Quelli che… sanno esaltarsi sulle strade di casa

19.10.2021
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Abbiamo ancora negli occhi le immagini dell’ultimo Giro di Lombardia, con la gente impazzita ai bordi della strada per fare il tifo per Fausto Masnada. Non un italiano qualsiasi, perché il corridore della Deceuninck-QuickStep correva sulle strade di casa, quelle nelle quali è vissuto e su cui ha sentito crescere dentro la passione viscerale per il ciclismo. Vivere un grande evento come il Giro di Lombardia sulle strade abituali, con il vicino di casa o l’amico del bar lì sul ciglio che si sgola per incitarti, ha un sapore speciale.

L’enfant du pays”: un’espressione resa famosa, nel mondo delle due ruote, da Adriano De Zan, che spesso la citava non solo nel citare i vincitori, ma anche semplici gregari che sfruttavano l’occasione del passaggio del Giro d’Italia o di qualsiasi altra manifestazione nel paese natio, chiedendo il permesso al gruppo per avvantaggiarsi, di quel tanto da permettergli un rapido saluto. Vestigia di un ciclismo che non c’è più, ora si è professionali sin dal via e certe deroghe non sono permesse quasi più…

Simoni Pordoi 2001
Gilberto Simoni ha costruito sul Pordoi la vittoria al Giro 2001, lasciando poi la tappa allo spagnolo Perez Cuapio
Simoni Pordoi 2001
Gilberto Simoni ha costruito sul Pordoi la vittoria al Giro 2001, lasciando poi la tappa allo spagnolo Perez Cuapio

Mondiali, “nemo propheta in patria”…

E’ pur vero però che vincere in casa propria ha un sapore speciale. Ai mondiali, ad esempio, questo evento è successo solamente 12 volte e parliamo non di atleti che vincono nella propria città, ma nella nazione di appartenenza, un abbinamento riuscito per 4 volte al Belgio (ma la quinta alla quale tanto ambivano quest’anno non si è avverata…) e per 3 all’Italia, nel 1932 con Learco Guerra, nel 1968 con Vittorio Adorni e nel 2008 con Alessandro Ballan, ultimo in assoluto a riuscirci.

Citavamo Guerra, la storica “locomotiva umana” che la soddisfazione di vincere davanti ai suoi concittadini l’ha assaporata nel 1931: la prima tappa del Giro d’Italia arrivava quell’anno a Mantova e Guerra ci teneva tantissimo a conquistare la vittoria davanti alla sua gente, poter ripartire il giorno dopo con il simbolo del primato. Dopo 206 chilometri si mise alle spalle allo sprint Alfredo Binda e Michele Mara e non contento di ciò vinse anche il giorno successivo a Ravenna. Quel Giro per lui finì con 4 successi di tappa ma con il rammarico della brutta caduta a La Spezia che lo costrinse al ritiro.

Ulissi Etruschi 2017
Vittoria in solitudine per Diego Ulissi a Donoratico nel 2017: quelle erano le strade della sua quotidianità…
Ulissi Etruschi 2017
Vittoria in solitudine per Diego Ulissi a Donoratico nel 2017: quelle erano le strade della sua quotidianità…

Giro d’Italia, altra storia…

Giro d’Italia. Spesso corridori hanno cercato e anche trovato la vittoria sulle strade di casa, ma se dovessimo cercare un simbolo di queste immagini?

La mente non può che tornare a qualche anno fa, a Gilberto Simoni che sul Pordoi costruì le sue vittorie rosa, in uno stretto corridoio lasciato libero dai tifosi, spingendo sui pedali per infliggere un ritardo sempre maggiore agli avversari. Non è un caso se la carriera del trentino sia legata a doppio filo alla corsa rosa, che aveva un sapore assolutamente speciale proprio quando si transitava sulle salite di casa, quelle dove da bambino aveva lasciato vagare la fantasia vedendo i campioni dell’epoca compreso lo zio di sua moglie, un certo Francesco Moser

Che dire poi di Stefano Garzelli, che nel 2005 vinse la Tre Valli Varesine? Attendeva da 15 mesi di riassaporare il gusto dolce della vittoria, il finale della classica di casa lo aveva studiato nei minimi particolari percorrendolo e ripercorrendolo in allenamento, soprattutto gli ultimi 500 metri dove si mise alla ruota di Mazzoleni gregario di Cunego e anticipando la prevedibile mossa del veronese scattò per precedere Bernucci. La gara arrivava a Campione d’Italia, città nativa della madre e di residenza delle sorelle. Come poteva non vincere?

Nibali Sicilia 2021
Una vittoria per Nibali nel 2021, ma di grosso peso, nella sua Sicilia, alla sua maniera: tappa e maglia…
Nibali Sicilia 2021
Una vittoria per Nibali nel 2021, ma di grosso peso, nella sua Sicilia, alla sua maniera: tappa e maglia…

Di casa e di cuore

Un po’ lo stesso discorso che vale per Fabio Ulissi. Nel 2017 il nativo di Cecina, appena approdato al Uae Team Emirates, voleva subito impressionare i suoi nuovi “datori di lavoro” e sulle strade di casa, teatro della sua preparazione invernale, sfruttò proprio la conoscenza del percorso e in particolar modo della discesa verso Donoratico.

«La conosco a menadito – affermò dopo la premiazione – sono nato qua e potrei farla a occhi chiusi, sapendo dove rilanciare».

Due volte era finito sul podio senza cogliere il risultato al quale teneva di più: per la gente del luogo, quell’edizione è rimasta nel cuore. E poi, parlando di discesa, non è lo stesso principio che ha applicato Masnada?

Se si parla di “enfant du pays”, c’è un’immagine recente che si fa strada nella memoria. Per Vincenzo Nibali quelle lacrime versate all’arrivo della conclusione dell’ultimo Giro di Sicilia contengono infiniti significati. Immaginate che cosa significa tornare a vincere, dopo tutto quel che ha passato in questi ultimi due anni, quello che ha letto e sentito su di lui, quei dubbi esasperanti nel proprio animo, davanti alla propria gente, quella stessa gente lasciata tanti anni fa, lui come tanti siciliani, per trovare fortuna nel Continente? Non c’era posto migliore per tornare ad azzannare il successo per lo Squalo. Certe volte anche i grandi uomini piangono…

Viviani ablazione 2021

Ablazione, come mai tanti interventi? Risponde il dottore…

14.09.2021
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Le parole di Marco Marcato risuonano ancora nella testa. Il corridore del Uae Team Emirates ha avuto ben due casi di fibrillazione atriale in questa stagione, curata attraverso l’ablazione. Il caso di Viviani a inizio stagione è il più famoso del 2021 (nella foto di apertura con l’equipe medica che l’ha operato). I risultati ottenuti dal veronese sono la migliore risposta come esito dell’intervento. Per Diego Ulissi il caso era più complicato e la ripresa più lenta. E’ chiaro che, con più indizi, è necessario capirci qualcosa di più.

Il tema è delicato e per sbrogliare la matassa il nostro Virgilio è proprio il dottor Roberto Corsetti, più volte da noi interpellato, specialista in cardiologia e medicina dello sport, attualmente Direttore Sanitario del Centro Medico B&B di Imola ma con un passato quasi trentennale nel mondo del ciclismo. Il punto di partenza in questo viaggio all’interno del cuore è capire il suo funzionamento.

Marcato Alps 2021
Marco Marcato, alla sua ultima stagione, contraddistinta da due episodi di tachicardia parossistica in allenamento
Marcato Alps 2021
Marco Marcato, alla sua ultima stagione, contraddistinta da due episodi di tachicardia parossistica in allenamento

L’importanza del ritmo armonico

«Per affrontare il tema delle aritmie è bene partire dal quadro normale ossia dalla condizione di normalità. Il battito cardiaco è stimolato dal nodo seno-atriale che è un piccolo nucleo di cellule all’interno dell’atrio destro. Va ricordato che il cuore è diviso in atrio destro e sinistro nella parte superiore e ventricolo destro e sinistro nella parte inferiore. Il nodo dà il ritmo, è come il computer che comanda il motore. Un ritmo che sarà più lento a riposo, più sostenuto di giorno, estremamente sostenuto sotto sforzo ma sempre ritmico, armonico. Si può variare a seconda dei casi e delle situazioni da 30 battiti al minuto (le bradicardie marcate dell’atleta) fino a 250 sotto massimo sforzo, ma sempre normali».

«Veniamo alle aritmie, che sono battiti fuori posto, inseriti nella ritmica cadenzata come una nota stonata: non è assolutamente detto che questo rappresenti un problema. Le aritmie possono essere singole, doppie, anche di più battiti ma quel che è importante è l’origine di quest’aritmia. Si può dire in maniera semplicistica che quelle atriali o sovraventricolari sono benigne, quelle ventricolari necessitano certamente di maggiori attenzioni sotto il profilo diagnostico e di approfondimenti. Nei casi gravi, infatti, le aritmie ventricolari, provenienti dai ventricoli, la parte bassa del cuore, qualora originate da patologie serie e minacciose possono portare a situazioni drammatiche, come abbiamo ad esempio assistito agli ultimi Europei di calcio (il gravissimo malore occorso al danese dell’Inter Eriksen, ndr)».

Diego Ulissi è stato affetto da miocardite. La sua ripresa è stata lenta, ma completa
Diego Ulissi è stato affetto da miocardite. La sua ripresa è stata lenta, ma completa

Un intervento semplice, ma decisivo

«Tra le aritmie sopraventricolari, ve ne sono alcune che necessitano comunque di essere individuate ed eliminate. Ci riferiamo alle tachicardie parossistiche sopraventricolari, alle tachicardie atriale ectopiche, al flutter atriale e alla fibrillazione atriale (vedi Marcato) sono improvvise accelerazioni del battito cardiaco. A differenza della tachicardia sinusale ha un’insorgenza improvvisa, il cuore aumenta i battiti velocemente e dopo un tempo variabile torna al ritmo fisiologico a frequenze cardiache molto più basse. Non genera arresto cardiaco come può causare la fibrillazione ventricolare, ma se arriva a una frequenza molto alta può dare giramenti di testa, uno stato di pre-svenimento. Ora, trasportando tutto ciò nell’ambito sportivo, se un ciclista è in corsa, può incorrere in una caduta, in un incidente con conseguenze anche gravi perché è incapace di continuare a gestire l’azione».

«Fino a 25 anni fa, l’unica soluzione per un ciclista era fermarsi, ora però ci sono strumenti cardiologici diagnostici che consentono di individuare il punto preciso dei due atrii dove questa tachicardia ha origine: si procede con uno studio elettrofisiologico endocavitario che consente di confermare la presenza di un “punto difettoso” e l’innesco della aritmia quando si stimolo quel punto. il passo finale è quella che viene definita ablazione transcatetere ossia l’eliminazione del problema mediante l’uso di un catetere che attraverso la radiofrequenza annulla, bruciandolo, il percorso elettrico anomalo».

Tachicardia
Una sintetica illustrazione del sito medicina360.com che spiega i sintomi della tachicardia
Tachicardia
Una sintetica illustrazione del sito medicina360.com che spiega i sintomi della tachicardia

Il caso eccezionale di Bitossi

Fin qui la necessaria spiegazione di un fenomeno che da sempre si accompagna al mondo del ciclismo e non solo e che le gesta di Franco “Cuore Matto” Bitossi hanno reso famoso: «Nel caso di Franco, che si è sottoposto ad ablazione una decina di anni fa, bisogna da un lato dire che furono eccezionali gli specialisti del tempo nell’individuare la sua patologia. Non c’erano gli strumenti di oggi, non c’era altra soluzione che dire a lui e a chi come lui di fermarsi il tempo necessario per far rallentare il cuore. Dall’altro lato, per me hanno un valore straordinario i suoi risultati, a dispetto dei problemi che accusava».

Rispetto ad allora però, i casi di tachicardia e conseguente ablazione sono aumentati, magari a causa delle diverse metodologie di preparazione, delle diverse velocità, dello stress a cui il fisico e la mente sono sottoposti in allenamento come in gara? La risposta di Corsetti è netta: «Per la mia esperienza, ma anche con il conforto delle statistiche, posso dire di no. L’unica differenza è che oggi abbiamo gli strumenti e le metodologie per affrontare e risolvere un problema che allora era fortemente inibente il risultato. Un Viviani nel 1985 non avrebbe potuto ottenere nella stessa maniera i risultati di oggi».

Cardiofrequenzimetro
Il cardiofrequenzimetro è uno strumento ormai basilare, ma il ciclista sa ascoltare il suo cuore anche senza
Cardiofrequenzimetro
Il cardiofrequenzimetro è uno strumento ormai basilare, ma il ciclista sa ascoltare il suo cuore anche senza

Il ciclismo… bestiale del secolo scorso

Secondo Corsetti, il paragone tra i due periodi deve prendere in esame altre variabili: «Il corridore di 50 anni fa aveva bici pesantissime rispetto a quelle di oggi, vestiva le maglie di lana, non aveva maltodestrine o gel, quando affrontava la discesa doveva mettere i quotidiani sotto la maglia per ripararsi dal vento, poi aveva minori possibilità di recupero, si dormiva tutti insieme in grandi stanzoni di collegi… Era un ciclismo “bestiale” rispetto a quello ipertecnologico di oggi».

Parlando di ablazione, su un aspetto Corsetti tiene a mettere l’accento: «Non deve passare il messaggio che la tachicardia parossistica sopraventricolare e le tachiaritmie atriali in genere siano un problema relativo al ciclismo e/o agli sport di endurance. Attualmente seguo 4 ragazzi con lo stesso problema ma sport diversi: ciclismo, calcio, pallavolo e ginnastica ritmica. Il ciclista anzi ha una sensibilità particolare, conosce bene se stesso, sa “ascoltarsi” anche senza strumentazioni e coglie quando qualcosa non va, quando c’è un’anomalia».

Juniores: «E’ l’età della scoperta». Malori parla chiaro

10.09.2021
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Il tema della precocità fra gli juniores continua a far parlare. E anche se c’è sempre chi minimizza e dice che va bene, da altre parti arrivano segnalazioni di pratiche eccessive addirittura fra gli allievi. Di sicuro sarà utile ascoltare anche chi, come Adriano Malori, non è coinvolto direttamente nelle squadre eppure allena o segue o conosce alcuni juniores e il loro ambiente.

«Vanno forte come gli under coi pro’ – dice – che ora passano e vincono subito. Vedo anche io qualche junior che seguo. Tutti parlano già di watt per chilo, di aerodinamica, di misuratore di potenza e roba del genere. Sono così attaccati a questi aspetti, che quando passano hai già un problema. Se invece di andare alla Ineos, che gli fanno usare la Bolide, vanno in una squadra che gli dà mezzi inferiori a quelli di prima, vanno in crisi. Allora cominciano a dire che non vanno per colpa della bici e del misuratore di potenza, perché anziché l’Srm ne hanno un altro e non si trovano».

Nel 2016 Bernal aveva 19 anni, ma ne dimostrava di più: i sudamericano crescono prima
Nel 2016 Bernal aveva 19 anni, ma ne dimostrava di più: i sudamericano crescono prima

Maledizione 1990

Malori è nato nel 1988 e già fra i suoi coetanei e quelli nati poco dopo fra il 1989 e il 1991 si parlava di attività eccessiva che li portava al rischio di carriere brevi. E forse sarà per caso oppure no, che tanti di loro non siano riusciti a mantenere le altissime aspettative con cui erano passati al professionismo. Da Battaglin a Moreno Moser, fino a Ulissi con i suoi due mondiali da junior (una polemica investì la Vangi in cui correva per tabelle di lavoro eccessive fra gli juniores: si parla del 2007). Poi Aru fortissimo a sprazzi e appena ritirato e Cattaneo che si è ripreso solo da poco.

Che cosa succede se spingi troppo fra gli junior?

A quell’età, devi scoprire i tuoi limiti. Vedi che hanno ancora il 52×14, non è per caso. Sono atleti che devono riconoscere la crisi di fame, il non mangiare, il modo di gestirsi. Io da junior sapete quante volte sono scattato perché convinto di vincere e poi sono esploso? Da under, anche da pro’. Io sono dell’idea che per fare il professionista devi essere professionista.

Palumbo vinse due iridi juniores nel 1992 e 1993, ma tra i pro’ non mantenne le attese
Palumbo vinse due iridi juniores nel 1992 e 1993, ma tra i pro’ non mantenne le attese
Invece adesso si passa dopo due anni da junior e puoi finire nella continental o nella professional.

E magari capita un ragazzino che fa una prestazione buona e lo mettono di riserva. Poi magari il titolare si ammala e buttano dentro un neoprofessionista che ha 20 anni a fare il Giro d’Italia, solo perché aveva il nome da under 23. 

Difficile di questo passo trovare un nuovo Nibali, no?

Non troveremo mai più un Nibali, soprattutto per la longevità, perché sono spremuti troppo subito. Ce ne sono tanti delle classi 89-90 che sembravano dei fenomeni, poi sono passati e sulla soglia dei trent’anni hanno le tasche abbastanza vuotine. Se guardate quelle classi lì, ci sono stati rendimenti altissimi, ma di breve durata.

Il punto è proprio capire se e quanto dureranno. Bernal ha vinto il Tour a 22 anni e il Giro a 24, ma se ne parla come un atleta già in declino…

Quando Bernal ha vinto il Tour, ho detto subito che doveva passare la fascia di età dei colombiani. Perché fanno tutti così.

Grabovskyy era fortissimo, ma arrivò al professionismo senza le basi necessarie
Grabovskyy era fortissimo, ma arrivò al professionismo senza le basi necessarie
Così come?

Fanno un paio di anni fortissimo e poi non si ripetono più. Sono tanto prematuri perché vivono in altura. Quintana vive a 2.500 metri, se lo guardi, dimostra cinque anni in più. Chiaramente sono precoci fisicamente, vivere a 2.500 metri consuma e giustamente il loro fisico, a 30 anni è come se ne avesse 40.

E poi subentra anche il discorso economico…

E poi c’è il discorso economico. A casa loro con uno stipendio WorldTour si vive da re e tanti perdono la testa. Altri, è successo con tanti russi, si ritrovavano nei bar a bere e smettevano di correre. Si comincia a correre per fame o ambizione, poi arrivano i soldi e la fame scende. I corridori della mia classe di cui parlavamo prima sono passati a 22-23 anni, avevano uno spessore. Ma se adesso passano a 19-20 anni che solidità possono avere?

C’era un filo invisibile fra la Sardegna e il resto del mondo

19.07.2021
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Nel sole accecante riflesso dalla candida Basilica di Bonaria, uno dei simboli di Cagliari, partono fili invisibili che collegano l’Isola di Sardegna al mondo. A Parigi, per esempio, dove il Uae Team Emirates sta festeggiando il trionfo di Tadej Pogacar. Diego Ulissi si unisce ai festeggiamenti “da remoto”, conquistando d’autorità la prima edizione della “Settimana Ciclistica Italiana… sulle strade della Sardegna”. Il campione toscano è un corridore ritrovato dopo la grande paura dello scorso inverno. Nell’Isola ha messo in chiaro le cose sin al primo giorno, sprintando a Sassari per prendersi la maglia azzurra di leader e confermandosi nel Capo di Sotto sempre in una volata sul filo. Ha fatto venire qualche dubbio al ct Davide Cassani, ma è sereno.

«Per me essere qui, avere avuto l’attenzione di Cassani che ha tenuto la porta aperta sino all’ultimo – dice – è già una vittoria. Ci sono altri appuntamenti da qui alla fine della stagione, anche per la Nazionale. Dovrò farmi trovare pronto».

In Sardegna Ulissi ha ritrovato fiducia, sorriso e vittoria
In Sardegna Ulissi ha ritrovato fiducia, sorriso e vittoria

Da Cagliari ai Campi Elisi

La Sardegna lo ha reso felice, le due tappe e la classifica – conquistata con 8” sull’irriducibile Sep Vanmarcke – non le ha considerate vittorie di ripiego e altrettanto ha fatto Pascal Ackermann, anche se la sua mente seguiva quel filo invisibile, sino in Francia: «No, questi non sono i Campi Elisi – ha detto spalancando il suo sorriso sul rettilineo che gli ha regalato due sprint su due, magistrali e diversi – ma ogni vittoria conta per me e per queste tre in Sardegna sono davvero felice».

Tre successi (Oristano e due volte Cagliari), tre come il suo compagno alla Bora-Hansgrohe, Peter Sagan, nel 2011, ma in realtà sono cinque in quindici giorni, contando il Sibiu Tour: «Ho dovuto superare qualche problema di famiglia, speravo di andare al Tour, ma ho dimostrato di essere in buona forma e adesso spero di continuare così. Una piccola pausa, poi penserò al Polonia».

Da Cagliari a Tokyo

Tra Sardegna e Romania, su quel filo invisibile, ha fatto il funambolo anche Giovanni Aleotti: una tappa, un secondo posto e la classifica finale al Sibiu Tour, un terzo posto di tappa e quello nella “generale” in questa Settimana Italiana, con il primato tra i giovani.

«Se ci mettiamo anche le tre vittorie di Ackermann, credo che noi della Bora possiamo essere contenti», ammette, ricordando che il quarto assoluto è stato Felix Grossschartner. E mentre Santiago Buitrago completa le premiazioni indossando la maglia verde degli scalatori sopra quella rossa della Bahrain Victorious, con Ackermann primo a punti, la carovana si disperde verso la prossima meta.

Per qualcuno quel filo invisibile unisce l’Isola a Tokyo. Con gli azzurri (Alberto Bettiol, Giulio Ciccone, Gianni Moscon e Damiano Caruso), altri sei hanno scaldato i muscoli in vista della prova su strada della Olimpiadi: lo svizzero Gino Mader, il bielorusso Aleksandr Riabushenko (secondo nella quarta tappa), il russo Ilnur Zakarin (che ha chiuso nella top 10), lo slovacco Juraj Sagan, il sudafricano Ryan Gibbons e il lituano Evaldas Siskevicius.

Da Cagliari… al futuro

Un ultimo filo galleggia nell’aria cagliaritana. Parte dal podio e vola via, in attesa di unire questa prima edizione della Settimana Italiana, chiamata così per l’impossibilità di utilizzare il nome “Giro di Sardegna” (teoricamente la corsa è in calendario per ottobre), con la prossima. Se ne vede soltanto l’inizio: Natura Great Events e Gs Emilia proveranno a trovare l’altro capo nel 2022.

Toccherà a Ulissi raccontare la Sardegna a Fabio Aru

18.07.2021
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Diego Ulissi continua a tenere in pugno a suon di vittorie la “Settimana Ciclistica Italiana… sulle strade della Sardegna”, così si chiama la neonata corsa a tappe in chiusura oggi a Cagliari. Ma forse sarebbe stato ancor più semplice dire “Sulle strade di Fabio Aru”. Il Cavaliere dei 4 Mori è il convitato di pietra di questa prima edizione, che tra Giochi di Tokyo da preparare e necessità di un calendario Uci sempre affollatissimo, è rotolata nel bel mezzo di luglio. Proprio il suo mese, quello in cui Fabio compie gli anni (e con lui sua mamma Antonella e suo fratello Matteo). Quello in cui ha ottenuto il successo più prestigioso, sulla salita della Planche des Belles Filles, nell’ormai lontano Tour del 2017.

Aleotti, reduce dalla vittoria di Sibiu, racconta di un Aru in gran forma. A sinistra Ackermann
Aleotti, reduce dalla vittoria di Sibiu, racconta di un Aru in gran forma. A sinistra Ackermann

Le strade di Fabio

L’ultima frazione (Cagliari-Cagliari, come la penultima, ma con uno sviluppo totalmente diverso) si spinge verso il Sulcis, sino a Carbonia. Qui porterà il gruppo a una doppia ascesa sulla salita di Terraseo, classico terreno di allenamento per Fabio, quando viveva a Villacidro. Già la terza aveva esplorato i luoghi cari al trentunenne della Qhubeka-NextHash, con il simbolico gpm (definizione quantomeno generosa per un tratto di neppure 2 chilometri al 5 per cento) proprio a casa sua, nel Paese d’Ombre descritto da Giuseppe Dessì. Ben altro era l’omaggio che il “vero” Giro di Sardegna gli avrebbe riservato nell’edizione in calendario per ottobre, disegnata per lui ma che resterà nel cassetto! Perché la speranza di chiunque organizzi una gara nell’Isola è di avere alla partenza il più grande corridore sardo di sempre, orgoglio di un popolo che sussultò vedendolo salire sul podio di Madrid avvolto nella bandiera con i Quattro Mori, preferita al tricolore.

Milan continua a crescere, su strada e su pista. Qui con Volpi, suo diesse in Sardegna
Milan continua a crescere, su strada e su pista. Qui con Volpi, suo diesse in Sardegna

Il tabù Sardegna

Ma il tabù-Sardegna per Aru continua. Il Giro di Sardegna si è interrotto nel 2011, l’anno prima che lui vestisse la maglia dell’Astana. Da allora i pro’ sono sbarcati soltanto nel 2017, per il Giro d’Italia. Una caduta durante il ritiro in Spagna gli conciò male un ginocchio e alla Grande Partenza da Alghero Fabio si presentò in borghese, giusto per un saluto ai propri tifosi. Una delusione cocente. Stavolta c’era il Tour nei suoi programmi, ma il tricolore di Imola ha fatto scattare il piano B. Troppo tardi, però. La Qhubeka aveva già disdetto gli inviti e Aru non ha potuto dar seguito alle belle prove di Lugano e Sibiu Tour, dove soltanto Giovanni Aleotti gli ha negato (due volte) la decima vittoria in carriera. Ma è stato il primo segnale dopo tanto tempo.

Così dopo Sassari, Ulissi conquista anche Cagliari ed è sempre più leader
Così dopo Sassari, Ulissi conquista anche Cagliari ed è sempre più leader

L’omaggio di Aleotti

«Fabio è un grandissimo corridore, non c’è bisogno che lo dica io: il suo curriculum e la sua carriera parlano per lui», conferma l’emiliano della Bora-Hansgrohe che in Sardegna si è confermato in grande forma (è 3° in classifica). «In Romania andava veramente molto forte, quindi credo che sia ancora a un grandissimo livello».

Magari non avrebbe avuta la velocità per imporsi negli sprint, ma di sicuro il villacidrese sarebbe stato tra i protagonisti. Si farà raccontare la corsa da Diego Ulissi, suo vicino di casa a Lugano ed ex compagno per tre anni alla Uae Emirates. Dopo la seconda vittoria nello sprint ristretto di Cagliari, Diego è sempre più vicino al successo nella neonata Settimana Ciclistica Italiana sulle strade di Fabio Aru, pardon… della Sardegna.

Settimana Italiana, la corsa degli uomini in missione

16.07.2021
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Arrivato in vista della vetta, Simon Pellaud ha creduto di scorgere una donna vestita da sposa e la Madonna, ma non erano allucinazioni dopo il grande sforzo fatto per tenere le ruote dei migliori. La sposa faceva parte del suo fan club, arrivato da Martigny (Svizzera) sino in Sardegna per sostenerlo e piazzato proprio alla Madonnina, la lunga salita che sale da Cuglieri e che da queste parti è più celebre per la classica automobilistica in salita.

La missione di Pellaud

Pellaud è un uomo in missione. La sua dimensione è l’attacco da lontano e così è stato sin dall’avvio della Settimana Ciclistica Italiana. D’altra parte, dopo aver vinto il premio per il maggior numero di chilometri in fuga al Giro d’Italia, lui si sente quasi investito di un incarico.

Pellaud, dalle fughe del Giro ai Gpm della Sardegna
Pellaud, dalle fughe del Giro ai Gpm della Sardegna

«In realtà la maglia di leader del Gpm (in apertura, con lo sponsor scritto a mano, ndr) mi piace e quindi sono andato all’attacco anche oggi. Ci hanno ripreso sulla salita lunga (11 chilometri al 5,1 per cento, ndr) e ne ho fatto metà assieme al gruppo, ma alla fine sono riuscito anche a sprintare e prendere il secondo posto», ha detto quasi giustificandosi dopo l’arrivo a Oristano, che lo ha visto chiudere il gruppo dei 56 migliori, con lo stesso tempo del vincitore Pascal Ackermann, primo su Barnabas Peak e Sep Vanmarcke.

La missione di Ackermann

Il tedesco è un altro uomo in missione. La Sardegna, come la settimana scorsa la Romania, sono un ripiego per lui. Doveva essere al Tour de France (per contratto, sostiene lui) e quanto sarebbe servito in volata alla Bora-Hansghrohe che nel frattempo ha pure perso Peter Sagan

Ackermann vince la seconda tappa e si toglie un sassolino
Ackermann vince la seconda tappa e si toglie un sassolino

Invece il team lo ha escluso e lui ha risposto con due vittorie al Sibiu Tour e una (per ora, ma è difficile che resti l’unica) alla Settimana Italiana: «Anche se non avevo vittorie, mi ero preparato bene e credo che meritassi di essere in Francia. Oggi era una giornata dura, c’era una salita lunga, ma la squadra credeva in me e io stesso ci credevo. Ho dovuto inseguire da solo dopo la salita e sono davvero felice. So ci sono altre occasioni, ma non significa che sarà più facile perché tutti mi controllano».

La missione di Ulissi

Intanto ha dato una bella dimostrazione e altrettanto sta facendo Diego Ulissi (ieri 7° in volata), che ha indossato ancora la maglia color del mare di leader della classifica, ma che avrebbe preferito un altro azzurro. Però la convocazione di Davide Cassani per Tokyo non è arrivata e a lui non resta che battagliare con Bettiol (anche a Oristano attivissimo perfino negli ultimi chilometri prima dello sprint), Ciccone, Moscon e Caruso e provare a difendere la maglia.

Con l’annunciato ritiro del vincitore del Fiandre 2019 e degli altri azzurri della strada (la partenza per il Giappone è domani), i suoi rivali diretti per la classifica sono il “vecchio” Sep Vanmarcke e l’emergente Giovanni Aleotti (entrambi a 6”), ma più ci si avvicina a Cagliari, sede degli ultimi tre arrivi, più il terreno diventa favorevole ai velocisti puri e la missione di Ulissi meno complicata: «Non è più facile, ma guardo giorno per giorno e la voglio portare a casa», ha detto, festeggiando all’ombra della statua di Eleonora d’Arborea il 32° compleanno.

Ulissi ora vuole portare la maglia di leader a casa
Ulissi ora vuole portare la maglia di leader a casa

Missione Tokyo

Oggi, dopo la Oristano-Cagliari, con passaggio a Villacidro, casa del grande assente Fabio Aru, lasceranno gli altri quattro “uomini in missione”: Davide Cassani ha messo alla frusta i suoi quattro moschettieri olimpici (D’Artagnan-Nibali si unirà a loro domani a Roma), allungando la Sassari-Oristano ben oltre i 185 chilometri del percorso. Per Bettiol, Moscon, Ciccone e Caruso, altre due ore per l’ultima “distanza” italiana prima del trasferimento a Tokyo.

Ulissi, buona la prima. Presa Sassari, il favorito adesso è lui?

15.07.2021
5 min
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Quattro anni dopo, la Sardegna sapeva esattamente dove ritrovare il grande ciclismo. Ad Alghero, sul lungomare del porto che nel 2017 era vibrante di passione popolare per il Giro d’Italia numero 100, gli appassionati veri sono andati ad annusare il profumo della corsa. La Settimana Ciclistica Italiana – cinque tappe, categoria2.1 – è il prodotto del connubio tra l’Isola, con Carmelo Mereu (Rally Costa Smeralda, per capirci) e il ciclismo, rappresentato da quel vecchio “lupo di strada” che è Adriano Amici (cioè il Gs Emilia). Formalmente è la prima edizione, la prima tappa da Alghero a Sassari, di fatto la trentesima di quel Giro di Sardegna che nel calendario Uci è inserito a ottobre, ma non si disputerà.

Intervista per caso

Ma torniamo sul molo Dogana, battuto da un traversone che ha l’unico merito di portar via nuvoloni grigio-piombo, dove un corridore sta rispondendo alle domande di una giornalista Rai prima di salire sul palco della presentazione assieme ai compagni della Uae Emirates. Il suo nome è Diego Ulissi e alla fine della giornata la giornalista scoprirà di aver intervistato il vincitore della prima tappa. Un successo squillante, forse tardivo pensando a quelle maglie azzurre in partenza per Tokyo che strappano gli applausi più convinti.

Masnada è sceso da Livigno per questa corsa. In precedenza era sceso per il campionato italiano, arrivando secondo
Masnada è sceso da Livigno per questa corsa

Profumo di mare

La Alghero-Sassari, 156 chilometri scarsi, ha gli ingredienti che nell’Isola non mancano mai. Il Giro di Sardegna ha una solida base tradizionale. Il suo albo d’oro ha quattro quarti di nobiltà, si interrompe nel 2011 con Michele Scarponi che vince sulla Giara e Peter Sagan che conquista la classifica generale. Questa è una corsa nuova, ma lì siamo. Come ogni Giro di Sardegna ha percorsi complicati ma che non chiudono la porta in faccia ai velocisti. Nel 2009 vinse Daniele Bennati e fu la sua unica corsa a tappe. E poi c’è il vento e alla partenza da Alghero si sente molto bene. Soffierà contrario per il primo quarto di corsa, ma porta il profumo del mare che a luglio il ciclismo non aveva mai sentito da queste parti. Si è sempre corso a febbraio e marzo, quattro volte a maggio, ma era il Giro d’Italia. Vento benedetto, se calerà ci sarà da cuocersi nei saliscendi dell’interno.

Nel Team Bahrain Victorious, oltre a Caruso anche Milan, uomo del quartetto
Nel Team Bahrain Victorious, oltre a Caruso anche Milan, uomo del quartetto

Vento a due facce

Intanto c’è il mare, anzi due. E’ il nome della strada che da Alghero porta, controvento, a Porto Torres. Da lì si inverte la rotta, il vento diventa amico, la corsa è già delineata con nove uomini al comando. Sono loro a prendersi i primi applausi dei sassaresi al passaggio sotto lo striscione d’arrivo, quando la tappa sta appena cominciando, anche se ci sono già 55 chilometri sulle gambe dei corridori. Dopo Sassari, capitale sarda del basket (Dinamo) e dei presidenti della Repubblica (Segni, Cossiga), la strada scende nella “chiocciola” che sarà decisiva nel finale e riprende a salire verso Ossi. Il primo Gpm è fatale a Rudy Barbier (Israel Start Up Nation), Evaldas Siskevicius (Delko) e Paolo Simion (Giotti Victoria- SaviniDue), poi Federico Burchio (Work Service Marchiol). I primi punti per la maglia verde sono per il norvegese Jonas Abrahamsen (Uno-X) su Luca Wackermann (Eolo-Kometa) e Simon Pellaud, lo svizzero della Androni-Sidermec che ha le doti da attaccante nel dna.

La corsa sfrutta il vento in poppa, il vantaggio sul gruppo sfiora i 4 minuti, poi li supera mentre davanti perde contato lo spagnolo Sagastibel Azurmendi (Euskaltel-Euskadi). Resiste bene invece il belga Rune Herregodts (Sport Vlaanderen-Baloise), ma la riscossa del gruppo è già iniziata.

Ulissi, fra gli esclusi di lusso da Tokyo, ha vinto così la prima tappa su Bettiol e Aleotti, reduce dalla vittoria al Sibiu Cycling Tour
Ulissi, fra gli esclusi di lusso da Tokyo, ha vinto così la prima tappa su Bettiol

Da Milan a Ganna

Sono le maglie rosse della Bahrain Victorious e quelle azzurre della nazionale, con un Filippo Ganna perfettamente calato nello scopo di questa corsa che guarda alle Olimpiadi, a condurre un inseguimento che prende corpo nell’ascesa verso la Necropoli di Mesu ‘e Montes. Da qualche chilometro, a Thiesi, la strada ha ripreso a guardare a nord e il maestrale è tornato nemico dei corridori. Fortuna che la strada scende, ma la sorte di Pellaud, che nel frattempo ha preso altri punti per assicurarsi la prima maglia di leader dei Gpm, e Herregodts è segnata.

Bettiol secondo, capannello degli azzurri dopo l’arrivo. Da sinistra, Masnada, Moscon e Ciccone
Bettiol secondo, capannello degli azzurri dopo l’arrivo

La spunta Ulissi

Si arriva a Scala di Giocca, antico punto cruciale delle Cagliari-Sassari, e si scatenano i grossi calibri. Provano Gianni Moscon, Giulio Ciccone, si agganciano Alberto Bettiol e Diego Ulissi, l’unico che non ha la maglia azzurra. Non si può ancora chiudere la corsa, perché nei 3 chilometri di discesa dritta e veloce che conducono al rettilineo finale diversi rientrano. Sono in quindici a svoltare a destra e affrontare e il rettilineo in leggera salita di via Duca degli Abruzzi. Alberto Bettiol prova a contestare la volata di Diego Ulissi, ma negli ultimi metri deve arrendersi

«Avevo sentito sensazioni buone sin dalla partenza», ammetterà Ulissi. La Settimana Ciclistica Italiana sulle strade della Sardegna è appena iniziata. I 2.500 metri di dislivello che si sommano lungo i 185 chilometri della seconda tappa, Sassari-Oristano, potrebbero essere l’ultima insidia per il toscano della Uae Emirates, diventato primo favorito della corsa sarda che ora attende le sfide tra i velocisti.

Procuratori, gelati, Ulissi e juniores: vi ricordate di Mori?

24.06.2021
6 min
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Dice Massimiliano Mori che se Diego Ulissi fosse nato una decina d’anni dopo, sarebbe passato professionista direttamente dagli juniores. Uno che vince due mondiali di fila, tra gli under 23 non ci poggerebbe neppure il cappello.

«Però non sarebbe lo stesso un modo sano di fare – riflette – perché al di là delle conoscenze superiori a disposizione oggi di uno junior, il fisico è sempre quello di un ragazzo di 18 anni. E le fatiche tra i professionisti, se possibile, sono ogni anno superiori».

Mori e Fornaciari al Fiandre 2008: singolare che entrambi ora lavorino nel mondo del gelato
Mori e Fornaciari al Fiandre 2008: singolare che entrambi ora lavorino nel mondo del gelato

I tre Mori

Massimiliano Mori, fratello di Manuele (ritirato nel 2019) e figlio di Primo (vincitore di una tappa al Tour 1970), è diventato campione del mondo juniores 1992 della 70 chilometri a squadre (assieme a Martini, Velo e Romio). Poi è stato professionista dal 1995 al 2009 e da circa cinque anni è tornato nel ciclismo come procuratore. Nel 2005, ancora corridore, si era dedicato alla sua azienda gelatiera, al punto che oggi ne produce per una trentina di negozi, rifornisce alcuni punti Conad e ha pure i suoi tre punti vendita.

«Non siamo la Sammontana – sorride – ma ce la caviamo. Un giorno però mi cercò Marco Piccioli, che fa l’agente nel calcio ed è un appassionato di ciclismo. Fra i suoi atleti aveva anche Vieri, per intenderci, ma non conosceva corridori. Così ho accettato di aiutarlo, sono l’ultimo arrivato. Lavoriamo in squadra. Marco si occupa dell’aspetto contrattuale, io individuo i corridori che mi piacciono e gli sto vicino dando qualche consiglio. Non avendo fatto il corso Uci, per firmare i contratti ci avvaliamo dell’avvocato Mari».

Massimiliano con suo padre Primo e il fratello Manuele, ritirato nel 2019 (foto Instagram)
Massimiliano con suo padre Primo e il fratello Manuele, ritirato nel 2019 (foto Instagram)
Come si fa a prendere un corridore?

Non con le promesse, anche se ci sono alcuni che ne fanno tante. Uno che ti promette lo squadrone, genera aspettative sbagliate. Chi ci casca lo trovi, dipende dal corridore. Oggi le cose sono cambiate.

Sotto quale punto di vista?

Quando correvo io, nelle squadre il procuratore era visto come quello che mangiava sulla pelle dei corridori. Oggi sono i corridori che ti cercano, perché pensano che se non hanno il procuratore giusto, restano esclusi.

Così anche i team manager hanno cambiato opinione?

Direi di sì. Loro sono quelli che firmano i contratti, ma per noi spesso è più semplice parlare con i direttori sportivi, perché hanno una miglior conoscenza degli atleti. 

E’ stato Mori a suggerire a Cattaneo il passaggio all’Androni per rilanciarsi nel WorldTour
E’ stato Mori a suggerire a Cattaneo il passaggio all’Androni per rilanciarsi nel WorldTour
Aver corso è un vantaggio?

Secondo me sì. Marco Piccioli prima di fare qualunque movimento, chiede prima a me. In più considerate che tanti team manager e direttori sportivi sono stati miei compagni o correvano nei miei anni ed è un vantaggio.

Sei di quelli che va a pescare fra gli allievi?

No, sono contrario che si vada tanto a ritroso. E’ un male. C’è tanta competizione, si cerca sempre di anticipare, ma alla fine si fa danno al ragazzo. Gli allievi si lasciano stare, invece ho messo il naso fra gli juniores. Ero contrario, ma anche stufo di arrivare sempre dopo e così mi sono adeguato.

Quanto vi paga uno junior?

Sei matto? Non paga niente neanche da under 23. Il procuratore non va pagato secondo me fino al passaggio al professionismo, ma certo nel momento in cui si rivolgono a noi, si aspettano proprio di passare. Ed è complicato, c’è da valutare i singoli casi. Io sono contrario al passaggio subito, meglio firmare e fare un altro anno da under 23. Alcuni lo capiscono, altri fanno fatica e magari pensano che tu non sia un bravo procuratore.

Nella sua scuderia anche Benedetti, fresco tricolore U23 (foto Instagram)
Nella sua scuderia anche Benedetti, fresco tricolore U23 (foto Instagram)
Benedetti, fresco tricolore U23, l’ha capito…

Lo scorso anno avevo già la squadra per farlo passare, ma il ragazzo preferì rimanere ancora U23 perché non si sentiva pronto e aveva fatto poche gare. Il contrario del pensiero che va per la maggiore.

Perché a volte il corridore manda avanti il procuratore per le sue esigenze in squadra?

E’ una cosa che capita, anche se a mio avviso il rapporto primario deve essere fra corridore e team. Può capitare che serva un’intermediazione, ma sulla bicicletta ci va il corridore e lui non è di proprietà del procuratore. Noi siamo di supporto, altrimenti si torna a quando pensavano male della categoria.

Davvero oggi Ulissi passerebbe subito?

Uno che vince due mondiali da junior avrebbe l’asta. Su di lui ci sono sempre state aspettative immense, pensate che peso sarebbero state se fosse passato subito. La differenza grossa è che oggi uno junior ha accesso alle stesse conoscenze dei professionisti, mentre io ad esempio di Bugno o Chiappucci non sapevo niente. A 18 anni il fisico è sempre quello. Puoi passare, puoi essere precoce, ma quanto duri?

Con Spalletti, il socio Marco Piccioli e Diego Ulissi (foto Instagram)
Con Spalletti, il socio Marco Piccioli e Diego Ulissi (foto Instagram)
Che rapporto hai con Diego: si parla solo di contratti o anche di vita?

E’ un fratello, quando ci vediamo parliamo di tutto. Di vita, di contratto e di corse. Se posso, un consiglio si dà sempre. Si dice che non vince abbastanza, ma se dovesse centrare una Liegi, allora il suo palmares assumerebbe un’altra dimensione. E’ un ragazzo umile ed educato. Quando quest’inverno ha avuto i problemi di cuore e poi nella ripresa, gli siamo stati vicinissimi.

Facendo cosa?

Lo abbiamo assistito per il discorso delle visite. E poi quando ha ripreso, scherzando durante il Giro gli dicevo che a causa sua si potrebbero rivedere le teorie dell’allenamento. Perché ha saltato l’inverno e non è andato in altura e ugualmente ha chiuso il Giro in crescendo meglio di quelli che lo avevano preparato da novembre.

Chi altri c’è nella tua squadra?

Non è bello fare l’elenco, però ad esempio sono contendo di come stanno andando le cose con Mattia Cattaneo e la Deceunick-Quick Step. Quando vidi che alla Lampre non andava, fui io a proporgli di andare all’Androni. E ora è tornato nello squadrone ed è contentissimo di starci, tanto che a breve rinnoverà per due anni.

Sono sempre rose e fiori?

Sarebbe troppo bello, ma a volte capitano anche i colpi bassi. Te ne fai una ragione e vai avanti, anche se magari sul tale corridore hai investito del tempo, lo hai consigliato e sai di aver sempre fatto il suo interesse. Ma si va avanti, ci mancherebbe. Si va avanti lo stesso.

P.S. Richiesto sul tema, Diego Ulissi ha dimostrato ancora una volta di avere la testa sulle spalle, anche perché forse il peso di passare a 21 anni è stato ugualmente importante.
«Oggi credo che la soluzione migliore per crescere – ha detto dopo aver concluso il Giro dell’Appennino – è fare un paio di anni in squadre continental. Non tante gare, ma iniziare ad assaggiare il professionismo. Io dovevo fare un solo anno tra i dilettanti, poi fu una decisione mia farne due, perché quell’anno mi ammalai. Presi mononucleosi e citomegalovirus e mi concessi un anno in più. Penso che comunque un percorso di crescita graduale sia sempre la soluzione migliore per il bene del ragazzo fisica e mentale».

Dalla Slovenia l’acuto di Ulissi, l’uomo di Tokyo…

13.06.2021
4 min
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Diego a Tokyo c’è già stato ed ha anche vinto (foto di apertura), perciò da ieri sera ha un pensiero felice in più che gli frulla per la testa. Era il 21 luglio del 2019 e il toscano si presentò da solo sul traguardo che il 24 luglio assegnerà l’oro del ciclismo su strada. E ieri, sulle strade slovene di Nova Gorica, con l’obiettivo della maglia tricolore e la concreta possibilità di andare alle Olimpiadi, Diego Ulissi ha chiuso in qualche modo anche il cerchio del destino. Ha vinto la tappa del Giro di Slovenia e si è rimesso in cammino. Una strada che, sebbene abbia solo 32 anni, va avanti nel professionismo già da 12 stagioni.

Al Giro d’Italia ha ritrovato buone sensazioni nella terza settimana
Al Giro d’Italia ha ritrovato buone sensazioni nella terza settimana

Stop: è il cuore

Quando ti fermano perché pare ci siano delle anomalie al cuore, non è semplice rimettersi in traiettoria: che ne sai di cosa significhi davvero? Una gamba rotta la vedi, la tocchi e ti fa male. Il cuore con l’extrasistole al massimo è una sensazione, ma se poi le hai sempre avute, pensi anche che sia normale.

«Infatti all’inizio ho avuto paura – ci ha detto – soprattutto per la mia salute. La carriera passa in secondo piano, ma l’affetto delle persone accanto mi ha aiutato a passarci in mezzo. E’ stato tutto un fatto di testa. Fisicamente non sentivo niente, sono sempre stato bene. Ma di colpo è arrivata questa diagnosi, ho dovuto fermarmi e la testa ha lavorato parecchio. E’ stato un misto di paura e sconforto. La speranza di tornare e fare quello che ho sempre fatto. La paura di non poterlo più fare. Poi finalmente è arrivato il nulla osta, come una liberazione».

Dalla Spagna al Giro

Ha riattaccato il numero al Gp Indurain del 3 aprile, la corsa del ritorno alla vittoria di Valverde. Il Giro dei Paesi Baschi che partiva due giorni dopo era nei programmi, ma non si poteva dire per le cautele necessarie. Poi la Freccia Vallone non conclusa e i primi segni di risveglio al Romandia, con bei piazzamenti nelle ultime tappe. Il Giro d’Italia poteva essere il palcoscenico del rilancio oppure un ostacolo troppo alto, ma Diego l’ha preso a piccoli passi. E se pure non è riuscito a infilarsi nelle tappe più adatte, nella terza settimana è scattato qualcosa. Quarto a Sega di Ala, quinto a Stradella.

«Se durante la convalescenza è stato più un fatto mentale – ha detto a fine Giro – qui hanno fatto più le gambe della testa. E’ stato bene crescere gradualmente e non compromettere il resto della stagione. Il Giro d’Italia è stato sicuramente un passaggio utile per il resto dell’anno. E le Olimpiadi sono un sogno per chiunque, anche per me».

La Slovenia gli porta bene: aveva già vinto la classifica nel 2011 e qui nel 2019
La Slovenia gli porta bene: aveva già vinto la classifica nel 2011 e qui nel 2019

Tokyo chiama

Il Giro di Slovenia gli ha sempre portato bene. E mentre Pogacar lo ha abbracciato come se avesse vinto suo fratello, la memoria va a quando il livornese, 22 anni ancora da compiere, ci arrivò nel 2011 dopo aver vinto la tappa di Tirano al Giro d’Italia e si prese la vittoria finale. Tornò nel 2016 per vincere una crono e nel 2019 arrivarono nuovamente una tappa e la classifica generale. Anche allora uscì dal Giro senza vittorie, poi però vinse a Lugano, si prese lo Slovenia, arrivò quarto ai campionati italiani e volò a Tokyo.

«Era importante esserci – disse dopo l’arrivo di quel test – perché solo la gara ti fa capire le reali difficoltà del percorso. Alle Olimpiadi sarà durissima».

Nel luglio del 2019, l’Italia di Cassani volò a Tokyo con Formolo, Ulissi, Cataldo e Masnada
Nel luglio del 2019, l’Italia di Cassani volò a Tokyo con Formolo, Ulissi, Cataldo e Masnada

Un bel déjà vu

L’Italia volò in Giappone con Ulissi, Formolo fresco di tricolore, Cataldo e Masnada, ancora corridore dell’Androni e vincitore al Giro della tappa di San Giovanni Rotondo.

«Non sta a me scegliere – ha detto Diego commentando la vittoria – ma se serve, sono pronto. Sono veramente felice. Al Giro d’Italia nell’ultima settimana avevo avuto ottime sensazioni e questa volta ho sfruttato al meglio la condizione, grazie anche a una grandissima squadra. E’ bello dopo un inverno così difficile, di aver ritrovato ottime sensazioni e un’ottima gamba. Sono davvero contento».