Bitossi

Nonno Bitossi, un ragazzino di 80 anni e quella maglia verde…

27.06.2021
5 min
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Lo chiamavano “Cuore matto” e non dipendeva solo dalle bizze che l’apparato cardiaco gli riservava durante alcune gare. Ancora oggi, a 80 anni suonati, Franco Bitossi è più che vispo, con l’entusiasmo che traspare dalla sua voce e una voglia di attività per nulla mitigata dagli anni.

La bici? Quella è rimasta parte della sua vita: «L’avevo ripresa in mano a sessant’anni, quando sono andato in pensione, ma ora mi limito a qualche giro tranquillo con la bici da passeggio».

Bitossi chiuse la sua carriera avanti negli anni, 38 ne contava la carta d’identità quando smise con la bellezza di 171 vittorie all’attivo, tra cui 21 tappe al Giro e 4 al Tour, tre titoli nazionali e due Giri di Lombardia. Aveva vissuto le ultime stagioni di Anquetil, tutta l’epopea di Merckx, i primi successi di Moser e Saronni. Tre epoche diverse, ma lui era sempre lì, corridore capace di qualsiasi impresa. E poi?

Bitossi Lombardia 1967
Bitossi al Giro di Lombardia 1967, vinto davanti a Gimondi e Poulidor. Lo riconquisterà nel 1970
Bitossi Lombardia 1967
Bitossi al Giro di Lombardia 1967, vinto davanti a Gimondi e Poulidor. Lo riconquisterà nel 1970

Una vita da contadino

Appesa la bici al chiodo, Bitossi si è dedicato anima e corpo alla terra, gestendo 12 ettari di appezzamento a Capraia Fiorentina, principalmente olio: «Ma la gestione per come la intendo io, sporcandosi le mani dalla mattina alla sera nei campi», poi con la pensione si è preso il gusto di vincere anche un altro titolo italiano (il sesto, ne aveva due anche nel ciclocross) nella categoria Over 60 nelle bocce.

E il ciclismo? Non lo ha mai perso di vista: «Lo guardo in TV e ne leggo sui giornali e mi accorgo che la fatica è sempre quella, è solo mitigata dai mezzi a disposizione. I corridori hanno pullman, massaggiatori, preparatori, bici di alta gamma, migliori capacità di recupero, ma il ciclismo resta uno sport di fatica e sacrificio».

E’ tempo di Tour e Bitossi in Francia ha impresso il suo nome nella sua storia nel 1968, primo italiano a conquistare la classifica a punti, imitato solo da Alessandro Petacchi nel 2010: «Ora però la classifica a punti è diversa, ha meccanismi che premiano maggiormente i velocisti. Allora vinsi grazie alla costanza, perché ero veloce ma capace anche di emergere in salita. Vinsi due tappe, finii ottavo nella generale, secondo in quella della montagna e mi aggiudicai la combinata che univa le tre graduatorie».

Bitossi Tour 1968
Il Tour del 1968 vide Bitossi protagonista, a lungo in lotta per il podio finale. Ma vinse la classifica a punti
Bitossi Tour 1968
Il Tour del 1968 vide Bitossi protagonista, a lungo in lotta per il podio finale. Ma vinse la classifica a punti

I grandi problemi di cuore

Questa sua poliedricità emergeva spesso nei grandi giri, tanto che la maglia ciclamino di re della classifica a punti del Giro d’Italia fu sua quattro volte: «Io mi trovavo meglio nei grandi Giri proprio per il cuore, perché dopo tre giorni di sforzi si assestava e non mi dava più fastidio. Nelle gare d’un giorno, fino a 28 anni era un calvario, spesso mi toccava fermarmi per gli attacchi di tachicardia».

Al tempo Bitossi veniva spesso affiancato a Franco Fava, grande mezzofondista e maratoneta azzurro anche lui spesso costretto a fermarsi per problemi al cuore: «Ne parlavamo spesso, raggiungevamo i 220 battiti e ci toccava fermarci. E’ un problema simile a quello che hanno avuto Viviani e Ulissi, solo che la medicina rispetto ai nostri tempi è andata avanti. Io non mi sono mai operato, ho imparato a gestirlo, anche se ora con l’età ricomincia a fare i dispetti…».

Eppure Bitossi era uno di quelli che non si fermava mai, assommando ogni anno 80 giorni di gara e più: «E come potevo? Il ciclismo di allora era così, arrivavi alla Sanremo che già avevi almeno 20 giorni di gara nelle gambe, al Giro con 40 e al Tour con 60. Correvamo molto più di adesso, poi c’erano i circuiti, insomma non ci si fermava mai».

Bitossi Basso 2014
Bitossi e Basso a una premiazione nel 2014: l’antica ascia di guerra è stata seppellita da tempo…
Bitossi Basso 2014
Bitossi e Basso a una premiazione nel 2014: l’antica ascia di guerra è stata seppellita da tempo…

Se quella volta Merckx…

C’è una gara che, quando ci ripensa, a Bitossi torna su il magone. Il Mondiale di Gap ’72? No, risposta sbagliata: «E’ il Fiandre del ‘69: sono in una forma stellare e sul Grammont stacco anche Merckx, ma manca tanto al traguardo ed Eddy mi rientra. Dietro c’è un gruppetto e lui ha qualche compagno che può aiutarlo così non mi dà cambi. Ci riprendono e in una curva Merckx ci saluta e se ne va. Finisco 4° con una rabbia dentro… Perché se Eddy collaborava arrivavamo, mi avrebbe magari battuto, ma potevo giocarmela meglio».

E’ pur vero però che quel rettilineo interminabile di Gap, quella beffa di Marino Basso è leggenda: «Sbagliai un po’ io e un po’ gli altri. La realtà è che devi partire sempre pensando che puoi vincere, che le tue carte devi giocartele. Io seguii il francese Guimard sapendo che la situazione tattica mi poteva premiare, perché dietro c’erano due italiani. Poi Merckx era amico di Guimard e non si sarebbe dannato per inseguirlo. Il francese l’avevo staccato, ma gli altri rilanciavano, si avvicinavano. Dancelli e Basso fecero la loro volata e Marino mi superò sul traguardo. Diciamo che io non sono mai stato egoista, altri sì…».

Piccoli frammenti di storia dai quali emergono tra le righe importanti insegnamenti, che un uomo di 80 anni può ancora tramandare: «Il problema del ciclismo di oggi è che i ragazzi a 18 anni si sentono già arrivati, sono dilettanti che vivono come professionisti, che perdono via via quella voglia di soffrire per emergere, poi arrivano le delusioni e pian piano si spengono. In Colombia, in Slovenia, sanno che devono dare l’anima per emergere, sempre, perché potranno risolvere la loro vita ma solo se si metteranno in gioco al 100%. La differenza è tutta qui».