Pogacar Tirreno 2022

Se Pogacar è come Merckx, gli altri corrono per il secondo posto?

17.03.2022
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Le parole rilasciate alla stampa qualche giorno fa da Lefevere hanno aperto una visione diversa sul clamoroso avvio di stagione di Pogacar. All’indomani del trionfo dello sloveno alla Tirreno-Adriatico, il patron della Quick Step aveva sentenziato non senza un pizzico di mestizia: «Quando è passato pro’, si diceva che Remco Evenepoel fosse il nuovo Merckx, ma la verità è che questi è Pogacar».

E’ chiaro che fare i paragoni fra corridori di epoche diverse è sempre improponibile, ma qualcosa che accomuna campioni così lontani nel tempo c’è, soprattutto quest’anno che il corridore del Uae Team Emirates sembra non lasciare che le briciole ai suoi avversari ed è dato proprio dall’atteggiamento di questi ultimi. Rispetto agli anni scorsi, sembra che essi si sentano battuti in partenza, che quando Tadej scatta non se la sentano di rispondere (foto di apertura alla Tirreno-Adriatico) e inizino già a pensare al secondo posto.

Parsani 2021
Serge Parsani ha vissuto l’epopea di Merckx e ora valuta Pogacar con l’esperienza del diesse
Serge Parsani ha vissuto l’epopea di Merckx e ora valuta Pogacar con l’esperienza del diesse

L’importanza della testa

Abbiamo preso quindi spunto da queste e altre considerazioni per confrontare i due campioni. Non per entrare nel merito di chi sia più forte, ma per capire come venivano e vengono affrontati. Serge Parsani ha condiviso i suoi primi anni in carovana da corridore con Merckx, correndo assieme a Felice Gimondi. Oggi guida il Team Corratec dopo oltre trent’anni in ammiraglia, quindi può fare un raffronto.

«Sono corridori con un talento naturale – spiega – che hanno una marcia in più, ma soprattutto sanno come farla fruttare. La forza di Pogacar non è solo nelle gambe, ma nella testa. Sa ragionare in corsa e questo gli permette di scattare al momento giusto».

Che cosa accomuna due esperienze così lontane nel tempo? «A mio parere è la consapevolezza di avere al fianco un grande team. Merckx non era solo estremamente superiore agli altri, ma aveva a disposizione una squadra fortissima. Almeno 6 corridori sarebbero stati capitani in ogni altro team. Questo gli consentiva di viaggiare al coperto e al sicuro fino al momento nel quale decideva di fare la differenza. Ora anche Pogacar ha un grande team alle sue spalle e alla Tirreno-Adriatico si è visto. Questa è una differenza fondamentale rispetto a qualche anno fa».

Merckx De Vlaeminck
Merckx inseguito da De Vlaeminck: quando il Cannibale scattava, era davvero dura tenergli dietro…
Merckx De Vlaeminck
Merckx inseguito da De Vlaeminck: quando il Cannibale scattava, era davvero dura tenergli dietro…

Tutto nasce dal Tour 2020

Parsani entra più nello specifico: «Io credo che allo sloveno sia servito molto il primo Tour – dice – quello vinto praticamente senza squadra. Lo ha aiutato a crescere mentalmente. Allora doveva togliersi le castagne dal fuoco da solo, ora ha compagni in grado di aiutarlo fino a quando serve e questo gli dà sicurezza. Ma non basterebbe se non avesse lui la capacità di ragionare e “leggere” la corsa in ogni momento».

Qual è però l’atteggiamento degli avversari? «Un po’ quella sensazione di impotenza c’è. C’era anche ai tempi di Merckx – ammette – ma non posso dire che Gimondi ad esempio partisse battuto, cercava sempre di lottare e infatti le sue grandi vittorie se le è prese. Il fatto è che quando Merckx scattava era come buttare un sasso in uno stagno con i pesci che fanno il vuoto. Si apriva gli spazi dietro di lui. Stringeva i cinghietti e capivamo che di lì a poco sarebbe finita…».

Pogacar Almeida 2022
Pogacar con Majka e Almeida, fondamentali ora nelle sue vittorie
Pogacar Almeida 2022
Pogacar complimentato da Almeida, un’altra pedina importante nello scacchiere Uae

Gli altri non vincono così…

Avviene lo stesso con Pogacar? «In questo momento sì – prosegue Parsani – perché collimano tante cose: la forma fisica e mentale, il morale, anche la fortuna. Tutto ciò gli dà la convinzione per tentare imprese come quella della Strade Bianche. Chi lo guardava pensava che fosse una pazzia, invece…

«Anche Roglic vince, ma non allo stesso modo. A Siena, ad esempio, Pogacar ha vinto anche di testa. Sapeva che nel gruppo ormai quasi tutti erano isolati, al massimo potevano avere un compagno e quindi trovare un accordo per l’inseguimento sarebbe stato difficile. E’ come con la Formula Uno: sai che la Mercedes ha il motore più potente e quindi le possibilità di vincere per gli altri scendono notevolmente».

L’idea di Adorni

Eppure… A ben pensarci, proprio la storia di Merckx insegna che anche contro lui che vinceva dalla grande classica alla corsetta in circuito, si poteva sperare. Una considerazione che fa parte dei ragionamenti di Vittorio Adorni, che ci ha corso insieme e lo ha poi guidato dall’ammiraglia.

«C’erano anche giorni che non era in condizione – dice – che in un grande Giro veniva da noi a dire che aveva mal di gambe e a chiederci di aiutarlo. Ricordo quando lo conobbi. Arrivò in squadra dopo il ritiro pre-stagionale perché si era sposato, ma vidi subito che, anche se non aveva le nostre ore di preparazione, aveva qualcosa in più. Al Giro lo misero in camera con me ed ebbi modo di parlarci: aveva una forza fisica soverchiante, ma doveva crescere come testa. Ogni mattina ci diceva “io attacco”: noi a frenarlo, a dirgli di aspettare e in corsa ce lo chiedeva di continuo se era il momento. Poi, quando andava via, faceva il vuoto».

Adorni Faema
Adorni alla Faema, dove accolse un giovanissimo Eddy Merckx
Adorni Faema
Adorni alla Faema, dove accolse un giovanissimo Eddy Merckx

Nessuno è imbattibile

L’aspetto mentale, già sottolineato da Parsani, è fondamentale anche per Adorni nel vedere le imprese di Pogacar.

«Ha una potenza fisica enorme – dice – ma si vede soprattutto che corre con tranquillità, divertendosi. Lui “sente” la corsa, percepisce sempre la situazione e la condizione degli avversari e questo gli permette di attaccare quando sa che può scaturirne qualcosa d’importante. Si conosce bene, sa che cosa il suo motore può dargli».

Fin qui Pogacar, ma gli altri? «Gli altri soffrono, perché non riescono a capire se e quando lo sloveno va in difficoltà. E bisogna considerare anche che, nel caso, adesso c’è un team che può supportarlo al meglio. E’ chiaro poi che vittoria dopo vittoria crescono la sua consapevolezza e il suo entusiasmo, mentre si affievoliscono quelli degli avversari, anche inconsciamente. Inoltre quest’anno Tadej ha dimostrato che può vincere in vari modi e fare la differenza sia in salita che in pianura, proprio come faceva Eddy».

Non c’è quindi spazio per cambiare lo spartito? «Al contrario – ribatte Adorni – come ho detto, non sempre tutto fila liscio. Per vincere deve collimare tutto. Ora è soverchiante, ma che cosa succederà quando di fronte a un avversario al top lui sarà non al meglio? Come si gestirà? Le cose possono cambiare da una corsa all’altra e questa è la bellezza del ciclismo».

Molteni 2021

Da Merckx alla Fondazione: metamorfosi Molteni

14.12.2021
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Ci sono immagini che restano stampate indelebilmente nella mente di un appassionato di ciclismo. Eddy Merckx in maglia Molteni è una di queste, anche perché con quella maglia il Cannibale vinceva tutto. Il nome Molteni grazie al belga ha fatto il giro del mondo, in una storia che dal 1958 al 1976, anno della chiusura della squadra, ha contrassegnato lo sport delle due ruote. Anche chi non ha vissuto quelle epiche stagioni sa che cos’era la Molteni. Forse di rimando sa anche che era il nome di un’azienda di salumi famosa nel mondo e che ha chiuso i battenti nel 1986.

Mario e Pierangela, per ragioni anagrafiche, hanno vissuto quell’epopea “di striscio”: «Io ricordo bene però le volte che mio padre Pietro ci portava alle gare – racconta Mario – trasmettendomi quell’amore per il ciclismo che è rimasto sempre con noi. In quel quasi ventennio abbiamo ricevuto tantissimo, era un dovere per noi restituire qualcosa a questo meraviglioso mondo: per questo è nata la Fondazione Ambrogio Molteni, in onore di mio nonno che fondò la squadra».

Merckx Sanremo 1976
Una delle tantissime prestigiose vittorie di Merckx in maglia Molteni: è la Sanremo del 1976
Merckx Sanremo 1976
Una delle tantissime prestigiose vittorie di Merck in maglia Molteni: è la Sanremo del 1976

Serlini, storia di dolore e speranza

La Fondazione è nata nel 2018, in una lussuosa serata a Londra non solo per celebrare i 60 anni della nascita di quello storico team, ma per dare un concreto aiuto a persone che hanno vissuto di ciclismo e che per varie ragioni sono diventate deboli al cospetto della vita, bisognose di un sostegno.

«Noi siamo sempre rimasti proprietari del marchio Molteni – prosegue Mario – anche se l’azienda con quel nome non esiste più (in realtà la famiglia ha un altro piccolo salumificio a Milano, con altro nome, ndr). Da più parti ci sono sempre arrivate richieste di sponsorizzazione, ma non era quello che ci interessava. Volevamo qualcosa di diverso, teso a dare un aiuto concreto a chi davvero ha necessità».

Il primo caso, nel 2019, è stato quello di Angelo Serlini, bresciano classe 1998, campione lombardo esordienti su pista, un futuro che poteva essere radioso sulle due ruote ma che si è spezzato il 17 novembre 2012 per un terribile incidente in Mtb. Rimasto in coma due settimane, con le speranze dei familiari che si scontravano con la realtà dello stato vegetativo al quale sembrava condannato, nel 2013 Angelo ha ricominciato ad affacciarsi alla vita, riguadagnandone ogni giorno un pezzetto, ma le cure sono costose e la sua voglia di vivere aveva bisogno di un sostegno, che la Fondazione ha deciso di dargli.

Molteni 1970
Lo schieramento della Molteni 1970: si riconoscono davanti a tutti, da sinistra Michele Dancelli e Marino Basso
Molteni 1970
Lo schieramento della Molteni 1970: si riconoscono davanti a tutti, da sinistra Michele Dancelli e Marino Basso

Diciotto anni di grandi nomi

«Nel 2020 – riprende Mario- abbiamo aiutato un ex pro’, del quale per comune decisione abbiamo deciso di non rendere nota l’identità, che aveva problemi di cuore che gli hanno fatto perdere l’impiego. Quest’anno stiamo valutando un impegno diverso, più allargato. Chi ha un grave incidente in bici per lavoro è sostenuto e risarcito dallo Stato, ma a chi accade per altre ragioni? Noi siamo convinti che la bici sia uno stupendo strumento per fare sport, per difendere la nostra salute. Per questo vogliamo mettere in dotazione delle E-bike per coloro che ne hanno bisogno. Non passiamo per enti o associazioni, vogliamo fare del bene senza terzi, provvedendo direttamente».

La storia della Fondazione è ancora recente, ma in casa Molteni le idee da mettere in pratica sono tante: «Sempre nel segno della beneficenza, perché oggi per noi lo sport deve essere questo, le nostre soddisfazioni agonistiche le abbiamo in grande quantità, non solo con il grande Eddy: con la maglia Molteni sono passati campioni come Motta e Dancelli, Rudy Altig ci ha vinto un campionato del mondo, poi arrivò Merckx alla fine del suo rapporto con la Faema, portando il suo nucleo belga e il nome Molteni divenne famoso in tutto il mondo. Ora è il momento di dare, abbiamo ricevuto abbastanza».

Molteni Eroica
Un tributo speciale alla maglia Molteni, indossata per l’occasione all’Eroica 2019
Molteni Eroica
Un tributo speciale alla maglia Molteni, indossata per l’occasione all’Eroica 2019

La tragedia di Van Looy

C’è un caso che ha particolarmente colpito la famiglia Molteni, avvenuto dopo la nascita della Fondazione.

«Lo siamo venuti a sapere a cose fatte – spiega Mario Molteni – Frans Van Looy, gregario di Eddy, ci ha lasciato a 69 anni: aveva avuto il pignoramento della casa, non ha resistito all’umiliazione e si è tolto la vita. Lo scopo della Fondazione deve essere quello di impedire che eventi così tragici avvengano, per persone che hanno dato tanto al nostro sport e che meritano un aiuto. Noi ci mettiamo tutta la buona volontà, ma oltre ai soldi vogliamo anche dare un messaggio, perché insieme si può fare molto di più, per questo chi può darci una mano deve solo collegarsi al nostro sito».

La storia di quella squadra è stata messa nero su bianco in un libro, “Molteni, storia di una famiglia e di una squadra”, edito dalla Prima Pagina Edizioni. Il costo di 50 euro sarà interamente devoluto alla Fondazione per gli scopi sopra citati, come anche l’acquisto della storica maglia Molteni, appositamente riprodotta.

Molteni Merckx 2019
Eddy Merckx tra Pierangela e Mario Molteni alla presentazione della Fondazione nel 2019 a Milano
Molteni Merckx 2019
Eddy Merckx al fianco di Mario Molteni alla presentazione della Fondazione nel 2019 a Milano

Essere sponsor oggi

Mario comunque non si è allontanato dal mondo del ciclismo attuale, che segue sempre con la stessa passione di allora, anche se le differenze sono enormi.

«E’ un altro mondo – dice – un tempo si correvano le 6 Giorni per preparare la Milano-Sanremo, poi si andava alle Classiche del Nord, al Giro d’Italia e così via. Oggi si prepara un dato appuntamento e per quello si comincia a correre già da gennaio, supportati da figure come preparatori, nutrizionisti, manager che ai tempi della Molteni non c’erano e non erano neanche ipotizzabili. Era un altro ciclismo».

Guardando le imprese dei campioni di oggi, c’è un po’ di nostalgia? «Più che altro c’è la consapevolezza che quello di oggi è un ciclismo iperspecializzato e decisamente troppo costoso non solo per le nostre tasche. Trovare sponsor in Italia è davvero difficile, considerando la situazione generale e gli altissimi costi che comporta avere una squadra di alto livello com’era la nostra. Oggi per me la bici è compagna di passeggiate all’aria aperta, nulla più e va bene così».

Pogacar Lombardia 2021

Pogacar, il perché di una vera impresa

13.10.2021
5 min
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Se andiamo a guardare i numeri, emerge chiaramente come l’impresa di Tadej Pogacar al Giro di Lombardia gli abbia consentito di fare un concreto salto nella storia del ciclismo, affiancando Coppi e Merckx fra coloro che sono stati capaci di vincere un grande giro e due Classiche Monumento nello stesso anno. Sembra strano, ma proprio il fatto di avere conquistato una seconda classica dopo quanto aveva già fatto gli ha permesso di uscire da un gruppo folto, esattamente come avviene quando scatta appena la strada si rizza sotto le ruote.

Proviamo a spiegare meglio il concetto: vincere una grande corsa a tappe e una classica delle 5 considerate capisaldi del ciclismo (Sanremo, Fiandre, Roubaix, Liegi e Lombardia) è un fatto abbastanza comune. Nella storia ci sono riusciti in 46 e l’abbinamento fu normale già ai primordi, con Lucien Petit Breton, Maurice Garin ma anche Luigi Ganna.

Coppi 1949
Fausto Coppi nel 1949 vinse le tre grandi prove italiane: Sanremo, Giro e Lombardia, imitato solo da Merckx nel ’72
Coppi 1949
Fausto Coppi nel 1949 vinse le tre grandi prove italiane: Sanremo, Giro e Lombardia, imitato solo da Merckx nel ’72

Un abbinamento sempre più difficile

E’ pur vero però che ai tempi la concorrenza non era così elevata e men che meno la specializzazione, non è un caso se dei corridori attualmente in attività l’impresa sia riuscita solamente a gente come Nibali, Valverde e più recentemente ai due sloveni terribili, Roglic e per l’appunto Pogacar.

Il discorso diventa già più selettivo se chiediamo che queste vittorie siano arrivate nello stesso anno: l’elenco si restringe a 27 corridori. Il primo fu Petit Breton, che nel 1907 conquistò Milano-Sanremo e Tour de France. Qualcuno ci riuscì più volte: 6 Merckx (ma il Cannibale merita un discorso a parte), 3 Hinault e Binda, 2 Girardengo e Coppi, che però nel 1949 fu capace di un’impresa clamorosa: abbinare alla doppietta Giro-Tour anche i successi alla Sanremo e al Lombardia.

Perché lo chiamavano “il Cannibale”…

Entriamo così nel ristrettissimo novero dei vincitori di una grande corsa a tappe e due classiche. Detto di Coppi e Pogacar, resta il grande Eddy. Il campionissimo belga fu capace di farlo per ben 4 volte: nel 1969 portò a casa Sanremo, Fiandre, Liegi e Tour (e finì secondo a Roubaix…); nel ’71 Sanremo, Tour, Liegi e Lombardia; nel ’73 Roubaix, Liegi, Vuelta e Giro e perse la vittoria al Lombardia per la famosa squalifica. Ciò non bastasse, nel 1970 abbinò alla doppietta Giro-Tour anche il successo a Roubaix.

Il suo anno d’oro fu però il 1972: non solo ottenne un’altra doppietta Giro-Tour, ma condì il tutto con le vittorie a Sanremo, Liegi e Lombardia, finendo 7° nelle altre due classiche. Non corse la Vuelta, ma visto il suo strapotere, se l’avesse fatto…

Belloni 1920
Gaetano Belloni nel 1920 andò davvero vicino alla clamorosa tripletta
Belloni 1920
Gaetano Belloni nel 1920 andò davvero vicino alla clamorosa tripletta

Il problema della concorrenza

Riguardando le statistiche, emerge una curiosità. Fra coloro che andarono vicino alla grande impresa realizzata da Coppi, Merckx e Pogacar c’è Gaetano Belloni, ossia colui che è passato alla storia come “l’eterno secondo”. Nel 1920 realizzò la doppietta Sanremo-Giro (invero abbastanza comune, la Classicissima almeno nel secolo scorso era un viatico portafortuna per la corsa rosa) finendo terzo al Lombardia, battuto in volata da Brunero quando ormai Pellissier (uno dei tanti capace di vincere sia nel giorno solo che sulle tre settimane) era arrivato da 1’20”. Ma d’altronde Belloni è passato alla storia più per le sue sconfitte che per le vittorie…

Riuscirà Pogacar a elevarsi ancora di più? Merckx ne è convinto, avendo speso per lui parole di stima che non aveva mai pronunciato per nessuno, ma ci sono due fattori che rendono l’ulteriore impresa difficile: il primo è la concorrenza, forte nei grandi Giri (Roglic, Bernal, altri giovani rampanti) e fortissima nelle classiche (Van Aert, Van Der Poel, Alaphilippe e ne citiamo solo alcuni), ma quella va messa in conto e poi non è che Coppi e Merckx corressero contro nessuno…

Pogacar Merckx 2021
Tadej Pogacar ed Eddy Merckx: il campionissimo belga ha avuto parole lusinghiere per il suo erede
Pogacar Merckx 2021
Tadej Pogacar ed Eddy Merckx: il campionissimo belga ha avuto parole lusinghiere per il suo erede

Il secondo è forse ancor più problematico ed è dettato dai suoi programmi: seppur a parole Pogacar dica di essere affascinato da gare come il Giro d’Italia, il suo calendario è abbastanza statico. Il Tour è imprescindibile, Sanremo e Roubaix sono troppo lontane dalla sua mentalità per provarci davvero e questo, per chi ama il ciclismo e tifa per le grandi imprese a prescindere dalla bandiera, è un peccato.

Sorgà, abbiamo trovato il nuovo Merckx. Parola di Eddy

11.10.2021
5 min
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«Ho sentito parecchie volte il nome del nuovo Merckx, ma stavolta mi sa che l’abbiamo trovato davvero. Lui – dice il grande Eddy indicando Pogacar con lo sguardo – lo è per quello che ha fatto e che può fare. La prima volta che mi impressionò fu alla Vuelta di due anni fa. Fece una fuga di 35 chilometri con tutta la Movistar dietro che lo inseguiva e arrivò da solo. Poteva aver vinto la Liegi già lo scorso anno…».

Pogacar è parso a tratti in imbarazzo davanti alla maestà belga
Pogacar è parso a tratti in imbarazzo davanti alla maestà belga

Il nuovo Merckx

Pogacar arrossisce, un po’ fedele al copione e un po’ perché sedere accanto a Eddy Merckx che per la prima volta valuta l’ipotesi di passare lo scettro, provoca imbarazzo. Mattina di sole a Sorgà, presso Ciclostar, concept store Dmt nella pianura tra Verona e Mantova.

I due cannibali, 76 e 22 anni, sono riuniti nella stessa stanza e ieri hanno anche cenato insieme. L’idea di metterli insieme è notevole, anche se il giovane sloveno rifugge i paragoni. Eddy è serio, Tadej sembra in soggezione.

«Davvero – dice – non capisco perché si debbano fare certi paragoni. Perché devo essere il nuovo di un altro quando posso essere semplicemente me stesso?».

«Quando arrivai io – fa eco Merckx – si misero a parlare del nuovo Van Looy. Poi del nuovo Anquetil. Non mi ha mai dato fastidio, la stampa fa il suo lavoro…».

Ecco le tre scarpe Dmt per le tre maglie conquistate da Pogacar al Tour
Ecco le tre scarpe Dmt per le tre maglie conquistate da Pogacar al Tour

POGACAR: «Non è mai tutto facile, sulla bici soffro anche io, soprattutto quando vado via da solo. Poi ci sono i giorni magici come a Le Grand Bornand. Sono partito con pochi secondi. Spingevo regolare e a un certo punto ho cominciato a sentire che avevo un minuto, poi due, tre, quattro… Di solito divido la strada in settori intermedi per restare concentrato, con il mal di gambe e un po’ il divertimento.  Al Lombardia, in mezzo a tutto quel pubblico sull’ultima salita, ho pensato che fosse una figata. Poi la gente è finita e ho cominciato a sentire la stanchezza. Nella discesa è stato un mix fra divertimento e adrenalina, perché sapevo di giocarmi la vittoria».

MERCKX: «Quello che posso consigliarti è di tenere sempre i piedi per terra. Ogni anno dovrai dimostrare un po’ di più quello che vali. Lui lo sa benissimo – dice guardando verso la platea – e se rimane com’è, potrà vincere tante altre corse. Ha 22 anni, arriverà col tempo. Un giorno andrà anche al Giro d’Italia per vincerlo, senz’altro. Sono sicuro che lui il Giro lo vincerà».

POGACAR: «Tante altre corse, ma di sicuro non la Sanremo. Vincerla per sette volte come ha fatto Eddy è incredibile. Ma francamente non penso a cosa potrò ambire in futuro. Ogni corridore vuole vincere il più possibile, così anche io cerco di fare del mio meglio, lottando su ogni traguardo. Sarebbe divertente se continuasse sempre così, ma potrei anche avere un anno difficile. Anche io ho giornate negative. A Tokyo avrei preferito un’altra medaglia, la maglia iridata è la più bella e mi manca. Anche la maglia rosa».

MERCKX: «Tutti hanno dei punti deboli. Ma se ci sono carattere, mentalità giusta e voglia di fare la professione, non c’è crisi che tenga. E’ il migliore della sua generazione, la gente guarda le sue imprese. E forse era così anche per me. Oggi mi sento una persona normale che ha fatto una professione del suo hobby. Adesso però sono in pensione, mi godo i nipoti, che sono la cosa più importante».

POGACAR .«Anche io dopo il 24 conto di godermi un po’ la famiglia. Fino ad allora avrò impegni e il primo ritiro della squadra. Magari già con i compagni giocheremo un po’ a calcio, ci divertiremo. Per un po’ niente bici e loro saranno contenti. Di solito mi alleno forte o più forte, capisco che a volte li metto in difficoltà».

Merckx ha riconosciuto il valore di Pogacar e lo ha definito suo degno erede
Merckx ha riconosciuto il valore di Pogacar e lo ha definito suo degno erede

La sintesi di Cipollini

La sintesi la fa Cipollini, sbucato a sorpresa da dietro le quinte e restio a mettersi accanto ai due campioni.

«Non c’entro niente con loro due – dice – c’è una bella differenza tra vincere le volate e staccare tutti in salita. Come possiamo spiegare due fenomeni del genere? La natura a volte crea cose straordinarie. Loro sono degli eletti, cui la genetica permette di fare cose fuori dal comune. Se si abbina questo alla forza mentale, si capisce che non hanno limiti. Basta guardare i loro occhi quando gareggiano, lo vedi che cercano sempre un obiettivo davanti…».

Cipollini ha parlato dei due come di due miracoli della genetica
Cipollini ha parlato dei due come di due miracoli della genetica

La previsione di Merckx

Chiusura migliore non poteva esserci. Pogacar si ferma a parlare d’altro, prima di andare via con Alex Carera ed Andrea Noè che l’hanno accompagnato. Mentre Merckx fa per salire su un’auto dell’azienda. Il gruppo si disperde, per alcuni la stagione è agli sgoccioli. Per Pogacar è finita, dopo 60 giorni di corsa, la Tirreno, la Liegi, il Tour e il Lombardia.

«Perché dovrebbe durare poco?», dice Merckx prima di chiudere lo sportello: «Corre meno di quanto corressimo noi, che per guadagnare di più eravamo costretti a fare anche 100 corse all’anno. Lui è ben allenato, ha tutto per gestire il recupero. Non so come andrà la storia, ma almeno per questo non vedo grossi motivi di preoccupazione. Smetterà quando si sarà stancato di vincere…».

Tutti contro Merckx, ma Merckx non si piglia

18.07.2021
4 min
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Ci hanno provato tanti e in tutti i modi, ma finora Merckx non aveva mai immaginato di poter condividere la corona con un altro. Cederla mai. Quella con Lance Armstrong è stata un’amicizia, avendo visto crescere l’americano accanto a suo figlio Axel e certo nello strapotere del texano, il grande belga poteva aver visto la sua stessa protervia di certi giorni. Eppure dopo gli inizi, era stato chiaro che in ogni caso e pure senza le nefandezze che ne hanno spazzato la carriera, si sarebbe trattato di un dominio limitato al Tour de France e poco altro.

Al Tour del 1969, Merckx vinse sei tappe e le tre maglie, lasciando Pingeon a 18′ e Poulidor a 22′
Al Tour del 1969, Merckx vinse sei tappe e le tre maglie, lasciando Pingeon a 18′ e Poulidor a 22′

Remco si farà

Così ci hanno provato con Evenepoel, facendolo con troppa insistenza e per giunta alle spalle di Remco, che non ha mai avuto interesse a svegliare il leone addormentato. Ma in Belgio il ciclismo è religione e la cosa peggiore a un certo punto è l’integralismo di certe posizioni. Merckx infatti non l’ha presa bene. Essendo campione di scuola antica, sfrontato in bici ma rispettoso nel resto del tempo, si è sentito in dovere di rispondere.

«Dovrà migliorare su molti terreni – ha detto dopo il Giro d’Italia – ha vinto grandi classiche come San Sebastian, ma deve ancora imparare molto. A leggere certe interviste, sembra quasi che si senta arrivato, ma deve mangiare ancora molti panini. E’ andato al Giro d’Italia e forse lo ha sottovalutato. Non c’è niente di sbagliato, adesso l’ha capito: prima di correre, bisogna imparare a camminare. Ha detto bene Lefevere: miracoli non se ne fanno. Per me nel 1967 fu uno shock. Avevo corso la Parigi-Nizza e due volte il Midi Libre, ma nella terza settimana del Giro mi spensi, pur avendo vinto sul Blockhaus e uno sprint di gruppo. D’altro canto, mi piace molto Van der Poel. Secondo me, lui potrebbe diventare in futuro un corridore da Giri».

Evenepoel, da ragazzo intelligente qual è, non ha nemmeno provato a controbattere. «Eddy Merckx – si è limitato a dire, facendo l’inchino – ha il diritto di mettere chiunque al suo posto, visto il suo palmares».

Sul podio di Libourne, due giorni fa, Merckx ha applaudito Pogacar
Sul podio di Libourne, due giorni fa, Merckx ha applaudito Pogacar

Un sorriso per Cavendish

Questa volta… l’attacco è su due fronti. Da una parte c’è Cavendish, che oggi potrebbe battere il record delle tappe vinte al Tour. E poi c’è Pogacar che a 22 anni ha vinto la Liegi e il secondo Tour e dovunque vada, punta e vince. Lo sloveno non ha mai fatto proclami, stando alla larga dalla maestà belga. E forse proprio per questo, Eddy ha cominciato a guardarlo con occhi diversi.

«Non ho visto Cavendish per parecchio tempo – ha detto – ma ricordo che nel primo periodo alla Quick Step, durante i criterium a volte ha dormito a casa mia con alcuni altri corridori. Lui era l’unico che puliva la sua stanza. Non conosciamo molto del suo carattere, ma quello che mi è restato in mente è la sua grande gentilezza. Quanto al record, devo dire che dormo tranquillo e non ho incubi. Quel numero non è mai stato una fissazione, il ciclismo segue la sua strada. E’ tutto normale e persino divertente. Ciò che ha fatto è meraviglioso, il suo ritorno. Se può, deve divertirsi ancora. Però di certo non si possono paragonare le nostre vittorie. Lui potrebbe essere il più grande sprinter di tutti i tempi, ma le mie sono state ottenute in modo diverso, non ha senso neppure discuterne. Io ho fatto 2.800 chilometri in testa al gruppo, lui ne ha fatti sei».

La grandezza di Eddy fu anche in quella dei rivali: qui Gimondi. Per questo Pogacar ha bisogno di Bernal, Evenepoel e Roglic
La grandezza di Eddy fu anche in quella dei rivali: qui Gimondi. Per questo Pogacar ha bisogno di Bernal, Evenepoel e Roglic

L’abbraccio a Pogacar

La stilettata, portata col sorriso, introduce il discorso su Pogacar e questa volta Merckx è meno netto, forse perché ha riconosciuto uno sguardo vagamente simile e dei modi rispettosi che gli vanno a genio. E poi corre anche lui su una Colnago.

«Vedo in lui il nuovo cannibale – ha detto Eddy – se non gli succede niente potrà vincere certamente più di cinque Tour».

La maglia gialla, che si è ritrovato con il grande belga sul podio di Libourne, ha accettato di buon grado il complimento e poi ha fatto un passo indietro

«E’ un onore – ha detto – essere sullo stesso podio con Eddy Merckx. Lui è un eroe del ciclismo. Io non mi sento un eroe, ma spero di invogliare molti bambini a correre in bicicletta».

Se Eddy fosse stato sul podio della crono di ieri però, forse una battuta gliel’avrebbe mollata. Lui avrebbe fatto di tutto per vincerla. Come nel 1969, quando al pari di Pogacar vinse le tre maglie, ma portò a casa sei tappe e rifilò 18 minuti a Pingeon e 22 a Poulidor. La sua ammissione tuttavia è quasi un’investitura.

Monumento Ventoux

Quando c’è il Ventoux, non è mai una tappa qualsiasi

07.07.2021
5 min
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Il Mont Ventoux, chiamato anche Monte Calvo (sapete che la sua prima ascensione conosciuta è attribuita al Petrarca nel 1336?) è un appuntamento principe per il Tour de France, eppure nella sua lunga storia la Grande Boucle ha affrontato la durissima salita provenzale solamente 16 volte, 10 delle quali prendendo la sommità come punto di arrivo della tappa. Ma ogni volta, il Ventoux ha fatto sentire i suoi effetti sulla classifica e non solo…

Tra i 15 e i 21 chilometri di scalata, con pendenza media del 7,7 per cento ma punte che vanno oltre il 20, il Ventoux ha soprattutto due caratteristiche che lo rendono unico, in alternativa se non addirittura insieme: il vento estremamente forte e il gran caldo. Un caldo terribile, soprattutto nella parte finale della salita, quando l’asfalto viene reso incandescente dal sole estivo e trasmette tutto il suo calore a chi transita. Basti pensare che spesso anche i motori dei mezzi al seguito hanno pagato un pesante dazio…

Si parla di Mont Ventoux e la memoria non può non tornare a quel maledetto giorno del 1967: Tommy Simpson, 29 anni, si gioca moltissimo in quella tappa. Era partito per il Tour con l’obiettivo di vincerlo, anche perché stava per concretizzarsi un danaroso passaggio dalla Peugeot (dove volevano investire su un certo Eddy Merckx) alla Ignis, ma serviva una grande impresa. Quel giorno, il 13 luglio, fa molto caldo: alle pendici della salita Simpson sente che la gamba non è delle migliori, ma non può tirarsi indietro.

Merckx Tour 1972
Un tris d’assi nella scalata al Ventoux nel 1972: da sinistra Ocañåa, Merckx e Poulidor
Merckx Tour 1972
Merckx Tour 1972Un tris d’assi nella scalata al Ventoux nel 1972: da sinistra Ocañåa, Merckx e Poulidor

Caldo, alcol, anfetamine…

Chiede acqua ai suoi gregari: non ce n’è. Un compagno si ferma in un bar e prende l’unico liquido disponibile: una bottiglia di cognac… Simpson ne beve poco, ma sarà letale perché subito dopo ingoia una delle pasticche di anfetamine che ha acquistato la sera prima per 800 sterline. Il mix ha un effetto deflagrante: Simpson inizia a procedere a zigzag, consumato dentro e fuori. Cade, viene rimesso in sella, ricade: non si rialzerà più (nella foto di apertura il monumento a lui dedicato lungo la salita, nel punto in cui morì).

Quella era la sesta volta che il Ventoux veniva affrontato: la prima nel 1951, l’ultima nel 2016 prima dell’edizione in corso. Se si va a guardare la storia della Grande Boucle, si scoprirà che molto raramente sono emersi dei puri carneadi. Ad esempio nel 1958, prima volta che il Ventoux è stato sede finale di tappa, la spuntò Charly Gaul. Era una cronoscalata e il lussemburghese mise in fila i suoi rivali mentre l’anziano campione di casa Raphael Geminiani andava a conquistare la maglia gialla. Il Tour lo vincerà però Gaul, davanti a Vito Favero (al suo debutto al Tour, in giallo proprio fino al Ventoux) e allo stesso Geminiani.

Pantani Ventoux 2000
Armstrong e Pantani: una sfida appassionante al Tour de France del 2000
Pantani Ventoux 2000
Armstrong e Pantani: una sfida appassionante al Tour de France del 2000

La fame infinita di Merckx

Poteva mancare il nome di Merckx? Nel 1970 il Cannibale conquista la sua settima vittoria di tappa (una nella cronosquadre) e prima della fine ne coglierà altre due. Alla fine il suo vantaggio sul secondo, Joop Zoetemelk è di 12’41”, perfino ridotto vista la sua schiacciante superiorità mostrata giorno dopo giorno. Due anni dopo a svettare sul Monte Calvo è il francese Bernard Thevenet, ma è solo l’avvisaglia di quello che sarà capace di fare: il simbolo del primato è ancora di Merckx, che vincerà “accontentandosi” di 6 vittorie parziali.

Due imprese sono legate al nome di Pantani: la prima è indiretta, nel 1994, quando Eros Poli va a conquistare il successo a Carpentras dopo aver svettato per primo sul Ventoux, lui che scalatore non era proprio. Alle sue spalle Pantani in maglia Carrera attacca dal gruppo e stabilisce un record di scalata. Sei anni dopo Marco mette la sua firma da specialista, uno dei più grandi della storia, vincendo al termine di un’epica sfida con Lance Armstrong. Anche l’albo d’oro di quel Tour, come gli altri sei conquistati dal texano, ha una barra sul nome de vincitore, ma resta indimenticabile nella memoria di chi ha avuto la fortuna di assistere.

Froome Ventoux 2016
La bici è a terra inutilizzabile e Froome inizia a correre: c’è una maglia da difendere…
Froome Ventoux 2016
La bici è a terra inutilizzabile e Froome inizia a correre: c’è una maglia da difendere…

Maratoneta per 600 metri…

Ultimo in questa galleria di personaggi è Thomas De Gendt, primo nel 2016. Una vittoria al termine di una delle sue proverbiali fughe con le quali si è costruito una carriera niente male. Più che la sua vittoria con 2” sul compagno d’avventura Pauwels, di quel giorno si ricorda la vicenda nella quale è incorso Chris Froome: il britannico, già maglia gialla, a un chilometro dal traguardo cade insieme a Porte e Mollema. La sua bici è distrutta, il tempo scorre, così il corridore della Sky si improvvisa podista e comincia a correre verso il traguardo. Più avanti gli danno una bici dell’assistenza, ma è troppo piccola, giù e di nuovo a correre.

A 400 metri ecco la bici dall’ammiraglia, ma ormai il traguardo è lì. La classifica dice che la maglia è persa, va al connazionale Adam Yates, ma dopo vibranti proteste il distacco viene neutralizzato e Froome torna in testa. Particolare curioso: oggi in quel che era il team Sky milita proprio Yates (che tuttavia non è presente al Tour), non più Froome.

Pogacar Liegi 2021

Pogacar come Merckx? Parola a Saronni che li conosce…

18.06.2021
4 min
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Pogacar come Merckx. Il paragone può sembrare azzardato, irriverente, esagerato, però è un fatto che lo sloveno sta diventando una sorta di “re mida” del ciclismo: dove va, vince. Che siano grandi Giri o gare a tappe brevi, grandi classiche o prove locali, il denominatore è uno solo, il suo arrivo a braccia alzate. Alla faccia della specializzazione e anche di quei sottili equilibri che regnano fra i corridori e le squadre, dove ognuno reclama un pezzetto di spazio.

Giuseppe Saronni, che fa parte dell’Uae Team Emirates e in certi momenti una sorta di Pigmalione per lo sloveno, con Merckx ci ha corso e quindi è la persona ideale per fare da ponte fra i due periodi: «Era il ‘77, io entravo nel mondo professionistico e lui stava per lasciarlo, facemmo insieme il Giro di Sardegna e qualche altra gara, poi a metà stagione si ritirò. Non era certo il Merckx dei bei tempi, ma aveva ancora un carisma enorme».

Saronni Ulissi 2019
Saronni con Diego Ulissi, secondo al Giro di Slovenia aiutando Pogacar a conquistare il successo pieno
Saronni Ulissi 2019
Saronni con Diego Ulissi, secondo al Giro di Slovenia aiutando Pogacar a conquistare il successo pieno
Il paragone ci può stare?

E’ azzardato, ma è un dato di fatto che siamo di fronte a un vero talento che fa di tutto per vincere, che lotta sempre per il massimo risultato. Tadej sa bene che il prossimo Tour sarà ben diverso da quello passato, perché l’atteggiamento degli altri nei suoi confronti sarà cambiato. Lo scorso anno ha vinto anche per errori altrui, che difficilmente verranno ripetuti: i team stanno cambiando le strategie in vista della Grande Boucle e bisognerà tenerne conto.

Resta il fatto che, in qualsiasi gara va, Pogacar vince, sembra non lasciare agli altri che le briciole, proprio come faceva il “cannibale”…

Beh, lui neanche quelle… – afferma Saronni ridendo – Eddy aveva uno strapotere tale da schiacciare tutto il mondo ciclistico, i corridori proprio non riuscivano a trovare spazi e prendevano quello che potevano. Anche in quel breve frangente che condividemmo le nostre strade, sentivo che i corridori facevano di tutto per staccarlo, per batterlo, era ancora un motivo di vanto anche se non era più il Merckx dei bei tempi.

Merckx Colnago
Merckx con Ernesto Colnago, oggi al fianco di Pogacar: un altro trait union fra due epoche
Merckx Colnago
Merckx con Ernesto Colnago, oggi al fianco di Pogacar: un altro trait union fra due epoche
Rapportando tutto questo a oggi e a Tadej?

Sono epoche troppo diverse: noi facevamo 120-130 giorni di gara, oggi al massimo si raggiungono gli 80. Merckx in un anno vinceva 50 gare, io ne vincevo 40, oggi Tadej che ne vince 15 scatena grandi discussioni come stiamo facendo noi ora. Chi vince tanto dà fastidio, è chiaro ma è anche normale che sia così e ciò comporta che gli altri ti corrano contro.

Anche altri vincono molto, ma Tadej riesce a farlo nei contesti più disparati, battendo gli specialisti delle classiche come quelli delle brevi corse a tappe…

Nelle corse in linea intervengono molti fattori e puoi anche cogliere le occasioni, soprattutto su certi percorsi, nei grandi Giri il discorso è diverso. Questo Tour sarà particolare, con un Roglic che ha corso meno e arriva più carico: magari nell’ultima settimana avrà ancora qualche scricchiolio, ma resta il grande antagonista. La Ineos ha la squadra più forte, ma non c’è il riferimento assoluto, hanno 4-5 corridori che possono però gestire la corsa. Sarà un Tour complicato e questo Tadej lo sa.

Pogacar Slovenia 2021
L’ultimo trionfo di Pogacar nel 2021, dominando nella sua Slovenia (foto Rai/Getty Images)
Pogacar Slovenia 2021
L’ultimo trionfo di Pogacar nel 2021, dominando nella sua Slovenia (foto Rai/Getty Images)
Come ci arriva?

Lui è sempre pronto, sempre di buon umore, con l’approccio giusto. Sarà fondamentale superare la prima settimana senza incidenti e fra questi inserisco ventagli, cadute, piccoli errori. Vedremo poi come interpretare la corsa: è un Tour diverso dallo scorso anno, con meno arrivi in salita, con molti chilometri a cronometro ma non con la cronoscalata del 2020 che sconvolse la classifica.

E come ci arriva la Uae? Si disse lo scorso anno che Pogacar aveva vinto pur senza avere un team all’altezza, ma quest’anno sembra una formazione diversa…

Molto dipenderà da loro: corridori come Majka, McNulty, Hirschi, lo stesso Formolo saranno utilissimi in pianura e in media montagna, ma sarà fondamentale che qualcuno di loro sia con Tadej quando nelle salite principali il gruppo dei migliori si assottiglierà, rimarranno in 12-15 e fra questi più uomini di Ineos, Lotto, Jumbo. Tadej non dovrà rimanere solo, perché non potrà rispondere a tutti. I ragazzi sanno che la conferma della maglia gialla passa anche per le loro ruote…

Baronchelli 2016

Baronchelli, storia di un italiano precursore di VDP

06.06.2021
4 min
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Domenica scorsa, nel giorno della chiusura milanese del Giro d’Italia, fra le manifestazioni collaterali era prevista una ciclopedalata pubblica: fra i tanti partecipanti uno era il più omaggiato, un signore quasi sulla settantina, ma che nulla ha perso dell’antico carisma, che ne aveva fatto uno dei campioni più amati a prescindere dai risultati: Giovanbattista Baronchelli.

«Era esattamente un anno, 7 mesi e 15 giorni che non salivo in bici», racconta, quasi la lontananza dalle due ruote sia stata una condanna e forse un po’ lo è stata, dopo aver chiuso il suo negozio di bici che ad Arzago d’Adda ha gestito per tantissimo tempo con suo fratello Gaetano, lo stesso che condivideva la sua attività agonistica: «Abbiamo chiuso il 25 ottobre 2019, appena prima che scoppiasse la pandemia. Dovevamo andare in pensione, ma ce ne siamo quasi pentiti visto quel che è successo e il boom del mercato ciclistico».

Il rimpianto è un po’ parte integrante della sua vita, anche ripensando alla sua carriera: «Ho lottato contro grandissimi campioni, sono stato secondo al mio primo Giro d’Italia facendo tremare un certo Eddy Merckx e secondo a un Mondiale dietro Bernard Hinault, ma è sempre secondo, chi lo ricorda? Nel ciclismo conta chi vince…».

Baronchelli Hinault 1980
Hinault davanti a Baronchelli, nel durissimo mondiale di Sallanches 1980, oro e argento
Baronchelli Hinault 1980
Hinault davanti a Baronchelli, nel durissimo .ondiale di Sallanches 1980, oro e argento

Ricordando il Lombardia

Se gli si chiede quali sono i ricordi più belli, Baronchelli non citerà quei pur eccezionali risultati: «No, sono legati al Giro di Lombardia che ho vinto due volte, la seconda arrivando da solo vicino al Duomo. Per un lombardo la “classica delle foglie morte” è tutto, farlo davanti al Duomo è unico, un sogno realizzato».

Pochi sanno però che Baronchelli, classe 1953, 58 vittorie in carriera, è stato un antesignano: avesse corso ora, sarebbe stato uno come VDP, Pidcock, Van Aert, pronto a passare da una disciplina all’altra: «Il fuoristrada mi è sempre piaciuto: facevo ciclocross d’inverno e quando stavo per chiudere la mia carriera, iniziò a diffondersi la moda della mountain bike. La trovavo molto più divertente del ciclismo su strada, poi era una parte importante delle vendite al negozio, così iniziai a praticarla e intorno a me si formò una squadra arrivata a oltre 120 iscritti».

Merckx Baronchelli 1974
Il podio del Giro ’74, con Baronchelli neoprò finito a 12″ da Merckx, terzo Gimondi a 33″
Merckx Baronchelli 1974
Il podio del Giro ’74, con Baronchelli neoprò finito a 12″ da Merckx, terzo Gimondi a 33″

Seconda carriera in Mtb

Nel corso degli anni (e sono stati tanti, una vera seconda carriera agonistica durata anche più della prima) Baronchelli ha collezionato un’infinita serie di vittorie in Mtb, divenendo un’autentica icona dell’Udace, ma quei successi hanno un sapore diverso, è come se stesse rubando qualcosa a qualcuno: «Mi allenavo giusto un paio di volte a settimana, uscendo alle 5 di mattina. Ci andavo più per stare con gli amici e incontrare clienti del negozio. Non m’importava vincere, m’importava esserci…».

Questa sua poliedricità gli è rimasta nel sangue e gli consente di guardare il ciclismo attuale con occhi diversi: «La padronanza del mezzo è fondamentale, a me dispiacque non aver potuto fare la pista, mi sarebbe servita molto. Oggi ad esempio Evenepoel è il maggior talento esistente, ma paga la totale mancanza di controllo del mezzo: al Lombardia, in quella curva a sinistra, avrebbe piegato per evitare il muretto. Al Giro erano caduti davanti a lui, ma gli è preso il panico ed è finito contro il guard-rail. In quell’attimo di secondo devi avere la freddezza di capire che è meglio piegare che andare dritto».

Che cosa dovrebbe fare allora il belga? «I suoi dirigenti dovrebbero affrontare il problema, fargli fare un anno intero di Mtb, in maniera intensiva, senza pretendere alcun risultato, perché ha vent’anni e può ancora imparare tanto. Così gli svanirebbe anche quella paura inconscia che gli è rimasta da quel maledetto giorno. Ma sono disposti a fare un simile investimento? Con me non avvenne…».

Evenepoel Lombardia 2020
Il recupero di Evenepoel al Lombardia 2020: una caduta frutto dei suoi problemi di guida
Evenepoel Lombardia 2020
Il recupero di Evenepoel al Lombardia 2020: una caduta frutto dei suoi problemi di guida

La scarsa pazienza dei dirigenti

Torniamo allora indietro nel tempo…: «Un mese dopo il Giro del ’74, quello della sfida con Merckx, caddi e mi spezzai l’omero in tre punti. Dovetti subire tre operazioni. Avrei dovuto ricominciare piano, ma alla Scic non erano di quest’avviso: iniziai il ’75 vincendo il Laigueglia e una tappa in Sardegna, ma arrivai al Giro spompato e alla fine presi anche l’epatite. Avevo chiesto troppo al mio fisico e mi presentò il conto».

Il ciclismo attuale, così variegato e che passa attraverso varie discipline, è una dimensione che gli piace molto, ma in Italia si fa fatica a tenere il passo: «Mancano gli sponsor, il problema è tutto lì. Ai miei tempi tutti i grandi, Merckx compreso, correvano per squadre italiane, adesso gli italiani vanno all’estero a fare i gregari. Il problema è che non ci sono proprio le aziende che possano investire nel ciclismo, la crisi economica del nostro Paese si fa sentire ancora tantissimo. Ma vedere gente come Caruso e Moscon che corrono per gli altri proprio non lo tollero…».

Il Giau spegne la luce di Remco, che non si arrende

24.05.2021
3 min
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Di colpo si è spenta la luce. La lezione è stata ben più pesante di quanto si aspettasse. Non è dato sapere se all’interno della squadra qualcuno lo avesse avvertito che sarebbe successo o fossero davvero tutti convinti che Remco Evenepoel, al primo Giro e dopo 9 mesi senza correre, sarebbe potuto durare più di dieci giorni ad alto livello. Con un po’ di sano realismo era logico aspettarsi che il giovane e fortissimo belga si sarebbe scornato contro la durezza dello Zoncolan, sebbene continuasse a lanciare proclami di cui oggi forse s’è pentito, mentre tutti intorno sembravano non rendersi conto che il ciclismo sia più serio di così.

E se sul Mostro friulano Remco si era dovuto inchinare senza tuttavia prostrarsi, il Giau e il freddo lo hanno portato brutalmente sulla terra, infliggendogli una lezione pesante come 24’05” di ritardo, dalla quale siamo certi che uscirà più forte. Secondo alcuni si ritirerà, ma conoscendo il suo orgoglio non ne siamo convinti per niente. Remco si rimetterà in sesto e magari proverà a vincere la cronometro di Milano.

A Montalcino, con Almeida che lo aspetta, ma lui è blocccato
A Montalcino, con Almeida che lo aspetta, ma lui è blocccato

Prove di bluff

«Perdere così tanto tempo – ha detto dopo la doccia e un bagno di realismo – dimostra che non ho fatto una buona tappa e che sentivo davvero la stanchezza alle gambe. Avevo già detto prima che non avevo aspettative rientrando in gara dopo quel lungo infortunio e con solo due mesi di allenamento, non credo che qualcuno pensasse che sarei potuto essere al massimo della forma per tre settimane».

In realtà il pensiero è stato avallato da dichiarazioni belle nella loro sfrontatezza. Ma se neppure Merckx al primo Giro riuscì ad andare oltre il 9° posto e due tappe vinte, sarebbe stato a dir poco incauto pensare che Remco avrebbe potuto fare meglio, in un ciclismo che nel frattempo ha visto impennarsi il livello medio delle prestazioni.

Sul Giau si è spenta la luce: eccolo da solo, con i migliori ormai lontanissimi
Sul Giau si è spenta la luce: eccolo da solo, con i migliori ormai lontanissimi

Fattore paura

E così fra i nodi venuti al pettine e le fasi su cui lavorare, dopo la paura di Montalcino, ora c’è la tenuta sulle grandi salite. Quel giorno in Toscana, proprio al rientro da un brutto incidente come il suo (ricordate cosa ci aveva detto al riguardo la psicologa Erika Giambarresi?), Remco che non aveva mai provato le strade bianche si è ritrovato a guidare ad alta velocità la bici che sembrava scappargli di sotto. Non è stato un problema di gambe, a giudicare dai watt espressi, ma di sicurezza nella guida che il trauma precedente ha reso anche più problematico.

«E’ stato un duro colpo – ha detto – ma allo stesso tempo è un processo di apprendimento che sono sicuro mi aiuterà in futuro. Sono felice per Almeida, che ha lavorato duramente per me negli ultimi due giorni e merita di essere tra i primi 10. Quindi d’ora in avanti aiuteremo lui nelle restanti tappe per raggiungere questo obiettivo».

Almeida ringrazia. Dice di aver corso per vincere la tappa. E chissà se pensa allo sfogo di qualche giorno fa, quando accusò la squadra di averlo fermato per aspettare Remco che non andava avanti. Il giorno dopo era tutto sanato. E da qui inizia un altro Giro per la Deceuninck-Quick Step.