GF Alé La Merckx, a Verona fra passione e grande ciclismo

15.04.2023
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Il 10 e 11 giugno nella splendida e romantica cornice di Verona andranno in scena due giornate di ciclismo per gli amanti della bicicletta. La regina del weekend sarà la Gran Fondo internazionale Alé La Merckx. Un evento ciclistico unico che ogni anno attira granfondisti da ogni parte del mondo, portandoli a pedalare dal cuore della città veneta, sui monti e le colline della Lessinia, tra malghe e vigneti, fino all’arrivo in località “Le Torricelle”. Fianco a fianco degli atleti professionisti vestiti dal marchio Alé che è organizzatore dell’evento. 

Ad accompagnare la GF ci saranno attività inclusive per chi pedalerà senza attaccare il numero sulla schiena. Per i più piccoli la “Sprint Giovanissimi“, oppure attività che coinvolgono accompagnatori, amici, famiglie dei partecipanti, con l’opportunità di mettersi in gioco, divertirsi e partecipare attivamente durante il weekend dell’evento, uniti dalla passione per la bicicletta.

Non mancano i saliscendi per misurarsi a suon di pedalate
Non mancano i saliscendi per misurarsi a suon di pedalate

Un luogo romantico

Il teatro o meglio dire l’arena che accoglierà la Alé La Merckx sarà Verona. Infatti la bella e maestosa Piazza Bra, sulla quale si affaccia la celebre Arena di Verona, si trasforma nel palcoscenico perfetto per ospitare la partenza delle gare di medio fondo e gran fondo.

Dopo aver superato la lapide in memoria di Shakespeare che recita “Non esiste mondo fuor dalle mura di Verona…”, i partecipanti dei due percorsi pedaleranno insieme per circa 60 chilometri, prima tra le vie della città scaligera costeggiando i suoi Bastioni Austriaci, poi lungo i magnifici percorsi che si snodano nei territori della Provincia di Verona, tra le meraviglie della bassa Valpolicella, i curatissimi vitigni dei più pregiati vini veneti e i borghi storici pedemontani. 

I patecipanti potranno scegliere tra due percorsi: il lungo di 129 chilometri con un dislivello di 2.600 metri e il medio di 82 chilometri con un dislivello di 1.450 metri. Inoltre la 16ª edizione della granfondo ciclistica Alé La Merckx, sarà anche tappa unica europea per l’assegnazione delle maglie del Campionato Granfondo Mediofondo dell’Union Européenne de Cyclisme (UEC).

Il percorso

A rendere iconica questa Gran Fondo c’è la lunga salita di 18 chilometri dove in omaggio al campione Eddy Merckx, è stato inserito il tratto cronometrato denominato “la salita del Cannibale”.

Il percorso offre un’infinita e preziosa selezione di luoghi unici che il territorio veronese regala agli occhi appassionati dei ciclisti. Il panorama non smette di stupire neanche quando si pedala a cavallo della dorsale: lo sguardo spazia senza limiti dall’alto verso il basso in direzione sud su una parte della Pianura Padana in direzione nord verso le creste dei Monti Lessini e del Monte Baldo dove si intravede in lontananza il Lago di Garda. Raggiunto il paese di Ronconi, i ciclisti sono accolti da una lunga discesa tecnica che richiede attenzione e prudenza e porta verso la Valpantena. Ecco che qui, dopo circa 60 chilometri dalla partenza, le strade del Lungo e del Medio si dividono al bivio tra lungo e medio.

Il gran finale si inoltra nella città di Verona, nel quartiere di Borgo Venezia (così chiamato perché rivolto verso la città lagunare), per poi raggiungere l’agognato traguardo che, per entrambi i circuiti, è fissato in salita, in località “Le Torricelle”. Lungo 4,5 chilometri, con una pendenza media di poco meno del 5%, questo celebre tratto finale è stato inserito nel percorso dei Mondiali di Ciclismo del 1999 e del 2004, oltre che del Giro d’Italia.

Romeo, Giulietta e i giovanissimi

Un’edizione ricca di novità. E’ infatti in arrivo la “Romeo e Giulietta”, una pedalata gratuita di circa 31 chilometri che, da quest’anno, sarà aperta a tutti. Prevista per sabato 10 giugno, precederà la gran fondo, snodandosi lungo un percorso tutto nuovo, con partenza alle 9.30 dall’Area Expo dell’evento, in via Pallone. Si tratta di un’iniziativa inclusiva a 360°, anche grazie alla collaborazione con il C.E.R.R.I.S., che aiuta e supporta molti ragazzi disabili, anche attraverso la pratica sportiva. Per loro, è stato pensato un percorso ad hoc più breve.

L’impegno di Alè passa anche dai più piccoli, con l’organizzazione degli “Sprint Giovanissimi”.  Anch’essi previsti per sabato 10 giugno, sono invece una manifestazione dedicata ai piccoli atleti in età dai 7 ai 13 anni, dalla categoria G1 alla G6. Sarà possibile iscriversi alla Sprint, dal 26 maggio all’8 giugno, unicamente tramite Fattore K, il portale KSport della Federazione Ciclistica Italiana. Le iscrizioni sono aperte solo alle società venete per un massimo di 150 piccoli atleti.

I percorsi si snodano tra i panorami veronesi
I percorsi si snodano tra i panorami veronesi

Pedalare insieme

Altra iniziativa che accompagnerà la Gran Fondo Alé La Merckx, sarà la “Griglia Scaligera”. Consiste in una griglia speciale che non concorre a premiazione, ideata per rispondere ad un’esigenza spontanea manifestata da molti cicloamatori. Quella di pedalare in assoluta sicurezza, privi di tensioni di sorta, ansie di classifica o stress “da gara”, godendosi la magnificenza del paesaggio circostante e le bellezze scenografiche dell’autorevole palcoscenico veronese.

Un format particolare all’interno della gara stessa, che si avvarrà della compagnia di alcuni ex ciclisti professionisti d’eccezione che “scorteranno” i partecipanti dispensando anche qualche consiglio tecnico. Novità di quest’anno è l’inserimento delle e-bike: al momento dell’iscrizione online, i partecipanti dovranno segnalare il tipo di bici con cui affronteranno la “Griglia Scaligera”. Per poter iscriversi è inoltre necessario appartenere ad una squadra oppure fare in loco la tessera giornaliera assicurativa (al costo di 10 euro) ed essere dotati della copia originale del certificato medico agonistico valido alla data della manifestazione.

L’edizione 2023 della GF non sarà però solo ciclismo: durante la mattinata della competizione, sarà proposto un tour guidato (in lingua italiana e inglese) gratuito per tutti gli accompagnatori dei ciclisti in gara, alla scoperta delle bellezze di Verona.

AléLaMerckx

EDITORIALE / De Rosa e l’italiano che non ci basta più

27.03.2023
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Anche se ormai sembra impossibile fare un discorso privo di termini inglesi, quasi che il ricchissimo dizionario di italiano improvvisamente non basti più, c’è stato un tempo in cui tutto ciò che fosse tricolore era vanto e ispirazione. Nel ciclismo soprattutto. La scomparsa di Ugo De Rosa, che se ne è andato ieri a 88 anni (in apertura, foto De Rosa), è diventata l’occasione per ripercorrere gli ultimi 30 anni di storia della bicicletta, intensi come una lunga volata.

L’azienda è ora sulle spalle di Cristiano e Danilo De Rosa e dei loro figli (foto De Rosa)
L’azienda è ora sulle spalle di Cristiano e Danilo De Rosa e dei loro figli (foto De Rosa)

Sette giorni in officina

Era il 1992 quando ebbi l’occasione di vivere per una settimana a Cusano Milanino, nell’officina del signor Ugo, accanto a sua moglie Maria e ai suoi figli, per un’intuizione del mio direttore di allora. I colossi taiwanesi e di riflesso quelli americani non erano ancora diventati così predominanti. Si ragionava sullo sviluppo dell’acciaio, si cominciava a saldare il titanio, l’alluminio era la scelta dei corridori e si respirava l’arrivo potente del carbonio. Sapevamo bene che sotto la vernice di alcune bici d’altra marca in mano a grandi campioni, ci fosse una De Rosa. Ancora si poteva e veniva fatto regolarmente.

Il signor Ugo indossava un camice azzurro, ne percepivi la severità e insieme la passione per il suo lavoro: non puoi avere cura di un’azienda, se non riesci ad essere severo nel pretendere la stessa cura dai tuoi collaboratori.

Attorno a lui operavano i tre figli. Cristiano, che già allora possedeva le chiavi del marketing. Danilo, figura trasversale e primo tester delle biciclette. Doriano, bravissimo a saldare il titanio. Le De Rosa erano e sono bici di lusso. Eppure nelle sue parole traspariva una concretezza un po’ perplessa.

«Una decina di anni fa – raccontò in uno di quei giorni del 1992 – la bicicletta più bella costava poco più di un milione, che era lo stipendio medio di un operaio qui in Lombardia. Oggi una bella bici costa tre milioni e mezzo, quindi tre volte quello stipendio che nel frattempo è rimasto uguale. Ho sempre osservato chi veniva a comprarsi una De Rosa. Se veniva un operaio, capivi che aveva risparmiato e si stava facendo un regalo bellissimo. Oggi tanti hanno il cappotto con le toppe sui gomiti, perché soprattutto se hanno famiglia, quel risparmio non è più così semplice».

Alta gamma regina

Raccontiamo di biciclette bellissime, che costano come e più di automobili di medio livello. Eppure gli stipendi degli operai sono rimasti identici, seppure convertiti in euro. Ci mancherà non poterne ragionare con Ugo De Rosa, per dare una nuova dimensione allo sport della bicicletta, diventato negli ultimi anni un movimento di elite. Basta parlare con chi le vende, per sentirsi dire che dopo la fiammata del Covid, le gamme medie ormai sono ferme, mentre si vendono tantissimo le bici di altissima gamma.

Prevedendo ciò che forse sarebbe successo, perché Ugo De Rosa aveva le mani d’oro e il naso sopraffino, una volta ci confidò di aver chiesto a suo figlio Cristiano di verificare sulle riviste gli annunci di bici usate.

Ugo e Maria sono stai compagni di tutta la vita. Dal loro matrimonio sono nati tre figli: Danilo, Doriano e Cristiano
Ugo e Maria sono stai compagni di tutta la vita. Dal loro matrimonio sono nati tre figli: Danilo, Doriano e Cristiano

«Sono sempre curioso – disse – di capire quali sono le bici che la gente dà indietro e dopo quanto tempo. Divento anche più curioso quando vedo che un nostro cliente ha messo in vendita una bici De Rosa. Vorrei sapere perché lo ha fatto. Tutto serve per migliorare. Sono convinto che la bicicletta abbia enormi margini di miglioramento e mi piace ancora far parte del suo futuro».

Un allievo di nome Eddy

Una sera, alla fine di quella settimana, il signor Ugo mi invitò a cena a casa sua. E prima di sederci a tavola, mi portò al piano terra dove tutto lasciava pensare a un’officina. Era stata quella infatti la prima sede dell’azienda e aveva preferito lasciare tutti gli attacchi pronti, perché chi può sapere come andranno le cose? Là sotto aveva passato giorni interi Eddy Merckx, che per le bici con il suo nome aveva chiesto supporto al vecchio amico.

La sua presenza in azienda non è mai venuta meno (foto De Rosa)
La sua presenza in azienda non è mai venuta meno (foto De Rosa)

Di quell’artigianato così curioso e prezioso forse De Rosa è rimasto l’ultimo esponente che ancora non sia stato acquistato da fondi o magnati da altre parti del mondo. Prima Bianchi. Poi Pinarello. Più di recente è toccato a Colnago. Non si tratta di fare i romantici: sappiamo bene che le iniezioni di capitali permettono di investire in tecnologia e sviluppo. Resta da capire se questo sia necessario anche per restare nella nicchia dell’artigianato di alta gamma, resistendo alla tentazione di inseguire i colossi sulla via di un livellamento pazzesco verso l’alto. I campioni hanno bisogno di mostri da competizione, gli amatori potrebbero volersi accontentare di un gioiello. Anche di questo ci sarebbe piaciuto parlare con il signor Ugo, nostro maestro di ciclismo.

La storia di Mary Cressari: quell’Ora da cui nacque tutto

12.12.2022
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«Tempo fa partecipavo a un dibattito. A un certo punto un giornalista specializzato disse che il ciclismo femminile in Italia è nato negli anni Ottanta. Non ci ho visto più: “E allora, caro il mio signore, il record dell’Ora del 1972 chi lo ha stabilito?”. E’ diventato di tutti i colori». Parole di Mary Cressari, che a 78 anni non ha perso neanche una briciola della sua verve, di quel carattere spumeggiante che la portò a emergere nel ciclismo a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta.

La Cressari è stata per lungo tempo l’unica italiana capace di stabilire il record dell’Ora (poi ci è riuscita Vittoria Bussi), quello che ora, in campo maschile arricchisce il palmares di Filippo Ganna. La conquista di quel record fu un’autentica avventura e a cinquant’anni di distanza molti si sono ricordati di questa ricorrenza. Mary si sottopone di buon grado, ogni volta, ad aprire lo scrigno dei ricordi, ma ogni volta compare sempre qualche spunto diverso, importante.

La Cressari vanta 4 titoli italiani su strada dal 1964 al 1973, più due nell’inseguimento
La Cressari vanta 4 titoli italiani su strada dal 1964 al 1973, più due nell’inseguimento

«Chi ci mette i soldi?»

La storia di quel record nasce da prospettive ben diverse: «Il mio obiettivo era conquistare i record dei 5, 10 e 20 chilometri, ma decisero che il 30 ottobre avrebbero chiuso il Vigorelli e quindi mi trovavo senza velodromo dove allenarmi e tentare i primati. Venne da me il presidente della società Terraneo suggerendomi di provare i record in Messico dove Merckx aveva appena realizzato il primato dell’ora, a patto che provassi anche io ad allungare. “Bell’idea – feci io – ma chi ci mette i soldi?”. Da lì Terraneo mise in moto tutto il movimento e arrivarono i fondi per provarci.

«Mi allenai a Busto Garolfo, ma l’ora non l’avevo mai fatta, così iniziai ad allungare. Il 17 novembre siamo partiti, un po’ all’avventura. Solo il giorno prima avevamo pagato la tassa necessaria per il tentativo e fatto la richiesta del medico perché fosse valido. Le difficoltà però erano tante e avevamo solo una settimana a disposizione».

La Cressari in pista a Città del Messico: il caschetto è quello del tentativo di Merckx
La Cressari in pista a Città del Messico: il caschetto è quello del tentativo di Merckx

Una Pogliaghi personalizzata

I problemi principali riguardavano la bici: «Prima di partire, il mio diesse Alfredo Bonariva chiese informazioni su tutto quel che sarebbe servito e su quel che avremmo trovato a Città del Messico ad Albani, il direttore sportivo che aveva accompagnato Merckx nel suo riuscito tentativo. Avevamo impostato la preparazione su molte delle sue indicazioni, ma non avevamo una bici adatta. Mi offrirono una Pogliaghi superleggera, pesava 4,7 chili, l’avevano realizzata proprio per il record dell’ora tentato dal dilettante Brentegani tre anni prima. Le misure c’erano, ma c’era da lavorarci sopra perché al tempo sulla bici non potevano apparire pubblicità all’infuori del mio gruppo sportivo.

«Toccò lavorare di carta vetrata sui tubi e anche sulla sella per togliere il marchio Selle Italia. Il risultato fu che andavo avanti e indietro sulla bici e non era proprio la situazione ideale… Pochi però sanno che come casco utilizzai lo stesso di Merckx, nel senso che il campione belga lo aveva dimenticato negli spogliatoi del velodromo. Lo riadattammo alla mia testa con un po’ di imbottiture…».

«Rinunciare? Non se ne parla…»

L’appuntamento era previsto per il mercoledì mattina, era il 22 novembre: «Realizzai i record dei 10 e 20 chilometri e tirai dritto, ma avevo speso tanto nella prima parte. Alla fine mancai il record per appena 70 metri e scoppiai a piangere. Non avevamo i fondi per restare e riprovarci. Venne da noi il console italiano e ci disse che era esaltato dall’impresa e che non se ne parlava di rientrare. Dovevo riprovarci, avrebbe sostenuto lui tutte le spese supplementari».

L’esperienza fu utile per riuscire nell’intento: «Il giorno dopo riposai perché ero distrutta, al venerdì feci il tentativo di record sui 5 chilometri che riuscì. Dovevamo però concentrarci sull’Ora. Prevedemmo di provarci il giorno dopo ma cambiammo i rapporti, passando dal 51×15 al 55×16. E questa volta partii più piano, d’altronde dovevo pensare solo all’Ora, così nel finale avevo più energie e chiusi con 41,471 metri e 74 centimetri. Sì, ricordo anche quelli…».

Il miglior risultato ai mondiali per la bresciana arrivò alla sua ultima presenza: decima nel 1973
Il miglior risultato ai mondiali per la bresciana arrivò alla sua ultima presenza: decima nel 1973

I rapporti con la Fci

Quel record ebbe risonanza? «Molta, ma erano tempi diversi e non era facile gestirla. Mi offrirono molti ingaggi pubblicitari ad esempio, ma non potevo accettarli perché avrei perso lo status di dilettante. Il nostro, quello femminile, era un ciclismo alla disperata. Non ci voleva nessuno e le cose non cambiarono così tanto. Soprattutto la Federazione mal ci sopportava. Pensate ad esempio che nel 1974 non ci portarono ai mondiali perché dicevano che non eravamo all’altezza. Io per tutta risposta andai al Vigorelli e feci il record mondiale sui 100 chilometri: altro che non all’altezza…».

La carriera di Mary è vissuta spesso su scontri con la Fci: «Avevano messo il limite di attività a 30 anni, ma io andavo ancora forte, protestai e lo tolsero, poi lo posero a 35 anni. Dissi: “Ma come, ai mondiali la Burton partecipa a oltre 40 anni con sua figlia? Il limite dobbiamo averlo solo noi?”. Lo tolsero, ma io avevo praticamente saltato la preparazione per colpa loro e non ottenni risultati all’altezza degli anni precedenti. Era il 1979 e decisi che ne avevo abbastanza».

La consegna della sua bici al Museo del Ghisallo: a sinistra il diesse Bonacina, a destra il presidente Terraneo
La consegna della sua bici al Museo del Ghisallo: a sinistra il diesse Bonacina, a destra il presidente Terraneo

Lo sgarbo di Los Angeles ’84

Poco dopo le offrirono l’incarico di commissario tecnico della nazionale femminile: «Naturalmente gratis… Intanto però era stata accettata la proposta di portare le donne alle Olimpiadi, io cominciai a lavorare con tre ragazzine che mi sembravano adatte al percorso di Los Angeles. La Canins non lavorava con noi, ma d’altronde era una ciclista atipica. Doveva per forza staccare tutte perché non aveva volata, io volevo lavorare con atlete più adatte. In Federazione fecero storie, io dissi che avrei pagato di tasca mia per la loro permanenza. Risultato: a Los Angeles portarono la Canins e tre altre atlete, le mie, quelle federali, non vennero neanche tenute in considerazione. Era troppo…».

La Cressari diede le dimissioni e da allora ha guardato in tv la crescita del ciclismo femminile, invitata spesso da organizzatori e appassionati: «Quando guardo le campionesse di oggi penso che siano lì anche per le battaglie che sostenni io, per i sacrifici che affrontavamo in famiglia pagando tutto di tasca nostra. Oggi? Un altro mondo…».

Pogacar Tirreno 2022

Se Pogacar è come Merckx, gli altri corrono per il secondo posto?

17.03.2022
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Le parole rilasciate alla stampa qualche giorno fa da Lefevere hanno aperto una visione diversa sul clamoroso avvio di stagione di Pogacar. All’indomani del trionfo dello sloveno alla Tirreno-Adriatico, il patron della Quick Step aveva sentenziato non senza un pizzico di mestizia: «Quando è passato pro’, si diceva che Remco Evenepoel fosse il nuovo Merckx, ma la verità è che questi è Pogacar».

E’ chiaro che fare i paragoni fra corridori di epoche diverse è sempre improponibile, ma qualcosa che accomuna campioni così lontani nel tempo c’è, soprattutto quest’anno che il corridore del Uae Team Emirates sembra non lasciare che le briciole ai suoi avversari ed è dato proprio dall’atteggiamento di questi ultimi. Rispetto agli anni scorsi, sembra che essi si sentano battuti in partenza, che quando Tadej scatta non se la sentano di rispondere (foto di apertura alla Tirreno-Adriatico) e inizino già a pensare al secondo posto.

Parsani 2021
Serge Parsani ha vissuto l’epopea di Merckx e ora valuta Pogacar con l’esperienza del diesse
Serge Parsani ha vissuto l’epopea di Merckx e ora valuta Pogacar con l’esperienza del diesse

L’importanza della testa

Abbiamo preso quindi spunto da queste e altre considerazioni per confrontare i due campioni. Non per entrare nel merito di chi sia più forte, ma per capire come venivano e vengono affrontati. Serge Parsani ha condiviso i suoi primi anni in carovana da corridore con Merckx, correndo assieme a Felice Gimondi. Oggi guida il Team Corratec dopo oltre trent’anni in ammiraglia, quindi può fare un raffronto.

«Sono corridori con un talento naturale – spiega – che hanno una marcia in più, ma soprattutto sanno come farla fruttare. La forza di Pogacar non è solo nelle gambe, ma nella testa. Sa ragionare in corsa e questo gli permette di scattare al momento giusto».

Che cosa accomuna due esperienze così lontane nel tempo? «A mio parere è la consapevolezza di avere al fianco un grande team. Merckx non era solo estremamente superiore agli altri, ma aveva a disposizione una squadra fortissima. Almeno 6 corridori sarebbero stati capitani in ogni altro team. Questo gli consentiva di viaggiare al coperto e al sicuro fino al momento nel quale decideva di fare la differenza. Ora anche Pogacar ha un grande team alle sue spalle e alla Tirreno-Adriatico si è visto. Questa è una differenza fondamentale rispetto a qualche anno fa».

Merckx De Vlaeminck
Merckx inseguito da De Vlaeminck: quando il Cannibale scattava, era davvero dura tenergli dietro…
Merckx De Vlaeminck
Merckx inseguito da De Vlaeminck: quando il Cannibale scattava, era davvero dura tenergli dietro…

Tutto nasce dal Tour 2020

Parsani entra più nello specifico: «Io credo che allo sloveno sia servito molto il primo Tour – dice – quello vinto praticamente senza squadra. Lo ha aiutato a crescere mentalmente. Allora doveva togliersi le castagne dal fuoco da solo, ora ha compagni in grado di aiutarlo fino a quando serve e questo gli dà sicurezza. Ma non basterebbe se non avesse lui la capacità di ragionare e “leggere” la corsa in ogni momento».

Qual è però l’atteggiamento degli avversari? «Un po’ quella sensazione di impotenza c’è. C’era anche ai tempi di Merckx – ammette – ma non posso dire che Gimondi ad esempio partisse battuto, cercava sempre di lottare e infatti le sue grandi vittorie se le è prese. Il fatto è che quando Merckx scattava era come buttare un sasso in uno stagno con i pesci che fanno il vuoto. Si apriva gli spazi dietro di lui. Stringeva i cinghietti e capivamo che di lì a poco sarebbe finita…».

Pogacar Almeida 2022
Pogacar con Majka e Almeida, fondamentali ora nelle sue vittorie
Pogacar Almeida 2022
Pogacar complimentato da Almeida, un’altra pedina importante nello scacchiere Uae

Gli altri non vincono così…

Avviene lo stesso con Pogacar? «In questo momento sì – prosegue Parsani – perché collimano tante cose: la forma fisica e mentale, il morale, anche la fortuna. Tutto ciò gli dà la convinzione per tentare imprese come quella della Strade Bianche. Chi lo guardava pensava che fosse una pazzia, invece…

«Anche Roglic vince, ma non allo stesso modo. A Siena, ad esempio, Pogacar ha vinto anche di testa. Sapeva che nel gruppo ormai quasi tutti erano isolati, al massimo potevano avere un compagno e quindi trovare un accordo per l’inseguimento sarebbe stato difficile. E’ come con la Formula Uno: sai che la Mercedes ha il motore più potente e quindi le possibilità di vincere per gli altri scendono notevolmente».

L’idea di Adorni

Eppure… A ben pensarci, proprio la storia di Merckx insegna che anche contro lui che vinceva dalla grande classica alla corsetta in circuito, si poteva sperare. Una considerazione che fa parte dei ragionamenti di Vittorio Adorni, che ci ha corso insieme e lo ha poi guidato dall’ammiraglia.

«C’erano anche giorni che non era in condizione – dice – che in un grande Giro veniva da noi a dire che aveva mal di gambe e a chiederci di aiutarlo. Ricordo quando lo conobbi. Arrivò in squadra dopo il ritiro pre-stagionale perché si era sposato, ma vidi subito che, anche se non aveva le nostre ore di preparazione, aveva qualcosa in più. Al Giro lo misero in camera con me ed ebbi modo di parlarci: aveva una forza fisica soverchiante, ma doveva crescere come testa. Ogni mattina ci diceva “io attacco”: noi a frenarlo, a dirgli di aspettare e in corsa ce lo chiedeva di continuo se era il momento. Poi, quando andava via, faceva il vuoto».

Adorni Faema
Adorni alla Faema, dove accolse un giovanissimo Eddy Merckx
Adorni Faema
Adorni alla Faema, dove accolse un giovanissimo Eddy Merckx

Nessuno è imbattibile

L’aspetto mentale, già sottolineato da Parsani, è fondamentale anche per Adorni nel vedere le imprese di Pogacar.

«Ha una potenza fisica enorme – dice – ma si vede soprattutto che corre con tranquillità, divertendosi. Lui “sente” la corsa, percepisce sempre la situazione e la condizione degli avversari e questo gli permette di attaccare quando sa che può scaturirne qualcosa d’importante. Si conosce bene, sa che cosa il suo motore può dargli».

Fin qui Pogacar, ma gli altri? «Gli altri soffrono, perché non riescono a capire se e quando lo sloveno va in difficoltà. E bisogna considerare anche che, nel caso, adesso c’è un team che può supportarlo al meglio. E’ chiaro poi che vittoria dopo vittoria crescono la sua consapevolezza e il suo entusiasmo, mentre si affievoliscono quelli degli avversari, anche inconsciamente. Inoltre quest’anno Tadej ha dimostrato che può vincere in vari modi e fare la differenza sia in salita che in pianura, proprio come faceva Eddy».

Non c’è quindi spazio per cambiare lo spartito? «Al contrario – ribatte Adorni – come ho detto, non sempre tutto fila liscio. Per vincere deve collimare tutto. Ora è soverchiante, ma che cosa succederà quando di fronte a un avversario al top lui sarà non al meglio? Come si gestirà? Le cose possono cambiare da una corsa all’altra e questa è la bellezza del ciclismo».

Molteni 2021

Da Merckx alla Fondazione: metamorfosi Molteni

14.12.2021
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Ci sono immagini che restano stampate indelebilmente nella mente di un appassionato di ciclismo. Eddy Merckx in maglia Molteni è una di queste, anche perché con quella maglia il Cannibale vinceva tutto. Il nome Molteni grazie al belga ha fatto il giro del mondo, in una storia che dal 1958 al 1976, anno della chiusura della squadra, ha contrassegnato lo sport delle due ruote. Anche chi non ha vissuto quelle epiche stagioni sa che cos’era la Molteni. Forse di rimando sa anche che era il nome di un’azienda di salumi famosa nel mondo e che ha chiuso i battenti nel 1986.

Mario e Pierangela, per ragioni anagrafiche, hanno vissuto quell’epopea “di striscio”: «Io ricordo bene però le volte che mio padre Pietro ci portava alle gare – racconta Mario – trasmettendomi quell’amore per il ciclismo che è rimasto sempre con noi. In quel quasi ventennio abbiamo ricevuto tantissimo, era un dovere per noi restituire qualcosa a questo meraviglioso mondo: per questo è nata la Fondazione Ambrogio Molteni, in onore di mio nonno che fondò la squadra».

Merckx Sanremo 1976
Una delle tantissime prestigiose vittorie di Merckx in maglia Molteni: è la Sanremo del 1976
Merckx Sanremo 1976
Una delle tantissime prestigiose vittorie di Merck in maglia Molteni: è la Sanremo del 1976

Serlini, storia di dolore e speranza

La Fondazione è nata nel 2018, in una lussuosa serata a Londra non solo per celebrare i 60 anni della nascita di quello storico team, ma per dare un concreto aiuto a persone che hanno vissuto di ciclismo e che per varie ragioni sono diventate deboli al cospetto della vita, bisognose di un sostegno.

«Noi siamo sempre rimasti proprietari del marchio Molteni – prosegue Mario – anche se l’azienda con quel nome non esiste più (in realtà la famiglia ha un altro piccolo salumificio a Milano, con altro nome, ndr). Da più parti ci sono sempre arrivate richieste di sponsorizzazione, ma non era quello che ci interessava. Volevamo qualcosa di diverso, teso a dare un aiuto concreto a chi davvero ha necessità».

Il primo caso, nel 2019, è stato quello di Angelo Serlini, bresciano classe 1998, campione lombardo esordienti su pista, un futuro che poteva essere radioso sulle due ruote ma che si è spezzato il 17 novembre 2012 per un terribile incidente in Mtb. Rimasto in coma due settimane, con le speranze dei familiari che si scontravano con la realtà dello stato vegetativo al quale sembrava condannato, nel 2013 Angelo ha ricominciato ad affacciarsi alla vita, riguadagnandone ogni giorno un pezzetto, ma le cure sono costose e la sua voglia di vivere aveva bisogno di un sostegno, che la Fondazione ha deciso di dargli.

Molteni 1970
Lo schieramento della Molteni 1970: si riconoscono davanti a tutti, da sinistra Michele Dancelli e Marino Basso
Molteni 1970
Lo schieramento della Molteni 1970: si riconoscono davanti a tutti, da sinistra Michele Dancelli e Marino Basso

Diciotto anni di grandi nomi

«Nel 2020 – riprende Mario- abbiamo aiutato un ex pro’, del quale per comune decisione abbiamo deciso di non rendere nota l’identità, che aveva problemi di cuore che gli hanno fatto perdere l’impiego. Quest’anno stiamo valutando un impegno diverso, più allargato. Chi ha un grave incidente in bici per lavoro è sostenuto e risarcito dallo Stato, ma a chi accade per altre ragioni? Noi siamo convinti che la bici sia uno stupendo strumento per fare sport, per difendere la nostra salute. Per questo vogliamo mettere in dotazione delle E-bike per coloro che ne hanno bisogno. Non passiamo per enti o associazioni, vogliamo fare del bene senza terzi, provvedendo direttamente».

La storia della Fondazione è ancora recente, ma in casa Molteni le idee da mettere in pratica sono tante: «Sempre nel segno della beneficenza, perché oggi per noi lo sport deve essere questo, le nostre soddisfazioni agonistiche le abbiamo in grande quantità, non solo con il grande Eddy: con la maglia Molteni sono passati campioni come Motta e Dancelli, Rudy Altig ci ha vinto un campionato del mondo, poi arrivò Merckx alla fine del suo rapporto con la Faema, portando il suo nucleo belga e il nome Molteni divenne famoso in tutto il mondo. Ora è il momento di dare, abbiamo ricevuto abbastanza».

Molteni Eroica
Un tributo speciale alla maglia Molteni, indossata per l’occasione all’Eroica 2019
Molteni Eroica
Un tributo speciale alla maglia Molteni, indossata per l’occasione all’Eroica 2019

La tragedia di Van Looy

C’è un caso che ha particolarmente colpito la famiglia Molteni, avvenuto dopo la nascita della Fondazione.

«Lo siamo venuti a sapere a cose fatte – spiega Mario Molteni – Frans Van Looy, gregario di Eddy, ci ha lasciato a 69 anni: aveva avuto il pignoramento della casa, non ha resistito all’umiliazione e si è tolto la vita. Lo scopo della Fondazione deve essere quello di impedire che eventi così tragici avvengano, per persone che hanno dato tanto al nostro sport e che meritano un aiuto. Noi ci mettiamo tutta la buona volontà, ma oltre ai soldi vogliamo anche dare un messaggio, perché insieme si può fare molto di più, per questo chi può darci una mano deve solo collegarsi al nostro sito».

La storia di quella squadra è stata messa nero su bianco in un libro, “Molteni, storia di una famiglia e di una squadra”, edito dalla Prima Pagina Edizioni. Il costo di 50 euro sarà interamente devoluto alla Fondazione per gli scopi sopra citati, come anche l’acquisto della storica maglia Molteni, appositamente riprodotta.

Molteni Merckx 2019
Eddy Merckx tra Pierangela e Mario Molteni alla presentazione della Fondazione nel 2019 a Milano
Molteni Merckx 2019
Eddy Merckx al fianco di Mario Molteni alla presentazione della Fondazione nel 2019 a Milano

Essere sponsor oggi

Mario comunque non si è allontanato dal mondo del ciclismo attuale, che segue sempre con la stessa passione di allora, anche se le differenze sono enormi.

«E’ un altro mondo – dice – un tempo si correvano le 6 Giorni per preparare la Milano-Sanremo, poi si andava alle Classiche del Nord, al Giro d’Italia e così via. Oggi si prepara un dato appuntamento e per quello si comincia a correre già da gennaio, supportati da figure come preparatori, nutrizionisti, manager che ai tempi della Molteni non c’erano e non erano neanche ipotizzabili. Era un altro ciclismo».

Guardando le imprese dei campioni di oggi, c’è un po’ di nostalgia? «Più che altro c’è la consapevolezza che quello di oggi è un ciclismo iperspecializzato e decisamente troppo costoso non solo per le nostre tasche. Trovare sponsor in Italia è davvero difficile, considerando la situazione generale e gli altissimi costi che comporta avere una squadra di alto livello com’era la nostra. Oggi per me la bici è compagna di passeggiate all’aria aperta, nulla più e va bene così».

Pogacar Lombardia 2021

Pogacar, il perché di una vera impresa

13.10.2021
5 min
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Se andiamo a guardare i numeri, emerge chiaramente come l’impresa di Tadej Pogacar al Giro di Lombardia gli abbia consentito di fare un concreto salto nella storia del ciclismo, affiancando Coppi e Merckx fra coloro che sono stati capaci di vincere un grande giro e due Classiche Monumento nello stesso anno. Sembra strano, ma proprio il fatto di avere conquistato una seconda classica dopo quanto aveva già fatto gli ha permesso di uscire da un gruppo folto, esattamente come avviene quando scatta appena la strada si rizza sotto le ruote.

Proviamo a spiegare meglio il concetto: vincere una grande corsa a tappe e una classica delle 5 considerate capisaldi del ciclismo (Sanremo, Fiandre, Roubaix, Liegi e Lombardia) è un fatto abbastanza comune. Nella storia ci sono riusciti in 46 e l’abbinamento fu normale già ai primordi, con Lucien Petit Breton, Maurice Garin ma anche Luigi Ganna.

Coppi 1949
Fausto Coppi nel 1949 vinse le tre grandi prove italiane: Sanremo, Giro e Lombardia, imitato solo da Merckx nel ’72
Coppi 1949
Fausto Coppi nel 1949 vinse le tre grandi prove italiane: Sanremo, Giro e Lombardia, imitato solo da Merckx nel ’72

Un abbinamento sempre più difficile

E’ pur vero però che ai tempi la concorrenza non era così elevata e men che meno la specializzazione, non è un caso se dei corridori attualmente in attività l’impresa sia riuscita solamente a gente come Nibali, Valverde e più recentemente ai due sloveni terribili, Roglic e per l’appunto Pogacar.

Il discorso diventa già più selettivo se chiediamo che queste vittorie siano arrivate nello stesso anno: l’elenco si restringe a 27 corridori. Il primo fu Petit Breton, che nel 1907 conquistò Milano-Sanremo e Tour de France. Qualcuno ci riuscì più volte: 6 Merckx (ma il Cannibale merita un discorso a parte), 3 Hinault e Binda, 2 Girardengo e Coppi, che però nel 1949 fu capace di un’impresa clamorosa: abbinare alla doppietta Giro-Tour anche i successi alla Sanremo e al Lombardia.

Perché lo chiamavano “il Cannibale”…

Entriamo così nel ristrettissimo novero dei vincitori di una grande corsa a tappe e due classiche. Detto di Coppi e Pogacar, resta il grande Eddy. Il campionissimo belga fu capace di farlo per ben 4 volte: nel 1969 portò a casa Sanremo, Fiandre, Liegi e Tour (e finì secondo a Roubaix…); nel ’71 Sanremo, Tour, Liegi e Lombardia; nel ’73 Roubaix, Liegi, Vuelta e Giro e perse la vittoria al Lombardia per la famosa squalifica. Ciò non bastasse, nel 1970 abbinò alla doppietta Giro-Tour anche il successo a Roubaix.

Il suo anno d’oro fu però il 1972: non solo ottenne un’altra doppietta Giro-Tour, ma condì il tutto con le vittorie a Sanremo, Liegi e Lombardia, finendo 7° nelle altre due classiche. Non corse la Vuelta, ma visto il suo strapotere, se l’avesse fatto…

Belloni 1920
Gaetano Belloni nel 1920 andò davvero vicino alla clamorosa tripletta
Belloni 1920
Gaetano Belloni nel 1920 andò davvero vicino alla clamorosa tripletta

Il problema della concorrenza

Riguardando le statistiche, emerge una curiosità. Fra coloro che andarono vicino alla grande impresa realizzata da Coppi, Merckx e Pogacar c’è Gaetano Belloni, ossia colui che è passato alla storia come “l’eterno secondo”. Nel 1920 realizzò la doppietta Sanremo-Giro (invero abbastanza comune, la Classicissima almeno nel secolo scorso era un viatico portafortuna per la corsa rosa) finendo terzo al Lombardia, battuto in volata da Brunero quando ormai Pellissier (uno dei tanti capace di vincere sia nel giorno solo che sulle tre settimane) era arrivato da 1’20”. Ma d’altronde Belloni è passato alla storia più per le sue sconfitte che per le vittorie…

Riuscirà Pogacar a elevarsi ancora di più? Merckx ne è convinto, avendo speso per lui parole di stima che non aveva mai pronunciato per nessuno, ma ci sono due fattori che rendono l’ulteriore impresa difficile: il primo è la concorrenza, forte nei grandi Giri (Roglic, Bernal, altri giovani rampanti) e fortissima nelle classiche (Van Aert, Van Der Poel, Alaphilippe e ne citiamo solo alcuni), ma quella va messa in conto e poi non è che Coppi e Merckx corressero contro nessuno…

Pogacar Merckx 2021
Tadej Pogacar ed Eddy Merckx: il campionissimo belga ha avuto parole lusinghiere per il suo erede
Pogacar Merckx 2021
Tadej Pogacar ed Eddy Merckx: il campionissimo belga ha avuto parole lusinghiere per il suo erede

Il secondo è forse ancor più problematico ed è dettato dai suoi programmi: seppur a parole Pogacar dica di essere affascinato da gare come il Giro d’Italia, il suo calendario è abbastanza statico. Il Tour è imprescindibile, Sanremo e Roubaix sono troppo lontane dalla sua mentalità per provarci davvero e questo, per chi ama il ciclismo e tifa per le grandi imprese a prescindere dalla bandiera, è un peccato.

Sorgà, abbiamo trovato il nuovo Merckx. Parola di Eddy

11.10.2021
5 min
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«Ho sentito parecchie volte il nome del nuovo Merckx, ma stavolta mi sa che l’abbiamo trovato davvero. Lui – dice il grande Eddy indicando Pogacar con lo sguardo – lo è per quello che ha fatto e che può fare. La prima volta che mi impressionò fu alla Vuelta di due anni fa. Fece una fuga di 35 chilometri con tutta la Movistar dietro che lo inseguiva e arrivò da solo. Poteva aver vinto la Liegi già lo scorso anno…».

Pogacar è parso a tratti in imbarazzo davanti alla maestà belga
Pogacar è parso a tratti in imbarazzo davanti alla maestà belga

Il nuovo Merckx

Pogacar arrossisce, un po’ fedele al copione e un po’ perché sedere accanto a Eddy Merckx che per la prima volta valuta l’ipotesi di passare lo scettro, provoca imbarazzo. Mattina di sole a Sorgà, presso Ciclostar, concept store Dmt nella pianura tra Verona e Mantova.

I due cannibali, 76 e 22 anni, sono riuniti nella stessa stanza e ieri hanno anche cenato insieme. L’idea di metterli insieme è notevole, anche se il giovane sloveno rifugge i paragoni. Eddy è serio, Tadej sembra in soggezione.

«Davvero – dice – non capisco perché si debbano fare certi paragoni. Perché devo essere il nuovo di un altro quando posso essere semplicemente me stesso?».

«Quando arrivai io – fa eco Merckx – si misero a parlare del nuovo Van Looy. Poi del nuovo Anquetil. Non mi ha mai dato fastidio, la stampa fa il suo lavoro…».

Ecco le tre scarpe Dmt per le tre maglie conquistate da Pogacar al Tour
Ecco le tre scarpe Dmt per le tre maglie conquistate da Pogacar al Tour

POGACAR: «Non è mai tutto facile, sulla bici soffro anche io, soprattutto quando vado via da solo. Poi ci sono i giorni magici come a Le Grand Bornand. Sono partito con pochi secondi. Spingevo regolare e a un certo punto ho cominciato a sentire che avevo un minuto, poi due, tre, quattro… Di solito divido la strada in settori intermedi per restare concentrato, con il mal di gambe e un po’ il divertimento.  Al Lombardia, in mezzo a tutto quel pubblico sull’ultima salita, ho pensato che fosse una figata. Poi la gente è finita e ho cominciato a sentire la stanchezza. Nella discesa è stato un mix fra divertimento e adrenalina, perché sapevo di giocarmi la vittoria».

MERCKX: «Quello che posso consigliarti è di tenere sempre i piedi per terra. Ogni anno dovrai dimostrare un po’ di più quello che vali. Lui lo sa benissimo – dice guardando verso la platea – e se rimane com’è, potrà vincere tante altre corse. Ha 22 anni, arriverà col tempo. Un giorno andrà anche al Giro d’Italia per vincerlo, senz’altro. Sono sicuro che lui il Giro lo vincerà».

POGACAR: «Tante altre corse, ma di sicuro non la Sanremo. Vincerla per sette volte come ha fatto Eddy è incredibile. Ma francamente non penso a cosa potrò ambire in futuro. Ogni corridore vuole vincere il più possibile, così anche io cerco di fare del mio meglio, lottando su ogni traguardo. Sarebbe divertente se continuasse sempre così, ma potrei anche avere un anno difficile. Anche io ho giornate negative. A Tokyo avrei preferito un’altra medaglia, la maglia iridata è la più bella e mi manca. Anche la maglia rosa».

MERCKX: «Tutti hanno dei punti deboli. Ma se ci sono carattere, mentalità giusta e voglia di fare la professione, non c’è crisi che tenga. E’ il migliore della sua generazione, la gente guarda le sue imprese. E forse era così anche per me. Oggi mi sento una persona normale che ha fatto una professione del suo hobby. Adesso però sono in pensione, mi godo i nipoti, che sono la cosa più importante».

POGACAR .«Anche io dopo il 24 conto di godermi un po’ la famiglia. Fino ad allora avrò impegni e il primo ritiro della squadra. Magari già con i compagni giocheremo un po’ a calcio, ci divertiremo. Per un po’ niente bici e loro saranno contenti. Di solito mi alleno forte o più forte, capisco che a volte li metto in difficoltà».

Merckx ha riconosciuto il valore di Pogacar e lo ha definito suo degno erede
Merckx ha riconosciuto il valore di Pogacar e lo ha definito suo degno erede

La sintesi di Cipollini

La sintesi la fa Cipollini, sbucato a sorpresa da dietro le quinte e restio a mettersi accanto ai due campioni.

«Non c’entro niente con loro due – dice – c’è una bella differenza tra vincere le volate e staccare tutti in salita. Come possiamo spiegare due fenomeni del genere? La natura a volte crea cose straordinarie. Loro sono degli eletti, cui la genetica permette di fare cose fuori dal comune. Se si abbina questo alla forza mentale, si capisce che non hanno limiti. Basta guardare i loro occhi quando gareggiano, lo vedi che cercano sempre un obiettivo davanti…».

Cipollini ha parlato dei due come di due miracoli della genetica
Cipollini ha parlato dei due come di due miracoli della genetica

La previsione di Merckx

Chiusura migliore non poteva esserci. Pogacar si ferma a parlare d’altro, prima di andare via con Alex Carera ed Andrea Noè che l’hanno accompagnato. Mentre Merckx fa per salire su un’auto dell’azienda. Il gruppo si disperde, per alcuni la stagione è agli sgoccioli. Per Pogacar è finita, dopo 60 giorni di corsa, la Tirreno, la Liegi, il Tour e il Lombardia.

«Perché dovrebbe durare poco?», dice Merckx prima di chiudere lo sportello: «Corre meno di quanto corressimo noi, che per guadagnare di più eravamo costretti a fare anche 100 corse all’anno. Lui è ben allenato, ha tutto per gestire il recupero. Non so come andrà la storia, ma almeno per questo non vedo grossi motivi di preoccupazione. Smetterà quando si sarà stancato di vincere…».

Tutti contro Merckx, ma Merckx non si piglia

18.07.2021
4 min
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Ci hanno provato tanti e in tutti i modi, ma finora Merckx non aveva mai immaginato di poter condividere la corona con un altro. Cederla mai. Quella con Lance Armstrong è stata un’amicizia, avendo visto crescere l’americano accanto a suo figlio Axel e certo nello strapotere del texano, il grande belga poteva aver visto la sua stessa protervia di certi giorni. Eppure dopo gli inizi, era stato chiaro che in ogni caso e pure senza le nefandezze che ne hanno spazzato la carriera, si sarebbe trattato di un dominio limitato al Tour de France e poco altro.

Al Tour del 1969, Merckx vinse sei tappe e le tre maglie, lasciando Pingeon a 18′ e Poulidor a 22′
Al Tour del 1969, Merckx vinse sei tappe e le tre maglie, lasciando Pingeon a 18′ e Poulidor a 22′

Remco si farà

Così ci hanno provato con Evenepoel, facendolo con troppa insistenza e per giunta alle spalle di Remco, che non ha mai avuto interesse a svegliare il leone addormentato. Ma in Belgio il ciclismo è religione e la cosa peggiore a un certo punto è l’integralismo di certe posizioni. Merckx infatti non l’ha presa bene. Essendo campione di scuola antica, sfrontato in bici ma rispettoso nel resto del tempo, si è sentito in dovere di rispondere.

«Dovrà migliorare su molti terreni – ha detto dopo il Giro d’Italia – ha vinto grandi classiche come San Sebastian, ma deve ancora imparare molto. A leggere certe interviste, sembra quasi che si senta arrivato, ma deve mangiare ancora molti panini. E’ andato al Giro d’Italia e forse lo ha sottovalutato. Non c’è niente di sbagliato, adesso l’ha capito: prima di correre, bisogna imparare a camminare. Ha detto bene Lefevere: miracoli non se ne fanno. Per me nel 1967 fu uno shock. Avevo corso la Parigi-Nizza e due volte il Midi Libre, ma nella terza settimana del Giro mi spensi, pur avendo vinto sul Blockhaus e uno sprint di gruppo. D’altro canto, mi piace molto Van der Poel. Secondo me, lui potrebbe diventare in futuro un corridore da Giri».

Evenepoel, da ragazzo intelligente qual è, non ha nemmeno provato a controbattere. «Eddy Merckx – si è limitato a dire, facendo l’inchino – ha il diritto di mettere chiunque al suo posto, visto il suo palmares».

Sul podio di Libourne, due giorni fa, Merckx ha applaudito Pogacar
Sul podio di Libourne, due giorni fa, Merckx ha applaudito Pogacar

Un sorriso per Cavendish

Questa volta… l’attacco è su due fronti. Da una parte c’è Cavendish, che oggi potrebbe battere il record delle tappe vinte al Tour. E poi c’è Pogacar che a 22 anni ha vinto la Liegi e il secondo Tour e dovunque vada, punta e vince. Lo sloveno non ha mai fatto proclami, stando alla larga dalla maestà belga. E forse proprio per questo, Eddy ha cominciato a guardarlo con occhi diversi.

«Non ho visto Cavendish per parecchio tempo – ha detto – ma ricordo che nel primo periodo alla Quick Step, durante i criterium a volte ha dormito a casa mia con alcuni altri corridori. Lui era l’unico che puliva la sua stanza. Non conosciamo molto del suo carattere, ma quello che mi è restato in mente è la sua grande gentilezza. Quanto al record, devo dire che dormo tranquillo e non ho incubi. Quel numero non è mai stato una fissazione, il ciclismo segue la sua strada. E’ tutto normale e persino divertente. Ciò che ha fatto è meraviglioso, il suo ritorno. Se può, deve divertirsi ancora. Però di certo non si possono paragonare le nostre vittorie. Lui potrebbe essere il più grande sprinter di tutti i tempi, ma le mie sono state ottenute in modo diverso, non ha senso neppure discuterne. Io ho fatto 2.800 chilometri in testa al gruppo, lui ne ha fatti sei».

La grandezza di Eddy fu anche in quella dei rivali: qui Gimondi. Per questo Pogacar ha bisogno di Bernal, Evenepoel e Roglic
La grandezza di Eddy fu anche in quella dei rivali: qui Gimondi. Per questo Pogacar ha bisogno di Bernal, Evenepoel e Roglic

L’abbraccio a Pogacar

La stilettata, portata col sorriso, introduce il discorso su Pogacar e questa volta Merckx è meno netto, forse perché ha riconosciuto uno sguardo vagamente simile e dei modi rispettosi che gli vanno a genio. E poi corre anche lui su una Colnago.

«Vedo in lui il nuovo cannibale – ha detto Eddy – se non gli succede niente potrà vincere certamente più di cinque Tour».

La maglia gialla, che si è ritrovato con il grande belga sul podio di Libourne, ha accettato di buon grado il complimento e poi ha fatto un passo indietro

«E’ un onore – ha detto – essere sullo stesso podio con Eddy Merckx. Lui è un eroe del ciclismo. Io non mi sento un eroe, ma spero di invogliare molti bambini a correre in bicicletta».

Se Eddy fosse stato sul podio della crono di ieri però, forse una battuta gliel’avrebbe mollata. Lui avrebbe fatto di tutto per vincerla. Come nel 1969, quando al pari di Pogacar vinse le tre maglie, ma portò a casa sei tappe e rifilò 18 minuti a Pingeon e 22 a Poulidor. La sua ammissione tuttavia è quasi un’investitura.

Monumento Ventoux

Quando c’è il Ventoux, non è mai una tappa qualsiasi

07.07.2021
5 min
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Il Mont Ventoux, chiamato anche Monte Calvo (sapete che la sua prima ascensione conosciuta è attribuita al Petrarca nel 1336?) è un appuntamento principe per il Tour de France, eppure nella sua lunga storia la Grande Boucle ha affrontato la durissima salita provenzale solamente 16 volte, 10 delle quali prendendo la sommità come punto di arrivo della tappa. Ma ogni volta, il Ventoux ha fatto sentire i suoi effetti sulla classifica e non solo…

Tra i 15 e i 21 chilometri di scalata, con pendenza media del 7,7 per cento ma punte che vanno oltre il 20, il Ventoux ha soprattutto due caratteristiche che lo rendono unico, in alternativa se non addirittura insieme: il vento estremamente forte e il gran caldo. Un caldo terribile, soprattutto nella parte finale della salita, quando l’asfalto viene reso incandescente dal sole estivo e trasmette tutto il suo calore a chi transita. Basti pensare che spesso anche i motori dei mezzi al seguito hanno pagato un pesante dazio…

Si parla di Mont Ventoux e la memoria non può non tornare a quel maledetto giorno del 1967: Tommy Simpson, 29 anni, si gioca moltissimo in quella tappa. Era partito per il Tour con l’obiettivo di vincerlo, anche perché stava per concretizzarsi un danaroso passaggio dalla Peugeot (dove volevano investire su un certo Eddy Merckx) alla Ignis, ma serviva una grande impresa. Quel giorno, il 13 luglio, fa molto caldo: alle pendici della salita Simpson sente che la gamba non è delle migliori, ma non può tirarsi indietro.

Merckx Tour 1972
Un tris d’assi nella scalata al Ventoux nel 1972: da sinistra Ocañåa, Merckx e Poulidor
Merckx Tour 1972
Merckx Tour 1972Un tris d’assi nella scalata al Ventoux nel 1972: da sinistra Ocañåa, Merckx e Poulidor

Caldo, alcol, anfetamine…

Chiede acqua ai suoi gregari: non ce n’è. Un compagno si ferma in un bar e prende l’unico liquido disponibile: una bottiglia di cognac… Simpson ne beve poco, ma sarà letale perché subito dopo ingoia una delle pasticche di anfetamine che ha acquistato la sera prima per 800 sterline. Il mix ha un effetto deflagrante: Simpson inizia a procedere a zigzag, consumato dentro e fuori. Cade, viene rimesso in sella, ricade: non si rialzerà più (nella foto di apertura il monumento a lui dedicato lungo la salita, nel punto in cui morì).

Quella era la sesta volta che il Ventoux veniva affrontato: la prima nel 1951, l’ultima nel 2016 prima dell’edizione in corso. Se si va a guardare la storia della Grande Boucle, si scoprirà che molto raramente sono emersi dei puri carneadi. Ad esempio nel 1958, prima volta che il Ventoux è stato sede finale di tappa, la spuntò Charly Gaul. Era una cronoscalata e il lussemburghese mise in fila i suoi rivali mentre l’anziano campione di casa Raphael Geminiani andava a conquistare la maglia gialla. Il Tour lo vincerà però Gaul, davanti a Vito Favero (al suo debutto al Tour, in giallo proprio fino al Ventoux) e allo stesso Geminiani.

Pantani Ventoux 2000
Armstrong e Pantani: una sfida appassionante al Tour de France del 2000
Pantani Ventoux 2000
Armstrong e Pantani: una sfida appassionante al Tour de France del 2000

La fame infinita di Merckx

Poteva mancare il nome di Merckx? Nel 1970 il Cannibale conquista la sua settima vittoria di tappa (una nella cronosquadre) e prima della fine ne coglierà altre due. Alla fine il suo vantaggio sul secondo, Joop Zoetemelk è di 12’41”, perfino ridotto vista la sua schiacciante superiorità mostrata giorno dopo giorno. Due anni dopo a svettare sul Monte Calvo è il francese Bernard Thevenet, ma è solo l’avvisaglia di quello che sarà capace di fare: il simbolo del primato è ancora di Merckx, che vincerà “accontentandosi” di 6 vittorie parziali.

Due imprese sono legate al nome di Pantani: la prima è indiretta, nel 1994, quando Eros Poli va a conquistare il successo a Carpentras dopo aver svettato per primo sul Ventoux, lui che scalatore non era proprio. Alle sue spalle Pantani in maglia Carrera attacca dal gruppo e stabilisce un record di scalata. Sei anni dopo Marco mette la sua firma da specialista, uno dei più grandi della storia, vincendo al termine di un’epica sfida con Lance Armstrong. Anche l’albo d’oro di quel Tour, come gli altri sei conquistati dal texano, ha una barra sul nome de vincitore, ma resta indimenticabile nella memoria di chi ha avuto la fortuna di assistere.

Froome Ventoux 2016
La bici è a terra inutilizzabile e Froome inizia a correre: c’è una maglia da difendere…
Froome Ventoux 2016
La bici è a terra inutilizzabile e Froome inizia a correre: c’è una maglia da difendere…

Maratoneta per 600 metri…

Ultimo in questa galleria di personaggi è Thomas De Gendt, primo nel 2016. Una vittoria al termine di una delle sue proverbiali fughe con le quali si è costruito una carriera niente male. Più che la sua vittoria con 2” sul compagno d’avventura Pauwels, di quel giorno si ricorda la vicenda nella quale è incorso Chris Froome: il britannico, già maglia gialla, a un chilometro dal traguardo cade insieme a Porte e Mollema. La sua bici è distrutta, il tempo scorre, così il corridore della Sky si improvvisa podista e comincia a correre verso il traguardo. Più avanti gli danno una bici dell’assistenza, ma è troppo piccola, giù e di nuovo a correre.

A 400 metri ecco la bici dall’ammiraglia, ma ormai il traguardo è lì. La classifica dice che la maglia è persa, va al connazionale Adam Yates, ma dopo vibranti proteste il distacco viene neutralizzato e Froome torna in testa. Particolare curioso: oggi in quel che era il team Sky milita proprio Yates (che tuttavia non è presente al Tour), non più Froome.