E’ passata una settimana dalla fine del Giro d’Italia e a mente fredda torniamo a parlare di Isaac Del Toro, l’uomo, anzi, il ragazzino che in qualche modo ha segnato questo Giro più di tutti. E quello che è successo sul Colle delle Finestre è stato qualcosa di incredibile, di forte e misterioso.
Pensate che durante questi giorni, anche noi, ritornati alla base dopo le fatiche del Giro, per le vie del paese, in un bar o a fare la spesa, amici e conoscenti, sapendo del nostro lavoro, ci chiedevano: «Ma come mai la maglia rosa non ha seguito “quell’inglese?”». «Perché il messicano lo ha lasciato andare?». Per dire come certe storie varcano i confini. Noi abbiamo cercato di fare un’analisi anche con il più esperto dei direttori sportivi, Giuseppe Martinelli.
Parla Isaac
Adesso riportiamo anche le parole di Del Toro stesso. Ancora un po’ scosso quando lo abbiamo incontrato a Roma dopo il podio a Caracalla: «Cosa porto via da questa cosa? Credo di avere imparato a credere in me e a fare le cose bene… e sempre con il sorriso. Ovviamente. Tutti vogliono cambiare qualcosa, ognuno ha la sua opinione, ma ormai non possiamo più cambiare nulla di questo Giro.
«Tutte le decisioni che ho preso negli ultimi tre mesi mi hanno portato in questa posizione. Ho 21 anni e per diventare il corridore che sono, ho fatto tutto quello che dovevo fare al meglio. Ovviamente sono triste. L’ultimo giorno è stato difficile. Ma devo essere orgoglioso di quanto fatto».
Sul Colle delle Finestre non è stata solo questione di gambe insomma. La UAE Emirates aveva detto a Del Toro di marcare Carapaz e lui lo ha fatto. Poi quando Simon Yates prendeva il largo sono arrivate le direttive di reagire all’assalto dell’inglese. Ma lì è venuta fuori l’inesperienza. Carapaz e Del Toro hanno iniziato a battibeccare.
Pare che Del Toro abbia detto, testuali parole: «Okay, la corsa è persa ma almeno salvo il secondo posto». La volata a Sestriere e i complimenti in corsa fatti a Van Aert, ripreso mentre completavano la scalata finale, non sono segnali di chi non aveva più gambe. O almeno che non ne aveva neanche per provare a difendersi.
UAE compatta
Una cosa è certa: la squadra non lo ha abbandonato e anzi ha capito che l’erede di Pogacar è Del Toro. Rafal Majka ci aveva detto di essergli stati vicini. Adam Yates, non in grande spolvero, lo ha sempre affiancato finché ha potuto e lo stesso vale per McNulty e tutti gli altri. Tanto è vero che hanno fatto corsa compatta attorno al messicano.
«Mi dispiace soprattutto per i compagni di squadra – riprende Del Toro – loro mi hanno sempre supportato. Mi sono stati vicini. Ormai è acqua passata. Ma voglio tornare più forte. E anche essere più intelligente (di nuovo il messicano ha usato questa parola che gli abbiamo sentito dire sin dal giorno di Siena, quando prese la maglia rosa, ndr) di quanto sono stato nelle ultime settimane.
Ogni giorno mi sentivo più fiducioso, anche nello stare in gruppo. Aver perso fa male, ma di buono adesso so che ce la posso fare. Ora so che quello che mi ha detto Pogacar può essere vero: e cioè che ce la posso fare. Devo solo stare tranquillo, scaricare la pressione e divertirmi in bici. So che posso lottare per vincere un grande Giro».
Intanto dalla squadra si è saputo che Del Toro non farà la Vuelta. Ma è il modus operandi della squadra di Mauro Gianetti: con i giovani si fa al massimo un solo Grande Giro l’anno. Pensate che lo stesso Pogacar ne ha affrontati due solo a 25 anni, l’anno scorso, quando mise a segno la doppietta Giro‑Tour.
Sogno messicano
Però, ed è qui che si vedono gli effetti del “ciclone Del Toro”, qualcosa di enorme Isaac lo ha fatto, anzi, forse sarebbe meglio dire: lo ha provocato. A distanza di una settimana dal Giro e un paio dalle imprese in maglia rosa, il Messico del ciclismo si è risvegliato.
Forbes Mexico (bisettimanale di finanza e marketing) ha evidenziato il potenziale economico del ciclismo in un Paese di quasi 130 milioni di abitanti, sottolineando come Del Toro rappresenti un diamante in grezzo per il mercato. Isaac potrebbe scatenare un boom di vendite di materiale tecnico e, soprattutto, aprire le porte a nuovi accordi per i diritti tv come già avviene nei Paesi andini. In effetti, un aumento di audience e sponsorizzazioni per le gare in chiaro o a pagamento si profila come realizzabile grazie all’interesse mediatico attorno al messicano.
In questo senso, il “Sogno Messico” non è solo sportivo ma strategico: Del Toro, grazie ai numeri e al carisma, potrebbe giocare un ruolo fondamentale nella negoziazione di nuovi accordi media tra Europa e Centro‑America. Ma soprattutto potrebbe far salire in bici tanti ragazzini. Qualcosa del genere ce lo aveva già accennato Alejandro Rodriguez che tanto sta facendo, con la sua squadra Monex, per i ragazzi del suo Paese. E Del Toro viene proprio da lì.