O’Connor, quattro anni in Francia e l’inglese ritrovato

15.12.2024
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ALTEA (Spagna) – Dato che non può ancora indossare gli abiti del Team Jayco-AlUla, Ben O’Connor ha pensato bene di presentarsi in ritiro con la maglia bianca e sopra una giacca larga e marrone. Di ottimo umore e anche leggermente abbronzato, l’australiano per quest’inverno non tornerà in patria, essendo diventato da poco papà e volendosi calare appieno nella parte di leader del nuovo team. Australiano come lui.

Riepiloghiamo, per chi fosse rimasto scollegato. Dopo aver conquistato il secondo posto alla Vuelta alle spalle di Roglic (che l’ha detronizzato a tre tappe dalla fine), l’australiano ha vinto con la sua nazionale il Team Mixed Relay ai mondiali di Zurigo e poi si è piazzato secondo nella gara in linea alle spalle di Pogacar e prima di Van der Poel. Ha riannodato in un solo colpo il filo che penzolava dopo il quarto posto al Tour del 2021, guadagnando valore di mercato e stuzzicando l’ambizione della squadra di Brent Copeland, che l’ha ingaggiato per farne il leader nei Grandi Giri. Lo incontriamo nei giorni del training camp della Jayco-AlUla ad Altea, lungo la costa fra Calpe e Benidorm.

O’Connor viene dalla punta più a Sud dell’Australia Occidentale, da una cittadina di settemila abitanti che si chiama Subiaco. Se qualcuno a questo punto ha pensato che c’è una Subiaco anche in Italia, a sud di Roma, sappia che l’omonimia non è casuale. Nell’area inizialmente popolata dagli aborigeni, nel 1851 si stabilì infatti una comunità di Benedettini che fondò la città dandole il nome di New Subiaco, proprio in onore della città italiana. A Subiaco, infatti, San Benedetto aveva fondato dodici monasteri e di uno era divenuto egli stesso l’abate. Otto anni dopo gli stessi monaci costruirono un grande monastero e nel 1881 la città prese semplicemente il nome Subiaco.

Tre le vittorie 2024 di Ben O’Connor, 29 anni: la Vuelta Murcia, la 6ª tappa della Vuelta (sopra), il Team Mixed Relay ai mondiali
Tre le vittorie 2024 di Ben O’Connor, 29 anni: la Vuelta Murcia, la 6ª tappa della Vuelta (sopra), il Team Mixed Relay ai mondiali
Come sta andando l’inverno?

Bene, finora il tempo è stato molto bello, piuttosto mite. Di solito vado via da Andorra quando nevica, non credo di esserci mai rimasto con la neve fuori dalla porta. Io andavo via e la neve arrivava, con un tempismo perfetto. Ma quest’anno che non ho intenzione di partire, la neve sembra non voler venire. Curiosa coincidenza.

Come si guarda indietro alla stagione 2024?

La guardo con un sorriso, è stato fantastico. Poche cose sono andate storte, ma ce ne sono sicuramente alcune che so di poter migliorare. Si potrebbe pensare che uno sia al settimo cielo, ma ci sono sempre prestazioni migliori, risultati migliori o modi migliori di gestire le situazioni. Però è stato certamente un anno da sogno.

Hai conservato tutte le maglie rosse della Vuelta?

Ne ho un sacco, questo è certo. Anche se hai vestito la maglia di leader in una qualsiasi gara World Tour, vorresti tenerla. E’ un ricordo, una cosa speciale. Se poi parliamo di un Grande Giro, è la ciliegina sulla torta. Indossare la maglia rossa per due settimane è stato qualcosa di diverso. Scendere dall’Andalusia attraverso la Galizia fino alla Cantabria è stato davvero una cosa grande. Il bello di quest’anno è che sono riuscito a mostrare la migliore versione di me in tutte le gare.

O’Connor ha conquistato la maglia di leader della Vuelta vincendo la 6ª tappa e l’ha difesa per i 12 giorni successivi
O’Connor ha conquistato la maglia di leader della Vuelta vincendo la 6ª tappa e l’ha difesa per i 12 giorni successivi
Avete individuato un fattore chiave per ottenere questa costanza durante la stagione?

Non so se sia l’età o il fatto di aver imparato a gestire il volume di allenamento. Il corpo ha imparato ad assorbire il carico di lavoro e fisicamente sono migliorato ogni anno da quando ho iniziato. Si impara a riposare e ad allenarsi per dare tutto quando serve. La squadra ha avuto un piano molto chiaro per ogni gara e in questo contesto abbiamo deciso che io fossi l’uomo delle classifiche generali. Alla Vuelta i ragazzi erano un po’ più al guinzaglio perché avevamo la maglia, però al Giro abbiamo vinto due tappe, con Vendrame e Valentin Paret-Peintre. La chiarezza è stata alla base di tutto ed è qualcosa su cui ragionare per la prossima stagione.

Pensi che potrai ripetere quello che hai vissuto quest’anno?

Probabilmente non rimarrò in testa alla Vuelta per due settimane, ma credo di potermi avvicinare. Non so se il 2024 rimarrà l’anno migliore della mia vita di corridore, ma di sicuro l’anno prossimo potrò ottenere prestazioni simili. Non ho dubbi sul fatto che possa migliorare, perché so che posso fare di più. Poi è chiaro che i risultati sono difficili da confermare, fai del tuo meglio e le cose magari non funzionano. Serve essere intelligenti. Non credo che al mondiale fossi il secondo più forte del gruppo, ma me la sono giocata meglio e alla fine ho preso la medaglia d’argento. Il ciclismo è così, non sempre alle prestazioni corrispondono i risultati.

Cosa ti fa pensare che l’anno prossimo otterrai prestazioni migliori?

Sono fiducioso perché, per esempio, nell’ultima settimana del Giro sono stato male come un cane. Eppure alla fine è stata una grande occasione persa, perché avrei avuto ugualmente la possibilità di salire sul podio, ma non ce l’ho fatta. Sarei potuto salire sul podio in entrambi i Grandi Giri della mia stagione. Avrei potuto vincere il UAE Tour e conquistare una gara a tappe WorldTour, invece Van Eetvelt è stato migliore di me. Tante cose sarebbero potute accadere, ma non sono successe. E io so che l’anno prossimo si può migliorare, ma non si può tornare indietro e cambiare il tempo.

O’Connor non ama le classiche ma riconosce l’atmosfera unica del mondiale con la maglia della nazionale
O’Connor non ama le classiche ma riconosce l’atmosfera unica del mondiale con la maglia della nazionale
Pensi di poterti avvicinare a Pogacar e Vingegaard?

No, sono fuori portata, sono troppo forti. Posso essergli vicino in certi giorni, ma non credo fisicamente di avere il loro stesso talento.

Arriverai al punto di pianificare le tue gare in base a ciò che non fanno loro?

Sì, è possibile. Si potrebbe seguire questa linea, perché ciascuno di noi ha sempre il proprio obiettivo personale. Potrei fare ogni anno il Giro se volessi, ma significherebbe evitare il Tour, che alla fine è l’apice. E proprio per questo tutti vogliono andare in Francia, perché è la corsa più importante dell’anno e tu vuoi esserci. Lo sport è pieno di grandi campioni, è una sua caratteristica, così come il fatto che non si può vincere tutto. Non si può evitare di andare al Tour e neppure di essere sconfitti, perché così è lo sport professionistico. Devi andare avanti e affrontarlo.

Perché si guarda a te solo per i Giri quando la tua prima vittoria 2024 è stata la Vuelta Murcia, di un solo giorno, poi sei arrivato secondo al mondiale?

Le corse di un giorno sono qualcosa che il mio ex allenatore ha sempre pensato che avrei dovuto fare di più. Solo che i programmi non si sono mai allineati. Le classiche devono piacerti e io non le trovo proprio così divertenti. Non è che proprio non veda l’ora che arrivino Amstel, Freccia e Liegi. Invece il mondiale è un po’ diverso, perché ha un’atmosfera da brivido. Indossi la maglia della nazionale australiana insieme agli altri corridori australiani ed è davvero una cosa speciale e allo stesso tempo per me un’eccezione. Con le corse di un giorno devi davvero metterti in gioco, mentre nelle corse a tappe puoi aspettare. Puoi essere il migliore semplicemente alla fine, che sia con la cronometro o sulla cima di una montagna. Invece durante la gara di un giorno, devi andare a cercarti anche il vento, devi essere aggressivo ed è un modo piuttosto divertente di gareggiare. Quindi da un lato non mi fanno impazzire, dall’altro forse potrei impegnarmici di più.

Il concetto di O’Connor è chiaro: la Decathlon non era il team più forte, ma ha guidato la Vuelta grazie a ruoli ben definiti
Il concetto di O’Connor è chiaro: la Decathlon non era il team più forte, ma ha guidato la Vuelta grazie a ruoli ben definiti
Che cosa hai imparato dal 2024?

Che puoi anche non avere una squadra di superstar, ma puoi ugualmente controllare una gara. Alla Vuelta avevamo un gruppo di bravi ragazzi, ma non certo dei campionissimi. Al confronto con quelli della UAE eravamo inferiori, ma i miei compagni sono stati forti perché avevano un compito prestabilito da svolgere e sono stati in grado di farlo. Ne sono rimasti tutti colpiti e abbiamo imparato che se hai le idee chiare, puoi riuscirci a prescindere dal nome dei tuoi compagni.

E’ scontato dire che il legame con l’Australia sia stato un fattore importante nella tua scelta?

No, di sicuro è stato un fattore importante. Sono stato per quattro anni in una squadra francese e ha significato cambiare completamente il mio stile di vita, il modo di comunicare. Se vai a correre in Francia, devi imparare prima di tutto la lingua. Sei tu il leader, hai la responsabilità di fare tu la corsa, eppure i direttori sportivi che ti guidano non parlano inglese. Così ho imparato a comunicare con i compagni e tutti i membri dello staff e i direttori. Soprattutto se sei un australiano in una squadra francese, devono davvero fidarsi di te perché vieni da un diverso modo di lavorare.

Una convivenza difficile?

Da un lato mi è piaciuta, ho vissuto un bel periodo, ma allo stesso tempo ero pronto per cambiare. Essere in una squadra australiana significa ritrovare la facilità di parlare e di stare con i ragazzi, me ne sono accorto già in questi pochi giorni. E anche con lo staff fila tutto liscio, si può parlare in modo diretto. Penso che come persona mi sentirò molto più a mio agio. In Francia mi sono divertito, ma qui è come tornare a casa.

Mohoric: genio e ciclismo schematico, sognando la Roubaix

15.12.2024
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ALTEA (Spagna) – Eravamo lì a parlare del più e del meno con Matej Mohoric, quando il discorso è finito sui sacrifici e le rinunce del fare il corridore in questo tempo così scientifico e definito. Si potrebbe pensare che tante rigidità siano vincolanti e compromettano l’equilibrio nella vita dell’atleta, invece lo sloveno ci ha offerto un punto di vista così lucido da non ammettere tante repliche. A patto che il corridore in questione sia dotato di grande determinazione e razionalità: doti senza le quali non arrivi da nessuna parte o comunque non troppo lontano.

Si parlava nello specifico di tutto quello che si potrebbe fare per migliorare, aggiungendo con la ricerca qualche cavallo al proprio motore nel tentativo di opporsi alla forza dei più forti. E Matej, cui non mancano sagacia e ironia, ha cominciato col dire che si potrebbe fare anche parecchio, ma servirebbero giornate più lunghe delle 24 ore. Potrebbe valere la pena correre di meno e ricercare il meglio negli allenamenti come sembrano fare Pogacar e Van der Poel?

«Non penso che serva aumentare gli allenamenti», dice. «Magari cinque anni fa ci allenavamo pure di più – prosegue – più ore, però adesso è cambiato il modo, sono cambiate l’intensità e la struttura di tutto. Adesso è più scientifico, è tutto provato, tutto studiato, è più metodico. Prima magari ti dicevano di andare finché le gambe ti bruciavano, adesso ti dicono che devi fare 43 secondi a 730 watt. Quindi è tutto più studiato, più preciso, più definito. C’è anche meno margine di sbagliare in ogni cosa. Nella nutrizione, nell’allenamento, nel recupero».

Giornata piena: anche un’intervista ai microfoni di Rai Sport, in Spagna con Stefano Rizzato
Giornata piena: anche un’intervista ai microfoni di Rai Sport, in Spagna con Stefano Rizzato
E’ faticoso o comunque pesante starci dietro?

No, no, no. Prendiamo solo l’esempio della nutrizione, del mangiare. Quando mi chiedono cosa mangiamo, io lo spiego e tanti mi dicono che è impossibile seguire sempre i numeri. Se però i nutrizionisti riescono a suggerirmi quello che devo mangiare per sentirmi meglio e io, provandolo, scopro che è vero, personalmente diventa più facile farlo. Perché so che il giorno dopo mi sentirò meglio in bicicletta e grazie a questo mi sentirò anche sazio dopo il pasto. Se è così, se sono consapevole dei benefici, non ho né voglia né desiderio di mangiare qualcos’altro, quello che magari so che mi farebbe male.

Non ti pesa?

Non è uno sforzo, non è un sacrificio. E’ una cosa che rende la mia vita e le mie decisioni più facili, perché so che ho mangiato quello che serviva. So il perché di certe scelte e le faccio volentieri e senza nessun dubbio. E’ lo stesso sull’allenamento, sui materiali, su tutto. Più queste cose vengono studiate, più vengono provate, più per me diventa tutto facile.

Però in tutto questo controllo estremo, tu hai vinto la Sanremo con il reggisella telescopico e con una discesa da pazzo. Quindi non è tutto scientifico…

Sì, ovvio. Perché se fosse tutto solo di gambe, se dipendesse solo dalla forza, vincerebbe sempre quello più forte fisicamente che è Tadej. Per fortuna non è così. Per fortuna oggi le corse sono più imprevedibili e il finale inizia anche a 80 chilometri dall’arrivo, mi ci trovo meglio, piuttosto che ad aspettare gli ultimi chilometri.

L’hai mai riguardata quella discesa di Sanremo?

Sì, sinceramente dalla televisione sembra molto più da pazzi rispetto a quello che ho vissuto io in quel momento.

E’ il 19 marzo 2022, scollinamento del Poggio. Mohoric sta per lanciare l’attacco diventato leggenda
E’ il 19 marzo 2022, scollinamento del Poggio. Mohoric sta per lanciare l’attacco diventato leggenda
Come si vive questo momento di sloveni fortissimi?

Per me è più facile che ci siano due che hanno vinto tanto di più, così l’attenzione è più su loro. Sicuramente è un’era che prima o poi finirà, come è successo nel passato, con tante altre Nazioni. C’è anche da dire che lo sport è sempre più globale, che c’è sempre più competizione, sempre più altre nazioni da cui arrivano ragazzi tanto competitivi. E questo è un bene secondo me per tutto il ciclismo, per tutto il movimento e soprattutto per tutta la gente che inizia a seguire lo sport. E magari si appassionano e iniziano anche loro ad andare in bicicletta, che secondo me è una cosa buona perché fa bene alle salute.

Quanto sei diverso dal Matej che vinse il mondiale under 23 del 2013?

Dieci anni ti fanno cambiare in ogni caso. Adesso sicuramente ho più esperienza, in questi anni ho imparato tante cose e ho sempre comunque la stessa voglia di crescere, non solo di migliorare me stesso, ma anche di aiutare gli altri. E porto sempre lo stesso rispetto per la squadra, lo staff e tutti quelli che lavorano perché noi possiamo fare quello che sognavamo da piccoli.

E quanto è diverso invece il Matej neoprofessionista dai ragazzi che passano oggi?

Anche in questo si vede che sono passati dieci anni, è un po’ diverso. Non dico che abbiano più esperienza, ma sono già più pronti. Sanno più cose su tutti gli aspetti della performance nel ciclismo. Sanno di nutrizione e di allenamento. Magari hanno avuto la possibilità di praticare ciclismo in un modo più strutturato sin da più piccoli. Anche per questo non dico che per loro sia facile perché non lo è, ma è più probabile che già a 22, 23, 24 anni possano già vincere delle gare che prima erano molto improbabili o quasi impossibili. Adesso è così.

Al rientro dalla sessione fotografica del mattino, ci si cambia, ci si copre e si va alle interviste
Al rientro dalla sessione fotografica del mattino, ci si cambia, ci si copre e si va alle interviste
Anche questo è un bene per lo sport?

Penso proprio di sì. Magari però da un altro punto di vista per loro è difficile se hanno successo quando sono troppo giovani. Il successo porta anche più responsabilità, non solo nella professione, non solo nel dover vincere di nuovo la gara che hai vinto l’anno precedente, ma anche a livello personale. Se hai successo, aumenta anche la responsabilità nella vita privata. Gestire il denaro di un contratto importante e le tante aspettative può creare dei problemi.

Ultima domanda, dici spesso che la tua classica preferita è la Roubaix: forse perché si può inventare qualcosa come alla Sanremo?

Sì, esatto. Secondo me il Fiandre puoi rigirarlo come vuoi, ma alla fine vince quello più forte. Alla Roubaix invece possono succedere tante cose. Per vincerla devi essere comunque molto forte, però possono capitare tanti imprevisti. Penso che per me un giorno sarà più facile vincere la Roubaix che vincere il Fiandre.

Perché ti piace così tanto?

C’ero quando la vinse Sonny (Colbrelli, ndr) e fu un vero colpo di fulmine. Quest’anno sono caduto al Fiandre e ho dovuto saltarla, speriamo di tornarci nel 2025.

La squadra ringiovanisce e Fiorelli diventa senatore

13.12.2024
5 min
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ALTEA (Spagna) – Con la partenza di Pozzovivo, Tonelli e Zoccarato e con Gabburo in cerca di una squadra, Filippo Fiorelli è diventato il corridore più anziano ed esperto della VF Group-Bardiani. Il palermitano lo sa bene, tanto che quando glielo dici fa un sorriso sconsolato da… povero vecchio e ammette di averlo realizzato da poco, anche se la sua carriera è iniziata tardi e probabilmente le vere potenzialità non è ancora riuscito a esprimerle. Il garage dell’Hotel Cap Negret è diviso in stanzoni ed ha una parete piena di quadri con le maglie dei tantissimi campioni che sono venuti qui per allenarsi. Ogni squadra ha i suoi box e quello (doppio) della squadra emiliana contiene le nuove De Rosa 70 per i tanti corridori presenti in ritiro (in apertura Fiorelli accanto a Marcellusi, foto Gabriele Reverberi).

Anche la compagine dello staff è nutrita e, fra meccanici e direttori sportivi, riconosciamo e salutiamo con piacere Alessio Nieri. Il toscano ha smesso di correre per i problemi alla schiena dopo la caduta al Giro di Turchia, ma è rientrato nella sua ex squadra come massaggiatore. Fiorelli intanto è già dentro. Il team è diviso in base all’attività del giorno e il siciliano è nel gruppo di quelli che oggi faranno i test. E’ sceso un po’ prima per parlare con noi e quando esce, ha il bavero sollevato per ripararsi dal freddo nell’unica giornata di vento e pioggia della settimana.

Come si riparte?

Meglio rispetto all’anno scorso, con meno fatica. Mi sono fermato per molto più tempo, perché a fine ottobre mi sono dovuto operare al setto nasale. Avevo fatto già una Tac a metà anno e avevano riscontrato il problema, per cui abbiamo organizzato tutto per il fine stagione. Ho ricominciato ad andare in bici il 20 novembre. Prima con grande calma, perché ancora non ero proprio al 100 per cento. Poi tutto è andato a posto e ho iniziato a lavorare per bene. Quindi sono fresco e con i giusti chilometri nelle gambe.

Nel 2024 ti abbiamo visto molto più brillante in salita, restando alla larga dalle volate di gruppo. La linea resta quella?

Direi di sì. Spero magari di riuscire a fare qualcosa di meglio rispetto all’anno scorso, anche a livello di risultati per me e per la squadra. Però conto di rimanere quel tipo di corridore. Abbiamo visto che nelle volate di gruppo compatto non riesco a vincere, a meno di non avere una botta di fortuna. Quindi è meglio cambiare stile di corsa, provare ad arrivare in un gruppetto più ristretto e lì giocarmi il mio spunto che comunque di base resta quello di velocista. Da dilettante facevo questo tipo di lavoro, diciamo che per certi versi è un ritorno alle origini.

Il gruppo dei test, pronto a partire: sulla destra si riconosce Bruno Reverberi con il cappello in testa
Il gruppo dei test, pronto a partire: sulla destra si riconosce Bruno Reverberi con il cappello in testa
Sei uno dei veterani della squadra…

Sì, adesso sono il più vecchio anche se ci sono giovani che hanno iniziato a correre prima di me, quindi in realtà non so quanto io possa trasmettere come esperienza. Però sicuramente quel poco che ho imparato sono disposto a riproporlo anche a loro. Quando li osservo e penso al primo Fiorelli, li vedo molto più preparati di quando sono passato io, dalla consapevolezza nell’allenamento al livello di nutrizione in gara.

Un esempio?

Quando correvo io da dilettante, non c’erano mica tutti questi discorsi sui 90-120 grammi di carboidrati per ora. C’erano i vecchi paninetti con il miele e col prosciutto, poi negli ultimi 20 chilometri prendevi un gel e ti sentivi rinato. Oggi si è capito che per supportare la prestazione bisogna mangiare e non solo rincorrere l’essere magri.

Però i paninetti erano più buoni.

Sicuramente.

Continui ad allenarti con Andrea Giorgi?

Come nel 2024, mi trovo bene quindi spero di riuscire a fare le stesse cose che ho fatto l’anno scorso se non meglio. Sto facendo il mio percorso passo dopo passo, quindi a livello di crescita personale sono arrivato ai livelli di adesso nei tempi corretti. Con Giorgi c’è un filo diretto e costante. Parliamo di tutto, aggiustiamo il tiro se piove, se non mi sento un granché, se ho necessità di cambiare qualcosa. Ho aumentato la forza e la resistenza per stare al passo di chi va forte.

Hai un obiettivo già chiaro nella testa?

L’anno scorso proprio con voi espressi delle preferenze. Quest’anno invece non si fa per il sottile. Voglio vincere, qualsiasi sarà la corsa. Mi manca alzare le mani, passare la linea prima di tutti e sentire, almeno per quel giorno, di essere stato il migliore.

Paternoster 3.0: sguardo fisso sulla Sanremo

13.12.2024
4 min
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ALTEA (Spagna) – Bisogna prepararsi per una Paternoster 3.0. Dopo aver parlato con la trentina nel ritiro del Team Jayco-AlUla, la sensazione è quella di una determinazione nuova, che poggia su una preparazione più strutturata e sostanziosa. La presenza di Marco Pinotti sarà più incisiva e l’apporto dell’ingegnere bergamasco, che già nel 2024 aveva portato una ventata di aria nuova fino alla prima vittoria, promette di essere la base per una svolta decisiva.

Letizia sorride, come al termine di un percorso faticoso che l’ha messa alla prova in modo importante. E ora che i nodi sembrano finalmente sciolti, il futuro e le corse sembrano un luogo protetto in cui essere se stessa senza dover per forza indossare i panni del personaggio che si è cucita addosso negli anni.

«Qua mi vogliono tutti bene – annota – e ci tengono tanto a me. Veramente si curano di me come persona e anche le compagne attorno mi fanno sentire apprezzata ogni giorno. E’ come se mi trasmettessero tutta la bella energia che hanno e questo conta tanto anche in gara».

Un ottimo dicembre per Paternoster, ospite dell’Hotel Cap Negret (immagine Instagram)
Un ottimo dicembre per Paternoster, ospite dell’Hotel Cap Negret (immagine Instagram)
Lo abbiamo già visto in primavera al Nord. Una Letizia molto più guerriera di quella cui eravamo abituati…

Per me non è stata una scoperta assoluta. Conosco le potenzialità che posso avere su strada, perché le avevo mostrate appena passata. Ovviamente era solamente questione di ritrovare quella che ero. Allora avevo solo 19 anni. Ora che sono cresciuta, fra la maturazione fisica e l’esperienza, posso sicuramente puntare un po’ più in alto. Perciò ci ho creduto, ma quello che abbiamo visto nella scorsa stagione è stata una sorpresa anche per me. Non mi aspettavo di essere migliorata così tanto. Per questo sono carica, non vedo l’ora di affrontare le corse. Ci credo veramente tanto. Perché l’ho già fatto e ora credo anche di poterlo fare ancora meglio.

Perché?

Perché l’anno scorso sono arrivata senza un’aspettativa e una preparazione adeguata al 100 per cento. Poi si sa, nel ciclismo tutto può succedere, però voglio pensare che se faccio tutto nel modo giusto, può accadere qualcosa di veramente magico.

Giro delle Fiandre 2024, Letizia Paternoster chiude al nono posto, cedendo solo nel finale
Giro delle Fiandre 2024, Letizia Paternoster chiude al nono posto, cedendo solo nel finale
Lo scorso anno hai cominciato a lavorare con Pinotti, la collaborazione continua?

Marco è super, cura i dettagli al 100 per cento. E’ un ingegnere e si vede nel modo in cui fa le cose. Quando parla, so che quello che dice è reale. Non dice una parola in più né una in meno. Guarda ogni allenamento in tempo reale: io torno e prima di ripartire il giorno dopo ho già i suoi feedback. Mi dice che magari in un certo tratto potevo fare qualche pedalata di più, vede particolari incredibili. E allo stesso tempo riesce a trasmettermi calma e serenità e questo con me fa tanto.

Ha aumentato le quantità di lavoro? Lo scorso anno proprio Marco ci disse che per l’attività che dovevi fare, ti allenavi ancora poco…

Effettivamente lui sta sempre avanti, sempre al passo con gli studi. Il ciclismo ha avuto un’evoluzione sotto tutti gli aspetti. E’ vero che ho aumentato tutto da quando lavoro con lui ed effettivamente i risultati sono tangibili.

Paternoster e una cartolina per Natale: la squadra rimarrà in Spagna fino alla vigilia delle Feste
Paternoster e una cartolina per Natale: la squadra rimarrà in Spagna fino alla vigilia delle Feste
E’ vero che proprio Marco ti ha suggerito di fare un pensiero alla Sanremo?

E’ un grande obiettivo. Appena hanno confermato che si farà, mi ha chiamato e mi ha detto: «Lo sai che si farà la Milano-Sanremo?». Gli ho chiesto che cosa ne pensasse e lui mi ha detto che bisognava farci un bel circoletto attorno. In pochi minuti è andato a studiarsi le prime cose, per cui di sicuro ci si prova. Si sa che poi il livello della competizione sarà altissimo. E’ una corsa che può piacere alla Longo Borghini, a Lotte Kopecky, la Wiebes e anche alla Vollering. C’è un bel gruppo di ragazze che possono veramente fare bene, però perché non pensarci?

E perché non pensare anche di riprendersi il posto che avevi da junior?

Esattamente, è proprio quello che voglio fare.

Da dove nasce questo sorriso?

E’ dicembre e non sono mai partita a dicembre con un livello così alto, ne parlavo proprio prima con Marco. Siamo felici, stiamo lavorando nella direzione giusta. Ho fatto una off-season adeguata e quindi stiamo costruendo il mio percorso. Davvero non vedo l’ora di cominciare.

Tiberi, parole da grande e lavori massimali progettando il Giro

12.12.2024
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ALTEA (Spagna) – Quinto al Giro d’Italia e miglior giovane, Antonio Tiberi si muove col passo felpato di chi ha in testa il ritmo giusto per fare le cose. Il mattino è stato dedicato alle visite mediche e ad una sessione fotografica, poi ci sono i giornalisti e le loro domande. La giornata è accecante di sole e mare, il riverbero del marmo a bordo piscina costringe a socchiudere gli occhi.

L’hotel Cap Negret è meno affollato del solito. Ci sono la Bahrain Victorious e la VF Group-Bardiani, come pure la FDJ Suez di Demi Vollering e Vittoria Guazzini. Il parcheggio però è mezzo vuoto, perché quest’anno la geografia dei team si è rimescolata. Ci sono stati anni in cui qui potevi incontrare anche sei squadre contemporaneamente: una sorta di caccia grossa per chi fosse in cerca di interviste.

Tiberi inizia la seconda stagione con la Bahrain Victorious, cui è arrivato a metà del 2023
Tiberi inizia la seconda stagione con la Bahrain Victorious, cui è arrivato a metà del 2023

La stessa flemma di Nibali

Per l’Italia che va in cerca di una nuova voce per i Grandi Giri, la carta Tiberi è il ponte più concreto fra il ricordo di Nibali e un futuro da scrivere. Di Vincenzo ha la flemma e per certi versi lo stile: la Trek-Segafredo aveva visto giusto nel metterli uno accanto all’altro, anche se alla fine il piano è caduto nel vuoto. Probabilmente al laziale manca ancora la capacità di inventare azioni vincenti, ma quella verrà quando le gambe saranno in grado di sostenerle. Il quinto posto al primo Giro è senza dubbio un bel trampolino da cui spiccare il volo.

Prima di raggiungerci, Tiberi si è coperto di tutto punto. Non tragga in inganno il sole: a volte si alzano delle folate di vento che suggeriscono prudenza in atleti che sono ancora lontani dal peso forma, ma si riguardano come meglio possono. Quando anche la mantellina è chiusa fino sotto il collo, Antonio si accomoda sullo sgabello di fronte.

«Vengo da un anno più che ottimo – dice – quindi sono qui per lavorare bene, cercare di crescere e fare qualcosa di ancora migliore per l’anno prossimo. Ho passato le vacanze a casa, un po’ a San Marino e un po’ dai miei genitori. Per me la vacanza è stare a casa, tranquillo e senza impegni. Sono sempre in giro a prendere aerei, quindi non ho molta voglia di prenderne altri anche a stagione finita».

Quinto al Giro e miglior giovane: il podio di Roma ha consacrato il primo grande risultato di Tiberi
Quinto al Giro e miglior giovane: il podio di Roma ha consacrato il primo grande risultato di Tiberi
Cosa si fa in questo primo ritiro?

Ci dedichiamo ai test, alle nuove foto, a provare nuove bici e il nuovo abbigliamento. E soprattutto avviamo la preparazione in vista del ritiro di gennaio, cui spero di arrivare con la gamba pronta per iniziare a lavorare sul serio.

Hai imparato qualcosa di più su Antonio nel 2024?

Ho imparato che facendo le cose con la testa e mettendoci impegno, riesco a ottenere degli obiettivi che prima neanche avrei immaginato. Sicuramente tutto quello che è venuto nella scorsa stagione mi ha dato più sicurezza e la maturità per iniziare la preparazione con maggiore concentrazione. E con la consapevolezza che, se faccio le cose al meglio, riesco ad ottenere comunque dei buoni risultati.

Il fatto di stare in salita con i migliori dipende dalla preparazione oppure in gara si alza anche la soglia del dolore?

E’ anche una questione mentale, giusta osservazione. Il lavoro conta tanto, perché a casa si allenano anche la sopportazione del dolore e della fatica. Il fatto di reggere certe andature è più che altro una questione di tempistiche e varia da persona a persona. Allenarsi tanto è necessario, ma per arrivare a un certo livello quello che fa tanta differenza è la testa. Penso che ogni persona abbia bisogno di arrivare al punto giusto di maturazione per riuscire a fare determinati sforzi e determinate prestazioni. Per metabolizzare bene lo stress e la fatica.

Su cosa devi crescere per essere ancora più incisivo?

Abbiamo fatto un’analisi delle mie prestazioni e quello che manca e che vorremmo migliorare è il cambio di ritmo, quello con cui Pogacar riesce a fare la differenza quando siamo tutti al limite. Ci lavoriamo già, l’idea è di alzare questa soglia, certe azioni non le puoi improvvisare.

Con la maglia bianca nel gruppo di Pogacar verso il Mottolino: il livello di Tiberi è in crescita
Con la maglia bianca nel gruppo di Pogacar verso il Mottolino: il livello di Tiberi è in crescita

Il cambio di ritmo

Il suo preparatore è Michele Bartoli, che lo ha preso in carico a metà 2023, ma ha potuto iniziare a lavorare con lui in maniera completa alla vigilia del 2024. Un anno di osservazione e lavoro ha portato appunto alla conclusione di cui parla lo stesso Tiberi.

«Faremo un programma di allenamenti intervallati – spiega il toscano – che durano secondi fino ad arrivare a pochi minuti. Andando avanti riesci a vedere più cose e guardandolo correre, abbiamo notato questo aspetto in cui possiamo lavorare per migliorare. Lavori che vanno da 30-40-50 secondi fino ad arrivare ai 3-4 minuti. Ma non ci si limita a quello. Si arriva a fare lavori massimali anche di 6-7-8-10 minuti, perché quello che ci serve e che serve ad Antonio è prettamente questo. Lavori con frequenti cambi di ritmo, da pochi secondi fino a pochi minuti.

«Ma non cominceremo subito – prosegue il toscano – perché Antonio ha corso fino a una gara in salita organizzata da Merida a Taiwan, quindi si è dovuto allenare dal Lombardia al 25 di ottobre, come se corresse ancora. Poi ha scaricato quattro settimane e siamo arrivati al 20 di novembre, quando ha ripreso a pedalare. Perciò sono due settimane che si allena e ora deve fare un po’ di base, non può caricare subito al massimo».

Nel tavolo accanto è seduto Colbrelli, con il computer aperto che all’esterno del monitor ha le foto delle sue vittorie più belle. Questi sono i giorni in cui si definiscono i programmi: per i direttori sportivi un vero rompicapo fra i desiderata degli atleti e le esigenze della squadra.

Caruso e Tiberi (di spalle), il fresco diesse Sonny Colbrelli e Stangelj: si parla di corse e programmi
Caruso e Tiberi (di spalle) e il fresco diesse Sonny Colbrelli: si parla di corse e programmi
Qual è stato il giorno più bello dell’anno?

Ne dico due. La penultima tappa del Giro, quella di Bassano, quando ho trovato i miei genitori dopo l’arrivo. E poi l’ultima tappa, quella di Roma, che a modo suo resta indimenticabile.

I mondiali potevano esserlo e non lo sono stati?

Diciamo che li ho presi come un’esperienza che sicuramente mi servirà in ottica futura, essendo stato comunque il primo mondiale. Sono andato a Zurigo con le aspettative alte, forse anche troppo per quello che era realmente il percorso. Speravo in qualcosa più adatto agli scalatori, che ci fossero delle salite dure. Invece era più esplosivo, per gente come Van Der Poel. Però il mondiale è sempre una gara particolare. L’ultima volta che lo avevo corso era da junior e bisogna dire che c’è una bella differenza tra juniores e professionisti. Si corre senza radio, è uno stile di gara molto molto diverso da quello cui siamo abituati.

In un ipotetico avvicinamento al Giro, se sarà Giro, rifaresti tutto quello che hai fatto quest’anno oppure si può cambiare qualcosa?

Se fosse Giro, l’avvicinamento sarebbe molto simile. Magari potrebbe cambiare un pochino la prima parte, proprio l’inizio della stagione e forse sarà così. Probabilmente inizierò all’Algarve, ma il resto sarà quasi uguale all’anno scorso, magari facendo qualche ritiro in più con la squadra.

Il quinto posto del Giro ha fatto crescere la tua popolarità?

Leggermente, qualcuno mi riconosce quando sono in giro a casa o anche quando mi alleno. Mi fa piacere, è qualcosa che ti dà più morale, che dà orgoglio e ti stimola a fare ancora meglio.

I pensieri di Dunbar, distrutto dal Giro, rinato alla Vuelta

11.12.2024
7 min
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ALTEA (Spagna) – Una caduta nella seconda tappa del Giro in cui avrebbe fatto classifica e la stagione di Eddie Dunbar aveva preso una piega più malinconica di quanto fosse già stata fino a quel momento per altre cadute. La Jayco-AlUla costretta a reinventarsi con Zana come leader e l’irlandese a casa a contare i giorni per togliere i punti dal ginocchio e inventarsi un nuovo inizio. Quello che è venuto dopo, le due tappe vinte alla Vuelta, ha fortunatamente pareggiato il conto. Non due vittorie qualsiasi, ma a modo loro delle imprese grazie a fughe azzeccate e poi la capacità di resistere al ritorno dei migliori dalle sue spalle. Così al Campus Tecnologico Cortizo Paron (tappa 11) e a Picon Blanco (tappa 20). Per la squadra è stato un cambio di passo ed è per questo che adesso nel parlarne Dunbar mostra leggerezza e sollievo.

La carnagione chiara di sempre, che la tuta blu fa sembrare ancora più pallida. Il tono profondo. L’estrema attenzione con cui ti guarda mentre fai la domanda e la pausa per ordinare i concetti prima di rispondere. Sono le sei di un pomeriggio spagnolo in riva al mare, nel piazzale dell’hotel si riconosce anche il camion dell’Astana, ma dei celesti di Vinokourov non si vede in giro nessuno.

Abbiamo incontrato Dunbar nel media day del Team Jayco-AlUla: circa 20 giornalisti presenti
Abbiamo incontrato Dunbar nel media day del Team Jayco-AlUla: circa 20 giornalisti presenti
Pensi che si possa dividere l’ultima stagione in parti: prima del Giro e dopo il Giro?

Sì, probabilmente sì. Prima del Giro ci sono state solo cadute, niente di buono. Troppi ritiri. Al UAE Tour e alla Valenciana, al GP Indurain e anche al Romandia. Invece al Giro ero arrivato con una forma abbastanza buona e il primo giorno a Torino era stato davvero ottimo (nel gruppo dei migliori a 10” da Narvaez e Pogacar, ndr). Invece l’indomani sono caduto per il brecciolino in quella rotonda ed è stato davvero frustrante. Ovviamente ho finito la tappa, ma sapevo che c’era qualcosa di grosso che non andava con il ginocchio destro e così è stato. E’ vero, i primi sei mesi sono stati davvero frustranti. Non riuscivo ad allenarmi bene né a correre come volevo.

Come ne sei uscito?

Restando fermo (sorride, ndr) e ricostruendomi molto lentamente. Sapevo che dovevo correre la Vuelta e appena sono potuto tornare in bici, la progressione è stata molto, molto lenta. Per fortuna la condizione ha iniziato ad arrivare durante la corsa, sono migliorato nelle ultime due settimane e sono riuscito a vincere le due tappe. E’ stata una bella sensazione, soprattutto dopo tanta sfortuna. Ottenere finalmente delle vittorie di alto livello è quello che serviva.

Firma di partenza nella seconda tappa del Giro da San Francesco al Campo a Oropa, quella della caduta
Firma di partenza nella seconda tappa del Giro da San Francesco al Campo a Oropa, quella della caduta
Quindi non sei andato alla Vuelta per fare classifica come al Giro?

Pensavo di poter entrare nei primi dieci, penso fosse quello che la squadra avrebbe voluto. Ma per me l’obiettivo principale era che la squadra vincesse una tappa. Così ho pensato che se fossi riuscito a vincerne una di montagna, allora forse sarebbe arrivata anche la classifica generale. E alla fine non è andata così male. Ho avuto una brutta giornata il giorno prima del giorno di riposo a Granada a causa del caldo. Quando si va sopra i 40 gradi, soffro davvero: quello non è il mio clima. E quel giorno ho sofferto molto e ho perso 11 minuti. Probabilmente la mia top 10 è tramontata lì e mi sono deciso a puntare soltanto sulle tappe.

Poi in realtà non sei finito troppo lontano…

Undicesimo, a tre minuti dal decimo posto. Ma è stato meglio aver vinto due tappe che portare a casa un decimo posto senza nessun acuto.

Torniamo indietro al Giro, come ti sei sentito quel giorno andando via?

Un sacco di emozioni. Ero davvero frustrato perché dovevo fare classifica e il giorno prima mi ero sentito davvero bene. Sapevamo che il ginocchio non andava bene, perché c’era un buco, ma finché non abbiamo fatto degli esami poteva essere molto più grave di quanto sia stato. Quei giorni non sono stato troppo forte mentalmente e anche fisicamente ero piuttosto malconcio. Per una settimana o anche due sono stato davvero giù. Mi chiedevo di continuo quando sarebbe finita quella sfortuna. Cambierà mai? Avrò ancora la possibilità di andare alla Vuelta? Ma per fortuna poi il ginocchio è lentamente migliorato e anche la mia visione del mondo ha iniziato a cambiare. Sono andato alla Vuelta dopo essermi allenato bene e sapevo cosa avrei dovuto fare per ricostruire la mia fiducia e provare a vincere. E per fortuna l’ho fatto.

Eddie Dunbar è nato il 1° settembre del 1996 a Banteer, in Irlanda. E’ pro’ dal 2018, è alto 1,70 per 57 chili
Eddie Dunbar è nato il 1° settembre del 1996 a Banteer, in Irlanda. E’ pro’ dal 2018, è alto 1,70 per 57 chili
La prima gara dopo l’incidente è stato il campionato irlandese a crono e l’hai vinto.

Sì, è vero (ride, ndr). Non mi aspettavo di vincerlo. A cose normali sarebbe stata una possibilità, ma mi ero allenato correttamente solo per due settimane e pensavo che fosse poco. Però ho pensato: “La crono è lunga 36 chilometri e io posso andare forte per 50 minuti, vediamo se sono capace”. Sapevo che nella gara su strada sarebbe stato più difficile perché sarebbe stato uno sforzo di quattro ore. Per cui sono andato ad Athea, dove si correva, che è a 40 minuti da casa mia in Irlanda. Conoscevo le strade perché è capitato di allenarmi da quelle parti. Ho fatto una prova del percorso e poi in gara non ho neppure guardato il Garmin. Sono partito, ho fatto la mia crono e alla fine sono rimasto davvero sorpreso. E’ stato bello vincere, buono per il morale.

Hai vinto le due tappe alla Vuelta tenendo testa al ritorno di Roglic: hai imparato qualcosa di nuovo su di te come scalatore?

Penso che forse ho bisogno di credere di più in me stesso. Soprattutto quando mi trovo contro certi corridori, non devo avere paura di andare  e spingere. Perché se riesco a farlo su quelle salite così dure, a un certo punto i più forti verranno pure a prendermi, ma avrò comunque una possibilità di vincere superiore a quella che avrei se restassi fermo ad aspettare che attacchino loro. Ed è quello che è successo. Penso che ho solo bisogno di mettermi in quel tipo di situazione e poi provare a capitalizzarla e sfruttarla al meglio. Ho solo bisogno di credere di più in me stesso, avere la fiducia di provarci.

Nel giorno di Picon Blanco alla Vuelta, Dunbar vince la sua seconda tappa e respinge il ritorno dei big
Nel giorno di Picon Blanco alla Vuelta, Dunbar vince la sua seconda tappa e respinge il ritorno dei big
Questo cambierà qualcosa per il futuro?

No, non credo. Come ho detto, di sicuro ti dà fiducia, penso che la darebbe a chiunque. Ma penso anche che rimarrò lo stesso corridore, con le qualità atletiche che so di avere, non cambierò pelle. Ora so che posso vincere, ma non diventerò quello che non sono.

Cosa ti aspetti da questo inverno?

Voglio crescere lentamente. Ho un nuovo allenatore, con cui avevo collaborato già qualche anno fa, quindi sto lavorando a stretto contatto con lui, il che è bello. Abbiamo messo in atto una buona strategia di preparazione. Cioè venire qui prima di Natale, fare un buon allenamento, tornare a casa e rilassarmi un po’ durante il Natale e poi, con quattro-cinque settimane di lavoro costruire l’AlUla Tour, che per la squadra è una grande gara, visto che si corre in casa di uno degli sponsor principali. Sarà importante andare lì ed esibirsi a un grande livello. Quindi per ora questa è la cosa principale, assieme al rimanere in salute durante il Natale, e poi andare lì e sperare di ottenere un risultato.

In azione all’ultimo Lombardia: sul ginocchio di Dunbar si notano i segni della caduta del Giro
In azione all’ultimo Lombardia: sul ginocchio di Dunbar si notano i segni della caduta del Giro
Quale Grande Giro ti piacerebbe correre nel 2025?

Penso che sarebbe bello andare al Tour e penso che sia una possibilità. Si va in Francia per aiutare Ben (O’Connor, ndr) a vincerlo o salire sul podio e magari per provare a vincere una tappa.

Il suo arrivo cambierà qualcosa nella squadra?

Non del tutto, perché Yates era davvero un buon corridore, ha vinto la Vuelta e ha fatto già bene nei Grandi Giri. Abbiamo perso Simon, ma abbiamo preso uno come Ben che quest’anno è stato uno dei migliori corridori al mondo. Ovviamente è anche australiano, quindi questo fa la differenza in un team che è a sua volta di laggiù. Quindi penso che sia bello per lui e anche per la squadra, penso che gli piacerà stare qui. E se l’anno prossimo riuscirà ad essere presente come quest’anno, sarà una buona stagione. E penso che tutti saranno felici.

De Marchi fa la sfinge: ultimo inverno da corridore?

10.12.2024
6 min
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ALTEA (Spagna) – «Voglio darmi una scadenza – dice De Marchi – non arrivare a ottobre l’anno prossimo e annunciare che smetterò di correre. Se, come immagino, sarò al Giro d’Italia, che è l’obiettivo della primavera, voglio sapere che potrebbe essere l’ultimo. Se deciderò di smettere, lo dirò prima della partenza. Credo che sarebbe il modo migliore per viverlo davvero a fondo».

Si parla al futuro e anche un po’ al condizionale. De Marchi ha la faccia di chi aveva un gran bisogno di tornare al lavoro. Sembra in forma, ma sull’argomento oppone le mani, come per dire: lascia stare! Qua nessuno ti regala niente e non puoi lasciare niente indietro. C’è il peso da mettere a posto, anche se il blu della tuta sfina, perché aver finito la stagione al gancio non ha aiutato a tenerlo a bada. Il mare riempie l’orizzonte dietro le chiome dei pini, per uno scenario che conosciamo alla perfezione. Certe volte ti sembra quasi di essere a casa, perché sono gli stessi posti che frequenti ogni anno e da anni.

«Ci stiamo pensando – prosegue – anche perché c’è una serie di cosette messe vicino che mi hanno costretto a riflettere. Non ho voluto prendere una decisione adesso, nel mezzo dell’inverno e lontano dalle corse e dalla squadra, per cui magari avrei avuto solo una visione. Però è una domanda che mi sto facendo e piano piano sto cercando di arrivare a una risposta. Se dovessi ascoltare il cuore o la mente, andrei avanti per sempre. Ma ci sono i segnali che il fisico ti manda e la mente può arrivare fino a un certo punto, ma non può portare indietro il tempo. I vent’anni non torneranno».

Richiesto dalla stampa internazionale, De Marchi si è raccontato anche in inglese
Richiesto dalla stampa internazionale, De Marchi si è raccontato anche in inglese

La vittoria in primavera

Il 2024 del Rosso di Buja è stato un anno strano. In primavera è tornato alla vittoria (una tappa al Tour of the Alps), come non gli capitava dal 2021. Il Giro d’Italia lo ha visto a un ottimo livello e infatti ne è uscito con un buon sapore in bocca. E’ stato quando ha insistito per fare la Vuelta che la stagione ha preso la piega che non si aspettava e che lo ha turbato.

«Visto il trend positivo della primavera – dice – credevo di fare quello che mi è sempre venuto meglio, cioè i Grandi Giri. Solo che mi sono preparato un po’ di corsa e nella prima settimana sono stato condizionato da un virus. L’ho superato a fatica anche a causa di quel caldo pazzesco e non riuscire a essere quello che sono sempre stato, quindi uno che prende la fuga e sempre nel vivo della corsa, mi ha acceso la lampadina. Forse il mio cruccio è non essere pronto o capace di cambiare ruolo. Una volta che ammetti questo, puoi anche decidere di non arrivare allo sfinimento. Questa è un’altra cosa che mi preme molto. Non vorrei continuare solo perché ho trovato un contratto e smettere dopo un anno di troppo. Per fortuna qui ho un interlocutore con cui si può parlare. Si tratta di tirare le somme e prendere una decisione».

Tour of the Alps 2024, De Marchi torna a vincere: non accadeva dalla fine del 2021: 924 giorni
Tour of the Alps 2024, De Marchi torna a vincere: non accadeva dalla fine del 2021: 924 giorni

Uno spiraglio di sole

Tutto un altro parlare rispetto a quando la Israel Premier Tech aveva deciso di non confermarlo, lasciandolo nel mezzo di una velata disperazione. E’ più accettabile smettere quando si decide di averne avuto abbastanza, piuttosto che essere costretto a farlo. L’arrivo alla Jayco-AlUla ha aperto una nuova pagina della sua storia.

«Lo step che sono riuscito a fare già nel 2023 ritornando del vivo della corsa – dice – mi rende orgoglioso. Solo che devi fare i conti con questo tipo di ciclismo, diverso da quello di dieci anni fa in cui un uomo come Tosatto è stato di grande supporto fino ai 40 anni. Adesso è difficile da immaginare, quindi vediamo. Sto cercando di non focalizzarmi solo sul ricordo della Vuelta e delle ultime gare in Italia, quando ero davvero cotto. Meglio pensare alla vittoria, che ha significato un sacco perché è stato come dare un senso al nuovo corso iniziato con il nuovo contratto in questa squadra. A Brent Copeland sono sempre stato molto molto riconoscente perché ha portato uno spiraglio di sole nel disastro totale. La vittoria è stata la conseguenza di aver trovato un ambiente sano, in cui anche io che venivo da un certo tipo di esperienza e con la mia storia sulle spalle, mi sono sentito valorizzato. E’ stata una bellissima chiusura del cerchio, anche se la Vuelta a quel modo mi ha tolto il buon sapore dalla bocca».

Alessandro De Marchi, classe 1986, compirà 39 anni il 19 maggio
Alessandro De Marchi, classe 1986, compirà 39 anni il 19 maggio

Il bello del ciclismo

E’ il guaio di chi è abituato a pensare e sa farlo nella giusta direzione. Se in più senti il passare del tempo e sei di te stesso il giudice più severo, allora è impossibile ignorare i segnali. Il ciclismo ha mille pretese, ma forse inferiori rispetto agli standard che un professionista come De Marchi vorrebbe per sé.

«Mi hanno detto che quest’anno – dice – solo pochi hanno vinto e io ci sono riuscito. Devo trovare l’equilibrio. Io ho sempre avuto voglia di migliorare, ma probabilmente il ciclismo adesso ha una marcia in più. E’ ancora bello e mi piace perché nell’essenza è rimasto lo stesso. Devi essere preciso, puntare a tirare fuori il massimo, ma è come se si fossero aggiunte nuove sfide alle solite sfide. Vado orgoglioso della Vuelta che ho fatto, perché non era da tutti risollevarsi. Aver accettato che non potevo stare in prima fila, mi ha permesso di aiutare i ragazzi che invece avevano le gambe. E’ stato particolare perché ho usato tantissimo la radio. Li ho aiutati a dosare le forze e a non sparare tutto per entrare nella fuga o all’interno della fuga stessa. E’ stato Piva a suggerirmelo e sono stato i suoi occhi in corsa. Perché dalla macchina non vedi niente, invece avere uno nel gruppo che riesce a intervenire in tempo reale può fare una grande differenza».

Prima settimana durissima, poi la Vuelta di De Marchi ha cambiato faccia
Prima settimana durissima, poi la Vuelta di De Marchi ha cambiato faccia

Un’idea per il futuro

Come un direttore sportivo, ma in corsa. Scherzando gli diciamo che proprio per questo non lo lasceranno smettere, ma nell’osservarlo sembra quasi che l’idea gli vada a genio e abbia individuato il modo per farne parte, sia pure con abiti diversi.

«Dare certi suggerimenti dall’ammiraglia – dice – sarebbe più difficile perché sei completamente cieco. Il modo per essere incisivi è il lavoro dietro le quinte. Una fase molto importante è far funzionare il debrief. Sta diventando uno dei momenti più importanti per fare il riassunto della giornata, avere bene chiaro quali sono stati gli errori e quali sono state le cose fatte bene. Perché ormai in macchina non si sa niente e con la gara sempre più veloce, la difficoltà aumenta. Anche per questo credo che Piva alla Vuelta abbia spinto molto su di me. Avevano me che parlavo e avevano radio corsa, quindi più cose messe insieme. Però ammetto che diventare direttore sportivo è una cosa che mi piacerebbe e su cui sto riflettendo. Non so quando sarà, ma non aspetterò troppo per prendere una decisione».

Negrente e Astana Development: un vero colpo di fulmine

05.01.2024
4 min
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La rosa dell’Astana Qazaqstan Development Team ha visto l’ingresso di altri due italiani. Il primo è stato Alessandro Romele, che ci ha già raccontato il suo passaggio. L’altro, invece, è Mattia Negrente: si tratta di un altro ragazzo che, finita la categoria juniores, entra nel mondo dei Devo Team. 

Il suo 2023 è stato costante, con vittorie dall’inizio alla fine della stagione su strada. Risultati che gli hanno permesso di arrivare a vestire l’azzurro dell’Astana. Dal primo gennaio è ufficialmente un loro corridore, ma Negrente questo deve ancora realizzarlo, come ci racconta lui stesso. 

«Sono stanco – attacca subito a raccontare – oggi (ieri per chi legge, ndr) ho fatto un lungo. Mi sto allenando da casa, la squadra ci manda il programma e io lo seguo alla lettera. Oggi (sempre ieri, ndr) erano previste cinque ore e così ho fatto. Ho approfittato che la Assali Stefen Makro, la mia squadra fino al 31 dicembre, era in ritiro e mi sono allenato con loro. Poi le ultime due ore le ho fatte da solo».

Negrente, a sinistra, è andato in ritiro con l’Astana Devo in Spagna per dieci giorni (foto Instagram)
Negrente, a sinistra, è andato in ritiro con l’Astana Devo in Spagna per dieci giorni (foto Instagram)
Che cosa hanno detto vedendoti con la nuova maglia?

Erano contenti, vedono i progressi di quel che abbiamo fatto insieme. Per me è ancora strano guardarmi allo specchio con questa divisa. A volte quando pedalo mi giro verso le vetrine e non vedo più il verde e il nero, ma l’azzurro. Sono ancora nella fase dell’innamoramento, ho proprio gli occhi a cuoricino. Alla fine pedalo con la nuova maglia dal primo gennaio, quindi non sono ancora abituato. 

A dicembre sei andato in ritiro con l’Astana, com’è stato?

Sì siamo stati in Spagna dal 10 al 20 dicembre. Eravamo nello stesso hotel del team WorldTour. Era la prima volta che andavo a pedalare al caldo, devo dire che è stato bello tutto. Ci allenavamo con i pantaloncini corti e al massimo con la giacca primaverile. Anche se per un paio di giorni siamo andati in giro con il completo estivo perché c’erano picchi di 27 gradi. 

La vittoria del Buffoni è stata la certezza definitiva che serviva all’Astana per puntare su di lui
La vittoria del Buffoni è stata la certezza definitiva che serviva all’Astana per puntare su di lui
Eri abituato a prendere la bici fin da subito in inverno?

No, gli anni scorsi a inizio dicembre non pedalavo. Solitamente montavo in bici alla fine del mese, dopo Natale. Invece quest’anno sono arrivato in ritiro che la bici la usavo da un po’ di giorni. Anche perché gli allenamenti si sono intensificati, in Spagna abbiamo messo insieme tanti chilometri. 

Hai già un calendario?

Non ancora, ci sarà tempo per farlo. Dovrei iniziare a correre a fine febbraio. Durante il prossimo ritiro, che inizierà il 17 gennaio, avrò delle certezze. Penso che mi terranno tranquillo, essendo il mio primo anno tra gli under 23 e considerando che ho la scuola da finire. Sono stato io a chiedere alla squadra di non perdere troppi giorni di scuola, ho la maturità a luglio e mi piacerebbe finire bene il mio percorso accademico. Dal giorno dopo gli esami potrò stare via tutta l’estate, senza problemi (dice ridendo, ndr). 

Per Negrente c’è ancora un senso di novità nel vedersi con la divisa della nuova squadra (foto Astana Qazaqstan Team)
Per Negrente c’è ancora un senso di novità nel vedersi con la divisa della nuova squadra (foto Astana Qazaqstan Team)
L’ultima volta che ci siamo sentiti accennavi che saresti andato in un Team Development, quando è arrivata l’ufficialità dell’Astana?

Mi avevano contattato prima del Trofeo Buffoni (corso e vinto da Negrente il 10 settembre, ndr). Da dopo la corsa abbiamo iniziato a parlarne seriamente, tenendoci costantemente in contatto. Ho parlato prima con Mazzoleni, che si è presentato e mi ha spiegato le intenzioni del team. Poi il mio procuratore ha portato il tutto a termine. 

Che mondo hai visto in casa Astana?

Pazzesco, arrivo da una realtà piccola e arrivare in una squadra così grande ha un effetto importante. Si nota che c’è un budget elevato e che la struttura è super organizzata. Fin dal ritiro siamo stati trattati come dei professionisti. Per mia fortuna poi è una squadra tanto italiana. Come compagni ho Toneatti, Zanini e Romele, sui quali fare grande affidamento. Mi hanno già dato dei consigli, tranquillizzandomi sul fatto che sono al primo anno e nessuno ha ambizioni troppo grandi. 

Il gruppo dei corridori è unito, si ride e si scherza insieme anche se si conoscono da poco (foto Astana Qazaqstan Team)
Il gruppo dei corridori è unito, si ride e si scherza insieme anche se si conoscono da poco (foto Astana Qazaqstan Team)
Gli altri compagni?

Era la prima volta che interagivo con compagni stranieri. Parlo bene inglese e spagnolo, quindi non ho difficoltà di comunicazione. Sono tutte persone simpatiche, ci scriviamo tutti i giorni. Abbiamo una chat seria con lo staff e una solo di noi ragazzi dove scherziamo e ci divertiamo. Sono davvero felice e sereno, senza alcuna pressione.  

La seconda vita di Gazzoli, forgiato dall’anno più duro

05.01.2024
5 min
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ALTEA (Spagna) – Tre vittorie in 25 gare: la prima appena al secondo giorno in Norvegia. Il 2023 di Michele Gazzoli è iniziato al rientro dalla squalifica e si è concluso il 15 ottobre in Turchia, con l’indicazione di ciò che va migliorato e la conferma del buono che la pausa non è riuscita a spegnere. L’indole del vincente è tutta lì e sarà presto in viaggio verso l’Australia, dove troverà pane per i suoi denti e certo più di una volata. Il bresciano (foto Astana Qazaqstan Team in apertura) ha il tono pacato, ma una grande irrequietudine nel fondo degli occhi, probabilmente per la voglia di far sparire le ultime cicatrici di una storia difficile. Ritrovare la calma sarà la prima conquista.

Gazzoli è rientrato in corsa il 17 agosto in Norvegia. Il giorno dopo è arrivata la vittoria ad Hammerfest
Gazzoli è rientrato in corsa il 17 agosto in Norvegia. Il giorno dopo è arrivata la vittoria ad Hammerfest
L’anno scorso hai iniziato da metà stagione, senza ritiro né altro. E’ stato diverso quest’anno?

Finalmente, direi. Quando si è tutti insieme, si ha un feeling diverso. L’atmosfera del ritiro mi era mancata. Eppure su quel periodo lontano dal ciclismo faccio pensieri diversi rispetto a quello che la gente immagina. Mi hanno chiesto spesso che cosa abbia perso in quei mesi. Io dico che invece mi sono serviti per rinforzare me stesso.

Spiegati meglio.

Fare un anno fuori, dopo quella brutta cosa che è successa, mi ha insegnato a prendere i problemi come un’opportunità. Alla fine mi ha forgiato sotto tutti i punti di vista, quindi secondo me più che aver perso, ho guadagnato il qualcosa che mi serviva per salire lo scalino in più.

C’è stato il momento del clic oppure è venuto come somma di esperienze?

E’ difficile dirlo. E’ stato un percorso, l’ho seguito, sono maturato. Diciamo che subito qualcosa scatta, è inevitabile. Una cosa grossa come quella che ho vissuto influisce su se stessi, su tutto. Non tutti i mali vengono per nuocere e io l’ho capito veramente quest’anno.

Gazzoli è passato professionista nel 2022 con l’Astana ed è stato fermato per un anno fino al 9 agosto
Gazzoli è passato professionista nel 2022 con l’Astana ed è stato fermato per un anno fino al 9 agosto
Questo è Gazzoli uomo, invece Gazzoli corridore a che punto è?

Al momento sono all’80 per cento di quel che potrei essere, sono molto contento della mia condizione. Sono arrivato in ritiro abbastanza allenato, ma non troppo. In Spagna ho trovato subito un buon ambiente, un buon gruppo di allenamento e belle sensazioni. Anche i direttori si sono detti contenti della mia condizione. Sapevo di dovermi fare trovare pronto, perché l’Australia arriva subito.

Non sei un velocista, ma sei veloce. Cavendish è il più veloce di tutti, hai capito qualcosa allenandoti con lui?

Solo qualcosa? Bisognerebbe rubargli il modo in cui fa… tutto. Da quando si sveglia la mattina a quando va a dormire la sera. Cavendish è veramente un gran compagno, un grande amico che ho conosciuto in Turchia, quando in teoria per lui erano le ultime corse della carriera. C’è stato subito un buon feeling e sono ovviamente orgoglioso di correre con lui. Probabilmente sono le stesse parole dette anche dagli altri, comunque Mark è tutta un’altra cosa.

Da cosa si capisce che è un campione?

Dalla sua classe. Mark ha proprio il mood da supereroe: si può usare questo termine? Alla fine, quello che fa sembra tutto giusto, bisogna solo imparare.

Gazzoli racconta di aver stretto un buon rapporto con Cavendish lo scorso anno in Turchia
Gazzoli racconta di aver stretto un buon rapporto con Cavendish lo scorso anno in Turchia
Che cosa vuoi per Gazzoli da questa stagione?

Sicuramente ho obiettivi grandi, medi, piccoli, pur essendo consapevole che sono giovane e devo crescere (Gazzoli è del 1999, compirà 25 anni il 4 marzo, ndr). Sono in Astana da due anni e mezzo. Ho sbagliato tanto e ho imparato tanto, quindi ho davanti un buon percorso di crescita con obiettivi ben definiti. Uno di questi è partire forte dal Tour Down Under, sempre però restando con i piedi per terra. Non mi tirerò indietro se ci sarà la possibilità, questo è sicuro. La voglia di alzare le braccia c’è sempre stata e sempre ci sarà.

Con l’arrivo di Vasil Anastopoulos, l’allenatore greco, la tua preparazione è cambiata?

Ha portato un po’ di scuola Quick Step, chiamiamola così,  una metodologia di allenamento un po’ differente. Sulla carta sembra di fare meno, ma alla fine i lavori sono sempre quelli. Cambiano intensità e volume. Si lavora un po’ più sulla soglia e un po’ più in zona 2 sull’endurance. Mi sto allenando così da quest’anno e sembra davvero la risposta al nuovo modo di fare ciclismo.

Che cosa intendi?

Il ciclismo non è più quello di pochi anni fa, senza nulla togliere a quei corridori. L’approccio alla corsa è differente, lo si vede anche in televisione. La gara inizia a 100 chilometri dall’arrivo, mentre quando sono passato alla Kometa continental nel 2018 e ho partecipato alla Valenciana con i pro’, c’era un atteggiamento completamente diverso. Andavi regolare fino agli ultimi 20, 30 chilometri e lì iniziava la gara. Oggi invece a 100 chilometri può scattare il campione di turno e decidere la corsa.

La volata dell’ultima tappa alla Arctic Race dimostra che Gazzoli tiene in salita, ma è costata la vittoria finale a Scaroni
La volata dell’ultima tappa alla Arctic Race dimostra che Gazzoli tiene in salita, ma è costata la vittoria finale a Scaroni
Non sei un velocista, come ti vedresti nelle classiche del pavé?

Non sono un velocista e l’ultima tappa dell’Arctic Race of Norway, con una salita di 4-5 chilometri tutta a gradoni, lo ha dimostrato (a quanto abbiamo saputo, quel giorno la squadra avrebbe dovuto sostenere Scaroni perché con l’abbuono avrebbe vinto la classifica, invece la volata di Gazzoli avrebbe fatto saltare il piano, ndr). Al Nord mi vedo bene, tanto che quest’anno ho in programma di fare tutte le classiche principali, a partire da Gand, Fiandre e Roubaix. L’obiettivo è fare una buona campagna con tutta la squadra, perché con gli uomini che abbiamo, possiamo dire la nostra. Da Ballerini, che ha un’esperienza esagerata, ho solo da imparare. Ormai quelle strade le conosco e quest’anno avremo le nuove ruote Vision che mi hanno stupito. Anche lì, il mondo cambia in fretta. Da strette e larghe siamo passati ai cerchi più alti. Il ciclismo va veloce, si vede da ogni cosa…