L’altro De Marchi tra gare e passione: domenica il mondiale

02.10.2023
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Una birra e un sorriso. Si era chiuso così il mondiale gravel 2022 di Mattia De Marchi, pochi minuti dopo aver tagliato la linea del traguardo. Alzata al cielo e rivolta verso il cugino Alessandro che prima di un abbraccio dal sapore fraterno gli ha mostrato un sorriso di stima. Si potrebbe racchiudere in questi pochi secondi la filosofia con cui Mattia affronta il ciclismo. 

L’anno scorso era amatore, quest’anno è elite. «Ho semplicemente cambiato il tesserino, ma sono sempre io». Secondo al campionato italiano di Fubine, convocato per l’europeo in terra belga e tra meno di una settimana sarà al via del secondo mondiale gravel della storia. Il suo progetto Enough Cycling (foto in apertura di Bastien Gason), rivolto a portare sempre più ciclisti ad andare in bici per divertirsi, prosegue ma le sue prestazioni dimostrano che i De Marchi non sono proprio mai banali quando salgono in sella.

Qui De Marchi dopo l’arrivo del mondiale gravel 2022 a Cittadella, con la sua birra in mano (foto di Chiara Redaschi)
Qui De Marchi dopo l’arrivo del mondiale gravel 2022 a Cittadella, con la sua birra in mano (foto di Chiara Redaschi)

Italiano a sorpresa

«Non dovevo nemmeno correrlo». Così Mattia ci ha risposto alla domanda su come fosse andato il campionato italiano gravel. Il suo secondo posto in effetti ha un po’ stupito chi segue il movimento. Non per la prestazione, ma perché De Marchi è un ciclista che venera le due ruote in ogni declinazione senza aver mai posto la competizione come obiettivo primario. Ultra ciclista, biker, ex stradista, il ritorno con il numero attaccato sulla schiena in gare internazionali è sicuramente qualcosa su cui porre la lente di ingrandimento. 

«Non era nei programmi – spiega Mattia – il sabato ero in Spagna a fare la finale di Gravel Earth Series, alla quale non potevo mancare, perché era la prima volta che organizzavano un circuito così importante in Europa. Ero in testa alla classifica, l’organizzatore ha sempre creduto nel nostro progetto e non potevo non andare. Fatto sta che all’ultimo ho visto che c’era un volo per riuscire a fare anche l’italiano. Così un mio amico è venuto a recuperarmi in aeroporto e alle 3,30 del mattino sono arrivato a Fubine per poi presentarmi alla partenza alle 10,30. Poche ore di sonno, tanta sofferenza nei primi chilometri e tanto rammarico alla fine, quando ho trovato delle energie inaspettate che mi hanno permesso di chiudere secondo. Sono soddisfatto, ma ora mi mangio un po’ le mani».

Ieri Mattia De Marchi ha corso l’europeo nelle Fiandre insieme alla nazionale maggiore
Ieri Mattia De Marchi ha corso l’europeo nelle Fiandre insieme alla nazionale maggiore

Mondiale di casa

Un anno fa era in maglia azzurra in veste di amatore. Quest’anno il CT Pontoni lo ha voluto all’europeo nelle Fiandre e tra una settimana sarà al via del mondiale italiano. Un cambio di casacca, anzi di categoria, che lo vede quest’anno convocato nella nazionale maggiore. «Io e il mio amico Francesco Bettini quest’anno siamo elite. Ad essere sinceri l’anno scorso l’UCI cambiava regole ogni giorno ed è stata un po’ una confusione. Ora sono pronto a correre questo mondiale che mi piace davvero tanto. Sia come percorso sia come contesto. 

«Saremo invasi dagli stradisti – dice De Marchi – ma penso di poter dire la mia. La corsa sarà di 5 ore e loro saranno ancora nella zona di comfort, vedremo. Per le mie caratteristiche preferisco gare più lunghe, sono un corridore di fondo. All’italiano ho iniziato a sentirmi meglio nel finale e se ci fosse stato un giro in più chissà… Per domenica prossima sono incuriosito anche perché so che quest’anno ci saranno anche gli americani. Il gravel loro lo conoscono bene. Vedremo anche le partenze: nelle ultime tre gare in Italia, sembrava che l’arrivo fosse dopo la prima curva».

Cugini in azzurro

In maglia azzurra già da questi campionati europei corsi in terra fiamminga, Mattia ha condiviso l’esperienza con il cugino Alessandro. «L’ultima volta che ho corso con lui era ultimo anno tra i dilettanti e io primo anno. Cercavo solo di imparare da lui qualsiasi dettaglio. Dopo anni ci ritroviamo insieme e con la maglia della nazionale. Beh, è la conferma che tutto torna e sicuramente ci divertiremo». 

Qualche giorno fa i De Marchi sono andati sul percorso iridato per fare la ricognizione, il rosso di Buja della Jayco-AlUla ha commentato così il tracciato: «Bello, nervoso e duro. Credo sia uno dei percorsi offroad più belli che abbia affrontato. Anche se è vero che non ne ho fatti tanti quanti Mattia. Equilibrato nella durezza e nei tratti tecnici. Rampe e discese impegnative non mancano, non basterà saper salire forte, ma bisognerà anche cavarsela nei tratti all’ingiù. La pianura c’è, ma il fondo non sarà sempre così scorrevole, anzi…Il finale tra le colline del Prosecco farà da grande cornice: già ora ci invidiano queste colline, lo faranno ancora di più dopo il mondiale!».

Progetto Enough

Quando Mattia ci risponde è la vigilia del campionato europeo. «Non sono abituato – dice – a qualcuno che mi pulisce la bici, mi dice quando mangiare, mi ritira il numero. Sono tutte cose che faccio io di solito. Quest’anno mi sono dato dei ritmi scanditi con un atteggiamento più da atleta. Ho fatto dei periodi di stacco, con un senso. Però ammetto che se dovessi fare anche solo un anno dedicato interamente alle corse mi sentirei un po’ perso. Il mio atteggiamento è quello del progetto Enough in cui ho sempre creduto. Se c’è qualcosa che mi piace, lo faccio. Gare estreme di ultra cycling, gare di MTB e così via, prendo e vado». 

De Marchi si è sempre dimostrato scettico nella declinazione totale del gravel all’insegna della competizione.  «Un giorno non potrò più essere competitivo – afferma Mattia – voglio godermi ogni momento. Il progetto Enough è sempre al primo posto. Siamo partiti tre anni fa senza niente e oggi ci ritroviamo a muovere persone con l’obiettivo di portarne sempre di più a godersi la bici per stare bene insieme. Sto pensando anche di rimettermi a studiare, per dire quanto tutto è in evoluzione».

Il cantautore romagnolo Samuele Bersani in Giudizi Universali diceva “troppo cerebrale per capire che si può stare bene senza complicare il pane… Togli la ragione e lasciami sognare in pace”. Questo concetto Mattia ce l’ha scolpito nell’anima e per il bene di questa disciplina, approcci come il suo vanno protetti e sottolineati. «Una cosa è certa – conclude De Marchi – come l’anno scorso, al termine del mondiale, mi vedrete con la mia birra in mano nel bene e nel male della corsa a godermi quanto fatto insieme a tutti». 

Squadra unita e fughe: il Giro del “senatore” De Marchi

26.05.2023
5 min
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ODERZO – Alessandro De Marchi firma autografi appena sceso dal bus. Il friulano è stato autore di un bel Giro d’Italia. Era un po’ che non lo vedevamo così spumeggiante. E quando il “Dema” va forte tutti i tifosi sono contenti, perché il Rosso di Buja è così: è uno di quei corridori a cui tutti vogliono bene. Anche ieri è stato tra coloro che più hanno gioito per la vittoria del compagno Filippo Zana.

Il corridore della Jayco-AlUla è andato in fuga spesso. Tutti ancora abbiamo negli occhi l’abbraccio con Clarke a Napoli. I due erano stati ripresi ai 300 metri dopo una giornata in avanscoperta. Ma in questo suo settimo Giro d’Italia c’è molto più. E in questo “più” c’è anche la sensazione che De Marchi se lo sia goduto. Per esempio, c’è un video amatoriale – che il friulano ha ripostato sulle sue pagine social – che lo ritrae sulle rampe di Bergamo Alta mentre interagisce col pubblico a bordo strada.

C’è l’armonia che si respira nel team di Brent Copeland. C’è il rapporto con Filippo Zana. Ci sono la responsabilità e l’onore di condividere il viaggio con dei compagni di lungo corso come Michael Matthews.

Il selfie di Matthews dopo il successo di Zana. Si nota un’atmosfera bella, ed è ovvio, ma anche spontanea cosa meno scontata
Il selfie di Matthews dopo il successo di Zana. Si nota un’atmosfera bella, ed è ovvio, ma anche spontanea cosa meno scontata
Alessandro, come sta andando questo Giro? Che giudizio ci dai?

Bene direi! E’ forse uno dei Giri in cui mi sono sentito meglio. E quando dico meglio intendo in tutto: dal clima con la squadra, alle sensazioni in gara, a come abbiamo e come ho interpretato la corsa fino ad adesso.

E sembra anche che ti sia divertito…

Sì, perché quando stai bene ovviamente ti diverti. Ma per divertirti devi avere gamba, tranquillità e serenità, ingredienti che ti permettono di divertirti appunto anche in mezzo alla fatica. E’ sempre un Giro di tre settimane, non dimentichiamolo.

Sei uno dei senatori del gruppo, ma in questa squadra sei arrivato quest’anno. Ci sei entrato subito da senatore?

Mi sono integrato molto bene e forse anche questo è uno dei motivi per cui queste tre settimane le ho vissute così bene. Ho trovato un clima rilassato ma professionale. Un ambiente in cui sono stato valorizzato fin da subito e qui al Giro c’è stato il vero riconoscimento di tutto ciò. Vedo in concreto quello che pensano… e non solo da parte dei compagni, ma anche da parte dallo staff. Insomma è la situazione di cui avevo bisogno.

Non solo Zana. De Marchi è stato, ed è, vicino anche a Dunbar (alla sua ruota)
Non solo Zana. De Marchi è stato, ed è, vicino anche a Dunbar (alla sua ruota)
Fiducia insomma. E invece, i due “ragazzini” terribili, Dunbar e Zana? Te li aspettavi così forte? Sei vicino a loro?

Ovviamente, essendo uno di quelli più esperti ho un certo ruolo. Soprattutto nel finale, quando le cose sono difficili, gli sto vicino. E’ un ruolo un po’ speciale, particolare, ma è una cosa che mi fa molto piacere. No, non sono sorpreso da come si stanno comportando. Ho trascorso con Pippo parecchio tempo in ritiro in altura. L’ho osservato e ho capito meglio anch’io come potermi relazionare al meglio con lui. Ed essergli utile.

E con Dunbar?

Più o meno la stessa cosa. Ci stiamo aiutando a vicenda tutti quanti e il fatto di essere molto uniti ci dà forza l’uno con l’altro. E credo si veda da come ci stiamo muovendo.

Alessandro, si parla sempre di valori, di numeri, ma veramente in questo Giro siete andati così piano come si dice da fuori? O come è sembrato in qualche occasione?

Mah… queste cose le lascio a chi sta seduto alla scrivania. Questo è il mio settimo Giro d’Italia e la fatica che sto facendo, la durezza della gara è sempre la stessa. Una corsa di tre settimane magari si decide nei dettagli, nelle piccole cose, e certe tattiche, certi sforzi vanno valutati. Se poi non abbiamo fatto Crans Montana a 6 watt/chilo, vuol dire che non era la giornata per farli. 

C’è una fuga che hai preso e che non ti aspettavi e al contrario una che invece ti è sfuggita?

Direi di no. Quelle che volevo prendere le ho prese… Ovviamente il rimpianto c’è, però ho imparato che non posso stare qui a frustarmi per aver mancato questa o quella fuga.

Quando dici del rimpianto a cosa ti riferisci? A Napoli? 

Più che altro alla frazione di Campo Imperatore. Per assurdo poteva essere anche la più semplice da prendere per come si era creata. E poi da gestire per come si era messa. Però insomma… Il giorno prima ero stato fuori a Napoli… e ora cosa ci possiamo fare?

Verso Bergamo Alta, Alessandro si è goduto la folla. Il friulano si è inserito in tre fughe buone. Più altri tentativi. Un Giro vivace dunque
Verso Bergamo Alta, Alessandro si è goduto la folla. Il friulano si è inserito in tre fughe buone. Più altri tentativi. Un Giro vivace dunque
Come si dice: col senno del poi…

Siamo tutti bravi.

Cosa ci possiamo aspettare in questo finale?

Un gran Giro fino alla fine. Lo spazio c’è sempre per me e per i miei compagni (come si è visto anche ieri, ndr). Senza dimenticare che Dunbar merita la giusta attenzione. Può ottenere un grande piazzamento nella generale e dobbiamo supportarlo.

Ultima domanda, da osservatore super partes, chi vedi favorito?

Io tifo per “G”, Thomas. Tifo per lui per una questione di età (i due hanno compiuto 37 anni a distanza di pochi giorni, ndr), di generazione, perché è una persona che stimo e perché credo che una sua vittoria farebbe bene a tutti quanti. In più lo vedo tranquillo…

E dove si deciderà il Giro per te: sulle Tre Cime o sul Lussari? Tanti pensano che i conti si faranno tutti sul Lussari…

Un po’ qui e un po là. Non possiamo togliere il valore alle Tre Cime, ma nemmeno puntare tutto sul Lussari.

Viareggio a Cort, ma tiene banco lo sgarbo di Remco

16.05.2023
6 min
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«Era la tappa perfetta – dice De Marchi, meno afflitto di qualche giorno fa – il finale verso Viareggio era un po’ troppo pianeggiante, ma io volevo provarci e siamo riusciti a mettere in fila tutte le cose. Sapevo che rispetto a Napoli potevamo essere più tranquilli, perché avevo due ottimi compagni di viaggio. Eravamo forti e uniti, ma purtroppo quando siamo arrivati alla fine, sapevo che ero il più lento. Quindi se non si fosse creata la situazione per anticiparli, sarei stato perdente e così è stato. Ma ci riprovo. E’ solo la decima tappa, quindi ce n’è di strada, prima o poi dovrò provarci ancora».

Bordate dal Belgio

Oggi il Giro d’Italia ha la faccia annerita e sfinita di Alessandro De Marchi, Magnus Cort Nielsen e Derek Gee, usciti dal gruppo quando mancavano 170 chilometri all’arrivo, in una tappa che in tutto ne misurava 196 e varcava l’Appennino dalla provincia di Reggio Emilia al Tirreno. E’ il giorno della ripartenza dopo l’addio scombinato di Evenepoel, che per la forma scelta ha reso tutto più caotico e incomprensibile. Il più delle volte per fare la differenza basta avere i modi giusti, invece la fuga del campione del mondo ha offeso il pubblico e ferito la lunga storia del Giro.

Quel che ha reso tutto ancor più sgradevole è stata la serie dei commenti arrivati dal Belgio. Dalla madre che si chiede se suo figlio correrà mai più in Italia, agli attacchi di Yvan Van Mol, storico medico della Soudal-Quick Step, che ha parlato di una morte annunciata, a causa dell’incompetenza degli organizzatori del Giro.

Intendiamoci, tutti i presenti alla conferenza stampa della presentazione delle squadre a Pescara sono rimasti perplessi per il piccolo locale dove hanno sfilato i corridori davanti ai giornalisti ammassati. Ma fatto salvo quel caso, la corsa stava andando avanti secondo un copione ben collaudato, in Italia, come all’estero. Semmai alcune squadre farebbero meglio a vigilare sul proprio personale che la sera, finite le tappe, va a fare baldoria alle feste della carovana pubblicitaria.

Mentre in testa Cort si giocava la tappa, Bettiol è finito per terra dopo lo scontro con un autista che stava soccorrendo un altro corridore caduto
Mentre in testa Cort si giocava la tappa, Bettiol cade dopo lo scontro con un autista

La scelta giusta

Ma Remco doveva andare a casa: i medici sono tutti concordi. Con due settimane di Giro ancora da affrontare, nessuno avrebbe autorizzato la sua permanenza. Non in osservanza a protocolli Covid vecchi di almeno 15 mesi, ma nel rispetto della sua salute e per i danni che correre in quello stato avrebbe potuto creare nell’atleta.

Toon Cruyt è il medico della Soudal-Quick Step al Giro: lo conosciamo da anni e sappiamo che ne ha viste di tutti i colori.

«Per me – racconta a Het Nieuwsblad – è stato un momento difficile, molto stressante. Ci sono volute due ore per avere un quadro chiaro della situazione. Fortunatamente il solo positivo era Remco, che sabato mattina si era già alzato con delle brutte sensazioni. All’inizio abbiamo creduto che fossero ancora le conseguenze delle cadute, quindi non ho pensato di fare un tampone, perché erano previsti nel giorno di riposo. Ma dopo la cronometro in calando e i sintomi che manifestava, ho deciso di provare domenica sera e la riga “positiva” è stata visibile dopo tre secondi.

«Non ho esitato – prosegue Cruytho chiamato prima Lefevere, che è stato subito d’accordo. Poi mi sono consultato con Philip Jansen, capo della nostra struttura medica, ma la decisione finale spettava a me. E non ho pensato neanche per un secondo di lasciarlo continuare. Non voglio rischiare la salute di nessuno, altrimenti non vale la pena fare il medico. Ho già avuto l’esperienza di Tim Declercq che ha contratto la pericardite poco dopo un’infezione da Covid. Ho sentito abbastanza storie di persone che hanno fibrosi polmonare o problemi cardiaci. Quindi ho deciso: Remco doveva tornare a casa».

Verso Viareggio, primo giorno in rosa per Thomas, emozionato e determinato a tenere duro
Primo giorno in rosa per Thomas, emozionato e determinato a tenere duro

Se solo l’avessero spiegata così prima di mandarlo a casa, forse tanto baccano non ci sarebbe stato. Resta intanto l’anomalia del Giro che richiede le mascherine per gli addetti ai lavori, in controtendenza rispetto al vivere quotidiano. Ma il Covid non è scomparso e se è agevole conviverci nella vita di tutti i giorni, non così è per atleti che devono sfidare montagne alte fino al cielo.

Primo giorno in rosa

Intanto Viareggio ha salutato il primo giorno in maglia rosa di Geraint Thomas, che da queste parti ha vissuto prima assieme a Max Sciandri, quando il toscano gestiva la nazionale U23 della Gran Bretagna, e poi da professionista, una volta passato con la Barloworld.

«Sono successe tante cose fra ieri e oggi – ha detto il gallese dopo le premiazioni – dall’addio di Remco alla grande lotta per far partire la fuga. Eppure, nonostante la pioggia, sono riuscito a godermi questa maglia. Ho vissuto da queste parti, per me significa molto aver attraversato queste zone in testa al Giro d’Italia. La tattica del gruppo inevitabilmente senza Evenepoel cambierà, ma ciò non toglie che io voglia tenere la maglia rosa il più a lungo possibile. So che non tutti ci credono, ma in tutta la mia carriera ho sempre convissuto con un certo scetticismo, non mi fa paura».

Nella volata per il quarto posto a Viareggio, Milan parte ai 400 metri e viene rimontato da Pedersen: c’è da lavorare sui tempi
Nella volata per il quarto posto, Milan parte ai 400 metri e viene rimontato da Pedersen: c’è da lavorare sui tempi

«Spero che il tempo migliori – ha chiuso Thomas – ma è davvero un onore indossarla, a prescindere da tutto il resto. Quando ero un ragazzino e poi da più grande quando sono venuto a vivere in Toscana, l’idea di vestire la maglia rosa era un sogno molto lontano…».

Domani la tappa più lunga porterà il Giro a Tortona, sulle strade dei Campionissimi: Girardengo e Fausto Coppi. Venerdì la neve renderà impossibile il transito sul Gran San Bernardo, per cui il gruppo passerà in Svizzera attraverso il tunnel. Ciò fa sì che la Cima Coppi saranno le Tre Cime di Lavaredo. Il Giro in qualche misura è appena iniziato, immaginando tutto quello che potrà accadere, abbiamo la sensazione che sarà una corsa pazzesca.

La festa di Pedersen, il tormento di De Marchi

11.05.2023
6 min
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Pedersen passa come una freccia, mentre accanto alla transenna sulla sinistra s’è fermato De Marchi cercando un po’ di silenzio nel baccano di Napoli e del cuore che martella. Una corsa per raggiungerlo e poi ci fermiamo rispettandone il respiro. Un metro più avanti, Simon Clarke ha tolto casco e occhiali e sta piangendo. Sono entrambi del 1986 e per entrambi la vittoria di tappa avrebbe significato molto, ma il gruppo ha recuperato forte e le minime schermaglie fatte negli ultimi 500 metri sono state fatali.

«Insomma, ho giocato un po’ – mormora Alessandrolui era molto più veloce di me e allora ho voluto provare a vincere. Insomma, fare secondo sarebbe stata una gran cosa, ma arrivati a questo punto, bisogna giocare per la vittoria. Quindi ho dovuto fare una cosa che forse non ho mai fatto in tutta la carriera: non dare più un cambio e me ne dispiace. L’avevo vista questa tappa, poi stamattina sono andato in partenza e ho visto che c’era un grande nervosismo e siamo andati…».

Due palleggi nella città dello scudetto: Remco torna alle origini e paragona Merckx a Maradona
Due palleggi nella città dello scudetto: Remco torna alle origini e paragona Merckx a Maradona

Cambi saltati

Parla e poi riflette, il rimpianto lo scuote. Sembra che le domande gli nascano da dentro e lui risponda mano a mano che vengono fuori. Poi lentamente De Marchi si riconnette con questa strada assolata in riva al mare e il discorso riparte.

«Sono mancati 300 metri – dice – eravamo in due, era un po’ un azzardo. Però l’unica cosa da fare era provare da lontano, sperando di avere le gambe sufficienti. E’ stata una gara entusiasmante, sapevamo che poteva essere adatta alla fuga e ci abbiamo provato. Credo che Clarke sia più dispiaciuto di me, perché essendo più veloce sapeva di avere più chance. Però dovevo giocare un po’, rischiare e provare a fargli lanciare la volata lunga per saltarlo. Stasera forse sarò più contento, adesso ho solo un gran mal di gambe e di schiena…».

L’omaggio di Pedersen

Sono arrivati agli ultimi 3 chilometri con 30 secondi di vantaggio, sembrava fatta. Dietro il gruppo era largo, tirato da Ineos e Bora, che volevano solo tenere davanti i capitani e si disinteressavano della volata. Tanto che quando chiedono a Pedersen come mai abbiano impiegato così tanto per chiudere sui primi, il danese vincitore quasi si stranisce.

«Davanti c’erano due corridori fortissimi – queste le parole del danese della Trek-Segafredo – dietro abbiamo dato quello che potevamo. Non penso che riuscire a vincere sia stato un fatto di fortuna. Abbiamo lavorato molto per trovare questo livello. Sono maturato, ho iniziato a lavorare di più. La squadra è costruita accanto a me e oggi sono riuscito a concretizzare. Certo, al mio palmares mancano alcune classiche, ad esempio non ho un grande rapporto con la Roubaix. Ma proverò a vincere tutto quello che posso…».

Pedersen ha voluto fortemente venire al Giro: non aveva ancora mai vinto una tappa
Pedersen ha voluto fortemente venire al Giro: non aveva ancora mai vinto una tappa

Lo stile De Marchi

De Marchi ritrova il sorriso, un sorriso amaro. Dall’altro lato della strada lo chiamano per chiedergli la borraccia e un tipo poco attento chiede al suo amico se abbia vinto lui. La città è rivestita di drappi azzurri, l’arrivo si specchia nel mare.

«Quando ho saltato i cambi? Nell’ultimo chilometro – spiega Alessandro – bisognava fare così. Forse nei chilometri precedenti ho lavorato di più, ho fatto più fatica, non ero proprio perfetto. Per stare lì davanti abbiamo fatto il nostro. Alla fine ho deciso di lasciare sulla strada tutto quello che avevo e questa è la cosa più importante. Se esiste uno stile De Marchi? Sì, quello di attaccare e poi non vincere. Però non si può rimanere sempre nel gruppo, dopo un po’ ti annoi. E onestamente oggi avrei sofferto molto di più a fare in gruppo quella discesa sulla Costiera».

Le strade del Giro

Le strade del Giro d’Italia, se ne parla tanto. I giornalisti stranieri giocano a fare gli agitatori, chiedendo ai corridori di fuori di parlarne. Qualcuno abbocca, qualcuno no.

«Le strade oggi erano davvero impegnative – commenta De Marchi – era una continua curva, un buco dietro l’altro e insomma, non è stata una passeggiata. Francamente non ho avuto occasione di guardare il panorama. Speravo di riuscire a portarmi dietro Gavazzi, sarebbe stato una spalla ideale. Oggi sono due anni dalla maglia rosa di Sestola e per questo mi scoccia ancora di più non essermi fatto un regalo».

Correre in Costiera è impegnativo, ma gli scenari non passano inosservati
Correre in Costiera è impegnativo, ma gli scenari non passano inosservati

Un turno di riposo

Sul tema delle strade, interviene anche Pedersen, che sorride come avendo esaudito un bel sogno e quindi non ha voglia di cercare per forza la polemica: chi lo conosce sa che dice sempre quel che pensa. E questo è il suo pensiero.

«Le strade sulla costa sono bellissime – dice – se non le vedi, vuol dire che sei cieco. Abbiamo corso a tutto gas, certo, ma ci siamo resi conto che erano bellissime. Oggi abbiamo trovato un misto di asfalto brutto e anche nuovo. Sono le corse, abbiamo da fare 3.500 chilometri di corsa, non possiamo pretendere che siano perfette e sempre uguali. Perciò stasera faremo festa e poi da domani penseremo a quale altra tappa puntare. Non certo Campo Imperatore, domani ci prenderemo un turno di riposo, anche i compagni meritano di recuperare…».

Pedersen va avanti con le interviste. De Marchi si avvia con pedalate lente verso il pullman della Jayco-AlUla. Dall’altro lato della strada passa Leknessund atteso nella zona mista delle tivù. Napoli inizia a defluire dalle strade del Giro, mentre sulla corsa si allunga già l’ombra lontana del Gran Sasso.

De Marchi: 100 chilometri di fuga, poi i crampi

04.03.2023
3 min
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«Lo ripeto spesso anche a mio figlio – dice Bennati sull’arrivo, mentre davanti passa De Marchi – che mi piacerebbe un giorno portarlo dopo l’arrivo di una corsa come questa per fargli capire la vera essenza del ciclismo. Ci porterei tutta la gente che parla del ciclismo senza sapere cosa sia. Un arrivo come questo. Un passaggio su una salita dolomitica o pirenaica, per vedere proprio i corridori in faccia. Da quando ho finito la carriera, nei due anni che ho fatto con la Rai al Giro d’Italia mi piaceva mettermi sulla linea d’arrivo proprio per guardare i corridori in faccia. E sinceramente fa un certo effetto. La televisione non mostra certe cose…».

Impossibile seguire Pidcock per De Marchi, l’errore forse è stato non aspettare subito gli inseguitori
Impossibile seguire Pidcock per De Marchi, l’errore forse è stato non aspettare subito gli inseguitori

De Marchi e i crampi

Il tempo per il tecnico azzurro di dire queste parole e De Marchi, in fuga per un centinaio di chilometri, si ferma accanto. La divisa del Team Jayco-AlUla è una crosta di sudore e sali. La smorfia sul volto del friulano parla di dolore, prima ancora che di fatica. Il crampo arriva e se ne va senza avvisaglie. Così De Marchi si accosta alla transenna dove lo aspetta il massaggiatore e si china sul manubrio. Poi si fa passare una bottiglietta d’acqua. E quando la vita riprende a pulsare nelle gambe e nelle tempie, inizia il suo racconto.

«Era la tattica della squadra – dice – dovevamo mettere uno davanti e alla fine è toccato a me. Dopo tanti, tanti tentativi. Sono abbastanza contento, perché il treno di quelli che mi hanno ripreso era quello che è arrivato davanti. Potevo provare a fare un piazzamento. Quando Pidcock mi ha ripreso, avrei dovuto avere il coraggio di aspettare quelli dietro di lui, perché non avrei mai potuto tenere lui. Piuttosto, chi ha vinto?».

Fuga alla Strade Bianche

Pensiamo sia uno scherzo, ridiamo con lui. Poi ci rendiamo conto che non lo sa davvero e gli rispondiamo che ha vinto proprio il britannico. E allora De Marchi allarga le braccia. Sul percorso oggi c’erano anche sua moglie Anna e i bambini, forse la loro presenza è stato l’incentivo a combattere anche più del solito.

«Ha vinto lui? Vedi che non potevo tenerlo?», fa una risata un po’ amara e un po’ ironica. «Potevo cercare di andare più avanti possibile, però insomma le gambe erano queste. E’ stato il primo giorno da De Marchi, da parecchio tempo a questa parte. Ma vai tranquillo, che ne vedremo tanti di giorni alla De Marchi d’ora in avanti. Intanto sono orgoglioso di essere andato in fuga alla Strade Bianche. Non lo avevo mai fatto ancora…».

Zana ha fatto corsa di testa ed è stato fra gli unici a rispondere agli scatti di Van der Poel
Zana ha fatto corsa di testa ed è stato fra gli unici a rispondere agli scatti di Van der Poel

Lo scatto di Bettiol

Bennati intanto si è avvicinato e lo ha ascoltato parlare. Mano a mano che gli italiani sfilano sul bordo di Piazza del Campo, il cittì li apostrofa con battute e incoraggiamenti.

«Ho visto una bella corsa – dice – spettacolare, con tanta gente. Sicuramente a livello tecnico è stata un po’ addormentata dal fatto che tanti aspettavano Van der Poel, forse anche la sua squadra e quindi da dietro ci sono state azioni, ma non troppo convinte. La prima e più solida l’ha fatta Alberto (Bettiol, ndr) e proprio quando si è mosso lui, si è visto che Van der Poel non aveva le gambe dei giorni migliori. In compenso ha vinto un corridore che se l’è meritato alla grande. Senza dubbio i complimenti vanno anche a De Marchi perché ha fatto veramente una grande corsa. Ho visto molto bene Bettiol e Bagioli. Anche Zana pedalava molto bene. Non conosco ancora i piazzamenti finali perché qui c’è un po’ di confusione però abbiamo vissuto una gran bella giornata. Guardateli in faccia, ecco cosa significa fare il corridore».

De Marchi e le fatiche della prima salita di stagione

11.02.2023
5 min
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Le corse sono iniziate e le prime fatiche sono già alle spalle, dopo mesi di allenamenti bisogna capire in che modo i corridori si riabituano alla fatica. Non è un passaggio semplice, nei vari ritiri si fanno tanti chilometri, ma nulla è come la gara, soprattutto quando la strada sale. Come si ritrova il feeling un corridore con la salita? Alessandro De Marchi ci racconta il suo punto di vista. 

De Marchi nel 2022 ha chiuso l’esperienza con la Israel Premier Tech
De Marchi nel 2022 ha chiuso l’esperienza con la Israel Premier Tech

Prima fatica

Il “Rosso di Buja” ha esordito alla Vuelta a la Comunitat Valenciana, si è trattato di un doppio inizio visto il suo passaggio al Team Jayco AlUla. La corsa a tappe spagnola è stata la prima affrontata con tante salite praticamente ogni giorno, un test iniziale e un modo per togliere la polvere dalla bici

«La prima salita – racconta De Marchi – è stata alla tappa inaugurale. E come spesso accade, per me è stata un trauma. E’ un momento di verifica, ma è difficile trovare i riferimenti, la mancanza di ritmo gara influisce molto. Poi il fatto di affrontarla in gruppo non aiuta, perché diventa tutto più impegnativo: praticamente un calvario. Le salite vengono affrontate a ritmi non costanti, che è una cosa che in allenamento non si riesce a simulare. Solitamente si fanno lavori di 15 o 20 minuti, ma nelle fasi prima e dopo sei più tranquillo. In corsa arrivi all’attacco della salita che sei già a tutta ed il primo chilometro lo fai davvero, ma davvero forte. In più io sono un corridore che soffre le condizioni di troppa… freschezza».

Tenere sotto controllo i dati non è facile quando si affrontano le prime fatiche in gruppo
Tenere sotto controllo i dati non è facile quando si affrontano le prime fatiche in gruppo

Valori diversi

Cosa intende dire De Marchi con “troppa “freschezza”? Come dicevamo prima le gare di inizio stagione sono una grande incognita. Lo stesso corridore ci ha confermato che non tutti i numeri sono da prendere con certezza.

«Il cuore – dice il friulano – è costantemente cinque o sei battiti sopra ai valori soliti, in questo influiscono diversi fattori: il gruppo, l’adrenalina, la lotta per le posizioni… E poi influisce molto anche il ritmo gara: a inizio stagione non si è abituati a farlo per ore e ore, durante i ritiri simuli queste condizioni ma fino ad un certo punto. A questo va aggiunto il fatto che in allenamento non sono sono uno che esagera con l’intensità, in questo interviene anche una parte psicologica. Se non sei in corsa, ti viene da mollare prima, quando sei in gara invece devi rimanere agganciato. I numeri devono essere presi con le pinze, solitamente in gara sono un pochino più bassi rispetto agli allenamenti. Questo perché il ritmo gara porta fatica nelle gambe, non si è abituati a smaltire l’acido lattico e si ha un maggiore accumulo di fatica».

Il “Rosso di Buja” ha esordito con la nuova squadra alla Valenciana
Il “Rosso di Buja” ha esordito con la nuova squadra alla Valenciana

La risposta del corpo

Quando si è da soli in allenamento o nel ritiro con la squadra, è più facile regolarsi seguendo i propri parametri. Ma una volta in gara, il gruppo va e devi rimanere lì, altrimenti la fatica diventa doppia.

«Difficilmente in gara riesci a regolarti – conferma De Marchi – non puoi decidere il ritmo a cui andare. A me capita di reggere il fuori giri e poi di pagare lo sforzo nel finale di corsa. Mi sono ritrovato con Salvatore Puccio ed abbiamo commentato allo stesso modo: dopo il fuori giri, è come se il nostro corpo avesse bisogno di minuti per ritrovare il ritmo che ci avrebbe permesso di stare con i migliori. Anche i watt sono un valore che all’inizio lascia il tempo che trova, diventano più stabili con il passare dei giorni di corsa. Già al secondo giorno della Valenciana, il cuore ed i watt erano più vicini ai valori dell’inverno. Un’altra cosa da non sottovalutare è l’alimentazione. Ovviamente un professionista con anni di esperienza sa come si gestisce, ma bisogna riabituarsi a farlo in corsa: trovare i momenti giusti in cui mangiare e calibrare le dosi».

Nella seconda tappa della Valenciana il friulano ha macinato chilometri in fuga: ritmo più alto ma costante
Nella seconda tappa della Valenciana il friulano ha macinato chilometri in fuga: ritmo più alto ma costante

Il “rimedio” alla fatica

Nella corsa a tappe al sud della Spagna, De Marchi si è fatto vedere anche in due fughe, nella seconda e nella quarta tappa. Lui è un uomo abituato ad “anticipare il gruppo” e questo può essere anche una soluzione alla fatica.

«Non è da nascondere che le corse a tappe aiutino a migliorare la condizione – spiega – con il passare dei giorni ti senti sempre meglio. Andare in fuga, tuttavia, può essere un buon esercizio per mettere chilometri nelle gambe con ritmi alti, ma più costanti rispetto all’andare in gruppo. Non c’è lo stress o la battaglia ai piedi delle salite, ma tanti chilometri ed altrettanta intensità. Si corre sempre a valori medio-alti, ma ne vale la pena. In fuga si costringe il corpo a stare nella zona della soglia o fuori soglia. Anche il wattaggio medio a fine corsa è più alto. Questo perché prima delle salite non hai la solita bagarre ma un andamento costante, così anche quando la strada sale. In più andare in fuga stimola il corpo e si brucia qualche caloria in più, cosa che non fa male ad inizio anno».

De Marchi trova squadra, cattivi pensieri alle spalle

04.11.2022
5 min
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Il rumore della pioggia sul parabrezza è scrosciante, anche se De Marchi ridendo fa notare che all’orizzonte si intravede l’arcobaleno. Deve essere un presagio, annotiamo e lui sorride. Da casa a Varese, dove c’è il magazzino della Bike Exchange-Jayco, c’è un bel pezzo di strada che sa di conquista. Alessandro si è messo in auto di buon mattino per andare a prendersi la bici che lo accompagnerà per tutto l’inverno. La firma del contratto è cosa fatta, quell’arcobaleno non è per caso.

Questo su De Marchi che trova squadra a fine ottobre è uno di quei pezzi che si tengono nel cassetto in attesa che le cose diventino ufficiali. E le cose in questo caso hanno avuto un’accelerazione fulminea il 20 ottobre, quando la squadra australiana ha formalizzato l’offerta, strappando il Rosso di Buja dalla china di pessimismo lungo cui s’era avviato.

Settimo al mondiale gravel, De Marchi ha chiuso il 2022 in Veneto, con la caduta alla Veneto Classic
Settimo al mondiale gravel, De Marchi ha chiuso il 2022 in Veneto, con la caduta alla Veneto Classic

Tre costole rotte

Fino al giorno prima, infatti, Alessandro infatti lottava con le tre costole rotte alla Veneto Classic, che gli impedivano di dormire e andare in bici nell’insolita primavera esplosa per tutto il Friuli.

«Sono stato a lungo in attesa – diceva – fra mille incastri. Situazioni che potrebbero concretizzarsi. Quando perdi il primo giro del mercato, va così. La gente forse si ferma davanti all’età? Sarà pur vero, ma l’anno scorso di questi tempi vincevo la Tre Valli Varesine. Non ero pronto a vivere questa situazione, perché avrò pure 36 anni, ma penso che nel giusto ambiente potrei ancora fare le mie cosette».

E alla fine proprio i tuoi 36 anni sono diventati un valore aggiunto…

E’ l’argomento che hanno usato, anche per spiegare il fatto che siano venuti a cercarmi così tardi. Brent (Copeland, manager del team, ndr) mi ha dato un’interpretazione molto interessante. Per il 2023 hanno inserito parecchi giovani, tra neopro’ e nuova gente. Mi pare 7-8 ragazzi sotto i 23 anni e hanno bisogno di un innesto un po’ più vecchietto e per questo hanno visto in me una buona figura. In particolare mi hanno anticipato il progetto del Giro, nel senso che probabilmente vorrebbero mandare un gruppo relativamente giovane, portando me come… chioccia.

In cima alla salita di San Luca, De Marchi ha chiuso il Giro dell’Emilia al 27° posto
In cima alla salita di San Luca, De Marchi ha chiuso il Giro dell’Emilia al 27° posto
Un bel ruolo, no?

La prima cosa cui ho pensato è che riprendo a fare quello che facevo con i ragazzi del Cycling Team Friuli, anche se ultimamente ci siamo visti un po’ meno. Quest’anno è stato particolare e non li ho seguiti tanto sulla bici. Però l’ho fatto in passato ed era una cosa che mi piaceva un sacco, mi dava soddisfazione. E poterlo fare perché la squadra che ti prende te lo chiede esplicitamente, è proprio una bella cosa.

Il pessimismo è alle spalle?

Sono davvero caduto in piedi. Tra tutte quante, questa era la situazione migliore. Mi avevano cercato già prima della Israel, sono davvero contento. Con Brent mi ero visto durante l’estate, io l’avevo approcciato un attimo e lui è stato molto onesto e chiaro fin da subito, rivelandosi poi di parola. Mi disse che sarebbe venuto a cercarmi, qualora avesse avuto bisogno. Era agosto e ora mi sembra di poter dire che avrò a che fare con delle buone persone.

La fiammella c’è sempre stata oppure ormai si stava spegnendo?

La lucina c’era, però ammetto che a un certo punto era diventata abbastanza piccolina. Avevo iniziato a pensare anche a come potesse essere la vita senza la bici? Perché insomma, alla fine devi essere anche un po’ pratico. Le bollette da pagare ce le hai, quindi dovevo pensare a cosa fare. Chiudere così mi sarebbe davvero scocciato.

Dopo la Vuelta, De Marchi ha corso a Peccioli, lanciando il finale di stagione
Dopo la Vuelta, De Marchi ha corso a Peccioli, lanciando il finale di stagione
E’ stato bravo il tuo procuratore Scimone oppure avevi seminato bene?

Raimondo è stato importante e forse decisivo, perché in un certo periodo ero abbastanza sfiduciato dal fatto di non ricevere offerte. Pensavo: “Ho fatto tanto, ho dato tanto, l’anno scorso erano tutti contenti di vedermi in maglia rosa e adesso non trovo un contratto?”. E lì Raimondo è stato quello che ogni tanto mi faceva rinsavire. Due sberloni e mi ha tenuto a bada. Però indubbiamente, quando ti vengono a chiamare parlando di esperienza, il fatto di aver seminato qualcosa è evidente.

Come ti ponevi davanti al De Marchi demotivato delle ultime settimane?

Ammetto che tutta la stagione, specialmente la parte finale, è stata abbastanza dura. Se mi guardo indietro, non mi riconosco perché ho subito il colpo. Ancora una volta, venivo da un 2021 super, ero pronto a darci dentro, invece la primavera che ho passato mi ha distrutto piano piano. Mi ha lasciato mentalmente un po’ indebolito al momento di preparare la seconda parte di stagione. Alla Vuelta ho iniziato a pedalare, poi c’è stata la caduta. E su tutto, c’era ovviamente questa cosa del contratto che si è sommata e non ha assolutamente aiutato.

E finalmente adesso potrai dedicarti nuovamente bene alle crono: Pinotti ti starà già aspettando…

Questa è stata forse la prima cosa che ho pensato, avendo visto il percorso del Giro. So che Marco è lì che mi aspetta e onestamente non vedo l’ora.

De Marchi in maglia rosa è ora anche l’immagine di una campagna Enel
De Marchi in maglia rosa è ora anche l’immagine di una campagna Enel
Che effetto ha fatto retrocedere fra le professional?

Ci sono dei momenti in cui è stata vissuta, specialmente all’inizio, come una cosa ancora recuperabile e non così grave. Nella fase finale, quando era chiaro che non saremmo riusciti a recuperare, si è cominciato ad attaccare il sistema e dire che non fosse giusto. Ma credo che sia stato tutto la conseguenza dei due anni precedenti.

A casa come l’hanno presa? Tua moglie Anna si era un po’ intristita pure lei, oppure aveva più fiducia di te?

Anna ci credeva più di me. Ogni tanto anche lei mi diceva di smetterla di piangermi addosso. Qualche schiaffone l’ho preso anche in casa, insomma. Perciò adesso vado a conoscere le persone con cui lavorerò e inizio un inverno normale. Ne avevo proprio bisogno.

E De Marchi cosa fa? E’ pronto a ripartire con cuore e testa

09.07.2022
5 min
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E mentre il gruppo è impegnato al Tour de France, c’è chi sta ricaricando le batterie, tra casa e famiglia. E’ Alessandro De Marchi. Il “Rosso di Buja” ha avuto una prima parte di stagione alquanto complicata.

Ciononostante ha portato a termine il Giro d’Italia e in qualche occasione il corridore della Israel-Premier Tech è anche stato protagonista.

Col Friuli nel cuore. Al Giro Alessandro (classe 1986) si è goduto l’abbraccio della sua terra (foto Instagram – Cauldphoto)
Col Friuli nel cuore. Al Giro Alessandro (classe 1986) si è goduto l’abbraccio della sua terra (foto Instagram – Cauldphoto)
Alessandro, abbiamo visto anche dai social che ti sei dedicato alla famiglia in questi giorni. E adesso?

Adesso è ora di riprendere. Andrò in altura per preparare quello che sarà il resto stagione. L’idea è quella di correre la Vuelta. Per questo dovrei fare un bel periodo in quota, due settimane piene. Poi rifinire la condizione passando per il Giro di Polonia. E da lì andare direttamente in Spagna.

Su carta, sembra un buon programma…

Sì, è abbastanza buono soprattutto dopo aver fatto il Giro. Almeno lì sono riuscito ad accumulare un bel po’ di chilometri e tutto sommato sono a buon punto.

Come dicevamo, non hai avuto una prima parte di stagione facile…

Dopo una primavera così balorda, era importante andare al Giro più che altro per mettere fieno cascina, fare volume di chilometri in gara e magari provare anche a fare qualcosa. Quest’ultimo aspetto non è stato possibile realizzarlo, ma oggettivamente era abbastanza difficile migliorare tanto da riuscire fare qualcosa. Però non è stata per nulla un’esperienza distruttiva, nonostante arrivassi al Giro con dieci corse in quattro mesi.

Quindi il Giro è stato un punto di ripartenza?

Mentalmente serviva ed è servito. Comunque era importante recuperare anche di testa. E per riuscirci sono stati utili anche questi giorni di riposo. Utili anche per la fase dell’altura che sta per iniziare.

Alessandro in fuga nel corso della decima tappa del Giro, quella che ha segnato una piccola svolta nella sua stagione
Alessandro in fuga nel corso della decima tappa del Giro, quella che ha segnato una piccola svolta nella sua stagione
Primavera balorda, ma c’è stato anche qualcosina che ti rimproveri?

Tra Covid, la prima altura subito dopo, l’ammalarmi ancora… tutto è stato fatto sin troppo di corsa, ma è facile dirlo adesso. Sul momento, quando abbiamo preso certe decisioni, ci sembrava giusto così. Sin qui diciamo che sono al 70 per cento. Adesso voglio colmare questa lacuna per arrivare al top e sfruttare le occasioni. E con la Vuelta in programma le opportunità ci sono.

Che poi non sarebbe la prima volta che “sistemi” la stagione alla Vuelta…

No, vero. Come mio solito non sono super all’inizio dell’anno e colgo i miei migliori risultati in questa fase. Fisiologicamente forse sono più portato a venir fuori da adesso in poi. Come detto, adesso l’importante è lavorare per ritornare al top.

Alessandro, c’è una cosa che ci ha colpito e risale al Giro. Un giorno sulle tue pagine social hai scritto: «Oggi ho fatto pace con me stesso»: cosa intendevi?

Quella cosa l’ho scritta dopo la tappa, l’unica, in cui sono stato fuga al Giro. Era la decima frazione credo, in ogni caso quella che passava per Filottrano. L’ho scritta perché era tanto che non mi ritrovavo davanti a fare la gara. E quando hai certe aspettative e certi riferimenti col tuo passato, con la testa “batti sempre lì”. E’ frustrante vedere che non vai, che non rendi come sai fare. Quel giorno anche se non ho vinto mi sono detto: “Se ho una buona giornata riesco ancora ad essere lì. Riesco ancora ad esprimermi”. Purtroppo visti anche i momenti che stiamo vivendo, si fa fatica ad essere perfetti. E’ difficile, ma ci sono anche questi passaggi da superare.

E al futuro De Marchi ci pensa?

Onestamente ho messo tutto in pausa. Mi sto concentrando ad essere al massimo fisicamente per questo finale di stagione e non solo. Ho lasciato da parte i pensieri di post carriera e voglio ritornare ad essere me stesso. Ho troppa voglia di avere ancora le vecchie sensazioni e fare una stagione completa senza fastidi, guai e noie varie. Il futuro adesso è trovare buone sensazioni. E in più devo trovare una squadra o rinnovare il mio contratto. Al “Dema” ritirato c’è ancora tempo per pensare!

De Marchi ha preso parte sia all’italiano su strada che quello a crono (in foto) nel suo Friuli
De Marchi ha preso parte sia all’italiano su strada che quello a crono (in foto) nel suo Friuli
E allora torniamo al presente. Dove andrai a fare l’altura?

Andrò a Livigno. In questo modo riesco ad avere con me anche la famiglia. Vado lì perché così non li porto in cima al niente e anche loro possono divertirsi.

Cosa prevede la tua tabella di allenamento?

Proprio in questi giorni devo fare il punto con Andrea Fusaz (il suo coach, ndr). Devo fare un test per capire dov’è la condizione da cui ripartire. Di certo i primi 4-5 giorni in quota mi serviranno per riprendere il filo con tutto.

Quanto sei stato fermo in tutto? 

Dopo il Giro ho dovuto tirare avanti. La squadra aveva bisogno di fare corse e quindi di uomini. Così ho preso parte al GP Gippingen e al Giro del Belgio, corse che cadevano nel mezzo tra il Giro e il campionato italiano. Per questo ad Alberobello non ero un granché e me ne dispiace. A maggior ragione mi è servita una settimana molto easy.

E cosa hai fatto in questa “settimana easy”? Stacco totale?

Sono uscito due volte, una delle quali con la gravel e poi mi sono fatto una nuotata in piscina.

Il bello del Giro, il brutto dell’Uci: sentite De Marchi

12.05.2022
5 min
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Ieri era giusto un anno da quando De Marchi conquistò la maglia rosa a Sestola. Fu l’inizio di una storia durata (troppo) poco, che in ogni caso portò il Rosso di Buja nei cuori del Giro e di quelli che magari, vedendolo così schivo, non erano mai riusciti ad avvicinarsi. E facendo scoprire a lui, friulano sino alla punta dei capelli, il calore di un’Italia che in alcuni momenti, come per magia, è capace di stringersi attorno ai suoi simboli.

«Presente! Si, ci sono. E sono felice – ha scritto su Instagram a Budapest – di dire che mi trovo esattamente dove desidero essere: al Giro d’Italia. Niente è più importante! Esperienza, gambe , coraggio e passione».

Al via della Liegi, De Marchi non aveva un’espressione entusiasta: le sensazioni non erano ancora buone
A Liegi, De Marchi non aveva un’espressione entusiasta: le sensazioni non erano buone

Contento di esserci

La carovana si è lasciata alle spalle i primi giorni ungheresi e quelli in Sicilia, con voci, colori e un senso di entusiasmo provvidenziale e leggero. E adesso che inizia la risalita lungo lo stivale, la dichiarazione d’amore di Alessandro merita un approfondimento. Lo avevamo sentito alla vigilia delle Ardenne, aveva il morale sotto terra. Non era affatto certo di partire per il Giro, anche se la squadra è sempre stata pronta a scommetterci. Alla Liegi c’era stato un timido risveglio di buone sensazioni. Che cosa è successo poi?

«Sono al Giro d’Italia – dice nel baccano del foglio firma – quindi questa è la cosa più importante. Al netto di tutte le cose che sono successe durante la primavera, sono comunque contento di essere qui e questa è la cosa più importante. Bisogna essere realisti e consapevoli della situazione in cui ti trovi. E’ inutile continuare a pensare che le gambe non sono al 100 per cento e tutto il resto. Sono al Giro d’Italia, ho ancora quindici tappe per divertirmi, godere di questo spettacolo e trovare il momento, la situazione. Il mio Giro sarà fatto così. E devo dire che è un approccio che mi sta dando modo davvero di vivere la corsa in un modo consapevole e sereno».

Nella crono di Budapest, un 29° posto a 33 secondi come tanti leader: condizione in arrivo?
Nella crono di Budapest, un 29° posto a 33 secondi come tanti leader: condizione in arrivo?

Il marchio rosa

Quel giorno continua a seguirlo. Sarebbe curioso un domani chiedere a Nibali, ad esempio, se ricordi ogni chilometro pedalato con la maglia rosa sulle spalle. De Marchi ricorda tutto. Nonostante fosse in crisi nera nel giorno di San Giacomo, riuscì a riconoscere le tracce sempre presenti del terremoto in piena discesa e in un giorno di pioggia. Quei due giorni in maglia rosa hanno cambiato la sua percezione del Giro, dopo anni di Tour a tutti i costi e nonostante il successivo incidente di Bagno di Romagna abbia interrotto anzitempo il suo viaggio dopo 12 tappe.

«Quel ricordo è qualcosa di speciale – ammette – questo anno trascorso ha fatto sì che il Giro stesso sia qualcosa di speciale, di più rispetto a prima. La maglia rosa è ben presente nella mia vita. A casa mia è messa in un quadro che viene spostato di stanza in stanza quando mi gira, quando voglio averla a portata di mano. E’ una cosa che… è davvero come avere un marchio sulla pelle!».

Due giorni in maglia rosa nel 2021 hanno portato De Marchi in una nuova dimensione
Due giorni in maglia rosa nel 2021 hanno portato De Marchi in una nuova dimensione

Gazprom, un disastro

E mentre la campana avvisa i corridori dell’imminente partenza, pur sapendo di portare il discorso su un binario più malinconico, ci agganciamo con il “Dema” a un’attualità meno gioiosa. Con lui che non ha paura di metterci la faccia, che sorride amaramente per il titolo di avvocato delle cause perse, dal caso Regeni alla sicurezza sulle strade.

Il TAS di Losanna ha respinto il ricorso d’urgenza della Gazprom, che chiedeva la riammissione del team. L’UCI ha rigettato la possibilità di aumentare gli organici delle squadre, come proposto dai team e atleti, per consentire di sistemare i corridori rimasti a piedi. La motivazione è anche plausibile e rende ancora più irritante il rifiuto di far correre la squadra con maglia neutra, come s’era già deciso di fare al Trofeo Laigueglia. Dicono che nell’anno in cui i team si giocheranno il WorldTour a suon di punti (ci saranno salite e retrocessioni), riaprire gli organici a stagione in corso esporrebbe ogni cambiamento a ricorso.

Il caso Gazprom, la squadra fermata dall’UCI senza possibilità di appello, per De Marchi è un disastro
Il caso Gazprom, la squadra fermata dall’UCI senza possibilità di appello, per De Marchi è un disastro

«Per me – dice De Marchi – la situazione Gazprom è un disastro. E’ un disastro perché secondo me è inaccettabile che l’UCI, che dovrebbe essere la nostra madre, quella che davvero difende i corridori, sia stata la prima, senza pensarci, a mandare a casa tutte quelle persone. E la cosa sta andando avanti in quella direzione ed è una roba inaccettabile.

«Noi come gruppo – riflette amaramente – ancora una volta non stiamo mostrando una grande unità. E forse anche i nostri sindacati avrebbero dovuto avere un approccio molto più duro, perché è necessario. Non credo che togliere la sponsorizzazione e cancellare la squadra, abbia danneggiato Gazprom. Non credo che fermare quei corridori abbia indebolito Putin. Avevano proposto delle soluzioni che sono state scartate…».

Il Giro sarà per De Marchi un’esperienza da sorseggiare con calma, cercando di goderne il bello
Il Giro sarà per De Marchi un’esperienza da sorseggiare con calma, cercando di goderne il bello

Destinazione Potenza

La tappa parte, un altro giorno da onorare fra Palmi e Scalea. Salita in partenza, poi un continuo su e giù. Nel Giro che ieri ha accolto il saluto di Vincenzo Nibali, che ha visto sparire (sia pure in modo diverso) alcuni sfidanti come Lopez e Dumoulin, si guarda con crescente interesse alla tappa di domani. Vero che il Block Haus di domenica fa già tremare i polsi, ma le strade lucane che portano a Potenza saranno il sicuro teatro di qualche imboscata.