
Vittoria al Giro di Svizzera, Covid e vittoria al campionato nazionale. Peter Sagan fa rotta sul Tour. Il racconto dei problemi e il solito "carpe diem”
Arnaud Demare (ma anche Guarnieri) finisce fuori tempo massimo. Solo per tutta la tappa, paga freddo e crisi del giorno prima. A Tignes come sul Calvario
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Daniel Oss ha seguito parte del Giro da una moto di Eurosport. Ora si trova negli Stai Uniti per partecipare alla Unbound Gravel, gara di altissimo livello per specialisti, ma si capisce che pur a distanza ha continuato a seguire la corsa rosa, lasciata alla vigilia della terza settimana. L’esperienza è andata bene. Le sue osservazioni sono parse puntuali e in un ottimo inglese, figlio di tanti anni in team non italiani. E così incuriositi per le dinamiche del numerosissimo contingente di Eurosport al Giro, ci siamo fatti raccontare questo debutto inatteso.
«Per la Sanremo – racconta Oss – ero stato nella sede di Londra per fare una puntata di The Breakway con Adam Blythe e Orla Chennaoui. E’ un programma in cui prima della corsa fanno una sorta di preview, poi gli highlights e dopo la gara fanno un commento, un po’ come fanno Magrini e Luca Gregorio su Eurosport Italia. La via di mezzo fra un confronto e un battibecco. Per cui ho partecipato ed è stato molto bello. Sono arrivato la sera prima, l’indomani abbiamo fatto tutta la giornata in diretta. E a quel punto Doug Ferguson, il produttore di Eurosport Londra, mi ha chiesto se mi interessasse l’idea di fare qualche giorno con la moto. E io ho detto di sì a pelle, perché sembrava una proposta molto bella. Una bella esperienza da vivere».
Oss si era già dedicato alle interviste al Tour of the Alps, con cui collabora. Qui con TiberiOss si era già dedicato alle interviste al Tour of the Alps, con cui collabora. Qui con Tiberi
Anche perché iniziano a essere parecchi gli ex atleti che si cimentano in questo ruolo…
Infatti mi sono rivisto nell’immagine di Wiggins e dello stesso Blythe. Mi stuzzicava l’idea di essere su una moto dentro la tappa, con il pensiero di viverla e raccontarla offrendo dei piccoli spunti a chi commenta. Per cui ho detto di sì e loro si sono organizzati. Qualche settimana prima del Giro mi hanno contattato e ho confermato, guardando le mie date possibili. Ci stavo dentro bene e non potevo dire di no. Magari a scapito di un allenamento in più o in meno, però era un’esperienza che andava fatta.
Com’è stare in gruppo su due ruote ma senza faticare?
Figo, tutto bellissimo, da insider, però pensavo di vedere di più. Nei miei pensieri prima di cominciare mi vedevo in mezzo al gruppo, però effettivamente ci sono delle dinamiche e delle tempistiche che non immaginavo. C’è chi deve andare avanti, chi va dietro e quindi c’è il tuo momento di vedere l’azione: non ci sei sempre. Anche se, come moto di Eurosport, da giornalista o comunque vogliate chiamare quello che ho fatto, ci sono molte possibilità di vedere bene la corsa da vicino. E’ stato bellissimo.
Loro in bici tu sulla moto, appena un anno dopo…
Soprattutto questo mi ha un po’ spiazzato. Non immaginavo come sarebbe stato vedere i ragazzi far fatica rispetto a me che non la faccio più. Insomma, mi sentivo molto vicino pur essendo molto lontano. Ho riconosciuto la fatica, ma vista da fuori mi ha stupito molto di più. E da fuori è impressionante anche la condotta di gara. La moto dà l’impressione della velocità, dello sforzo che fanno, dell’attendismo, della paura nel muoversi.
Appesa al chiodo la bici da strada, Oss si è dato alla gravel agonisticaAppesa al chiodo la bici da strada, Oss si è dato alla gravel agonistica
In quali situazioni?
La difficoltà nel muoversi in certe circostanze, come può essere il paese o la strada particolarmente ventosa. Tutte queste cose, colte dal mio punto di vista, mi hanno coinvolto parecchio sul piano emotivo. Ho visto per la prima volta da vicino Ganna in una cronometro. Mi ha fatto impazzire, è stato incredibile. E poi anche le volate e le situazioni di vento. Lo sparpagliamento nella tappa di Cento che ha vinto Milan, quando si sono rotti col ventaglio. E io ero lì a vedere in che modo gestivano e superavano le situazioni e questo in un certo senso mi emoziona.
Durante la tappa hai avuto contatti con i corridori oppure la moto sta rigorosamente a distanza?
Le regole sono abbastanza severe. Non si può fare l’intervista ai corridori, si può parlare con le macchine. Tanti corridori li ho salutati, s’è fatta giusto una battuta e ci siamo scambiati un in bocca al lupo. Ad esempio in una tappa sull’Adriatico, Pellizzari non stava bene e lo vedevo che si staccava dal gruppo in pianura. Era tra le macchine, mancava 15-20 chilometri alla fine e io gli dicevo di stare tranquillo. Lui era nervoso, aveva paura di non farcela e io allora gli ho urlato di mollare, che non serviva a niente tenere duro. Meglio recuperare e arrivare, che il giorno dopo sarebbe stato meglio.
Il colpo d’occhio da corridore serve sulla moto?
Il feeling è lo stesso, magari ci vuole un po’ per entrare nei meccanismi e diventare bravi a valutare le situazioni standone fuori. Senti e vedi tutto, però effettivamente senza la spinta di quello che percepisci dalle gambe, è difficile. E’ chiaro che da casa o comunque davanti a una tv capisci molto di più, però dalla moto puoi vedere dei dettagli che da fuori sfuggono.
Con Milan dopo la volata di Cento e un finale da brividi con i ventagliCon Milan dopo la volata di Cento e un finale da brividi con i ventagli
Come funzionavano le tue giornate?
Sveglia la mattina e circa un’ora prima di partire, si faceva un briefing che partiva dalle indicazioni mandate su whatsapp dalla regia e dalla direzione. Dipende dalla trama della tappa. Se c’è una volata in cui se la giocano Milan e Merlier, si fanno le interviste a entrambi, in modo da poterle usare nei momenti in cui serve. Si realizzano servizi slegati da luoghi e tempi, in modo da poterle inserire quando servono.
Pensi che lo farai ancora?
Spero sia andata bene, che gli sia piaciuto. Devo migliorare, mi piacerebbe fare altre esperienze. Vedo che a loro comunque piace l’entusiasmo, il fatto che si lavori in gruppo. Non è solo una questione di lingua madre, ma anche di quello che si trasmette. Gliel’ho detto, vediamo se mi richiameranno. Intanto domenica si corre. E qua vanno tutti davvero molto forte…
Hai parlato di Ganna, com’è stato invece vedere Pogacar in azione?
Beh, cosa posso dire… abbastanza emozionante! E poi il mio parametro è sempre quando piaci ai bambini, allora hai fatto centro. Ma al di là di questo, tecnicamente mi ricorda tantissimo quando mi emozionavo con Peter (Sagan, ndr). Quando faceva quelle cose che, cavoli, resti proprio a bocca aperta. E non puoi che dire: «Wow, che bomba!». Davvero tanta roba…
Philippe Gilbert ha lasciato il Tour, cedendo a Jens Voigt la moto di Eurosport da cui ha raccontato la prima settimana di corsa. Tuttavia, prima che partisse, L’Equipe lo ha intervistato e le sue parole sono diventate lo spunto per un interessante approfondimento.
Quel che colpisce dalle sue parole è innanzitutto lo stupore. Vivere il Tour da atleta è sicuramente qualcosa di inimmaginabile anche per chi ha vissuto per così tanti anni la carovana francese. Gilbert ha partecipato a 12 edizioni della Grande Boucle, ma non ne avrebbe mai immaginato la grandezza, per come viene percepita guardando ciò che c’è fuori dalle transenne. Sono gli atleti a fare la corsa, ma rendersi conto di quello che gli è stato costruito attorno e dell’attesa della gente lungo le strade è stato per il belga uno shock positivo.
Gilbert ha seguito la prima settimana del Tour per Eurosport. Al suo posto c’è ora Voigt (foto Instagram)Gilbert ha seguito la prima settimana del Tour per Eurosport. Al suo posto c’è ora Voigt (foto Instagram)
La spontaneità e gli schemi
Ciò che ha colpito Gilbert, che dalla moto ha seguito i due di testa osservandoli in ogni dettaglio, sono state le profonde differenze fra loro. Fra la naturalezza spigliata di Pogacar e l’essere quasi schematico di Vingegaard, che a ben vedere sono le differenze che negli anni hanno animato i duelli fra Pantani e Ullrich e ancor prima fra Indurain e Chiappucci.
«Ho potuto vedere da vicino i due fantastici Jonas Vingegaard e Tadej Pogacar – dice Gilbert – è stata la prima volta che ho seguito i migliori scalatori su passi mitici come il Tourmalet… però in moto! La facilità e l’efficienza dei loro colpi di pedale sono stati sconcertanti, ma quello che ho potuto vedere è stata la netta differenza nel loro atteggiamento. Vingegaard ha un approccio più strutturato, basato su un forte lavoro della squadra e su tattiche decise in anticipo ed eseguite alla lettera. Con Pogacar, c’è uno stile completamente opposto, con una spontaneità impressionante. Che sia di fronte ai microfoni in zona mista o in bici, è sorprendente. Con lui non sai mai quando attaccherà, il che dà molto stress ai Jumbo-Visma, che hanno difficoltà a leggere le carte di Tadej».
Vingegaard ha provato a dare il colpo del KO a Pogacar sul Tourmalet, ma Tadej si è ben difesoVingegaard ha provato a dare il colpo del KO a Pogacar sul Tourmalet, ma Tadej si è ben difeso
Sul filo dei nervi
A ben vedere, la resurrezione di Pogacar sull’arrivo di Cauterets e poi la stilettata del Puy de Dome hanno prodotto proprio questa destabilizzazione, alimentata con le dichiarazioni del giorno di riposo. E se in un primo momento Vingegaard può aver pensato che avrebbe avuto vita facile, ritrovarsi davanti un Tadej nuovamente cattivo e forte, lo ha convinto a tenersi buono Van Aert, nei confronti del quale aveva già mostrato qualche segno di insofferenza.
«Con 17 secondi di ritardo e un vantaggio psicologico su Vingegaard – dice ancora Gilbert – Pogacar è in una posizione ideale, attento al minimo segno di debolezza del suo diretto avversario. Lo spingerà al limite e, come ha dimostrato lo scorso anno nella tappa di Cahors, è capace di attaccare anche nelle cosiddette tappe di trasferimento. Ogni secondo conterà e Tadej avrà comunque il vantaggio degli abbuoni».
Due modi di andare in salita molto diversi: col rapporto il danese, più scalatore. Più agile lo slovenoDue modi di andare in salita molto diversi: col rapporto il danese, più scalatore. Più agile lo sloveno
Condizioni a confronto
Non certo un messaggio tranquillizzante per Vingegaard. Il danese ha vinto il Tour del 2022 grazie alla superiore condizione fisica e per la crisi indotta nel rivale sul Granon, ma non ha mai dovuto combattere con lui la guerra dei nervi. La Jumbo-Visma avrà la compattezza che serve per fronteggiare… l’anarchia di Pogacar?
«Secondo me – chiude Gilbert – la forma di Pogacar non era ottimale all’inizio del Tour a causa della sua frattura alla Liegi Bastogne-Liegi. Ora salirà di livello. Quell’incidente potrebbe diventare la chiave del suo successo? Non si sa. Dopo un inizio di stagione alla grande, forse al Tour gli sarebbe mancata la freschezza. Mentre così ci è arrivato motivato e fresco».
Per contro, come ha fatto rimarcare Stefano Garzelli durante la diretta della tappa di domenica, Vingegaard è al top dal Delfinato: è possibile che possa crescere ancora?
Negli ultimi giorni con Vingegaard ci sono anche la moglie Trine e la figlia FridaNegli ultimi giorni con Vingegaard ci sono anche la moglie Trine e la figlia Frida
A porte chiuse
Il danese frattanto ha trascorso il giorno di riposo nel modo più tranquillo possibile, con una sola intervista rilasciata alla televisione danese e la famiglia intorno. Si è allenato, ha firmato autografi, poi ha passato il resto della giornata con la moglie Trine e la figlia Frida.
«Mi sento di nuovo pieno di energia – ha detto a TV2 Danimarca – e pronto per la prossima settimana. E’ andata bene, perché mi aspettavo di essere dietro. Le tappe che arrivano mi si addicono molto di più, con intere giornate di salite e discese piuttosto che un’unica salita finale. Finora l’unica giornata in cui abbiamo accumulato fatica è stata la tappa del Marie Blanque. Crediamo molto in quello che stiamo facendo e siamo certi di poter vincere il Tour anche quest’anno».
Il riposo a porte chiuse conferma che la pressione di dover difendere la maglia gialla è un peso aggiuntivo al Tour de France, come ha ben spiegato Pogacar durante la sua intervista. Aver ribadito di essere il vincitore uscente è il modo per Vingegaard di demarcare il territorio? Può darsi, di sicuro i due non si faranno sconti.
A Saint Amand Montrond Philipsen mette tutti in fila. Si toglie di dosso un peso che stava diventando ogni giorno più pesante. E mette nel mirino la maglia verde
«Non contemplavo altra cosa che non fosse andare alle corse per vincere. Se nel mio discorso ai corridori sostenessi un’altra cosa – dice secco Contador con lo sguardo dritto – starei mentendo. Devono avere questa convinzione. Ce ne sono alcuni che non hanno le capacità di vincere, ma altri che invece possono. E se non pensano che possono farlo, è praticamente impossibile che ci riescano. In questo senso, credo sia importante che colgano questo messaggio, soprattutto i corridori che passano adesso al professionismo».
Nonostante sia uno dei tre soci della Eolo-Kometa, acchiappare Alberto Contador nelle occasioni ufficiali è come stargli dietro in salita quando si metteva a scattare. Ti distrai un attimo e sparisce. E così anche questa volta. Appuntamento dopo cena, ma lui arriva e ti saluta, dicendo che è stanco e anche tu non hai una gran faccia.
«Ci vediamo domattina?».
«Domattina non ci siamo, anzi andiamo via stasera».
E allora il pistolero (in apertura nella foto di Maurizio Borserini) ricorda le interviste dei tempi andati e si lascia convincere. In effetti non ha una grande cera e siamo certi di non essere messi tanto meglio. Sono circa le 22, promettiamo di fare presto. La Francia ha buttato il Marocco fuori dai mondiali di calcio. Nell’hotel di Oliva, c’è anche lo Spezia Calcio. Quello nell’angolo sembra il figlio di Maldini, gli altri non sappiamo chi siano. Ma Contador l’abbiamo riconosciuto bene.
La Eolo-Kometa sta ultimando il suo training camp a Oliva, sud di Valencia (foto Maurizio Borserini)La Eolo-Kometa sta ultimando il suo training camp a Oliva, sud di Valencia (foto Maurizio Borserini)
Sembri stremato: com’è avere una squadra?
Una medaglia con due facce. La faccia positiva è che sei nel mondo che ti piace e stai restituendo al ciclismo il tanto che il ciclismo ti ha dato. La parte negativa è che ci sono molti mal di testa.
Non più mal di gambe, insomma…
Avere una squadra significa avere un numero impressionante di personale. Perché non sono solo i professionisti, ma anche gli under 23 e gli juniores. Stiamo vedendo che da juniores passano professionisti e quelli che passano si giocano le corse al primo anno. Le tre categorie sono importanti. Tanto personale e lo sforzo economico che richiede. Non è facile trovare sponsor per sostenere il progetto. Le cose si stanno muovendo, ma alla fine è soprattutto mal di testa. Andare in bicicletta era più facile.
Dopo una vita occupandosi di suo fratello, “Fran” Contador amministra il team (foto Maurizio Borserini)Dopo una vita occupandosi di suo fratello, “Fran” Contador amministra il team (foto Maurizio Borserini)
Hai un modello da seguire? Qualche giorno fa, Kreuziger parlò di Riis…
Bjarne è molto bravo, però per le squadre non credo più al modello unico di una sola persona. Credo che difficilmente uno solo possa gestire tutto. Una squadra comprende tantissimi aspetti diversi, quindi devi appoggiarti su elementi di cui ti fidi. Trovare le persone di cui fidarti, che siano in grado di svolgere il lavoro nelle migliori condizioni, non è facile. Nel nostro caso la gestione passa per le mani di Ivan Basso, di mio fratello Fran e le mie. E questo ci permette di dividere i ruoli e le responsabilità e non tralasciarne nessuna.
Invece il lavoro per Eurosport cosa rappresenta?
E’ qualcosa che mi incanta, mi piace molto. Sono nella gara oltre che con la squadra, in mezzo a quelli che sono stati i miei compagni, nelle corse che hanno dato tanto alla mia vita. Oggi ci sono corridori giovani che mi hanno visto correre e per me è bello. Eurosport mi aiuta molto a mitigare questa mancanza di competizione che ancora ho. Le corse mi mancano.
Aprica, Giro d’Italia 2022: Contador intervista Pello Bilbao sul traguardoAprica, Giro d’Italia 2022: Contador intervista Pello Bilbao sul traguardo
Quest’anno si è fermato anche Valverde, ti pare che il ciclismo spagnolo abbia trovato nuove forze?
Credo che dobbiamo essere molto contenti. Abbiamo un buon presente e anche il futuro. Enric Mas è un corridore molto regolare. Per vincere il Tour non lo so, perché ci sono corridori più favoriti di lui, però è un gran corridore. La Vuelta invece credo che sia nelle sue gambe. E’ già stato secondo in 2-3 occasioni, quella maglia è alla sua portata. Quanto ad Ayuso e Rodriguez, non sappiamo dove sia il loro limite. Due corridori che sono stati impressionanti alla Vuelta. Ayuso ha fatto terzo e poteva aver vinto l’ultima tappa se avesse avuto una migliore punta di velocità. Mentre Carlos Rodriguez è stato penalizzato dalla caduta, ma credo che con questi due nomi il ciclismo spagnolo abbia preso ossigeno.
Due sedute di allenamento, entrambe in bicicletta. Per Wladimir Belli, preparatore atletico ormai di lungo corso, il futuro del ciclismo sarà questo. Alla doppia seduta si è arrivati da qualche anno, ma la differenza è che oggi si va al mattino in bicicletta e al pomeriggio in palestra per pesi o esercizi di corpo libero: a breve ci sarà la bici anche al pomeriggio. Ma anche il ciclismo, come il resto del mondo e degli altri sport, va verso la ricerca di una prestazione sempre più di alto livello. Che sconfina a volte nel fanatismo, nell’esagerazione, nella perdita di un romanticismo che da sempre contraddistingue questo sport e i corridori che lo animano
Belli è da qualche anno un preparatore e uno degli opinionisti più autorevoli di EurosportBelli è da qualche anno un preparatore e uno degli opinionisti più autorevoli di Eurosport
«Oggi – spiega Belli – già dopo il Lombardia alcune squadre radunano i propri corridori in ritiro. Si stacca sempre meno, difficilmente si va oltre i venti giorni di vacanza tra la fine della stagione e l’inizio della preparazione invernale».
Una modalità che rischia di logorare fisico e testa e che si aggiunge ad altri accorgimenti tutti diretti verso la stessa direzione: professionisti concentrati sul lavoro 12 mesi l’anno.
«Anche con l’alimentazione è così – aggiunge colui che oggi è anche un’apprezzata voce di Eurosport – i corridori non ingrassano più fino a 6 chili come succedeva un tempo. Rimangono sempre vicini al peso forma, ma questo richiede sforzi e sacrifici».
Trentin ha spesso praticato sci di fondo alla ripresa dell’attività: vivendo a Monaco, la tentazione bici è però molto forteTrentin ha spesso praticato sci di fondo alla ripresa dell’attività: vivendo a Monaco, la tentazione bici è però molto forte
Sport alternativi
Altro aspetto che stride con quanto si era soliti fare fino a qualche anno fa: gli sport alternativi.
«Nella pausa invernale – ricorda Belli – frequentemente ci si dedicava ad altre attività come la corsa in montagna, le camminate in quota, oppure il classico sci di fondo o il nuoto. Questo oggi non è più consentito. Quando si riprende dopo la pausa, si monta subito in sella per macinare chilometri. L’unico sport alternativo accettato è la mountain bike, ma sempre di bicicletta si tratta».
Eccezione cross
Così per quasi tutti. Fortunatamente, almeno per chi ricerca nel ciclismo ancora tracce del suo dna, c’è chi varia sul tema. E non sono nomi da poco, anzi.
«Van Aert e Van der Poel – spiega l’ex corridore bergamasco – corrono ancora a piedi durante la preparazione invernale. Questo però perché sono anche ciclocrossisti praticanti, cosa che gli consente di non perdere la brillantezza che, al contrario, gli altri sport possono togliere, imballando un po’ la gamba».
Van Aert corre a piedi a Livigno: una fase di preparazione che non manca mai dal suo programmaVan Aert corre a piedi a Livigno: una fase di preparazione che non manca mai dal suo programma
Lo stress logora
Mode che passano e che si mescolano ad evidenze scientifiche. Ma Belli è d’accordo o meno con la nuova tendenza?
«Non sono molto d’accordo – risponde sicuro – perché questo stress psicofisico rischia di accorciare le carriere dei corridori ed esasperare il mondo del ciclismo. Credo che staccare di più e dedicarsi a qualcosa di altro sia necessario per tutti».
Qualità e quantità
Di certo c’è che non è più utile ricorrere ad allenamenti eccessivamente lunghi. Le corse stanno diventando sempre più brevi – ad eccezione delle classiche Monumento – per cui la qualità prevale sulla quantità.
Ad incrementare la specificità e la qualità degli allenamenti, sono arrivate anche le nuove scuole. Quelle nordiche ad esempio (Danimarca e Norvegia su tutte) per cui, grazie alla facilità con cui si può viaggiare oggi, si riesce ad allenarsi anche d’inverno in luoghi più idonei alla bicicletta, esportando il modello. Senza dimenticare la scuola britannica, esplosa da Wiggins in poi. E l’Italia?
Le gare si accorciano e scendono i volumi di allenamento. La tappa pirenaica di Peyragudes, misurava 129,7 chilometriLe gare si accorciano e scendono i volumi. La tappa pirenaica di Peyragudes, misurava 129,7 chilometri
«Abbiamo da sempre un’ottima scuola come preparatori atletici – sottolinea Belli – ma pecchiamo nelle categorie giovanili. Il discorso è complesso e ampio, tutto parte dalla necessità di rivedere il concetto di sport nelle scuole. Ora è trascurato, mentre negli altri Paesi hanno capito che educare i giovani allo sport incide sulla salute pubblica a lungo termine.
«Il ciclismo dovrebbe anche tornare un po’ indietro, quando ogni paese di provincia aveva la propria squadretta e portava i corridori a gareggiare senza badare a troppe strategie. Oggi invece il successo a tutti i costi è inculcato dalle famiglie e dalle stesse squadre».
Poter leggere su Strava i dati di un professionista in allenamento potrebbe far saltare i riferimenti per gli atleti giovaniPoter leggere su Strava i dati di un professionista in allenamento potrebbe far saltare i riferimenti per gli atleti giovani
Rischio social
In ultimo, la questione della condivisione dei dati di allenamento che porta i giovani a voler emulare i professionisti dal momento che possono vedere come si allenano.
«Succede sempre più spesso – chiude Belli – ma può essere un problema. Oggi tutti sanno tutto, mentre un tempo si guardava ai professionisti più esperti cercando di carpire segreti e imparare il mestiere. Rientra nel discorso delle performance a tutti i costi, che poi rischia di presentare il conto: se da giovane vinci tutto, poi da professionista incontri difficoltà e rischi di saltare subito».
Van Aert sta intensificando la corsa a piedi, segno che il ritorno nel cross è un obiettivo e non è neppure così lontano. E a questo punto cosa farà VdP?
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Alla vigilia del Lombardia, ospiti della cena per i 20 anni di Promoeventi Sport, che fra le sue cose organizza le corse bergamasche per RCS Sport, abbiamo ritrovato un gruppo di amici. E come accade da qualche tempo a questa parte, il discorso è finito sul ciclismo di casa nostra e la necessità di un team WorldTour italiano. Un concetto che oggi anche Ivan Basso riprende in un post pubblicato su Linkedin.
La cena per i 20 anni di Promoeventi di Bettineschi e Belingheri è stata l’occasione di riflessioni sul ciclismo italianoLa cena per i 20 anni di Promoeventi di Bettineschi e Belingheri è stata l’occasione di riflessioni sul ciclismo italiano
Un team italiano
Enrico Zanardo, che ha avuto squadre dilettanti per anni ed è oggi il referente di Vini Astoria nel ciclismo, era abbastanza perplesso circa la possibilità di fare una squadra di soli italiani. I grossi sponsor hanno interessi in tutto il mondo e questo fa sì che abbiano bisogno di corridori da diversi Paesi. Discorso ineccepibile.
Claudio Corti, manager della Saeco di Cunego e Simoni, ricordava di quando Sergio Zappella (il signor Saeco) raggiungeva il budget per la squadra raccogliendo il contributo delle filiali mondiali. Ne era ovviamente l’azionista di maggioranza, quindi l’impegno centrale era il suo, ma in questo modo raggruppava attorno alla squadra interessi in ogni angolo del mondo.
Serge Parsani, oggi alla Corratec (in procinto di rientrare come professional), ricordava gli anni alla Mapei in cui non mancavano corridori internazionali, ma con un forte nucleo italiano al centro. Sottolineando che anche il team di Giorgio Squinzi faceva un gran lavoro di coinvolgimento delle filiali estere.
La Saeco ruotava attorno a italiani come Cunego, Simoni, Cipollini e Savoldelli, ma vinse il mondiale con AstarloaLa Saeco ruotava attorno a italiani come Cunego, Simoni, Cipollini e Savoldelli, ma vinse il mondiale con Astarloa
Cresce la Svizzera
Oggi tutto questo sembra irraggiungibile. Eppure i grossi sponsor non mancano: manca piuttosto la voglia di fare il passo in più, impegnarsi davvero a fondo.
Probabilmente il sistema fiscale italiano non aiuta, magari è per quello che i nostri campioni risiedono all’estero e la nuova Q36.5, squadra di sponsor e dirigenza italiani, per partire ha scelto la Svizzera.
E proprio in Svizzera, i nuovi team saranno due. Oltre a quello che avrà fra le sue schiere un Vincenzo Nibali in veste di consulente d’eccezione, sarà varato il nuovo Tudor Pro Cycling Team di Fabian Cancellara. Mentre qui registriamo il rischio chiusura della Drone Hopper-Androni e non sarà certo il probabile ritorno della squadra toscana, che negli anni è andata e venuta con alterne vicende, a bilanciare la situazione.
L’addio di Nibali e Valverde al Lombardia non è stato il solo grande evento del weekendL’addio di Nibali e Valverde al Lombardia non è stato il solo grande evento del weekend
La fuga dei talenti
E intanto i nostri se ne vanno all’estero ed entrano in un mercato florido che offre prospettive interessanti. In squadre ricche, che però metteranno al primo posto i corridori di casa. Pertanto, allo stesso modo in cui Paolo Bettini, già vincitore delle Liegi e dei mondiali, non ha mai potuto correre il Fiandre perché aveva davanti Boonen, altri verranno su come luogotenenti più che come leader. Perché il leader deve fare la corsa, non tirare per altri e poi osservarli andar via. Restano le poche occasioni di quando i capitani di casa non ci sono. E in quei casi i vari Bagioli, Aleotti e Covi hanno la possibilità di venir fuori. Ma non è facile. Il ciclismo non ti dà tutto e subito, la maturazione ha bisogno di esperienza e l’esperienza ha bisogno di occasioni ripetute.
In Belgio basta la presenza di un campione (qui Tom Boonen) per richiamare decine di mediaIn Belgio basta la presenza di un campione (qui Tom Boonen) per richiamare decine di media
Parliamo dei media
Il perché in Italia il ciclismo sia finito nell’angolo s’è sempre spiegato con i problemi di un tempo. Il fatto tuttavia è che niente è come prima, mentre provoca stupore il relativo disinteresse da parte dei grandi attori della comunicazione, che si sono ormai appiattiti sul calcio in modo a volte imbarazzante. I grandi giornali non mandano più inviati ai grandi eventi e quando lo fanno hanno vergogna di sparare la vittoria in prima pagina. Come il record dell’Ora di Ganna: il confronto delle prime pagine rispetto a quando il record lo fece Moser provoca ben più di un interrogativo.
La televisione ha aumentato le ore di diretta. Eurosport e i suoi ragazzi fanno vedere con competenza corse che un tempo erano soltanto nomi esotici, mentre la Rai continua con il suo lavoro complesso difendendo la posizione.
Lo scorso weekend è stato un fiorire di ciclismo, anche eccessivo (l’UCI compila i calendari senza logiche apparenti: non si è accorto il presidente Lappartient di non aver avuto il tempo per presenziare a tutti gli eventi?). Lombardia. Record dell’Ora. Parigi-Tours. Mondiale gravel (in apertura, Van der Poel firma autografi). Romandia donne. Perché lo si è vissuto come un problema e non come una risorsa?
La fantastica Ora di Ganna ha avuto il giusto risalto mediatico? Forse non del tuttoLa fantastica Ora di Ganna ha avuto il giusto risalto mediatico? Forse non del tutto
Parliamo degli sponsor
In questo quadro avaro di coraggio, perché uno sponsor dovrebbe investire tutti quei soldi, se per molto meno può avere la scintillante vetrina del calcio? Giorgio Squinzi chiuse la Mapei ed entrò nel calcio, prima con la nazionale e poi col Sassuolo. Chi resta, attinge alla passione. Gli altri che magari vorrebbero, prendono atto delle porte chiuse e vanno altrove.
«Il nostro è uno sport che garantisce un ritorno importante – scrive Basso – ma non lo garantisce nell’immediato e io capisco che per un’azienda oggi è importante avere ritorni a breve termine. Però, il ciclismo non è solo un veicolo pubblicitario: è anche, e soprattutto, un veicolo di valori…».
Parole condivisibili, che faticano ad attecchire in un mondo in cui i grandi organizzatori cercano di accaparrarsi le corse importanti per arricchire il proprio portafogli. Nessuno si sogna di fare sistema, come ad esempio avviene in Francia con il Tour. Sono tutti attorno all’osso, vantando posizioni di privilegio vero o presunto, cercando di mangiarne più che possono.
Sabato 30 luglio partirà da Kielce il 79° Tour de Pologne, corsa a tappe di categoria WorldTour che si concluderà a Cracovia il 5 agosto. Moreno Moser è stato l’ultimo corridore italiano ad aggiudicarsi la classifica generale di questa corsa, nel 2012, 10 anni fa (foto Facebook Tour de Pologne in apertura).
Moreno è di rientro da un giro in bici dopo il suo doppio esordio ai microfoni di Eurosport, prima al Giro d’Italia e poi al Tour de France.
«Non andavo in bici da un po’ di tempo – racconta con voce stanca – sono fuori allenamento, in questi mesi c’è stato tanto da lavorare. Tra l’altro parlando di Tour de Pologne, ho scoperto che non sarà trasmesso dai nostri canali di Eurosport».
Moreno Moser di spalle con la maglia gialla, simbolo del primato del Tour de Pologne (foto Facebook Tour de Pologne) Moser di spalle con la maglia gialla, simbolo del primato del Tour de Pologne (foto Facebook Tour de Pologne)
Anche perché è stata la tua prima vittoria WorldTour nel tuo anno di esordio tra i professionisti…
E’ stata una gara davvero bella, tra l’altro mi sono ritrovato ad indossare la maglia fin da subito avendo vinto la prima tappa. L’arrivo era a Jelenia Gora e sono riuscito a regolare la volata di un gruppetto ristretto di una trentina di unità.
Leadership che hai perso alla terza tappa per soli tre secondi.
Questa è una storia abbastanza buffa. Il Giro di Polonia è sempre stata una corsa che si è decisa sul filo dei secondi. Infatti, fino alla terza tappa il mio vantaggio su Kwiatkowski era solamente di un secondo!
E in quella frazione che è successo?
Il mio diesse non sapeva dell’esistenza del traguardo volante di metà percorso, così la mia squadra era davanti a tirare, visto che avevamo la maglia di leader. Ad un certo punto vedo “Kwiato” partire in tromba e fare una volata, rimango interdetto perché non me lo sarei mai aspettato. Sono venuto a scoprire dopo che mi aveva soffiato tre secondi e la maglia. Diciamo che non ero felicissimo, per usare un eufemismo.
Il 2012 era il primo anno tra i pro’ anche per Kwiatkowski che si è giocato il Tour de Pologne sul filo dei secondi (foto Andrzej Rudiak) Il 2012 era il primo anno tra i pro’ anche per Kwiatkowski che si è giocato il Polonia con Moser (foto Andrzej Rudiak)
Nella tappa regina di Bukowina sei riuscito però a riprenderti la maglia e conquistare la seconda vittoria di tappa…
Ero partito con il pensiero che per me quella tappa fosse molto dura, non ero molto fiducioso. Si trattava di un percorso costantemente mosso e discretamente lungo, 191 chilometri. La tappa si concludeva su uno strappo tosto, ma che alla fine spianava leggermente.
E com’è andata?
Sullo strappo che portava all’arrivo, misurava 2-3 chilometri, mi sono venuti i crampi a 500 metri dalla fine. Pensavo di piantarmi, invece sono riuscito a rimanere agile, respirare un attimo e lanciare la volata, battendo Henao e ancora Kwiatkowski (foto di apertura).
Insomma, una sfida al secondo tra te e Kwiatkowski, hai battuto un polacco a casa sua.
Sì! Non so quanto siano stati felici lui ed i tifosi. Tra l’altro io e lui siamo dello stesso anno, 1990, e si trattava della nostra stagione di esordio tra i professionisti. Fino ad allora ci eravamo scontrati tra i dilettanti, era strano farlo tra i grandi.
Il primo successo tra i professionisti Moser lo ha ottenuto nel mese di febbraio al Trofeo Laigueglia, a pochi mesi dal debutto Il primo successo tra i professionisti Moser lo ha ottenuto nel mese di febbraio al Trofeo Laigueglia, a pochi mesi dal debutto
Che impatto ha avuto questa vittoria nella tua carriera?
Alto, la ritengo la vittoria più importante della mia carriera da corridore. Nonostante fossi al primo anno tra i pro’ avevo già vinto due gare: il Laigueglia ed il GP di Francoforte. Però quella è stata la prima corsa a tappe, la prima gara WorldTour. Insomma, ha tutto un altro sapore.
E’ cambiata anche la percezione nei tuoi confronti?
Molto direi, a livello di consapevolezze e di responsabilità principalmente. Quando vinci una gara del genere aumentano le attenzioni in gruppo e dei media, ma anche dei tifosi che poi si aspettano di più da te. Ho cercato di rimanere con i piedi per terra, umile perché poi è facile farsi trasportare dall’entusiasmo.
Nel mese di maggio è arrivato il secondo successo in una gara di un giorno, questa volta al GP Francoforte Nel mese di maggio è arrivato il secondo successo in una gara di un giorno, questa volta al GP Francoforte
Sei poi tornato a correre il Tour de Pologne?
Tre volte a distanza di qualche anno, ma non sono mai riuscito a ripetere quel che ho fatto nel 2012. La sensazione che avevo durante quella stagione era che tutto mi riuscisse piuttosto facile. Infatti, quando siamo tornati sul traguardo di Bukowina mi sono chiesto: “Ma davvero io ho vinto su questo percorso”?
E della gente che ricordo hai?
Piacevole, è una gara davvero molto seguita, poi con il fatto che sia classificata WorldTour richiama sempre un bel parterre di atleti. Di conseguenza il pubblico è invogliato a partecipare e riempie le strade.
Che la Rai non sia più l’assoluto riferimento televisivo nel ciclismo è cosa risaputa già dal secolo scorso. L’Ente di Stato continua però ad avere, rispetto ai concorrenti, il vantaggio di raccontare la maggior parte degli eventi con inviati sul campo. Apparentemente non è poco, ma è davvero un vantaggio? O meglio, questa possibilità viene sfruttata al meglio? Se dobbiamo guardare ai commenti, la risposta è dubbia, perché mese dopo mese, gara dopo gara prende sempre più piede la programmazione di Eurosport.
Il canale internazionale copre tutta l’attività di vertice (non solo il WorldTour) e soprattutto ha un’attenzione che si riversa su tutte le specialità ciclistiche, dalla strada a quelle offroad, fino alla pista con un palinsesto in continua evoluzione. Dopo aver parlato nei giorni scorsi con Wladimir Belli, abbiamo quindi sottoposto gli opinionisti di Eurosport a una serie di quesiti per capire come lavorano e da che cosa deriva l’indubbio successo, a fronte di un forzatamente diverso approccio alle gare.
Riccardo Magrini, pro’ fra il ’77 e l’86, vittorioso al Giro e al Tour nell’83. E’ ad Eurosport dal 2005Riccardo Magrini, pro’ fra il ’77 e l’86, vittorioso al Giro e al Tour nell’83. E’ ad Eurosport dal 2005
Magrini: l’importanza del contatto
Riccardo Magrini (nella foto di apertura con il suo compagno di telecronache Luca Gregorio) era già un riferimento, per il suo carattere estroverso, quando correva. Figurarsi ora che è chiamato a commentare le corse: sui social i suoi giudizi spesso netti e senza peli sulla lingua generano sempre discussioni. I nuovi mezzi tecnologici sono per il toscanaccio una risorsa inesauribile.
«Si lavora di continuo – dice – si cerca di rimanere il più possibile in mezzo all’ambiente tramite whatsapp, messaggi, telefonate. Nell’ambiente ci siamo ricavati una certa credibilità, perché abbiniamo alla simpatia anche la correttezza: tante cose che ci vengono confidate non le divulghiamo. Cerchiamo invece per ogni gara di sapere il più possibile, anche perché quando andiamo in onda con telecronache integrali, cerchiamo di condire le ore di diretta con aneddoti e notizie dal gruppo proprio come se fossimo lì».
Che cosa comporta non esserci?
Non riesci a sapere tutto quel che avviene: cadute, forature, cedimenti li apprendiamo esattamente come il telespettatore e questo non ci favorisce di certo. Questo modo di lavorare però ci consente di mantenere un contatto diretto con tutti: corridori, manager, procuratori, addetti ai lavori. Molti ci dicono che il pubblico di Eurosport è fatto molto da chi opera nel settore e probabilmente è vero, ma questo significa che dobbiamo essere il più possibile credibili.
Rispetto a quando correvi, quanto è cambiato il rapporto fra chi corre e chi segue per lavoro? La sensazione è che i corridori abbiano sempre meno voglia e interesse ad aprirsi con i giornalisti…
E’ vero. Con i social si pensa che di sapere già tutto, ma non è così. Quello virtuale è un mondo asettico, che dice tutto e in realtà non racconta nulla. Io cerco di mantenere buoni rapporti con tutti e coltivare i contatti per saperne di più. Gli addetti stampa fanno quello che possono, ma spesso gli input per imporre un simile distacco arrivano dai vertici dei team. Certamente lavorare in questo modo è sempre più difficile.
Marco Cannone ha corso 4 anni da pro’, anche su pista. E’ anche responsabile allievi per la Fci lombardaMarco Cannone ha corso 4 anni da pro’, anche su pista. E’ anche responsabile allievi per la Fci lombarda
Cannone, l’uomo della pista
Marco Cannone è l’uomo deputato a raccontare gli eventi del ciclismo su pista e, in questo caso, la penalizzazione del non essere nel velodromo pesa.
«Le gare su pista – spiega – vanno vissute sul posto, questo è innegabile. Basti guardare la madison: io l’ho praticata e so che, più che i corridori in gara, capisci la corsa guardando quelli che attendono il cambio e il loro modo di muoversi. Anch’io cerco di sfruttare le conoscenze, per fortuna ho buoni rapporti con i tecnici e gli atleti e cerco sempre di sondare il terreno al mattino, per capire fino a poco prima dell’inizio di ogni sessione gli umori e le novità».
Rispetto alla strada è più difficile?
Sì, perché nel ciclismo su pista tutto si fonda sulla tecnica, il racconto deve giocoforza cedere il passo ad aspetti tecnici che fanno la differenza e che non sempre sono fruibili dallo schermo. Un compito importante è però anche quello di trasmettere emozioni e far capire a chi segue quel che sta succedendo. La pista ha un impatto meno immediato rispetto alla strada e credo che la risposta positiva del pubblico dipenda proprio da questo.
Ilenia Lazzaro è stata ciclocrossista a livello internazionale. Alla Parigi-Roubaix ha fatto il suo esordio per Eurosport InternationalIlenia Lazzaro è stata ciclocrossista a livello internazionale. Alla Parigi-Roubaix ha fatto il suo esordio per Eurosport International
Lazzaro, la prima chiamata a viaggiare
Da parte sua Ilenia Lazzaronon è più solo la voce dell’offroad: ormai la veneta è impiegata su tutto, ha anche avuto esperienze nel brand international di Eurosport e ha così potuto anche commentare sul posto. Nel suo caso l’aggiornamento è costante, attraverso contatti con quell’ambiente frequentato fino a pochissimi anni fa ma anche continuando a studiare.
«E’ vero – dice – studiare è la parola giusta: bisogna tenersi informati attraverso giornali e siti ogni giorno, mantenere rapporti con l’ambiente. Io sto anche studiando il fiammingo per riuscire a seguire in tempo reale l’informazione che arriva dai siti belgi e olandesi».
Nel mondo femminile i contatti sono più semplici?
Anche qui cominciano a essere diradati, alcune squadre pongono sempre più paletti. Inoltre ci sono team che non riescono a capire quanto sia importante mantenere rapporti con chi informa, perché la visibilità arriva proprio da chi scrive o commenta. Lavorando all’estero ho visto bene quanto il contatto diretto sia importante, poi venendo dal ciclocross ammetto che la conoscenza diretta di personaggi come Van Aert o Van Der Poel, costruita negli anni anche prima che arrivassero alla strada, dà i suoi vantaggi.
Moreno Moser ha lasciato l’attività solo 2 anni fa, ma da allora ha già riscontrato molti cambiamentiMoreno Moser ha lasciato l’attività solo 2 anni fa, ma da allora ha già riscontrato molti cambiamenti
Moser e il ciclismo che cambia
Ultimo entrato nel gruppo, Moreno Moser adotta un approccio un po’ diverso, pur essendo quello che da meno tempo ha lasciato l’attività.
«I contatti con il gruppo aiutano – dice – ma cerco di non essere troppo addosso ai corridori, li chiamo quando serve. La cosa che ho notato è che il mondo del ciclismo cambia davvero in fretta, tante cose sono già diverse rispetto a quando correvo io e si tratta di un paio d’anni, non di più. Per questo sono sempre restio a dare risposte nette ai quesiti degli amatori che ci seguono quando chiedono di preparazione, alimentazione o altro, perché non ci sono risposte univoche, ogni squadra, ogni corridore ha le proprie».
Quanto è importante questo contatto diretto con gli spettatori, che vi parlano attraverso i social mentre siete in diretta?
Credo che sia fondamentale, ma è anche un’anticipazione di quella che sarà la televisione del futuro, sempre più interattiva in tal senso. Bisogna però che si mantenga sempre un equilibrio, seguire quel che gli amatori dicono ma anche anticiparli e fornire loro sempre nuovi stimoli. Non è facile, ma è fondamentale uscire sempre dai soliti discorsi e raccontare quel che vediamo da angolature sempre differenti. E’ così che catturiamo l’attenzione.
Abbiamo ritrovato Agostini, grande speranza del ciclismo italiano. Smise di correre per una pomata, ma covava un malessere di cui ora parla apertamente
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