Bici aero o tradizionale, per il biomeccanico contano gli angoli

01.02.2022
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Bici aero o bici “da scalatore”? Questo è il dilemma… Oggi, specie nei grandi team, gli atleti hanno a disposizione entrambe le tipologie di bici. In alcune squadre è il costruttore stesso a dare indicazioni circa il modello più adatto alla tipologia di percorso e del meteo (in questo caso in relazione soprattutto alle ruote), ma molto più spesso accade che il corridore “battezzi” una bici e tenda ad utilizzare sempre quella per tutta la stagione.

Ma su che base la sceglie? Ci sono anche discriminanti che riguardano la biomeccanica? Su questo aspetto chiediamo lumi ad Alessandro Mariano, biomeccanico del centro Fisioradi che da anni segue moltissimi professionisti.

Maurizio Radi, titolare di Fisioradi Medical Center a Pesaro. A destra, Alessandro Mariano
Maurizio Radi, titolare di Fisioradi Medical Center a Pesaro. A destra, Alessandro Mariano

Aero o tradizionale?

Le sue risposte, lo ammettiamo, ci hanno un po’ spiazzato e lui stesso per primo ammette che anche in grandi team tante volte, ma proprio tante è il tarlo del corridore a scegliere la bici.

«La prima discriminante – dice Mariano – che influenza il corridore è il peso. E solitamente la bici aero pesa un po’ di più, quindi chi la sceglie è generalmente un velocista o comunque un atleta grande e potente. Lo scalatore di certo ha la “fissazione” dei grammi… questo per dire che non sempre le scelte delle bici vengono fatte in base a discriminanti tecniche o biomeccaniche».

Ma se questa è la base di ragionamento di molti corridori, lui da biomeccanico su che cosa si basa nell’assegnare una bici aero o una tradizionale?

«Io mi baso sugli angoli – spiega Mariano – e se questi tra modello aero e modello tradizionale sono gli stessi, per me non cambia assolutamente nulla. In quel caso la scelta è del corridore. La tipologia di tubazioni, il tipo di carbonio… non incidono. E’ l’atleta che sceglie in base alle sue sensazioni, alla guidabilità, al peso».

Oggi la componente aerodinamica sta diventano predominante. Le medie orarie aumentano ed essere efficienti contro l’aria conta eccome. Non a caso anche i modelli leggeri hanno dei richiami aero. E le bici prese ad esempio appena sotto di tre team (rispettivamente Bahrain Victorious, Astana Qazaqstan e Bardiani Csf Fainzaè) ne sono testimonianza. La Merida Scultura (specie la versione 2022), la MCipollini Dolomia e Wilier 0 Slr magari non fanno dell’aerodinamica la loro peculiarità, ma neanche la trascurano.

Prima gli angoli…

«Alla fine – riprende Mariano – per me quel che comanda sono gli angoli, soprattutto quello del tubo piantone. Quello del tubo di sterzo, invece, da un punto di vista biomeccanico “conta poco”, questo riguarda più la guidabilità, mentre quello piantone è quello che determina la posizione della sella, se va spostata più o meno avanti. Ed è quella da cui tutto ha inizio.

«Pensate che nel mio protocollo, salvo errori madornali, al primo step la posizione del manubrio neanche la guardo. Prima sistemo l’angolo piantone e la posizione della sella. Il corridore ci pedala per un certo periodo, si assesta e vedo come si adatta la sua muscolatura».

Verso taglie standard 

«Oggi tra l’altro le geometrie, sia aero che tradizionali, si sono molto standardizzate. L’angolo del tubo piantone oscilla mediamente fra 73° e 73,5°. Si arriva a 74,5° nelle taglie molto piccole e a 72,5° in quelle molto grandi. E da biomeccanico mi devo adattare.

«In passato, con i telai in acciaio e in alluminio che si potevano personalizzare era più facile mettere un corridore in sella e farlo rendere al meglio. Se si andava in un team non c’erano due bici uguali».

«Faccio un esempio. Ivan Gotti e Djamolidine Abduzhaparov scheletricamente erano identici. Si sarebbero potuti scambiare la bici in qualsiasi momento, eppure avevano una muscolatura agli antipodi. Abdu aveva un quadricipite molto corto (esplosivo da velocista), Gotti ce l’aveva molto lungo. In particolare l’attacco del suo quadricipite era molto basso. Scherzando, gli dicevo che ce l’aveva sotto la rotula! Abdu era più avanzato e Gotti più arretrato.

«Le misure e le geometrie attuali avvantaggerebbero Abduzhaparov. Ivan infatti aveva un tubo piantone di 71,5° e Abdu di 74°, va da sé che si sarebbe adattato alle nuove geometrie con maggior facilità. Con ogni probabilità Gotti avrebbe avuto un attacco manubrio più lungo e Abdu uno più corto».

Muscoli e ossa

Il “disegno” dei muscoli quindi conta, ma conta sempre ai fini degli angoli di spinta e non della tipologia di telaio. 

«Io – riprende Mariano – che uso l’elettromiografo poi lo vedo subito. Vedo quanto rende l’atleta in questa o quella posizione. Per esempio: un corridore è molto forte nei glutei. Se voglio sfruttarglieli lo posiziono molto indietro, così da esaltare la sua catena posteriore. Se invece è forte di quadricipiti lo metto tutto davanti».

E qui poi subentrano anche i discorsi sulla tenuta, sui conseguenti crampi, sulla comodità col passare delle ore e dei chilometri. Discorso che vale ancora di più durante una grande corsa a tappe. Ma una cosa è certa, nella scelta del modello di bici aero o tradizionale, una volta appurati gli angoli ed escluse forzature di posizione, il biomeccanico ha meno margine di manovra. La scelta finale, spetta al corridore.

Exept, il monoscocca è su misura

24.01.2022
5 min
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Da sempre il telaio su misura e la bicicletta cucita sulle proprie caratteristiche sono un must, un simbolo di distinzione e gratificazione. Per molti, la bicicletta personalizzata in ogni sua parte e Made in Italy è il culmine di un’esperienza che va oltre il ciclismo praticato, una sorta di punto di arrivo e obiettivo. Exept è questo, un marchio tutto italiano che fa collimare la performance di un prodotto dall’elevato tasso tecnico, al percorso del ciclista che vede nascere la sua bici in modo sartoriale. L’azienda ligure nasce nel 2017, con l’obiettivo di ridefinire l’esperienza ciclistica che vede al centro il binomio tra l’atleta ed il mezzo meccanico.

Exept non ha una produzione di massa, perché costruite su misura e sulle specifiche del cliente
Exept non ha una produzione di massa, perché costruite su misura e sulle specifiche del cliente

L’unica monoscocca custom

Quando si parla di monoscocca la mente ci rimanda alla produzione del far-east. Non è del tutto errato e non deve essere un fattore negativo. Taiwan e alcuni paesi asiatici hanno sviluppato un know-how di alto livello nel corso di 40 anni e più di lavorazione delle materie composite. La tecnologia monoscocca è stata portata e sviluppata in quelle zone da grandi aziende che operano anche negli ambiti dell’aero spazio. La tecnologia monoscocca permette di raggiungere grossi numeri in fatto di produzione, al pari di una resa tecnica ottimale.

Finale Ligure, in Provincia di Savona, considerata la capitale mondiale dell’outdoor
Finale Ligure, in Provincia di Savona, considerata la capitale mondiale dell’outdoor

Esperienza Made in Italy

Però quel tocco artigianale italiano ha qualcosa in più e le innovazioni sono ancora possibili anche nel nostro Paese. Non c’é solo il marketing e una bella immagine può collimare con la sostanza e prestazioni hors categorie. Ma quindi, è possibile sfruttare la “soluzione monoscocca”, produrre in Italia e farlo sulle esigenze del cliente?

Si, è possibile. Exept ingegnerizza le bici road a Finale Ligure e produce in una fabbrica italiana. E’ l’unica azienda che costruisce la bici grazie alla tecnologia monoscocca, ma con uno stampo che permette di modulare il prodotto e adeguarlo alle caratteristiche fisiche dell’utilizzatore. Il risultato è una bicicletta curata dalla qualità sartoriale e confezionata con materiali al top della categoria. Una piccola rivoluzione, ma anche la capacità di sfruttare l’ingegneria.

Prima il bikefitting

Come si costruisce una bicicletta su misura? Il primo passo è legato alla rilevazione delle misure atropometriche. Il sistema ad oggi utilizzato è quello di bikefitting.com (nell’orbita Shimano) e fa eseguire una vera e propria seduta biomeccanica e di valutazione della pedalata, nello showroom di Finale Ligure. Vengono provate diverse soluzioni e c’è anche la possibilità di partire da uno storico, ovvero dai valori di una bicicletta già esistente e da li porre una base. Al momento della validazione del progetto, la bicicletta inizia il suo processo di costruzione hand made nella facility, in Veneto.

Il cliente sceglie

La verniciatura e l’assemblaggio della bicicletta seguono il fil rouge della costruzione ad hoc. Le grafiche e le colorazioni sono personalizzate e vengono composte grazie ad un software specifico di Exept. Anche la componentistica è personale, non c’é un montaggio standard. I prezzi sono variabili in base alle scelte dell’utilizzare e sono perfettamente in linea con un segmento di mercato che si riferisce all’alta gamma. La Exept Bike Experience include anche un secondo step, quello della configurazione della bicicletta, ma che tratteremo in seguito.

Exept

Donne in bici: con Dalia Muccioli fra tecnica e motivazioni

17.01.2022
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Il ciclismo femminile sta esplodendo. Le donne che vanno in bicicletta hanno bisogno di un mezzo con delle caratteristiche tecniche specifiche? La domanda è saltata fuori durante le riprese del video in cui Giada Gambino provava la Liv Langma Advanced Disc, disegnata appunto sulle esigenze di atlete donne. Quali sono i fattori da considerare per sviluppare una bici da donna perché sia diversa da una da uomo?

Lo abbiamo chiesto a Dalia Muccioli, ex professionista che si è laureata campionessa italiana nel 2013 (foto di apertura, sul podio di Rancio Valcuvia). Una piacevole chiacchierata, in cui è emersa la sua esperienza agonistica, ma anche di una ciclista realmente appassionata della bicicletta.

Dalia, quali sono le differenze tecniche principali tra due modelli uguali di bici, ma in versione differente, uomo o donna?

Considerando che buona parte delle aziende ha dismesso una vera e propria produzione di biciclette specifiche per le donne, le differenze sono da identificare nelle taglie che vengono proposte, al netto di colorazioni dedicate ed allestimenti. A questo fattore bisogna poi associare la diversità di alcuni componenti, come ad esempio il reggisella, il manubrio e la sella, solo per citarne alcuni. Più che la diversità dei telai, io mi concentrerei sulla differenza dei punti di contatto e di spinta che esiste tra gli uomini e le donne. E ovviamente sulle taglie.

Cosa ne pensi di una valutazione biomeccanica, come strumento e come prevenzione?

La biomeccanica è un passaggio fondamentale. Oggi esistono molte possibilità e strumenti di valutazione che danno modo di avere dei riferimenti ottimali.

Soggettività a parte, quale è il componente più importante per la compagine femminile?

I componenti che fanno la differenza sono due: la sella e il manubrio. Entrambi sono soggettivi per forme, design e per la resa tecnica, ma fondamentali quando lo stare in sella è ricerca della prestazione, ma anche piacere. Anche in questo caso una valutazione biomeccanica può dare un supporto ottimale.

Hai toccato la categoria delle selle. Nella fascia maschile quelle corte sono tra le più utilizzate. E’ così anche per il ciclismo al femminile?

E’ un segmento che è entrato di prepotenza anche nella categoria femminile ma, come dicevo prima, la sella è un componente troppo soggettivo per dare un unico giudizio. Ricordo ad esempio, quando ero in Valcar e avevamo lo sponsor Prologo, che l’azienda ci aveva messo a disposizione un’ampia scelta di prodotti e la possibilità di valutare. Testare diversi prodotti non è un fattore secondario, a tutti i livelli, perché ti permette di analizzare diverse dinamiche. Porto con me anche l’esempio di Fabiana Luperini, che utilizzava una sella strettissima ed in carbonio: estrema, eppure lei si trovava particolarmente a suo agio!

Sono sempre di più le aziende che producono i capi tecnici e che dedicano particolare attenzione agli indumenti femminili
Sempre più aziende producono capi tecnici al femminile
Meglio una bici più rigida, oppure una più comoda?

Voglio fare un altro esempio che può rendere molto l’idea. Sono ambassador per BMC e mi è stata data l’opportunità di pedalare su due biciclette differenti, prima la Roadmachine del segmento endurance e poi la top di gamma Teammachine SLR01, la stessa che usano i pro’. Da atleta agonista sceglierei la Teammachine, perché più performante, ma anche più esigente e più rigida. La Roadmachine è la bici più comoda che ho mai usato, eppure questa comodità mi ha permesso di fare uscite molto lunghe e senza stancarmi in modo eccessivo, senza avere mal di schiena, il collo e le braccia. Credo che sia fondamentale calibrare le proprie caratteristiche ed esigenze considerando anche la tipologia di bicicletta, perché non è detto che un mezzo più performante sia migliore.

E invece per quanto concerne l’abbigliamento? Ci sono delle grandi differenze rispetto ai capi tecnici maschili?

La salopette e il fondello sono fondamentali ed importanti tanto quanto la sella. Soprattutto negli ultimi anni la tecnologia e il settore dei capi tecnici ha fatto passi da gigante, non solo nel reparto uomo, ma anche in quello donna. Tessuti, design e materiali delle imbottiture ti permettono di pedalare meglio. Facendo anche un inciso, non per forza un fondello spesso e alto è sinonimo di comfort. Talvolta uno spessore ridotto va meglio, perché si adatta alle forme.

Tre buoni consigli alle donne che si approcciano alla bicicletta e al tempo stesso vogliono ottenere qualcosa in più…

Partire con calma senza esagerare con le distanze e ad ogni uscita almeno una sosta al bar. Una brioche con la Nutella? Perché no. Godersi l’ambiente e possibilmente fuori dal traffico, la bici permette di viaggiare ed evadere, anche quando ci si allena in modo serio. Porsi almeno un obiettivo, che può essere anche quello di staccare il fidanzato.

Con Cataldo, fra biomeccanica, Ciccone e le risate di Scarponi

05.01.2022
7 min
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Un altro cambio di maglia, la sesta da quando è professionista. La Liquigas, poi la Quick Step. Il Team Sky e l’Astana. La Movistar e ora la Trek-Segafredo. Dario Cataldo e i suoi occhialini hanno sempre la stessa vivacità nello sguardo, ma nei silenzi si intuiscono i chilometri e il tempo passato. Trovare una trattoria in cui sedersi a Chieti è stato un’impresa, fra locali chiusi e quelli al completo. Ma adesso, in mezzo agli antipasti che vanno e vengono e con una birra piccola per farci compagnia, il discorso fluisce gradevole e profondo come sempre.

L’ultimo contratto ha dovuto sudarselo. Da una parte era certo che dopo una carriera come la sua, sarebbe stato impossibile restare a piedi. Ma quando ottobre è diventato novembre e non c’erano novità, il senso di dover smettere ha fatto per la prima volta capolino dopo tanti anni e non è stato bello.

Cataldo sarà regista in corsa al fianco di Ciccone, ma non avrà identico programma (@rossbellphoto)
Cataldo sarà regista al fianco di Ciccone, ma non avrà identico programma (@rossbellphoto)

«Alla Trek ho trovato un ambiente molto eterogeneo – dice – al primo approccio mi ha fatto pensare a quello della Quick Step, dove c’erano persone molto competenti, con un bello staff belga e uno italiano. Qui in più c’è la stessa sensazione di famiglia della Movistar. Sto bene. Ho cambiato un po’ di cose, ma so qual è il mio lavoro. Dopo tanto tempo, quasi non è servito parlarne».

Dario è in Abruzzo per qualche appuntamento e gli ultimi scampoli delle Feste, poi tornerà in Svizzera e da lì, a metà della prossima settimana, tornerà in Spagna per il secondo ritiro con la squadra. In questi giorni, approfittando del clima insolitamente mite, è riuscito a salire fino al Blockhaus e a riempirsi gli occhi dei suoi panorami.

Hai parlato di cose cambiate…

Ad esempio a livello di biomeccanica. Cambiamenti di cui avevo intuito la necessità, ma sui quali non avevo mai ricevuto feedback dalla squadra. Era da un po’ che riflettevo sulla lunghezza delle pedivelle. Pedalo così basso e raccolto, che con le 172,5 nel punto morto superiore avevo il ginocchio conficcato nel petto. E questo un po’ era scomodo e un po’ mi impediva di avere la cadenza che volevo. Era una mia teoria, invece appena mi hanno visto, mi hanno fatto la stessa proposta senza che io gli dicessi nulla. E adesso le ho da 170…

I biomeccanici della Trek-Segafredo hanno anticipato la sua volontà e sono intervenuti su pedivelle e pedali
I biomeccanici della Trek-Segafredo sono intervenuti su pedivelle e pedali
Le hai cambiate subito?

Dal primo ritiro e ho visto subito dei benefici. Mi viene più facile andare in agilità. E in contemporanea ho cambiato la larghezza dell’asse del pedale. Ho guadagnato 4 millimetri per lato, aumentando il fattore Q di 8 millimetri (si tratta della distanza orizzontale fra i due pedali, ndr). Notavo la necessità di allargare l’appoggio e grazie ai pedali Shimano, siamo riusciti a farlo. Per questo devo dire grazie ad Andrea Morelli del Centro Mapei, che ci segue.

Perché non fare prima certe modifiche?

Perché fino a qualche anno fa c’era chiusura mentale su certi aspetti. Ho sempre chiesto la compact per fare le salite ripide in agilità e mi dicevano di no perché non c’erano mica dei muri. Oggi è cambiato, in questa squadra è diverso. C’è più apertura verso la personalizzazione, dalla biomeccanica all’alimentazione. Non siamo tutti uguali…

Perché Ciccone ha detto che sei l’uomo giusto per creare un progetto?

Perché forse in squadra serviva un occhio tecnico dall’interno della corsa. Nel suo gruppo c’è Mollema, che però non nasce gregario. Oppure Brambilla, fortissimo nelle classiche. Noi due ci completeremo, perché io ho quell’occhio per le corse a tappe. Potrei essere il tassello che mancava nei Giri. So quello che dovrò fare. Sono arrivato al punto che in certi momenti sono io che spiego ai direttori quel che serve.

Ha corso spesso da gregario, ma sa vincere. Da U23 vinse il Giro d’Italia, qui a Como nel Giro 2019
Ha corso spesso da gregario, ma sa vincere. Qui a Como nel Giro 2019
Un regista in corsa?

Più di una volta ho messo da parte le ambizioni personali. Guercilena, che mi conosce dal tempo della Quick Step, mi ha dato questa fiducia a prescindere.

Sarai la spalla fissa di Ciccone?

Ci sarò in alcune occasioni, mentre in altre per il bene della squadra mi… occuperò d’altro. Faremo però un bel calendario insieme. Tecnicamente, Giulio è ibrido, deve capire dove può emergere. Ha ottime qualità per i grandi Giri, ma è istintivo e per questo va tenuto a bada. Deve maturare ancora. Deve trovare la giusta dimensione per utilizzare il suo potenziale. Credo che fra preparatori, direttori e compagni possiamo fare ognuno la sua parte per supportarlo.

Cosa è cambiato nel gruppo dagli inizi?

E’ diventato un lavoro più esigente. Credo che si sia sempre fatta attenzione ai dettagli, per quello che di anno in anno fosse il meglio a disposizione. Oggi ci sono più conoscenze per fare le cose a un livello superiore, qualitativamente e quantitativamente. Puoi sbagliare meno, altrimenti sei automaticamente fuori dai giochi. La cosa veramente difficile è diventato lo stare in gruppo.

Dopo cinque anni all’Astana, Cataldo ha corso le ultime due stagioni alla Movistar
Dopo cinque anni all’Astana, Cataldo ha corso le ultime due stagioni alla Movistar
Che cosa significa?

Il modo più aggressivo di correre fa saltare le tattiche e si traduce in meno rispetto. Prima un corridore esperto poteva richiamare il giovane che sbagliava, adesso ti mandano a quel paese. Primo, perché non c’è rispetto. Secondo, perché lo fanno tutti e quindi ti prendono per scemo, quasi tu voglia fare lo sceriffo.

Chi gode di rispetto?

Il leader forte che vince le grandi corse. Quelli vengono presi a modello, ma si pensa di poter fare come loro. C’è una bella anarchia.

Pensi mai alle persone che ti hanno lasciato qualcosa?

Michele Scarponi, sicuramente. Lui è in cima alla lista. Tante volte facciamo progetti e castelli in aria senza renderci conto che tutto può finire in un secondo. Ma per parlare di lui servirebbe un libro…

Scriviamolo!

Per capirlo, devi averlo conosciuto (dice strizzando l’occhio, ndr). Di lui apprezzavo la capacità di mantenere alto il morale, lo osservavo per come si comportava ed era di ispirazione. Faceva gruppo ridendo, ma non da pagliaccio. Era burlone e super professionale. Continuando a ridere, ti sbatteva in faccia il tuo errore. Ti prendeva in giro, ne ridevi anche tu e intanto imparavi.

Scarponi riusciva a dire col sorriso anche le verità più scomode
Scarponi riusciva a dire col sorriso anche le verità più scomode
A te cosa rimproverava?

Il fatto di essere troppo zelante e di avere troppa dedizione per quello che mi dicevano. A volte i corridori sfilano la radiolina per non eseguire ordini che gli sembrano assurdi, io non lo facevo mai. Una volta all’Algarve il gruppo era tutto largo su uno stradone con il vento contrario. Un direttore disse alla radio che dovevamo attaccare. Noi gli chiedemmo se fosse sicuro. E quello in tutta risposta disse che toccava a me e io andai. Partii e ovviamente mi ripresero e mi staccarono. E Michele rideva, mi guardava e diceva: «Il bello è che tu lo fai!!!». Ne abbiamo riso per settimane. Forse dissero a me perché ero l’unico che lo avrebbe fatto (sorride sconsolato, ndr).

Chi oltre a Michele?

Bennati, perché è uno dei compagni con cui ho avuto la migliore affinità. Eravamo sempre sulla stessa lunghezza d’onda. Ancora adesso, davanti a qualsiasi questione, mi viene da pensare che lui la penserebbe come me. Poi Malori, anche se non abbiamo mai corso insieme. E’ una di quelle persone che puoi non vederla da cinque anni e ti abbraccia come se ci fossimo salutati il giorno prima. Infine Bruno Profeta, il mio primo direttore sportivo, che mi ha insegnato concetti e valori che mi sono serviti prima nella vita e poi anche nello sport.

L’arrivo di Cataldo alla Trek-Segafredo è stato uno degli ultimi colpi del mercato (@rossbellphoto)
L’arrivo di Cataldo alla Trek-Segafredo è stato uno degli ultimi colpi del mercato (@rossbellphoto)

Il resto è tutto un parlare della nuova bici Trek. Del colore delle divise da allenamento. Del debutto in Francia. Anche del proposito di diventare un giorno anche lui un procuratore. Della sua squadra di juniores in Spagna che è diventata quella di Vinokourov. E quando il pranzo finisce e stiamo per salutarci, nel gruppetto di tre ciclisti in strada, riconosciamo la sagoma di Ciccone. Cataldo guarda l’orologio. Dice che Giulio sta tornando verso Pescara perché ha finito l’allenamento e conferma che usciranno insieme anche domani (oggi per chi legge). Ci salutiamo. Il pomeriggio ha altri impegni. Poi la stagione potrà finalmente cominciare.

Redcord, la corda rossa che ottimizza l’uso della forza

21.12.2021
5 min
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Scorrendo vari social, chi più e chi meno si sarà certamente accorto di corridori appesi a insolite corde (in apertura Davide Formolo) nello studio di Michele Del Gallo, fisioterapista del UAE Team Emirates, mimando il gesto della pedalata. In qualche modo, anche se con approccio forse autodidatta, gli stessi esercizi messi in atto da Brambilla e mostrati nell’articolo di qualche giorno fa.

Per capire meglio di cosa si tratti ci siamo perciò rivolti direttamente a Michele, trovando un varco nella sua agenda così indaffarata da risultare ormai impenetrabile. Perciò, dopo una serie di battute sul lavoro che ci incalza, siamo entrati nel vivo della questione.

Video fornito da Davide Cimolai
Di cosa si tratta?

Si chiama Redcord, corda rossa. Un sistema norvegese che si può usare in due modalità. Una per intervenire sulle catene miofasciali (strutture costituite da anelli muscolari e tessuto connettivale che realizzano in modo concreto lo schema posturale dell’individuo, ndr) e una per agire sulla muscolatura profonda.

A cosa serve?

La gamba spinge sul pedale ed è il braccio della potenza. Il fulcro di questa leva è il trocantere, quindi il bacino. Se il quadricipite spinge 1.000 watt, usiamo numeri a caso, bisogna che il fulcro lo supporti, perché se si muove avviene una dispersione e magari di watt al pedale ne arrivano 800. In passato si agiva per aumentare la forza, mentre adesso gli atleti sono più affusolati, proprio perché fanno lavori di stabilizzazione.

Che cosa significa?

Inutile avere la carrozzeria forte e il telaio debole, meglio rinforzare il telaio e poi ragionare sulla carrozzeria. Se lavori solo sulla forza, aumenti la massa, aumenti il peso, aumenti il fabbisogno calorico e perdi ogni beneficio. Allora ha senso fare questi lavori qui.

Lavorare sul core si sta diffondendo parecchio…

E’ una vera esplosione, perché si riesce ad isolare la muscolatura profonda e a farla lavorare nel modo giusto. Per cui si fanno dei test per capire quale catena miofasciale potrebbe trarne maggior beneficio. Sottolineiamo che non è un metodo per aumentare la forza, ma al contrario dona vantaggi a livello neuromotorio.

Come si capisce se una catena ha più bisogno di un’altra?

Vengono messe a paragone e si verifica come il corpo sia in grado di svolgere certi esercizi. In alcune foto avrete visto che alcuni atleti hanno degli elastici per scaricare il bacino. Chi è capace di svolgere il lavoro senza elastici, non ha bisogno di questo lavoro. Se una catena è più forte dell’altra, si creano torsioni e disagi.

Casi frequenti?

Ci sono corridori che convivono con il dolore, che dopo tanto lavoro iniziano a stringere i denti. La bici è simmetrica al millimetro, il corpo umano no. Alcuni sono perfetti, ma si tratta di esemplari rari. L’equilibrio corporeo può essere alterato da vari fattori, dalle cadute a disordini emotivi. Se li guardi da dietro mentre pedalano, ti accorgi che difficilmente le gambe fanno movimenti identici. E dopo 20 tappe di un Giro, certe problematiche affiorano.

Guardando i corridori da dietro, ci si accorge di eventuali asimmetrie fra le gambe
Guardando i corridori da dietro, ci si accorge di eventuali asimmetrie fra le gambe
Ci sono spesso movimenti irregolari…

Come ad esempio, la piccola rotazione del ginocchio quando la gamba viene su. Quella potrebbe dipendere dalla mancanza di controllo. Il vantaggio sta in questi dettagli e nel fatto che si riesce ad eliminare qualche dolore di schiena e ad ottimizzare l’uso della forza.

Dov’è il vantaggio del Redcord?

Soprattutto nell’instabilità, la situazione in cui il cervello riceve l’input di gestire la determinata parte del corpo. E poi riesci a dosare l’esercizio. Tanti preparatori danno esercizi senza considerare che i corridori sono agonisti, per cui l’esercizio lo fanno comunque, magari però dando fondo a tutte le risorse. Così invece si riescono a svolgere nel rispetto degli obiettivi che si hanno.

Ci sono casi di lavoro che non si dosa?

Il Plank ad esempio. Lavorano tutti i distretti muscolari, ma spesso costa troppo impegno e non è producente, perché per farlo l’atleta utilizza tutto quello che ha. Inoltre RedCord funziona perché essendo un esercizio statico, riesci a stimolare la muscolatura profonda, quella che regola l’equilibrio. Se fosse più dinamico, ricorrerei a quella superficiale, preposta al movimento, che però non incide sul core.

Anche Cimolai ricorre a questo tipo di esercizi per ottimizzare il core
Anche Cimolai ricorre a questo tipo di esercizi per ottimizzare il core
Da quanto tempo si lavora in questo senso?

David Bombeke, il massaggiatore di Evans, era la figura di riferimento per il Belgio e faceva questi lavori quando Cadel ancora correva. Io vi faccio ricorso da 4 anni. E’ un nuovo approccio, la frontiera di questi tempi. Riuscire a limare qualcosa per tirare fuori tutto il potenziale, dopo anni in cui ci si è concentrati solo sulla potenza e sulla rigidità della bici… 

L’evoluzione dell’altezza di sella, parola al biomeccanico

02.12.2021
5 min
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In questi anni abbiamo assistito ad un’evoluzione di tutto: alimentazione, materiali, posizioni. E su quest’ultimo fronte la variazione più significativa riguarda l’altezza di sella. Ad un primo impatto sembra che tale misura si sia accorciata, cioè che i pro’ pedalino più bassi rispetto a dieci o venti anni fa.

Tra i primi a mostrarci in modo marcato il suo pedalare basso fu Alberto Contador: da certe immagini era davvero palese. Lo spagnolo fu tra i primi a mulinare rapporti cortissimi, ad andare agile da una parte e ad avere la sparata col rapportone dall’altra. Si vedeva che era frutto di un nuovo ciclismo, riferendoci a quegli anni chiaramente.

E allora come è cambiata l’altezza della sella? Cerchiamo di capirlo con l’aiuto di Alessandro Mariano, uno dei biomeccanici a più a stretto contatto con i professionisti del gruppo.

Michal Kwiatkowski è tra coloro che pedalano più bassi. E come lui il suo compagno Carapaz
Michal Kwiatkowski è tra coloro che pedalano più bassi. E come lui il suo compagno Carapaz

Cambiamento in generale

«Selle abbassate? Direi “ni” – esordisce Mariano – dipende dai punti di vista. Rispetto al passato se si confrontano l’apparato muscolo-scheletrico dei corridori non sempre si tende ad abbassarla. Alcuni soggetti addirittura l’hanno alzata. In linea di massima però è vero: un po’ ci si è abbassati. Parliamo di millimetri e non centimetri. Potrei dire sui 4-5 millimetri mediamente, ma c’è anche chi è arrivato a 6 e chi invece si è fermato a 3».

Mariano porta subito il discorso a livelli più elevati. E presto scopriamo che il tema è a dir poco vasto.

«Facciamo un confronto con i corridori degli anni 2000-2010: da quel periodo sono cambiati allenamenti e alimentazione e di conseguenza anche morfologicamente l’atleta è molto diverso. Se guardiamo ai corridori di quel periodo sembrano degli amatori. Anzi, oggi un amatore è più tirato. Anche il lavoro muscolare e i muscoli stessi cambiano. Cambiano le cadenze e inevitabilmente anche l’altezza di sella ne risente».

Alessandro Mariano Fisioradi
Alessandro Mariano lavora anche nel centro Fisioradi di Pesaro
Alessandro Mariano Fisioradi
Alessandro Mariano lavora anche nel centro Fisioradi di Pesaro

Non c’è una regola fissa

Per Mariano tutto è collegato. Impossibile analizzare la sola distanza fra il centro del movimento centrale e la parte superiore della sella. Almeno per lui e per il suo modo di “operare”.

«Sono cambiati gli angoli di spinta. Ma se non fosse cambiato l’aspetto muscolare, l’altezza sarebbe rimasta la stessa. In tutta questa evoluzione c’è chi l’ha abbassata, ma c’è anche qualcuno (pochi) che l’ha alzata.

«Non c’è una tipologia di corridore che alza e una che abbassa. Non è che un velocista la alza e uno scalatore l’abbassa, ecco. Dipende sempre dal soggetto. Dico questo perché io uso l’elettromiografo per capire la posizione col miglior rendimento. Si tratta di mettere tutti i distretti in condizione di lavorare al meglio tra loro».

Oggi le selle sono cambiate e sempre più corridori utilizzano quelle più corte
Oggi le selle sono cambiate e sempre più corridori utilizzano quelle più corte

Rapporti e selle

Come detto sono molti i fattori che influenzano tale quota. Per noi uno dei più importanti è legato ai rapporti, ma per Mariano nessun fattore è distaccato dagli altri o incide di più. 

«Oggi si usano rapporti più corti – dice Mariano – quindici anni fa era impensabile che un po’ utilizzasse un 34×28. Di conseguenza sono cambiate le tabelle di allenamento e le cadenze, più elevate. Quanto incidono quindi i rapporti? Non più di altri fattori. Sì, può variare un po’ da soggetto a soggetto: magari per un atleta l’allenamento incide il 30 per cento e i rapporti il 40 per cento, per un altro contano entrambi il 3%… Più o meno il peso è uguale per ogni fattore.

«E poi sono cambiate le selle. Senza tornare indietro alla preistoria, fino a qualche anno fa le selle si allungavano indietro e di conseguenza si allargavano nella parte posteriore. Adesso invece si allargano prima, si ha un limite meccanico (un punto di appoggio, ndr). Quando dico si allargano intendo il famoso centro anatomico, anche se io preferisco chiamarlo il punto dove si ferma il bacino. 

«Questa misura mediamente viene individuata a 72 millimetri, ma dai vari test che ho fatto per qualcuno avanza un po’ (68 millimetri) e per altri arretra (73-74 millimetri). Dipende dal bacino».

Tutto ciò porta a pedalare, in teoria, più avanzati e già questo basterebbe a ridurre, seppur di poco l’altezza di sella. Ma poi come dice Mariano è l’insieme che conta. E’ importante collegare tutti i distretti. Stare più avanti di sella magari implica un cambio anche della posizione sul manubrio (per lunghezza e altezza). E a catena tutto il resto.

Purito (Rodriguez) impegnato nella crono finale del Giro 2012. La sua posizione fu stravolta prima del via da Mariano
Rodriguez nella crono finale del Giro 2012. La sua posizione fu stravolta prima del via da Mariano

E a crono?

«Contro il tempo il discorso cambia un po’- riprende Mariano – a livello di utilizzo muscolare potrei dire che è un altro sport. Tuttavia l’incidenza dei fattori citati in precedenza (alimentazione, allenamenti, muscolatura, selle) più o meno è la stessa. Con un cronoman puro puoi ottimizzare al massimo e osare anche posizioni più estreme. Con un uomo di classifica che invece deve andare forte anche il giorno dopo, devi trovare un buon compromesso, altrimenti nella tappa successiva paga. Se invece è l’ultima frazione allora puoi estremizzare anche con l’uomo di classifica. E lo mando forte…

«Se mi è successo? Sì e più di qualche volta. Con Joaquim Rodriguez, per esempio. Nell’ultima tappa del Giro d’Italia che vinse Hejsedal per soli 12” su di lui. Quella volta stravolgemmo la posizione prima della crono finale e Purito fece la crono della vita, ma non bastò. Diciamo che quell’anno fu sfortunato perché fu l’unica volta in cui tolsero gli abbuoni in salita, altrimenti avrebbe vinto quel Giro con un bel distacco».

Biomeccanica, con Bramati fra strada e ciclocross

01.12.2021
6 min
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Biomeccanica, bikefitting e la posizione in sella, tante definizioni che riprendono un argomento sempre molto dibattuto: ovvero quello di essere efficienti quando si pedala e di stare “bene” sulla bicicletta. Abbiamo fatto una chiacchierata con Luca Bramati, oggi tecnico della FAS Airport Services nel ciclocross, che anche grazie all’attrezzatura di valutazione del suo Bramati Point di Canonica d’Adda, è un punto di riferimento in fatto di biomeccanica e posizionamento in sella, anche per pro. Non solo: gli abbiamo chiesto dei consigli in fatto di “posizione corretta”, per chi usa la bici da strada e quella da ciclocross.

La tecnologia e le moderne strumentazioni aiutano, ma l’occhio del biomeccanico è fondamentale ai fini del risultato migliore (foto Bramati)
La tecnologia e le moderne strumentazioni aiutano, ma l’occhio del biomeccanico è fondamentale (foto Bramati)

Un controllo ogni due anni

Partiamo dal presupposto che un controllo della messa in sella dovrebbe essere una buona abitudine. Lo è per chi in bicicletta “lavora”, dovrebbe esserlo per chi monta in sella per diletto. Il consiglio di Luca Bramati è quello di fare un controllo almeno ogni due anni, al netto di incidenti, infortuni e/o problemi fisici.

Valutare il “punto di spinta”: un fattore soggettivo e tra più importanti in sede di bikefitting (foto Bramati)
Valutare il “punto di spinta”: un fattore tra più importanti in sede di bikefitting (foto Bramati)
Luca, consideriamo la valutazione biomeccanica ed il posizionamento ottimale di un atleta. Ci sono delle differenze tra l’inizio e il clou della stagione?

E’ fondamentale fare delle distinzioni, tra gli atleti pro’ e gli amatori. Nel primo caso, ci troviamo di fronte a corridori che, al giorno d’oggi, sono “tirati” ad ogni stagione. Durante l’inverno aumentano di un paio di chilogrammi, o poco più. La posizione in sella non subisce variazioni particolari, perché la “pancetta” non c’è, oppure è irrisoria. Per quanto riguarda gli amatori, il discorso è differente. Spesso il momento della valutazione biomeccanica coincide con la ripresa vera e propria dell’attività in bici. Non di rado c’è stato un aumento di peso considerevole.

Il peso condiziona la posizione?

Influisce in modo esponenziale sulla pedalata e su come si è in sella. Man mano che si perde peso, il corpo fa meno fatica ad allungarsi e si ricerca, anche, una posizione più ribassata. In questi casi è necessario rivedere la posizione per sfruttare correttamente l’avantreno della bicicletta. L’angolo di spinta in sella invece, non subisce variazioni.

Van der Poel e Van Aert (ai quali è necessario aggiungere Pidcock): tre esempi di versatilità sulla bicicletta
Van der Poel e Van Aert (ai quali è necessario aggiungere Pidcock): tre esempi di versatilità sulla bicicletta
Si possono verificare dei cambiamenti importanti di messa in sella nel corso di una stagione?

Se la valutazione biomeccanica iniziale è corretta, non ci sono stravolgimenti: magari è questione di qualche millimetro. Ma anche in questo caso è necessario fare una considerazione e voglio fare un esempio. Non di rado sottovalutiamo la differenza che deriva dall’utilizzo dell’abbigliamento invernale, che è più spesso rispetto a quello estivo. Sono pochi millimetri, ma capaci di cambiare la posizione sulla sella e di variare la nostra percezione del gesto.

In caso di infortunio e relativo stop dell’attività fisica, prima della ripresa è consigliabile una valutazione biomeccanica?

Sì, io la consiglio ed è fondamentale considerare la tipologia di infortunio che ha subìto l’atleta. Il primo step è fare una visita e un approfondimento dall’osteopata. Questo passaggio è importante e sancisce (oppure no) se il corpo ha il giusto assetto strutturale. Solo in un secondo momento si può fare una visita biomeccanica e il seguente bikefitting. Mi è capitato di interrompere delle valutazioni, perché il ciclista aveva dei problemi posturali dettati da un’asimmetria del corpo, causata per esempio da un incidente. Sono aspetti da non sottovalutare, molto importanti ai fini della salute anche nel medio e lungo termine.

Il giusto assetto in sella è il risultato di più variabili che devono collimare, tra queste anche la posizione delle tacchette (foto Bramati)
Fra le variabili devono collimare, anche la posizione delle tacchette (foto Bramati)
Bici da strada e quella da cx. Cosa è importante sottolineare?

Quello che mi preme dire è che nel ciclocross non serve estremizzare l’aspetto dell’aerodinamica. Abbassare in modo eccessivo il manubrio non serve. Anzi, è controproducente. Più si è schiacciati sull’avantreno e verso il basso, più il carico del corpo si sposta e appesantisce l’anteriore, che di conseguenza sprofonda nel fango. E’ fondamentale distribuire bene i carichi sulla bici. Poi c’é l’altezza sella…

In che misura si determina?

E’ necessario valutare la tipologia di scarpe e i pedali. Generalizzando: rispetto alla bici road, la cx dovrebbe avere un’altezza sella più bassa di 3 o 4 millimetri. Invece, se valutiamo l’orizzontale, la linea della bicicletta da ciclocross si accorcia tra gli 0,5 millimetri e 1 centimetro, rispetto a quella da strada. Ma è sempre necessario fare una valutazione biomeccanica approfondita e specifica.

Gioele Bertolini in azione ad Osoppo nel 2021
Gioele Bertolini in azione ad Osoppo nel 2021
Ci puoi fare alcuni esempi di atleti pro’ che valuti sotto il profilo biomeccanico?

Ad esempio Gioele Bertolini, che usa la bici road per allenarsi, adotta una posizione del manubrio più bassa di 1,5 centimetri, rispetto alla bicicletta da cx. Inoltre utilizza le due tipologie di calzature, strada e offroad, con gli aggiustamenti che ne conseguono in fatto di altezza-sella. Lui è un corridore molto preparato anche sotto il profilo tecnico e sente parecchio i diversi cambi di posizione. E poi ci sono altri due esempi…

Di chi parli?

Una è mia figlia Lucia, che utilizza le scarpe offroad anche per la bici da strada. Questo fattore le permette di tenere la stessa altezza di sella su ogni bicicletta. Katarzina Sosna invece, lituana tra le più forti al mondo nelle Mtb Marathon, è un caso a sé, atleta molto completa che pratica anche la disciplina della cronometro, dove per altro eccelle. Anche in questo caso mi confronto con un’atleta preparata sotto il profilo tecnico, competente e sensibile in fatto di setting sulla bici. In questa stagione non ha fatto cx, ma di solito arriva con quattro biciclette (crono, strada, cx e mtb) e su ognuna viene posta un’attenzione particolare in sede di valutazione biomeccanica. Lei utilizza le diverse tipologie di scarpa, road e mtb, quindi anche le altezze del mezzo cambiano.

Bernal, il mal di schiena e il ballo degli spessori

05.05.2021
7 min
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Davvero una strana storia quella di Bernal, degli spessori sotto la scarpa destra e della sua schiena, che di colpo all’ultimo Tour ha iniziato a fargli male. Si è ritirato alla 17ª tappa, ha lasciato che il dolore passasse, poi lo hanno portato in Germania dallo stesso biomeccanico che si occupava di Froome. Sembrerebbe tutto risolto, ma della sua schiena si continua a parlare. Perciò siamo andati un po’ a ritroso nella sua storia, cominciando dalle parole di Paolo Alberati, mentre studiavamo insieme proprio il profilo Strava del colombiano per capire in che modo si stesse allenando per il Giro. Però intanto guardate la foto di apertura e il dettaglio a seguire: visto che spessore?

«Circa la sua schiena – le parole di Alberati – m’è venuto un ricordo. Anzi, è venuto a Giovanni Stefanìa che al passaggio da junior a professionista, si accorse di un problemino di postura e gli mise uno spessorino sotto la scarpa. Non vorrei che glielo avessero tolto e da lì sia partito il mal di schiena. Sarebbe strano, perché una volta che hai un atleta in equilibrio, non ha senso rimetterlo in ballo. Ma se fosse successo questo, la cura è stata rimetterci quello spessore…».

Tirreno-Adriatico 2021, il rialzo è evidentissimo: circa un centimetro
Tirreno-Adriatico 2021, il rialzo è evidentissimo: circa un centimetro

Il primo spessore

Insomma, la cosa si fa interessante. Perciò la prima cosa da fare è sentire Giovanni Stefanìa, toscanissimo di genitori pugliesi, biomeccanico molto bravo e collaboratore fra gli altri di Bartoli nel centro di Lunata. Ragione per cui, nel periodo in cui Michele seguì la preparazione di Bernal, anche a Giovanni capitò di averci a che fare.

«Gli feci una visita posturale – ricorda – e confermo che gli misi uno spessorino. Tra noi biomeccanici, chi ricorre a certe soluzioni è un… delinquente (sorride, ndr). In Toscana si dice che gli spessori si mettono sotto ai piedi del tavolo, quando dondola. Si mette solo se c’è una dismetria vera, che magari si verifica per infortuni. Egan aveva un problema di questo tipo e come prima cosa gli diedi da fare degli esercizi posturali, i cui effetti ovviamente vanno verificati nel tempo. Lo spessorino che misi sarà stato di 2-3 millimetri con cui andò a posto. Ricordo che quando vinse il Tour si continuò a sentirlo e non ha avuto alcun problema. Da quel che ho capito il dolore è venuto fuori dopo, nell’inverno successivo. Si sarà davvero allenato troppo? Il corpo fino a 25 anni cresce, carichi di lavoro troppo pesanti non gli fanno bene. Spero però che quello spessore non sia stato tolto. I corridori che stanno comodi non vanno toccati. Mi viene in mente quando provarono a raddrizzare Sagan e ottennero il solo risultato che non andava più avanti».

Un messaggio da Genova

A questo punto, invitiamo nel discorso un nostro affezionato lettore: Davide Podestà di Genova. Ex corridore, laurea in Scienze Motorie, massaggiatore… Uno molto attento, insomma. Che nel leggere i nostri pezzi dalla Strade Bianche, un giorno mandò una foto mettendo in evidenza lo scarpino destro di Bernal. «C’è uno spessore lì sotto – scrisse nel messaggio – sarebbe curioso sapere se Bernal ha risolto così».

In realtà lo spessore c’è e non è così sottile. Dalla squadra non dicono molto sul precedente, ma quello messo ora è alto quasi un centimetro. La domanda semmai è come mai la dismetria fra le gambe di Bernal, che inizialmente non sembrava così marcata, ora sarebbe arrivata a 17 millimetri, come detto lo scorso anno dal bollettino della squadra?

Il caso Pantani

Ci rifacciamo di passaggio a un caso ben noto che riguarda un altro vincitore di Tour, che in realtà il Tour lo vinse dopo il terribile incidente per il quale la sua gamba sinistra rimase più corta della destra di 8 millimetri: Marco Pantani. La sua rieducazione fu seguita da Fabrizio Borra, lo stesso che di recente ha realizzato il tutore per il polso di Nibali. Parlando di altre rieducazioni, qualche settimana fa ci raccontò nuovamente del lavoro in acqua fatto con Marco per dare al corpo i necessari equilibri e sottolineò che non si raggiunse la perfezione soltanto perché la gamba era rimasta più corta.

«Avevamo studiato diverse soluzioni – ricorda – ma alla fine lavorando di frequente sulle capacità di compenso del corpo, non utilizzammo nessun spessore. Il mio lavoro quando andavo a seguirlo alle gare era proprio su gestire queste cose…».

Non c’è una regola

A questo punto però cresce la curiosità sulla gamba di Bernal e sul perché si sia deciso di aumentare l’altezza dello spessore.

«Quei 17 millimetri sono tanti – dice ancora Borra – e non c’è una regola ben precisa… L’errore che fanno tanti è mettere spessori senza però valutare bene le capacità di compenso del corpo. Prima si lavora sul potenziale massimo di adattamento fisiologico e poi si vede quanto manca. In questi casi è fondamentale che il Posturologo, l’Osteopata ed il Biomeccanico lavorino tutti insieme sulle risposte dell’atleta».

Non esageriamo

Mentre il prossimo step sarà cercare di capire che tipo di lavoro ci sia stato prima di quello spessore così alto, cioè se Bernal stia anche seguendo un programma di lavoro posturale che permetta al suo corpo di convivere con quella grave asimmetria, da altre informazioni raccolte risalta che l’uso dello spessore non sia la soluzione finale. E soprattutto che non si va mai a correggere l’intera differenza. Se si parla di 17 millimetri, visto che nel ciclismo la gamba non arriva mai a completa distensione e si può contare anche sul gioco della caviglia, lo spessore può essere ben inferiore (come i 3-4 millimetri di partenza) dato che la differenza sarà spalmata su tutta la lunghezza della gamba.

«Quei pochi millimetri – dice Paolo Alberati – sono un “segnale” per la struttura biomeccanica dell’atleta e servono a compensare anche differenze maggiori. Esperienza e scienza dicono questo».

Equilibrio a rischio

Come dire, facendo la somma delle voci raccolte e dei cambiamenti, che andare a compensare così tanto a 24 anni con degli spessori, dopo che per tutto questo tempo l’atleta ha costruito equilibri e compensazioni, potrebbe mandare in confusione la sua biomeccanica.

Nel 2017 ha usato lo spessore di Stefanìa, idem nel 2018. L’anno dopo, il 2019, senza spessore. Nel 2020 con un piccolo spessore, che sembra un cuneo. Nel 2021 con uno spessore molto alto. Avrà davvero risolto così, come ha chiesto Podestà?

Egan ha lavorato tanto sottoponendosi nuovamente a carichi importanti, come vi abbiamo raccontato. Durante il Giro, il confronto con gli avversari fornirà tutte le risposte. Noi a questo punto seguiremo il suo percorso con un motivo di attenzione in più.