Fidanza saluta le figlie e riparte con Realini

22.12.2021
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Il 2022 per Giovanni Fidanza sarà come l’inizio di una nuova era. Dopo quattordici anni infatti – dai tempi della Still Bike nel 2007 nelle categorie giovanili – il team manager bergamasco non avrà in squadra almeno una delle due figlie. Martina ha appena firmato per due anni con la Ceratizit WNT mentre Arianna, che vedremo ancora con la BikeExchange Jayco, se ne era già andata all’estero nel 2020. Non c’è nulla da temere però, il bacino della sua Isolmant-Premac-Vittoria non è vuoto.

«Mi farà un certo effetto – ammette l’ex pro’ degli anni ’80/90, con una tappa al Giro e una al Tour – ma è stata una cosa naturale, che prima o poi doveva avvenire. Giusto così, noi non abbiamo la struttura per poter andare più avanti di così. Anche per le altre ragazze sarà così. La nostra identità resta quella di farle crescere e poi cercare di farle passare nelle formazioni più importanti. Per noi e per i nostri sponsor sono tutti motivi di soddisfazione».

Alice Gasparini è una delle atlete da cui Fidanza si aspetta parecchio
Alice Gasparini è una delle atlete da cui Fidanza si aspetta parecchio

Realini leader

Nella prossima stagione i fari saranno puntati inevitabilmente su Gaia Realini, riconfermatissima (in apertura, la firma del contratto dello scorso ottobre). La classe 2001 pescarese – ora impegnata col ciclocross, la sua disciplina primaria – all’ultimo Giro d’Italia Donne è stata la rivelazione assoluta. Undicesima nella classifica generale e seconda in quella riservata alle giovani, a cui va aggiunto il bel quinto posto all’europeo aiutando la Zanardi a conquistare l’oro.

«Gaia ha ottenuto buoni risultati – prosegue Fidanza – al di là delle nostre più rosee previsioni. Aveva attirato subito l’attenzione di diverse formazioni WorldTour. Ve lo anticipo, so già che anche lei non riusciremo a trattenerla più di tanto».

L’impressione è che quest’ultima frase profumi di un affare di mercato già concluso con un big team.

Giovanni che squadra avrete nel 2022?

Avremo un organico di tredici atlete. Oltre a Realini, abbiamo confermato Alice Gasparini, Beatrice Rossato, Emanuela Zanetti, Greta Tebaldi e Noemi Lucrezia Eremita. Arriveranno altre sette ragazze. Già certe Angelica Brogi e la spagnola Ainara Albert, una 2003 passista tutta da scoprire che fa anche ciclocross e pista. Le altre le annunceremo fra qualche giorno.

Che obiettivi avete?

Come dicevo prima, quello di fare crescere e mettere in evidenza le nostre ragazze. Vogliamo continuare a fare risultati sia nelle gare open che nel resto del calendario nazionale. Dovremmo avere già garantita la partecipazione alle corse più importanti, come Strade Bianche, Cittiglio e Giro d’Italia. Poi vedremo se verremo invitati anche nelle gare estere.

La stagione quando inizierà?

Faremo un ritiro di una settimana tra fine febbraio ed inizio marzo per preparare i primi appuntamenti. Andremo a Montecatini Terme, località comoda per correre a Siena e poi l’indomani a Montignoso in Versilia.

La stagione della Realini invece come verrà gestita?

Innanzitutto per lei sarà un altro anno di crescita e maturazione. E’ ancora molto giovane. Stiamo mirando ad un calendario ben preciso per lei. Ora sta correndo nel ciclocross e probabilmente tirerà dritto sino a fine inverno per disputare Strade Bianche e Cittiglio (rispettivamente in programma il 5 e 20 marzo, ndr). Poi la faremo rifiatare prima di fare rotta sul campionato italiano, Giro Donne e gli altri appuntamenti. 

Gaia Realini al momento è impegnata nel cross e tirerà dritto fino a Strade Bianche e Cittiglio
Gaia Realini al momento è impegnata nel cross e tirerà dritto fino a Strade Bianche e Cittiglio
Oltre a lei da chi ti aspetti qualcosa in particolare?

La Zanetti quest’anno ha vinto una corsa open (il Memorial Silvia Piccini, ndr) e può ancora mettere in mostra le sue buone doti di passista veloce. Poi direi la Brogi che in passato ha dimostrato di saper fare bene. Per lei può essere l’anno giusto, quello del dentro o fuori. Infine dico la Gasparini, che ha avuto qualche problema negli ultimi anni. Da lei mi aspetto qualcosa di più e se tornasse sui livelli espressi da junior sarei molto contento. Tra l’altro negli ultimi giorni è stata investita da un automobilista che non ha rispettato la precedenza in una rotonda. Fortunatamente sta bene, ma sono cose che purtroppo sono sempre più all’ordine del giorno. 

Giovanni, chiudiamo con un tuo giudizio sulle tue figlie ora che sono entrambe all’estero. Cosa ti attendi da loro l’anno prossimo?

Da Martina mi aspetto che faccia esperienza a certi livelli. Negli ultimi anni ha sacrificato la strada per la pista, ma credo che se le daranno spazio potrà fare molto bene in alcune corse. Arianna invece ha recuperato bene dall’infortunio alla rotula sinistra. Si sta allenando forte. Adesso è più pronta per affrontare certe gare rispetto a prima. Spero abbia un pizzico di fortuna in più, perché so che può raccogliere buoni risultati.

Guarnieri, il ciclismo è come la vita: nessuno si salva da solo

29.11.2021
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C’è un tempo per fuggire e uno per restare, nella vita come nel ciclismo. E’ un istante, che in una tappa dura un millesimo di secondo a consentirti di vincere o perdere una corsa e in una carriera può essere un giorno, un episodio, una scelta sbagliata. Per Jacopo Guarnieri, 34enne della Groupama-Fdj, la scelta di smettere di fuggire e iniziare a restare è sopraggiunta in due momenti. Agli esordi da pro’, quando ha provato ad inserirsi in due fughe ma si è sentito «come Fantozzi alla Coppa Cobram». Poi quando ha provato a vestire i panni di velocista di punta di una squadra, ma ha capito che non avrebbe potuto primeggiare. E così, ha scelto di restare, accanto al proprio capitano, che da quattro anni si chiama Arnaud Demare.

Assieme a Marangoni

La sua trasformazione l’ha raccontata in una serata al Bikefellas di Bergamo dal titolo “L’insostenibile leggerezza della fuga” introdotto dalla redazione di Bidon che ha presentato il suo ultimo libro “Vie di fuga”. In una sorta di cronometro a coppie, con l’imprevedibile ex pro’ Alan Marangoni come spalla, Guarnieri ha raccontato dei suoi tentativi di fuga.

«La prima volta a De Panne. Correvo nella Liquigas – ha detto – e in fuga mi ci ero ritrovato, così dall’ammiraglia mi hanno preso a male parole, ordinandomi di tornare in gruppo per aiutare il nostro velocista, Chicchi. L’ho fatto, ma nel tirargli la volata ho tamponato Cavendish e abbattuto Leif Hoste, idolo di casa.

«Mi ero detto che in fuga non ci sarei più andato e invece l’ho rifatto qualche anno dopo, sempre in Belgio. Fu una fuga composta da corridori “pazzi” e infatti il gruppo ci riprese a 100 chilometri dall’arrivo. Lì, mi sono detto che il mio posto era rimanere in quel ventre materno che è il gruppo».

Fra Demare e Guarnieri c’è ormai un grandissimo rapporto di stima iniziato nel 2017 (foto Instagram)
Fra Demare e Guarnieri c’è ormai un grandissimo rapporto di stima iniziato nel 2017 (foto Instagram)

Aiutare chi è più forte

Giusto qualche volata in proprio per capire poi una cosa: «Il mio posto nel mondo – spiega – era aiutare chi era più forte di me. Arriva un punto nella carriera che devi decidere chi essere e cosa fare, serve grande onestà con se stessi. Ora, io rimpiango di non aver preso prima quella decisione, perché provo una grande emozione nell’aiutare Demare. Sono privilegiato perché sono il suo ultimo uomo, quello che lo vede più da vicino quando alza le braccia al cielo al traguardo e il primo a poterlo abbracciare». 

La tensione del gregario

Lo sguardo e la voce di Guarnieri, a questo punto, si incrinano, quasi commosso abbandona la goliardia che lo contraddistingue e che ha reso la serata frizzante come una volatona di gruppo, e veste i panni del gregario modello, quale è.

Guarnieri e Marangoni sono amici dagli anni assieme alla Liquigas
Guarnieri e Marangoni sono amici dagli anni assieme alla Liquigas

«Il gregario è il simbolo del ciclismo – osserva – al di là di ogni retorica. Gregario lo sei dal primo all’ultimo chilometro, ci sono momenti della corsa che dalla tv sembrano noiosi, ma in gruppo bisogna sempre sgomitare, la tensione è altissima. Penso a quando bisogna portare le borracce. In gruppo c’è una legge non scritta che quando si risale dalle ammiraglie dal rifornimento, si grida “service” e si ottiene una corsia preferenziale ai lati, ma mica sempre ti fanno passare. E se stai prendendo una salita e non riesci a servire il tuo capitano, hai perso».

Nessuno si salva da solo

Ma fare il gregario è molto di più, è anche convivere col proprio capitano fuori dalle corse, conoscersi, capire le difficoltà da uomo e da corridore e fare di tutto per porvi rimedio. Guarnieri è gregario anche sul divanetto del Bikefellas quando preferisce esaltare le doti umane di Demare, evidenziando come sia uno che ringrazia sempre e che si prende tutte le colpe quando le cose non vanno al meglio.

Sono passati 10 anni esatti, dal 31 marzo 2011, dall’ultima vittoria di Guarnieri a La Panne
Sono passati 10 anni esatti, dal 31 marzo 2011, dall’ultima vittoria di Guarnieri a La Panne

Oppure raccontando della sua ultima vittoria, quando fu proprio Marangoni – compagno di squadra alla Liquigas – ad aiutarlo più che nel sostenerlo in gara e raccogliergli «i copriscarpe che avevo deciso di togliermi in una giornata tremenda» standogli vicino in un periodo in cui i rapporti col team erano naufragati.

«Questo è lo spirito del gregario, questo è il ciclismo», che ci piace tanto perché è metafora della vita: nessuno si salva da solo.

Vi ricordate di Carrara? Sempre biondo, sempre all’attacco

13.11.2021
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I corridori sono come i diamanti: restano per sempre. Ecco perché uno come Matteo Carrara (pro’ dal 2001 al 2012) lo senti oggi a 42 e ti sembra che stia partendo per una grande corsa. Perché ha quella mentalità competitiva che non ha mai mollato, anche oggi che con la moglie Benedetta ha una società di interior design a Londra. La sua energia la incanala nel business, ma quando parla di ciclismo, al bergamasco di Alzano Lombardo si illumina la voce.

Da quando ha smesso, vive a Londra e si occupa di interior design (foto Instagram)
Da quando ha smesso, vive a Londra e si occupa di interior design (foto Instagram)
Matteo, di cosa ti occupi adesso?

Da fine 2015 con mia moglie gestiamo l’azienda The Interior’s Housee. Ci occupiamo di immobili, dalla ristrutturazione all’arredo, chiavi in mano. Lavoriamo in tutto il mondo con uno staff che ha un obiettivo primario: lavorare veloci. Siamo l’azienda che consegna più velocemente. Ci divertiamo. Abbiamo fatto una delle suite più costose al mondo, a Cala di Volpe (in Sardegna), ci siamo occupati dei primi appartamenti del Four Seasons di Londra e abbiamo uno show-room a Shanghai.

Come hai vissuto il ritiro dalle corse?

Non è stato facile. Quando sei corridore tutto gira attorno alla performance. Ora è diverso, bisogna correre comunque, ma quando hai fatto quella fatica, tutto il resto è molto più tranquillo.

Nel 2010 al secondo anno nella Vacansoleil, Carrara con Marcato e Ongarato
Nel 2010 al secondo anno nella Vacansoleil, Carrara con Marcato e Ongarato
Ti manca qualcosa della vita precedente?

Sì, l’adrenalina che si prova nel preparare una volata o nel dover stare tra i primi dieci all’attacco di una salita, non esiste da nessuna altra parte.

Consiglieresti ai tuoi figli di seguire le tue orme sui pedali?

Assolutamente sì, spero che qualcuno prenda quella strada perché il ciclismo ti forgia il carattere.

E tu, riesci ancora a fare qualche uscita?

Ho due bici molto belle sia a Bergamo che a Londra, ma ho poco tempo. Mi piacerebbe e mi manca, ma in questa fase do priorità alla famiglia (ho 5 figli) e al lavoro.

E il ciclismo lo segui?

Le corse importanti sì, mi diverto. Van der Poel è uno spettacolo, poi Pogacar, Roglic, Van Aert: finalmente i giovani vincono, a testimonianza del fatto che è un ciclismo più reale.

Cosa intendi per reale?

Che non esiste il doping. Chi è più forte, vince. Ai miei tempi non era così, era un periodo complicato, di transizione verso un ciclismo pulito. Basti pensare che appena passato pro’, facevo a testate con Voeckler per riuscire a finire il Giro: ultimi, eppure ero il giovane italiano più promettente.

Molti criticano il fatto che il ciclismo di oggi sia tutto watt… 

Non concordo. Con i programmi studiati a tavolino, gli atleti possono allenarsi senza logorare il proprio corpo. Penso a come mi allenavo io in salita. Non ero scalatore puro, ma volevo arrivare in cima sempre per primo, massacrandomi. Non erano metodi giusti.

La corsa a cui tieni di più?

Sicuramente il Giro di Lussemburgo 2010. Vinsi su Armstrong e Frank Schleck. Si correva nel periodo in cui solitamente andavo più forte.

A Londra con la famiglia. Da sinistra: Jan, Olivia, la moglie Benedetta, Romeo e Brando. Manca Siena Rose, nata 3 mesi fa (foto Instagram)
A Londra con la famiglia. Da sinistra: Jan, Olivia, la moglie Benedetta, Romeo e Brando. Manca Siena Rose, nata tre mesi fa (foto Instagram
Recentemente abbiamo parlato con Thomas De Gendt di quando, alla Vacansoleil, rischiaste di vincere il Giro…

Ho rivisto recentemente quella tappa: pazzesco cosa abbiamo fatto, alla tv non si riesce ad apprezzare. Tirai Thomas sul Mortirolo nell’ultimo chilometro, poi scollinammo. Lui diceva: «Sei matto, fermati, non me la sento!», ma lo convinsi. In discesa, che non conoscevo, avevamo davanti una moto che guidava divinamente. La tenevo a 150 metri e pennellavamo le curve. Poi sputai l’anima lungo tutto il fondovalle, fino all’attacco dello Stelvio. Rischiammo di far saltare il banco. Era il mio modo di correre ed è sempre stato il mio modo di vivere: imprevedibile, all’attacco, divertendomi.

De Gendt, la vita è un colossale cubo di Rubik

05.11.2021
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Vincere una tappa con una fuga è un po’ come risolvere il cubo di Rubik: difficile, ogni tassello deve essere al suo posto, servono applicazione, scaltrezza, studio, capacità. Il perché di questo paragone ce lo suggerisce l’estro di Thomas De Gendt, belga (pardon, fiammingo) che domani compirà 34 anni. Corridore amatissimo dal pubblico proprio per la sua filosofia di corsa (attaccare, attaccare sempre, che poi si è scoperto essere una necessità quasi fisiologica), ha parlato della sua carriera al Bikefellas Cafè di Bergamo dove ha presentato la versione italiana del suo libro: “Solo” (AlVento edizioni, originale scritto da Jonas Heyerick).

Un titolo emblematico, scelto da una casa editrice che ha così inaugurato una collana di libri in cui celebrerà gli eroi non sempre vincenti al traguardo, ma primi nel cuore del pubblico, oltre che i campioni (prossima uscita: la bio di Julian Alaphilippe).

Il cubo di Rubik

Dunque, il cubo di Rubik come una fuga per la vittoria, due delle quattro passioni di Thomas che ama anche la birra e la PlayStation. Del suo feeling con le fughe, sapevamo, della sua abilità col cubo, meno, ma proprio al Bikefellas ne ha dato prova risolvendo l’enigma con una progressione delle sue: non si capiva cosa stesse facendo, ma all’improvviso, ecco la vittoria. «Il mio record è di 29 secondi – dice – ma su c’è gente che ce ne mette 3-4».

La presentazione del libro si è svolta ieri al Bikefellas Cafè di Bergamo
La presentazione del libro si è svolta ieri al Bikefellas Cafè di Bergamo

Pro’ a 18 anni

Il cubo però può avere più di quattro facce e diventare quasi irrisolvibile. Quasi irrisolvibile, come la lettura di questa sua annata, dove ha fatto registrare i migliori livelli nonostante l’età, eppure si staccava da 70 corridori.

«Il motivo? Ormai i giovani diventano professionisti a 18 anni – spiega – non più a 22-23. Vengono seguiti con app che controllano come e quando si allenano, i valori che esprimono, che gli dicono quando e cosa mangiare. Sono tenuti sotto pressione e questa richiesta assillante di prestazioni, insieme alla loro esuberanza, rende le corse durissime. Ecco perché ho deciso di evolvermi e dedicarmi a Caleb Ewan per fargli da gregario e non pensare più alle fughe».

Con Froome nelle retrovie all’ultimo Tour, facendo i conti con il nuovo che avanza
Con Froome nelle retrovie all’ultimo Tour, facendo i conti con il nuovo che avanza

Cacciatore di fughe

Il re delle fughe che le fughe dovrà riassorbirle, giunto al crepuscolo della sua carriera si rassegna al fatto che ad un certo punto fermarsi è questione di sopravvivenza. Lui, che uno stop mentale ha già dovuto affrontarlo vivendo un periodo di depressione, che è ripartito e ha vinto ancora: cosa che altri colleghi non sono riusciti a fare. Fanno riflettere le sue parole.

«E’ facile che la carriera dei corridori di oggi e di domani si accorci – ha detto – perché se iniziano con questo spirito, non possono reggere a lungo. Penso ad Aru, a Pinot, a Dumoulin, ognuno per un motivo proprio ha dovuto alzare bandiera bianca, ritirarsi o accettare di non poter più essere protagonista».

Da sinistra, l’interprete, l’editor del libro Filippo Cauz, De Gendt e a seguire l’editore Davide Marta
Da sinistra, l’editor del libro Filippo Cauz, De Gendt e a seguire l’editore Davide Marta

Piede a terra sul Koppenberg

I valori entusiasmanti di Pogacar, Roglic, Van der Poel, Van Aert impressionano tutti e danno vita ad un ciclismo esaltante, spettacolare, dove le fughe sono anche per vincere un Tour, non solo per far vedere lo sponsor in mondovisione. Ma il prezzo da pagare potrebbe essere alto.

Dire che bisognerebbe darsi una calmata rischierebbe di essere il solito discorso nostalgico, ma il messaggio per direttori sportivi, team manager, sponsor, procuratori è forte e chiaro. E poi pensare che un corridore come De Gendt riesca ad ammettere che «la mia salita test è il Koppenberg, ma mi capita di dover mettere il piede a terra» non accende quella scintilla nel cuore degli appassionati di ciclismo, che vivono più di sofferenze e di sconfitte che di trionfi e palmarès?

Il saluto a Bergamo lo fa ricordando un compagno bergamasco alla Vacansoleil, Matteo Carrara, che al Giro del 2012 lo pilotò nell’ultimo tappone fino ai piedi dello Stelvio, sede d’arrivo dopo aver scalato l’inedito Mortirolo da Tovo di Sant’Agata. L’impresa riuscì a metà: De Gendt vinse la tappa, ma dovette accontentarsi del terzo posto finale, dietro a Hesjedal e Rodriguez.

Consonni, adesso la Valcar è sulle tue spalle

19.10.2021
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Adesso si cresce. Nelle famiglie numerose e in alcune squadre funziona così. Quando i fratelli maggiori escono di casa e vanno a vivere da soli, tocca ai secondogeniti tirare su i più piccoli, in un continuo scambio di esperienze e trapasso di nozioni. Così adesso che dalla Valcar-Travel&Service se ne vanno Balsamo, Guazzini, Alzini e Pollicini (che torna al triathlon), tocca a Chiara Consonni prendersi la famiglia sulle spalle. Lei lo sa. Lo commenta con la più tipica delle sue risate, un po’ nervosa e un po’ scaramantica, e poi comincia a raccontare.

Siamo all’alba dei mondiali pista di Roubaix, dove la “Conso” farà soltanto l’inseguimento a squadre, poi rientrerà nei ranghi della squadra per chiudere con le corse olandesi. Il fine settimana in Francia le ha portato bene. Non doveva neanche correre, invece come pure Sofia Bertizzolo, si è portata a casa il terzo posto alla Classique Morbihan e la vittoria al Gp du Morbihan.

Il giorno prima di vincere, sempre in Francia era stata seconda dietro Sofia Bertizzolo
Il giorno prima di vincere, sempre in Francia era stata seconda dietro Sofia Bertizzolo
Come stai?

Un po’ raffreddata (soffia il naso, ndr), ho preso freddo domenica in corsa e stamattina ho il naso chiuso. Siamo arrivati a Roubaix direttamente dalla Francia prima della nazionale. Ma sto bene, sono contenta. Non mi aspettavo di vincere.

Bene per il tuo ruolo futuro di capitano, no?

Sono pronta. Sapevo che le altre se ne andavano e che la responsabilità sarebbe passata sulle mie spalle. Siamo comunque un bel gruppo, con Persico, Sanguineti e Gasparrini, che è giovane ma va fortissimo.

Ti è mai venuto il dubbio che forse ti sarebbe convenuto andare anche tu in una WorldTour?

Nessun dubbio. Sono carica, voglio fare per le altre quello che le più grandi hanno fatto per me. E voglio andare meglio di quest’anno. Ho cominciato pensando di fare bene nelle classiche, ci puntavo da anni. Invece al momento giusto, ero sempre indietro. L’anno prossimo sarò più motivata e pronta già in avvio di stagione.

Ti aspetta un vero inverno da atleta, insomma?

Un inverno decisivo. Farò due settimane off, probabilmente in vacanza. Non so dove, non ci ho pensato: queste cose le faccio sempre all’ultimo. Poi palestra, pista se ci sarà un velodromo disponibile. Quando riaprirà Montichiari?

Si parla di quasi tre mesi di lavori, non sarà breve. Tutto questo significa che la “Conso” un po’ pazza sparirà?

La follia rimane, fa parte di me (ride, ndr). Ma sono maturata tanto grazie all’aiuto delle mie compagne. Ho preso qualcosa da tutte. In particolare, da Elisa (Balsamo, ndr) la capacità di rimanere concentrata sul mio percorso. Mentre dalla “Vitto” (Guazzini, ndr) la testardaggine. Sentirò la loro mancanza, ma non ho ancora pensato di cambiare squadra. Se poi la Valcar salisse nel WorldTour o si unisse a uno squadrone maschile, sarei ben contenta di seguirla. E poi c’è da vedere con i corpi militari…

Si è aperta la porta?

C’è qualche parola più chiara, ma finché non c’è l’ufficialità, sarà meglio non parlarne. 

Oro con Martina Fidanza agli europei U23 nella madison: per entrambe bel colpo di orgoglio
Oro con Martina Fidanza agli europei U23 nella madison: per entrambe bel colpo di orgoglio
Tuo fratello si è montato la testa dopo le Olimpiadi o è sempre il solito “Simo”?

Ma no, è sempre lui. Da agosto abbiamo fatto solo due cene insieme, non ci vediamo mai. Sono contenta che è qui per i mondiali e per qualche giorno lo avrò sempre intorno.

Un giorno potresti correre con lui alla Cofidis?

Non corriamo più con la stessa maglia da quando eravamo bambini, sarebbe bello. Ogni tanto ci penso a come sarebbe avere maglia e bici uguali (nella Cofidis è passata Martina Alzini, ndr). Ma io resto qui. Arzeni, il “Capo”, mi è stato vicino quando dopo l’esclusione dalle Olimpiadi ero tanto giù.

Una figura importante per te?

Ripenso a quando da junior per due volte a settimana veniva a prendermi a Bergamo da casa sua a Varese e mi portava a Montichiari. Gli devo tanto, mi fido di lui ed è bello sapere che c’è. Parliamo di tutto, è un po’ un secondo padre.

Consonni dividerà il ruolo di leader della Valcar-Travel&Service 2022 con Silvia Persico
Consonni dividerà il ruolo di leader della Valcar-Travel&Service 2022 con Silvia Persico
Invece a proposito di tecnici, pare che sia alla fine il ciclo di Salvoldi…

Nonostante le cose anche brutte che si sono dette di lui, siamo cresciute tutte con Dino e lui è cresciuto con noi. Non mi ha portato a Tokyo, vorrà dire che andrò a Parigi, molto più glamour (ride, ndr). Ho sentito i nomi di un possibile successore, staremo a vedere. Intanto giochiamoci i mondiali.

La vittoria che cosa ti ha lasciato?

Un grande morale. Non dovevo farle, ma a questo punto della stagione, preferisco correre che allenarmi per tenere la condizione. Capo lo ha capito e ha ridisegnato il calendario. E ancora una volta ha avuto ragione lui. Grazie Capo!!

ESCLUSIVO / Nell’atelier Santini dove nasce la maglia gialla

14.10.2021
6 min
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E’ primavera. Dopo una serie di incontri di team building in cui ai dipendenti del Maglificio Santini sono state spiegate varie tecniche per aumentare la coesione e l’interazione, la convocazione nel salone dei meeting non è parsa strana a nessuno. Pare che si tratti dell’evento finale, quindi arrivano alla spicciolata e vanno tutti a sedersi sulle sedie, aspettando l’intervento del mental coach di turno. Nessuno può immaginare quello che sta per accadere.

Il primo annuncio infatti dice che devono prepararsi per affrontare una grande sfida. Poi parte un video, che si conclude con l’immagine di una maglia gialla. E un altro annuncio: «Faremo la maglia gialla del Tour per i prossimi cinque anni».

In Santini vengono a saperlo così. Poi si aprono le porte che introducono allo showroom e sui tavoli disposti per un buffet, bottiglie di spumante e bignè rigorosamente gialli alla crema celebrano il traguardo raggiunto.

La forza delle persone

«Conquistare la maglia gialla – spiega Monica Santini, Ceo dell’azienda di Lallio – è la vittoria di una filosofia. Quella di pensare che ancora oggi si possono disegnare, sviluppare e produrre in Italia capi per ciclismo estremamente innovativi. Questo è quello che ci differenzia dagli altri brand, la nostra passione, il nostro dna 100 per cento ciclistico, che trasferiamo nei nostri prodotti. Perché la nostra forza sono le nostre persone».

Marketing a tutto gas

Gli uffici del piano alto sono in fermento. I creativi al computer, i commerciali al centro di telefonate a raffica. Chiamano dalla Gazzetta dello Sport, c’è in coda anche L’Equipe. Osserviamo il quartier generale alla vigilia della presentazione del Tour.

Stefano Devicenzi del markenting racconta. La famiglia Santini è volata a Parigi perché oltre ai percorsi sarà svelata anche la nuova maglia gialla, divenuta italiana dopo gli anni di Le Coq Sportif. Un segreto tenuto a stento, che ha resistito fino a una decina di giorni fa, quando da fonte Aso la notizia ha cominciato a girare. In azienda, agli esterni, dal giorno dei bignè è stato fatto firmare un patto di riservatezza che ha retto in modo encomiabile.

Il disegno della maglia è stato vagliato da Aso e una volta approvato passa alla produzione
Il disegno della maglia è stato vagliato da Aso e una volta approvato passa alla produzione

Un simbolo assoluto

Noi siamo venuti in esclusiva nella sede di Lallio per mostrare come nasca il trofeo più bello del ciclismo mondiale. Avete fatto caso che sul podio di Parigi al vincitore viene consegnata un piccolo trofeo, ma che il vero simbolo resta per esplicita volontà di Aso la maglia gialla?

«La maglia è il trofeo, si legge all’interno del suo dorso – è un simbolo che tenete fra le mani. Nessun’altra maglia nel mondo dello sport è portatrice di una storia così ricca come la Maglia Gialla. Questo non è solamente il simbolo della vittoria, ma ugualmente della storia e della cultura di una Nazione e di uno sport che solamente alcuni campioni eccezionali hanno meritato di indossare. E’ con grande fierezza che possiamo affermare che la maglia è stata interamente confezionata a mano nella nostra azienda di famiglia di Bergamo, in Italia, dove vestiamo la passione del ciclismo fin dal 1965. Felicitazioni. Questo trofeo è tuo».

Subito sotto, alla fine della corsa nello spazio per il nome, sarà stampato quello del vincitore del Tour de France 2022. Un oggetto esclusivo e personalizzato.

Nasce la maglia

L’iter di produzione della maglia è semplicissimo, ma non è affatto facile. Il reparto grafica ha sviluppato nel computer il disegno, inviando varie soluzioni in Francia per l’approvazione definitiva. Ci sono in ballo tutte le maglie di classifica per il Tour e il Tour Femmes, oltre a tutte quelle delle corse Aso, dalla Parigi-Nizza in poi.

Dal computer del reparto grafico, il file viene condiviso con i colleghi che lo stamperanno al plotter: una stampante enorme che trasferisce su carta colori e scritte. Il tempo per l’uscita di una maglia è valutabile circa in un paio di minuti.

Il rotolo di carta su cui la maglia viene stampata viene a questo punto portato in produzione e sul disegno vengono poggiati i pezzi di tessuto bianchi, sagomati in base alla parte di maglia cui fanno riferimento. Davanti, dorso, colletto, maniche, fianchi. Il doppio strato di carta e tessuto viene quindi infilato in una macchina termica che procede alla stampa sublimatica. La temperatura all’interno del rullo fa sì che il colore e le scritte si trasferiscano dalla carta al tessuto, che sempre grazie al colore dilata le sue fibre e assorbe tutto. In questo modo, all’uscita dalla macchina si hanno già pronti tutte le parti di cui si compone la maglia.

Le parti che compongono la maglia sono pronte. Il passo successico è la cucitura

Quegli elastici gialli

Ciascuna di esse deriva da tessuti diversi in base alle caratteristiche richieste, in termini di elasticità, vestibilità e traspirabilità. Il tessuto di base è riciclato, come nella maggioranza della produzione Santini. Ogni dettaglio è giallo, dalla lampo agli elastici in fondo alla maglia.

E proprio a proposito di elastici, quelli in fondo alle maniche hanno una forma singolare: la forma dell’Arc de Triomphe. L’unico dettaglio che non è giallo è il logo Santini sulla schiena, che di certo aumenterà la visibilità per il marchio. Da notare anche che le iniziali di Henri Desgrange, solitamente… appuntate sulla maglia come con un tratto di penna, ora sono su una sorta di ceralacca in basso a sinistra sulla maglia.

Il giallo che mancava

«Quello del Tour – dice con orgoglio ancora Monica Santini – è sempre stato un sogno che in azienda è girato fin da quando ero bambina. Mio padre ha sempre visto il Tour come LA gara che ancora mancava al nostro palmares, visto che abbiamo fatto fatto il Giro d’Italia per tanti anni e i campionati del mondo dal 1988. E’ stato un percorso cominciato quando abbiamo sottoscritto la sponsorizzazione della Vuelta, che comunque è parte delle gare organizzate dalla ASO. Abbiamo cominciato a dimostrare che potevamo essere un partner affidabile e propositivo. Dopo la Vuelta è arrivato il Deutschland Tour. E quando si è aperta la fase di negoziazione per il rinnovo del contratto ci siamo resi disponibili e siamo riusciti a chiudere».

Gli uffici si stanno svuotando, il grande giorno sta per arrivare. La maglia gialla parlerà italiano per i prossimi cinque anni. In un modo o nell’altro, saliremo sul podio di Parigi…

Bergamo, un altro iride: con Villa alle radici della Balsamo

11.10.2021
7 min
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«Ho l’abitudine di studiare – dice Villa – e avevo previsto che il ciclismo femminile avrebbe vissuto un’escalation. Ho provato a fare due conti, ma il WorldTour sarebbe stato un passo troppo lungo. Così ho letto bene le newsletter dell’Uci e ho visto che gli inviti si baseranno sul ranking, per cui per quello siamo tranquilli. Non essendo nel WorldTour, il solo modo per farsi notare è fare attività intensa. Si tratta comunque di un investimento».

Bergamo iridata

Due maglie iridate nella stessa provincia. A trenta chilometri dalla casa della Colpack e di Baroncini, nella stessa pianura bergamasca che ribolle aziende e ciclisti, si trova infatti la Valcar, primo sponsor della Valcar-Travel&Service, casa di Valentino Villa ed Elisa Balsamo. A un certo punto, nei giorni del Giro d’Italia Donne, sembrava che la squadra fosse a un passo dal WorldTour, poi non se ne è fatto più niente. E così adesso, a fronte di alcuni elementi di spicco che cambiano aria come la campionessa del mondo, Guazzini e Alzini, il presidente è alle prese con un bel dilemma e lo vedi che gli costa pensieri faticosi. Andare avanti a oltranza, oppure accettare la proposta del giusto squadrone WorldTour e lasciarsi inglobare? Il tempo di concordare di darci del tu, dunque, e si comincia. 

La Valcar è un’azienda che si dedica alle lavorazioni di precisione sui metalli, Villa è uno dei due soci
La Valcar è un’azienda che si dedica alle lavorazioni di precisione sui metalli, Villa è uno dei due soci
Non deve essere facile…

Ho una mia visione e il brutto vizio di non vivere il presente, ma di pensare al futuro. Penso che fra 2-3 anni, le squadre come la nostra non ci saranno più. Per il bene di questo movimento, l’abbinamento tra squadre WorldTour maschili e team femminili funzionerà. Credo che alla fine dovrà abdicare anche la SD Worx e lo vedo come un bene per le atlete. Poi servirà creare una categoria U23 come quella degli uomini in cui far crescere le ragazze, mentre ad ora questo ruolo lo svolgiamo noi e le squadre come noi.

Siete stati avvicinati da qualche squadra?

Abbiamo avuto due trattative. Una con la Uae, ma si è arenato tutto sul fatto che non siamo ancora WorldTour e che non abbiamo una dimensione troppo internazionale. So che poi sono passati alla Alé. Poi abbiamo avuto contatti con la Ef Pro Cycling, con cui sembrava quasi fatta, ma si è fermato nuovamente tutto. Se penso alla nostra squadra, la vedo allineata con un team maschile, senza però perdere tutta la filiera delle giovanili. Ragione per cui chiedo di essere io a dirigere l’eventuale nuova realtà.

Come hai vissuto il mondiale? 

Il venerdì Davide (Arzeni, diesse del team, ndr) era qui e poi è partito in macchina. L’ho invidiato. Io ho visto la corsa con mia madre, la prima tifosa e la più anziana della squadra. Se devo dire, per Elisa avevo già gioito agli europei. Quando l’ho vista fare tante volte e bene quella salita così dura dopo un’estate tutta in pista, ho capito che ai mondiali non l’avrebbero staccata. Non sono un tecnico, ma a forza di guardarle, capisco da come si muovono sulla sella e dai loro atteggiamenti in bici se stanno bene o male.

Marta Cavalli ha corso con la Valcar-Travel&Service dai 13 ai 23 anni, poi è passata alla Fdj. Villa ne ha un grande ricordo
Marta Cavalli ha corso con la Valcar-Travel&Service dai 13 ai 23 anni, poi è passata alla Fdj
Sei uno dei pochi presidenti che si occupano direttamente delle bici delle atlete…

Vengo dal mondo dei millimetri. Alle corse studio le bici degli altri. Ho passato qualche ora con Colnago, con Marra di Fsa e Colleoni di Veloflex a parlare di tecnologia dei loro componenti. Sono arrivato al punto di realizzare per Cannondale dei forcellini al Cnc. Nella mia azienda conosco tutti i ruoli, idem nella squadra. Conservo le immagini dei primi test di Elisa. E oggi quando osservo le nuove atlete, un po’ d’occhio l’ho sviluppato anche io.

Elisa Balsamo.

Elisa è… Elisa (Valentino si commuove, ndr). Devo molto a lei. Al di là dei risultati, è sempre stata una ragazza comprensiva, capace di rinunciare al suo compenso per migliorare la squadra. Vi ho già raccontato di quando si tagliò lo stipendio, no? Quando arrivò, le dissi: «Tu sei Ronaldo e vieni alla Valcar». Ma le dissi anche che per un anno avrebbe corso in una squadra ridimensionata. Avevamo inserito ragazze giovani che crescessero con lei e fossero in grado di starle accanto nei 3-4 anni successivi. E ha funzionato benissimo. Vinse il mondiale in pista il primo anno e quello su strada al secondo.

Come si sposa questa dimensione familiare con quella del WorldTour?

Siamo il baluardo del ciclismo italiano. Ma se il lavoro di Davide e Valentino deve andare avanti, allora il nome della squadra deve cambiare. Non posso fare certi investimenti e mi dispiace parlarne, ma c’è una realtà di cui devo tenere conto. 

Chi è Davide Arzeni?

Davide è la persona giusta per gestire questa fase di passaggio. Siamo appassionati di ciclismo a 360 gradi, osserviamo con la stessa attenzione la junior e la numero uno al mondo. Ci piacciono la pista, il cross e la strada, anche per dare alle ragazze modo di assecondare le loro passioni. Con Arzeni formiamo una bella coppia. Quando parliamo, ci capita di completare l’uno le frasi dell’altro. Non c’è mai diversità di vedute, la nostra forza è questa. Arriviamo sempre uguali alla conclusione, sempre con il bene della squadra per la testa. 

Vanno via dei pezzi importanti.

Se avessimo potuto, le avremmo tenute tutte. Ma adesso ci aspettiamo la maturazione della Consonni e della Gasparrini, con un occhio di riguardo per le new entry come Anastasia Carbonari e per le ragazze che vorrebbero venire.

Guazzini e Alzini lasciano entrambe la Valcar-Travel&Service: la prima va alla Fdj Nouvelle Aquitaine, la seconda alla Cofidis
Guazzini e Alzini lasciano la Valcar-Travel&Service: la prima va alla Fdj , la seconda alla Cofidis
Ad esempio chi?

C’è una decina di straniere che ci hanno scritto e fra le motivazioni hanno indicato l’ambiente di squadra. Osserviamo i risultati, ma senza dimenticare l’umanità delle persone. Per questo alla fine si crea un bel rapporto. Mi sono commosso quando ho visto la Cavalli vestita con la maglia Fdj. Marta venne da noi a 13 anni e se ne è andata a 23. Si deve lavorare e qualcosa verrà fuori.

Con grande fede nella divina provvidenza?

Fiducia cieca. Mio padre era contadino e mi diceva che il campo coltivato può non dare frutti, mentre uno che non hai considerato può dartene in quantità. Avevo 7-8 anni quando accadde che un campo coltivato e concimato non diede pomodori, mentre quello accanto lasciato quasi incolto ne fece a quintali. Un’esperienza che mi ha segnato. E’ il mio modo di cambiare le cose, il mio invito alle persone che ho accanto pe spiegargli come cambiare le cose: «Fate, fate, fate!».

Anastasia Carbonari è l’ultima arrivata nella Valcar-Travel&Service
Anastasia Carbonari è l’ultima arrivata nella Valcar-Travel&Service
Dino Salvoldi.

Una volta non convocò una mia ragazza e lo presi di petto. Poi andai in un’azienda in cui un imprenditore voleva licenziare un operaio, che però era bravissimo e faceva produzioni di altissima qualità. E non feci che dirgli di tenerlo, perché uno che era capace di certi risultati, meritava di essere tenuto. Quando uscii mi venne il flash, pensando a Salvoldi.

E cosa facesti?

Lo chiamai e gli dissi che uno come lui, con tutti i risultati che faceva, non doveva essere criticato. E aggiunsi che non lo avrei mai più attaccato.

E se nei prossimi giorni arriva un team WorldTour e vi propone di unirvi?

Sacrificherei anche domattina il nome Valcar&Travel Service, se servisse a dare un futuro alla squadra.

Sorride sincero. Il cuore è per le ragazze prima ancora che per il nome della sua azienda. Valentino è anche andato in pensione con il sogno di occuparsi a tempo pieno della squadra, ma c’è una forza neanche troppo invisibile che lo tiene legato all’azienda. Dirigenti come lui sono alla base dello sport italiano, capaci di fare miracoli. Se WorldTour sarà, che i nuovi non facciano rimpiangere i vecchi. A questo però forse dovrebbe pensare la stessa Federazione che poi sfoggerà le medaglie. Una stretta di mano, il nostro viaggio continua.

Casa Colpack, arriva Baroncini. Colleoni racconta…

10.10.2021
7 min
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«Mio padre era contadino. E quando correva Gimondi – raconta Colleoni – lasciava le vacche a urlare e ancora da mungere nella stalla per andare a sentire la radio. Il ciclismo è lo sport più bello, più controllato e meno pagato. La maglia iridata di Baroncini è l’ultima ciliegina, cos’altro posso chiedere? Finora avevamo quella di Ganna nell’inseguimento. Quando in Belgio, Baroncini ha attaccato ero a casa mia con la pelle d’oca. Uscivo in giardino per la tensione e urlavo. La gente avrà pensato che fossi diventato matto…».

La sede Colpack si trova a Mornico al Serio, nell’ufficio in fondo al corridoio Beppe Colleoni racconta il ciclismo della sua squadra e dei suoi ragazzi. Dalle foto e dai quadri alle pareti, si capisce che il Team Colpack-Ballan sia più di un semplice passatempo. Antonio Bevilacqua, seduto accanto funge da memoria storica. Il presidente è in gran forma, la sensazione è che parlare di ciclismo per qualche minuto lo distragga dalle incombenze di lavoro. Il dannato Covid è ancora in giro, se non altro per le sue conseguenze. Un fornitore di materia prima non consegna come dovrebbe e questo per la produzione è un bel problema. Baroncini seduto davanti, annuisce e sorride, mentre firma cartoline con la sua foto da iridato.

Sabato il team, tirato da Baroncini, ha vinto il tricolore cronosquadre (foto sito Colpack-Ballan)
Sabato il team, tirto da Baroncini, ha vinto il tricolore cronosquadre (foto sito Colpack-Ballan)
Presidente, ormai avete alle spalle una storia lunghissima…

Ricordo quando mio figlio Michele si mise in bici a 6 anni, poi venne la volta di Cristiano. Sono stati entrambi professionisti e Michele continua a fare avanti e indietro dal lavoro con la sua nuova fuoriserie. Gliel’ha regalata sua moglie, ci ha speso 12 mila euro. Come squadra abbiamo cominciato nel 1994 con gli juniores. Poi arrivò Bevilacqua, che voleva coinvolgermi con la Bergamasca. Ma io gli dissi: «O si fa una squadra nostra, oppure niente». Poi c’è stata la parentesi fra i professionisti, ma dal 2011 siano tornati il Team Colpack.

Ogni anno con lo stesso gusto di fare le cose?

Se posso dirlo, le cose sono cambiate, non c’è più il clima di prima. Con i ragazzi non riesco a comunicare come una volta. Un po’ per colpa della pandemia e un po’ per altri motivi. Con Villella ci sentivamo di continuo, Baroncini quasi non lo conosco. Ormai te li lasciano così poco, che non fai in tempo a conoscerli.

Si divertiva di più qualche anno fa, insomma?

Nel 2016 eravamo a San Vendemiano con Consonni e Ganna. Dissi loro che avevo il portafogli pieno e che un premio in caso di vittoria ci sarebbe stato bene. Ganna si voltò verso Consonni. Rimasero a parlare qualche minuto nel camper. Scesero. Corsero. E fecero primo e secondo. Loro sono stati gli ultimi con cui si è creato un bel rapporto, perché sono rimasti il tempo giusto.

Baroncini firma le cartoline con la sua foto in maglia iridata
Baroncini firma le cartoline con la sua foto in maglia iridata
Quant’è il tempo giusto?

Mi basterebbe farli firmare per due anni. Una maglia iridata come la sua (dice guardando Baroncini, ndr) dovresti poterla onorare. Mi verrebbe quasi da dire ai procuratori di venire loro a farsi la squadra. I ragazzi non si fermano neanche per un anno. Se adesso Baroncini potesse fare sei mesi ancora da under 23 con la maglia, sarebbe per noi il modo di venire ripagati dell’investimento su di lui. D’accordo che certi patti si fanno prima, come per Tiberi, Piccolo e Ayuso. Ma volete dirmi che hanno avuto questi grandi vantaggi ad andare di là così giovani?

Che effetto fa però vederli andar forte da professionisti?

Rinforza la nostra immagine. Masnada ha fatto con noi due anni da junior, quattro da U23 e uno da elite. Sette anni. Lo chiamavo “cavallo pazzo” perché aveva da dire con tutti. Ma non è sempre scontato che si vinca. Mi ricordo una Parma-La Spezia. Partimmo con 13 corridori e nemmeno uno nei primi all’arrivo. Ero nero (si mette a ridere, ndr). Gli dissi di lasciare borse e tute, che li avrei mandati a casa in mutande. In certi momenti però abbiamo avuto corridori che potevano fare e disfare a loro piacimento. Avrei potuto guidarli anche io dall’ammiraglia…

Perché ha impiegato così tanto per fare la continental?

Non mi interessava, non potevamo fare le corse regionali. Avevamo solo under 23 e tanti di primo anno, le corse più piccole erano e sono una necessità. Certo, la continental è bella per l’esperienza di correre fra i pro’.

Esiste un ritorno quantificabile per il vostro investimento?

Zero, niente di niente. Qualche cliente segue il ciclismo e il giorno dopo commentiamo semmai la vittoria, ma nulla di più. Coinvolgo i miei partner, le altre aziende. Gli chiedo di usare parte del budget per aiutarci con la squadra. Ma io per primo lo faccio per la passione.

Invece cosa ricorda degli anni nel professionismo?

Non grandi cose, a dire il vero. Mi ricordo che ero a Sanremo il giorno del blitz (i Carabinieri del Nas fecero al Giro del 2001 un blitz antidoping spettacolare, ma senza grossi riscontri, ndr) con gente che si calava dalle finestre e quell’episodio un po’ mi ha fermato. Non era il mio ambiente. Ma bene i controlli. Quest’anno ad Ayuso ne hanno fatto un quantitativo esagerato, ma almeno ora è tutto credibile.

Resta in contatto con i suoi ex atleti?

Sempre, quando si può. Orrico si ferma spesso a salutare, lo stesso Masnada. Quando gli ho chiesto come si trovi alla Deceuninck-Quick Step ha detto che sta come alla Colpack. Anche Ganna passa a salutare qualche volta.

E di Bevilacqua cosa dice?

E’ la mia spesa più grande (ride forte, ndr), è l’aspirapolvere del mio portafogli, ma andiamo d’accordo. Spendiamo parecchio, ma è tutto sotto controllo. Passione sì, ma con i piedi per terra.

Quest’anno la Colpack, che produce sacchetti per la raccolta differenziata che vende quasi esclusivamente all’estero, celebra i 30 anni di attività. La festa, che avrebbe dovuto farsi a gennaio ed è stata rinviata causa Covid, si svolgerà ai primi di dicembre. Colleoni partì nel 1991 con un socio, tre linee e quattro operai. Oggi ha 180 dipendenti nella sede bergamasca e altri 40 in quella di Cremona, diretta da suo figlio Cristiano. Eppure nonostante numeri così importanti, nelle stanze e nei corridori del grande capannone si vedono solo foto di ciclismo. E il passaggio di Baroncini, annunciata a gran voce nei lunghi corridori dallo stesso vulcanico Colleoni, ha la stessa enfasi della visita di un Capo di Stato. Se questa non è passione…

Masnada, giorno indimenticabile nella sua Bergamo

09.10.2021
3 min
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A un certo punto non si è capito se la Deceuninck-Quick Step gli avesse ordinato di non tirare per far rientrare Alaphilippe, che in partenza era il leader della squadra. Sta di fatto che il francese dietro continuava a incitare i corridori di altre squadre perché tirassero per la loro parte, mentre davanti Masnada si è messo a ruota, parlando nervosamente alla radio. Al punto che a un certo punto l’ammiraglia lo ha affiancato. Se questo era il piano, non ha funzionato. Il vantaggio di Pogacar e del bergamasco è sceso fino a 28 secondi fintanto che all’inseguimento partecipava anche il campione del mondo, poi è preso a ricrescere.

Masnada si è tuffato in discesa con la sicurezza del padrone di casa
Masnada si è tuffato in discesa con la sicurezza del padrone di casa

Finale ad alta tensione

E così Fausto Masnada – bergamasco di Laxolo, 28 anni il prossimo 6 novembre – è andato incontro al finale di corsa sapendo di avere una sola chance: staccare Pogacar nel falsopiano dopo lo strappo di Città Alta (foto di apertura). Qualsiasi altra soluzione, pur percorribile, lo avrebbe visto perdente. Il ricordo della volata con Colbrelli al campionato italiano era troppo fresco per essere stato dimenticato.

«Sono felice – dice – è il mio primo podio in una prova monumento e centrarlo nella mia città rende tutto ancora più speciale. So che il secondo posto non è una vittoria, ma so di essere stato superato da uno dei migliori corridori del mondo, che oggi era impossibile da battere».

Ha lavorato sodo per Alaphilippe, che gli ha dato poi via libera
Ha lavorato sodo per Alaphilippe, che gli ha dato poi via libera

Attacco concordato

Le sue parole dopo l’arrivo in qualche modo stridono con quello che si è visto nelle immagini televisive.

«Durante la corsa – dice – ho parlato con Julian (Alaphilippe, ndr) e mi ha detto di provare qualcosa se sentivo di avere le gambe. Così sono andato a tutto gas dopo il passo di Ganda, con la fiducia al massimo perché conoscevo la discesa e quelle strade. Questa stagione non è stata delle mie migliori, con diversi infortuni che mi hanno fatto saltare molte gare, perciò finire così è fantastico».

Masnada è il primo bergamasco da ventidue anni sul podio di un Lombardia finito a Bergamo
Masnada è il primo bergamasco da ventidue anni sul podio di un Lombardia finito a Bergamo

Per Bergamo e i bergamaschi

Masnada è il primo bergamasco in 22 anni a concludere fra i primi tre Il Lombardia che si sia concluso a Bergamo. Per questo la sua dedica alla città ha infiammato i tanti tifosi che lungo tutto il finale lo hanno incitato.

«Era la prima volta che facevo il Colle Aperto in gara – ammette – e l’atmosfera in quella stradina così stretta da questi fantastici tifosi è qualcosa che rimarrà per sempre con me. Mi vengono i brividi solo a pensarci. Questo posto sul podio è per loro e per l’intera città di Bergamo, così duramente colpita durante la pandemia. Non dimenticherò mai questo giorno incredibile».