Moscon ormai è un vero uomo squadra e Roglic se lo tiene stretto

04.07.2025
5 min
Salva

LILLE (Francia) – Domenica scorsa a Gorizia lo cercavamo prima del via, ma il suo compagno Giulio Pellizzari ci aveva presto chiarito ogni dubbio: «Gianni? No, non c’è. E’ sullo Stelvio perché sta preparando il Tour de France». Gianni è Moscon. Quella che dunque sembrava essere solo una voce si è trasformata in realtà e così il trentenne della Red Bull-Bora dopo il Giro d’Italia è pronto a sciropparsi anche i 3.338 chilometri delle strade francesi.

Sono pochissimi i corridori presenti qui a Lille che hanno fatto anche la corsa rosa e quei pochi sono tutti di qualità, a partire dal re del Giro, Simon Yates, passando per i suoi alfieri Edoardo Affini e Wout Van Aert, Mattia Cattaneo e appunto Gianni Moscon.

Gianni Moscon correrà il Tour accanto a Roglic
Gianni Moscon correrà il Tour accanto a Roglic

Idea Tour già al Giro

Dopo 44 giorni dall’arrivo di Roma, Moscon riattaccherà il numero sulla schiena. Quaranta giorni in cui ha cercato prima di tutto di recuperare al meglio e poi di ritrovare la gamba, buona e solida, che aveva mostrato sulle strade del Giro.

«Sto bene dai – esclama Moscon – mi sono allenato nel modo giusto in questa fase. Come è nata questa partecipazione al Tour? Non è stata una sorpresa del tutto, perché con la squadra se ne era iniziato a parlare già durante il Giro. Ma ci saremmo risentiti dopo un po’. E così una settimana dopo Roma, le sensazioni erano buone, mi sembrava di aver recuperato bene e quindi si è deciso di fare anche il Tour.

«Sono stato sullo Stelvio circa due settimane, sono sceso giusto domenica. Ho svolto un lavoro di costruzione, senza strafare, sfruttando la quota e seguendo le sensazioni».

Moscon, anche se non si è visto moltissimo, è stato un vero uomo squadra durante il Giro. Ha lavorato prima per Primoz Roglic e poi è stato vicino a Pellizzari. Nessun piazzamento, nessuna grande fuga: un vero gregario.

«Come dicevo – riprende Gianni – le sensazioni sono buone, sono uscito bene dal Giro. Per il lavoro che sono chiamato a fare io, la prima cosa necessaria era aver recuperato bene». Probabilmente, visto l’andazzo, anche la parte finale del Giro è stata gestita in ottica Tour. Roglic deve averlo precettato.

Di fatto tante tappe a lui congeniali non c’erano, meglio dunque lavorare in un certo modo. Sono gli schemi che impone il ciclismo moderno e i suoi livelli stellari.

Gianni ha parlato di un ottimo clima in squadra. A Lille ci è parso sereno e motivato
Gianni ha parlato di un ottimo clima in squadra. A Lille ci è parso sereno e motivato

Moscon uomo squadra

Prima abbiamo parlato di un Moscon uomo squadra. Gianni fino a qualche tempo fa era uno dei nostri (italiani) cavalli di razza. E senza scomodare quella famosa Roubaix, più di qualche volta ha vinto o si è giocato gare importanti. Però poi, tra imprevisti vari, qualcosa col tempo è cambiato. Due cambi di squadra nelle ultime tre stagioni… non sono qualcosa di facile. Ma ora forse ha girato pagina e trovato una sua dimensione.

«Sicuramente – dice Moscon – mi fa piacere questo ruolo e il fatto che la squadra mi abbia voluto anche qui al Tour. So qual è il mio valore e potrebbe anche essere più alto il mio rendimento di quel che si vede, ma sono anche consapevole che oggi le cose sono cambiate rispetto a qualche tempo fa. Il livello è altissimo e la prendo con filosofia. Vincere oggi per me sarebbe difficilissimo e se mi dessero altre responsabilità, che infatti non voglio, rischierei di prendere delle delusioni. Io invece così sono tranquillo, svolgo bene il mio lavoro e sono contento.

«Fare Giro e Tour in un team così importante è un’ambizione, un’opportunità e una responsabilità al tempo».

Sono parole importanti quelle di Moscon. Lui parla di filosofia, noi ci sentiamo di dire consapevolezza. A 31 anni, ha totale consapevolezza, appunto, della persona e dell’atleta. E dunque onore a lui che sa riconoscersi e dare il massimo in questa nuova dimensione.

Di certo, se una squadra piena zeppa di grandi atleti come la Red Bull-Bora ti porta nella corsa più importante del mondo, dopo già aver fatto un grande Giro, un motivo ci sarà. Nulla si lascia al caso e i test di rendimento devono per forza aver dato un certo esito.

I sette alfieri di Roglic. Il pubblico di Lille ha riservato gli applausi più forti per Primoz (e anche per Alaphilippe)

Tutti per Primoz

Test di rendimento ma non solo. O meglio: come si valuta il rendimento di un pro’? E di un gregario in particolare? Non certo solo con i famigerati watt. E’ anche una questione di esperienza, di capacità di stare e fare gruppo.

«Alla Red Bull-Bora – racconta Moscon – mi trovo molto bene. Mi sono subito ambientato e sono davvero contento. Siamo un bel gruppo.

«Il mio ruolo? Più o meno come al Giro: cercare di essere presente nei momenti delicati e far risparmiare più energie possibili al capitano. Chiaramente, visto il livello attuale, dovrò lavorare di più nelle tappe veloci e mosse, perché in salita ora come ora, per stare davanti, mi servirebbe il motorino!».

Roglic è il leader della squadra, che sarà guidata da Enrico Gasparotto. Al suo fianco ci saranno altri ottimi atleti come Aleksandr Vlasov e Florian Lipowitz, secondo alcuni un possibile outsider di Vingegaard e Pogacar.

«Con Primoz, ma anche con gli altri ragazzi, è nata subito una certa sintonia. In particolare con Roglic non c’è neanche tutta questa necessità di parlarci più di tanto. A volte lo seguo io quando bisogna fare così, e lui sa che io ci sono. Tante volte è il contrario: lui mi segue perché si fida. Daremo il massimo. Come avete detto, siamo un’ottima squadra. Non la favorita numero uno, ma magari questo potrebbe essere un punto a nostro vantaggio».

Prima maglia gialla, la verde e i ventagli: inizia il Tour di Milan

04.07.2025
5 min
Salva

Il primo italiano a indossare la maglia gialla fu Vincenzo Borgarelli nel 1912: oltre un secolo fa. L’ultimo è stato Giulio Ciccone nel 2019. Successivamente non ci sono state tante occasioni perché un altro ci riuscisse, per questo la prima tappa del Tour a Lille rappresenta un’occasione da non perdere. Jonathan Milan lo sa. Ha studiato il tracciato della gara ed è tornato a farlo anche ieri, prima di schierarsi alla presentazione delle squadre.

Il primo Tour è un’emozione. E anche se il friulano della Lidl-Trek è ormai abituato a calcare palcoscenici anche più importanti come quelli olimpici, di certo al fascino della Grande Boucle non resta indifferente. E così si racconta, a metà fra il tecnico e il sentimentale. Milan è allegro, passa agevolmente dall’inglese all’italiano.

La presentazione delle squadre si è svolta ieri nel cuore di Lille, davanti a una folla notevole (foto A.S.O./Aurélien Vialatte)
La presentazione delle squadre si è svolta ieri nel cuore di Lille, davanti a una folla notevole (foto A.S.O./Aurélien Vialatte)
Due anni fa il debutto al Giro fu fonte di parecchia emozione: come si arriva al Tour?

Quel debutto fu qualcosa di indimenticabile, anche per come andò. Mi sto avvicinando al Tour come al Giro dello scorso anno, con più consapevolezza. So che la condizione è buona, il team è ottimo e tutto ciò mi tranquillizza. Vedremo come andrà domani, cerchiamo di dare il massimo. C’è questa grandissima possibilità di indossare la maglia gialla il primo giorno, ma bisogna stare attenti al percorso. Nei chilometri precedenti l’arrivo, potrebbe esserci un po’ di vento e si potrebbero formare dei ventagli. Qualcuno ci proverà. Insomma, la prendo come qualsiasi altra gara.

Cosa rappresenta per te il Tour de France?

Il Tour era una di quelle corse che guardavo durante l’estate, quando ero piccolo, sul divano con i miei genitori. Una corsa che ho sempre sognato e il fatto di essere qua è molto bello. Pochi anni fa ero molto tifoso di Peter (Sagan, ndr), mi ricordo le sue imprese ed essere qui anche io mi fa pensare che il lavoro ha funzionato.

Ecco, il lavoro. E’ stata una preparazione impegnativa? E cosa puoi dire del passaggio al Delfinato?

In realtà non me la sento di dire che sia stata particolarmente dura. Abbiamo lavorato molto e il Delfinato è stato molto, molto impegnativo: devo ammetterlo. Ho sofferto tanto sulle salite. Però poi, una volta rientrati a casa, ho iniziato subito a sentirmi un po’ meglio, a fare dei buoni valori anche per quanto riguarda lo sprint e gli altri lavori e le sensazioni sono iniziate a crescere. Insomma, mi sento pronto. Credo di aver fatto una preparazione ottima.

In giallo al delfinato, Milan saluta Van der Poel in verde: al Tour i due colori sono entrambi nel suo mirino
In giallo al delfinato, Milan saluta Van der Poel in verde: al Tour i due colori sono entrambi nel suo mirino
Sei passato in Friuli, dicevi, dove l’attesa per il tuo debutto al Tour è notevole: te ne sei reso conto?

E’ un grande supporto. Ho passato un po’ di giorni a casa, ho avuto la bellissima emozione di correre i campionati italiani quasi sulle strade di casa e mi sono reso conto dell’attesa per la grande partenza. Questa cosa mi dà energia in più.

Hai sofferto sulle salite del Delfinato, sai qualcosa di quelle del Tour? E quante sono le tappe in cui si potrebbe arrivare in volata?

Per quanto riguarda le salite, ne conosco ben poche. Di sicuro non sono uno che va a provarle. Abbiamo fatto qualche recon, ma per i percorsi che mi si addicono. Per cui già parecchio tempo fa siamo andati a vedere la tappa di domani. Abbiamo provato gli ultimi 90 chilometri, abbiamo visto bene il finale e anche ieri abbiamo ripassato gli ultimi 20 chilometri. Gli arrivi in volata dovrebbero essere sei, ma si spera di poterne tirare fuori anche qualcuno in più. Posso dire che ogni giorno in ritiro guardavamo i video degli ultimi 15-20 chilometri di ogni tappa. Insomma, sappiamo come sono fatti gli arrivi, più o meno li abbiamo in testa.

La maglia verde può essere un tuo obiettivo?

E’ certamente un obiettivo, però sarà semmai la conseguenza dei buoni risultati. Vedremo con il passare delle tappe se potrà essere un obiettivo concreto.

E’ un peccato che la tappa di Parigi non sia più il classico volatone dei Campi Elisi? 

Mi spiace molto. Era una volata sicura, invece lo strappetto di Montmartre renderà tutto un po’ più interessante, ma meno alla portata dei velocisti. Ho parlato con Stuyven, che l’ha fatto l’anno scorso alle Olimpiadi. Mi ha detto che già con 90 corridori, la gara era abbastanza nervosetta. Immagino che fra tre settimane sarà anche più pericolosa, perché la strada è piccola e con 150 corridori a fine Tour ci sarà anche più tensione. Ci saranno sicuramente molti attacchi, sarà imprevedibile e penso che noi velocisti cercheremo di tenere la corsa più chiusa possibile e poi vedremo come andrà.

Milan ha chiuso il tricolore di Gorizia al settimo posto. Qui è con Velasco e Vendrame
Milan ha chiuso il tricolore di Gorizia al settimo posto. Qui è con Velasco
Al Delfinato abbiamo visto vari cambiamenti di ruolo nel tuo treno: sono soluzioni che si provano o si improvvisano?

Avete visto bene, sono cose che proviamo molto in allenamento. Cerchiamo di cambiare i ruoli ed è qualcosa che caratterizza il nostro treno. Se qualcuno sta male oppure ha avuto un problema deve potersi scambiare con chi sta meglio. Al Delfinato è successo che Simone (Consonni, ndr) aveva già fatto un grandissimo lavoro per riportarmi in gruppo e ha detto semplicemente di aver speso tanto. Così si è scambiato con Theuns, andando a fare il terzultimo uomo e curando il posizionamento per l’ultimo chilometro. Penso che questo sia un valore aggiunto per il mio gruppo.

Hai anche detto che ti è piaciuto aver corso il campionato italiano in Friuli: che cosa ti è parso della vittoria di Conca e di come è andata a finire?

Personalmente sono contento della mia performance. E’ stato un italiano difficile da gestire perché eravamo solamente in tre alla partenza (con Milan c’erano Consonni e Mosca, ndr). In ogni caso, Jacopo ha fatto un grandissimo lavoro, mi hanno supportato molto bene. Abbiamo cercato di fare il massimo, ma bisogna dire che c’è stato qualcun altro che ha fatto meglio di noi. Quando si vince, non è mai per caso. Questo lo dico sempre.

Belletta: la voglia di ripartire per amore del ciclismo

03.07.2025
4 min
Salva

DARFO BOARIO TERME – Sotto il gazebo, mentre aspetta la premiazione del campionato italiano, Dario Igor Belletta ha ritrovato il sorriso. La rabbia e la delusione del secondo posto vanno via presto. Vero, rimane la beffa di non aver vinto e di esserci andato davvero vicino, ma la soddisfazione di correre e di provare a vincere gli mancava da un po’ di tempo. Il resto lo ha fatto la voglia di non mollare, la Solme Olmo gli ha offerto un’occasione per ripartire e lui l’ha colta al volo. La vittoria che tanto cerca è sì per se stesso ma anche per coloro che lo hanno accolto quando tutto sembrava difficile. 

«Al Giro Next Gen – dice Belletta – stavo molto molto bene. Purtroppo non c’erano molte occasioni per corridori come me, ma ho cercato di fare del mio meglio. Sapevo di avere una condizione ottima, già alla cronometro di giovedì ho fatto i miei valori migliori. Sono arrivato a questo campionato italiano con la massima fiducia nei miei mezzi. Purtroppo a pochi metri dal traguardo il sogno tricolore è sfumato perché ci siamo guardati un secondo di troppo e Borgo è scappato via. Ci tenevo tanto a vincere, in particolare all’italiano, con la Solme Olmo dopo quello che è stato un periodo davvero difficile».

Il secondo posto dietro Borgo al campionato italiano per Belletta è un mix di emozioni dolci e amare
Il secondo posto dietro Borgo al campionato italiano per Belletta è un mix di emozioni dolci e amare
Che periodo è stato dopo l’addio alla Visma Lease a Bike?

Alla fine la vita è fatta di alti e bassi. Dopo questo inverno ho avuto un momento davvero basso. Però ora mi sento bene, so qual è il mio talento e quando lavori bene le cose si sistemano. 

Abbiamo parlato tanto della nazionale ma nella tua ripartenza c’è stata anche la mano della Solme Olmo…

Avendo cambiato squadra a stagione iniziata (Belletta è passato dalla Visma Lease a Bike Development, una continental, alla Solme Olmo, ndr) non potevo firmare con altre formazioni continental a causa del regolamento UCI. Quella di cercare una squadra di club è stata una scelta obbligata e la Solme Olmo mi ha accolto. Sono arrivato in quella che è la miglior squadra di club in Italia e mi hanno accolto benissimo. Li ringrazio davvero di cuore, come ringrazio Marino Amadori per avermi portato con la nazionale nelle due prove di Nations Cup. 

Belletta ha vinto la volata ma subito sul suo volto si è dipinta la delusione per l’occasione mancata (foto Sprint Cycling/Tommaso Pelegalli)
Belletta ha vinto la volata ma subito sul suo volto si è dipinta la delusione per l’occasione mancata (foto Sprint Cycling/Tommaso Pelegalli)
Com’è stato ripartire dopo quel momento di difficoltà?

Andare in bici mi piace, quindi sono ripartito da questo. Non sapevo nemmeno se sarei riuscito a correre prima dell’uno di agosto (data in cui i corridori sono liberi di cercare altre squadre, ndr) perché quando cambi squadra è tutto difficile. Sono ripartito dalla mia voglia di andare in bici, ci ho messo un po’ a ingranare però ora sono in ottima forma. 

E’ mancata forse la vittoria?

Sì, non sono riuscito a raccogliere quanto seminato, peccato ma ci sarà modo di riprovarci. Dopo il Trofeo Città di Brescia (corso ieri e terminato al quinto posto, ndr) e il Medio Brenta mi fermerò un attimo per recuperare.

Belletta è arrivato alla Solme Olmo e fine marzo con l’obiettivo di correre e la voglia di tornare a fare fatica
Belletta è arrivato alla Solme Olmo e fine marzo con l’obiettivo di correre e la voglia di tornare a fare fatica
Cosa hai provato nel rimettere il numero sulla schiena a inizio stagione?

Una bella emozione, mi piace correre in bici e dare il massimo in ogni gara, stare cinque ore in sella con il caldo e andare forte su tutti gli strappi. Siamo un po’ matti forse ma i ciclisti sono anche questo. 

Continuerai la stagione con la Solme Olmo?

Vediamo, loro mi hanno accolto e sono davvero grato per ciò che hanno fatto. Ho tante idee in testa, al momento voglio finire la prima parte di stagione e cercare di ottenere una vittoria per ripagarli della fiducia. Poi staccherò un attimo e capirò. 

Verso il Valle d’Aosta: meno estremo, più aperto. L’analisi di Belli

03.07.2025
5 min
Salva

La scorsa settimana è stato presentato il Giro della Valle d’Aosta (16-20 luglio), giunto alla sua 61ª edizione. Un grande evento nel capoluogo della Regione al quale ha presenziato anche Wladimir Belli, oggi commentatore tecnico per Eurosport e in passato corridore capace di salire sul podio del Giro della Valle in due occasioni, terzo nel 1990 e primo nel 1991 (in apertura foto Giro VdA).

Quello che ci è parso di notare è che si tratti di un’edizione meno dura rispetto agli ultimi anni. C’è una tappa veloce in avvio, una cronoscalata che è certamente impegnativa ma nel complesso riduce il dislivello. E soprattutto ci sono tre arrivi pedalabili, l’ultimo dei quali, quello di Cervinia, non è preceduto, come sempre accedeva in questi ultimi anni, dal Saint Pantaleon.

Attenzione, non vogliamo criticare: è semplicemente un’analisi. Magari potrebbe anche essere una scelta giusta ai fini dello spettacolo e del ventaglio di atleti per cui la corsa resta aperta. E con Wladimir Belli analizziamo proprio questi aspetti.

Wladimir Belli, Giro d'Italia 2003, Zoncolan
Belli (classe 1970) è stato professionista per 16 stagioni. Passò pro’ nelle fila della Lampre nel 1992
Wladimir Belli, Giro d'Italia 2003, Zoncolan
Belli (classe 1970) è stato professionista per 16 stagioni. Passò pro’ nelle fila della Lampre nel 1992
Wladimir, dunque, che Giro della Valle d’Aosta ti sembra?

Prima di tutto fatemi ringraziare patron Riccardo Moret, che mi ha invitato alla presentazione della gara. Sicuramente è un Giro della Valle diverso e un po’ meno duro. Non è impossibile rispetto ad altri anni, ma nel complesso le salite ci sono: 498 chilometri e oltre 11.000 metri di dislivello. Poi, per motivi legati anche alle località ospitanti, non si ha sempre carta bianca sulla scelta delle strade: bisogna fare di necessità virtù.

Chiaro…

La prima tappa è corta e per mezzi velocisti, la seconda è una cronoscalata la cui pendenza media è circa del 6 per cento: oggi con queste pendenze si parla di velocità prossime ai 30 all’ora. Per cui, sicuramente, chi va forte in salita emerge, ma uno che non perde troppo su una salita così pedalabile resta in lizza. Un discorso simile potrebbe valere anche per il Gran San Bernardo, che è una salita veloce, però lì le cose cambiano.

Perché?

Perché si va in quota. Vado a memoria, ma credo che sia, tra tutte le gare, anche quelle dei pro’, il secondo o terzo arrivo più elevato dell’anno (Qinghai Lake escluso, ndr). Al Giro d’Italia la Cima Coppi è stata ai 2.100 metri del Colle delle Finestre… E a quelle altitudini non per tutti è la stessa cosa. Non è facile. Alla fine, in tre giorni fanno lo stesso dislivello che c’era al Giro Next Gen.

Poi c’è Valsavarenche: il vero tappone. Ma ancora una volta la salita finale è lunga e veloce. Questo potrebbe inibire certi attacchi da parte degli scalatori puri?

Questo potrebbe essere vero, però prima ci sono altre salite per poter rendere la corsa dura anche su una salita non impossibile. E’ un giro sicuramente un po’ più aperto, e uno che pesa 68-70 chili è meno penalizzato. E poi, rispetto ai miei tempi, quando c’era la tappa finale facile, qui si finisce in quota. La fatica che si accumula può essere un altro elemento per fare la differenza. Sono ragazzi giovani e il recupero non è uguale per tutti, perché non tutti sono abituati a certe corse a tappe.

Anche i chilometri contano oppure ormai con alimentazione e preparazione è una cosa che incide poco?

Vi faccio un esempio sempre in termini di recupero. Tappone dell’Aprica del 1994, quello in cui Pantani diventò il Pirata. Tante salite in successione, 218 chilometri, restammo in bici per quasi 7 ore. Il giorno dopo altro tappone. I chilometri incidono, anche quelli dei giorni precedenti e anche se sono in pianura incidono. Perché se devi fare per tre giorni di seguito tanti chilometri significa che arrivi tardi in hotel e la mattina dopo parti presto: ti devi svegliare prima e questo alla lunga presenta il conto eccome.

C’è proprio meno tempo fisico per riposare, per scaricare la stanchezza e lo stress che contestualmente si accumula. E’ questo il senso?

Esatto, Nibali era un grande anche perché appena finita la tappa o le premiazioni, saliva sul bus e immediatamente dormiva. Altri invece erano lì che si logoravano già pensando al giorno dopo o facendo altro. Nel ciclismo ci sono moltissime variabili.

Jarno Widar è il campione uscente e dovrebbe essere al via anche in questa edizione
Jarno Widar è il campione uscente e dovrebbe essere al via anche in questa edizione
Per tre giorni si va oltre (o si sfiorano a Valsavaranche) i 2.000 metri: può essere una variabile che incide sul recupero?

No, mi spiego. Oggi i corridori giovani passano e sono subito performanti, perché hanno a disposizione internet e da qui una valanga di informazioni. Imparano prima e sono pronti su tutto. Poi magari da parte dei sudamericani c’è sicuramente una predisposizione, perché sono abituati, ma ai fini del recupero non credo possa incidere.

Rispetto ai tuoi tempi sono diversi i percorsi del Giro della Valle d’Aosta?

No, la Valle d’Aosta è quella. Grande fondovalle e poi, che tu giri a sinistra o che tu giri a destra, salite ce ne sono quante ne vuoi. Un aspetto che invece viene poco considerato è il vento. Nei fondovalle c’è sempre. All’epoca io telefonavo a qualcuno del posto che conoscevo per sapere come girava. Adesso lo sanno tutti: i direttori sportivi comunicano ogni dettaglio e questo incide sul modo di correre.

Ecco, questo era diverso?

Magari uno attaccava su una salita, prendeva due minuti e poi nel fondovalle restava lì. Adesso queste cose sono gestite diversamente. Prima serviva molto di più l’esperienza, anche intesa come conoscenza delle strade, perché le avevi già fatte. Sapevi che, se dovevi girare a destra, poi la strada si stringeva: quindi ti portavi avanti prima.

Il giorno della gloria di Conca. Il racconto di Gaffuri

03.07.2025
5 min
Salva

Sono passati quattro giorni dalla vittoria di Filippo Conca ai campionati italiani ma la sua eco non accenna spegnersi. E ancora se ne parlerà a lungo, perché la vittoria di un dilettante (senza nulla togliere al campione tricolore e al suo importante passato da pro’) non è certo cosa da tutti i giorni. La sua figura e quella dello Swatt Club sono state passate al microscopio da media e addetti ai lavori, poco però ci si è soffermati su come si è arrivati a quel clamoroso risultato, su che cosa hanno fatto i ragazzi del team per stravolgere ogni pronostico. A cominciare da Mattia Gaffuri.

Torniamo allora a quel weekend per saperne un po’ di più, per scavare nelle azioni ma prima ancora nelle speranze della squadra e soprattutto di colui che a detta di tutti è il principale artefice della vittoria di Conca, perché la collaborazione che nel finale gli ha dato Gaffuri è stata probabilmente decisiva.

Conca è lanciato verso la vittoria, Gaffuri guarda da dietro dopo aver lanciato lo sprint del compagno
Conca è lanciato verso la vittoria, Gaffuri guarda da dietro dopo aver lanciato lo sprint del compagno
Partiamo dalla vigilia, si era partiti verso Trieste con quali ambizioni?

Filippo aveva delle aspettative molto alte perché lui aveva puntato tutto su questa gara, non essendo parte del team strada, ma essendosi prevalentemente dedicato al gravel. Voleva ottenere un risultato importante. Noi del team non avevamo le stesse certezze. Non avevamo mai gareggiato con le WorldTour e quindi non sapevamo bene cosa aspettarci. Io andavo con l’idea di stare davanti il più possibile, magari farmi notare un po’, ma non pensavo a un epilogo del genere.

Che cosa vi eravate detti alla vigilia, che strategia avevate pensato?

Il diesse Brambilla si era raccomandato di mettere qualcuno nella fuga iniziale, di farci vedere. Agli altri di stare tranquilli, pensando che l’Astana con 10 uomini avrebbe controllato la corsa.  Poi nel circuito finale dovevamo stare davanti. Su un circuito del genere succede tutto molto in fretta perché si entra con già 170 chilometri nelle gambe. Alla prima tornata forte già siamo rimasti praticamente 10 a giocarci la corsa, quindi non c’è stata molta tattica.

Il neocampione italiano è a terra, tra fatica e incredulità, Mattia è davanti, felice per l’impresa
Il neocampione italiano è a terra, tra fatica e incredulità, Mattia è davanti, felice per l’impresa
Quando vi siete svegliati e avete visto che clima c’era, che considerazioni avete fatto?

Sapevamo che sarebbe stata una giornata caldissima come era stata già tutta la settimana, quindi abbiamo fatto tutto il possibile in allenamento per adattarci. Sicuramente quello è stato fondamentale perché comunque nella gara non abbiamo mai visto temperature sotto i 38 gradi, quindi era importante cercare di prendere più acqua possibile dalla macchina, dai rifornimenti.

Quando vi siete accorti che la corsa stava prendendo la piega che poi ha preso e quindi mancava quel controllo previsto?

Personalmente quello che mi ha fatto suonare un po’ il campanello d’allarme è stato quando a circa 70 chilometri dall’arrivo hanno iniziato a muoversi nomi grossi come Bettiol e Ulissi. Se i nomi grossi si muovono così da lontano o fanno un’azione che decide subito la corsa, oppure è una mossa che significa che non hanno grandi gambe e sperano in uno sviluppo diverso. Ho capito che c’era probabilmente molta più stanchezza rispetto a quella che io mi aspettavo.

Gaffuri aveva compiuto un’impresa all’ultimo giro riagguantando il quartetto in fuga (foto Michele Palvarini)
Gaffuri aveva compiuto un’impresa all’ultimo giro riagguantando il quartetto in fuga (foto Michele Palvarini)
Davanti c’era Conca con pochissimi corridori e tu dietro. Cosa ti è scattato nella mente per andare a riprenderli?

La salita dove si faceva la selezione era molto breve, sui due minuti. In tutte le tornate facevo sempre fatica a seguire le accelerazioni dei corridori più esplosivi, come Aleotti, ma dopo la cima c’era un po’ di falsopiano, dove riuscivo sempre a ricucire senza problemi. Quindi anche quel giro ho perso metri, ma ero abbastanza fiducioso che sarei riuscito a rientrare. C’era qualche curva tecnica, ma per la maggior parte bisognava spingere. Quindi nel momento in cui mi sono staccato non sono andato in panico, ma sapevo che sarei potuto rientrare perché solitamente davanti ci si controlla e non si spinge subito, c’era spazio per riagganciarsi.

Quando sei rientrato hai parlato con Filippo?

No, anche perché è stata una fase molto concitata. Venendo da dietro potevo provare il colpo a sorpresa, ma era un rettilineo molto lungo e mi hanno visto arrivare. A quel punto un attacco lì sarebbe stato più che altro inutile e ci avrebbe fatto fermare perché poi ci saremmo aperti sulla strada, facendo rientrare Milan che era molto vicino. In quel momento la cosa più intelligente da fare mi è sembrata quella di andare davanti, tirare per Conca perché ero sicuro che quantomeno il podio lo prendeva.

Le maglie bianche dello Swatt Club hanno caratterizzato la corsa esaltando i tanti supporter presenti (foto Michele Palvarini)
Le maglie bianche dello Swatt Club hanno caratterizzato la corsa esaltando i tanti supporter presenti (foto Michele Palvarini)
E cosa hai pensato quando hai visto che ha vinto lui, hai sentito che fosse anche un po’ tua quella vittoria?

Sicuramente sono contento di aver contribuito e penso che come squadra siamo stati i più rappresentati davanti in tutte le fasi della corsa. Quindi non penso ci sia il dubbio che la squadra non abbia meritato. Alla fine ero anch’io incredulo del fatto che fossimo davanti a fare la corsa in un campionato italiano. Forse ancora adesso faccio fatica a realizzare quello che è successo…

Tu hai chiuso due volte secondo al concorso Zwift, hai inseguito tanto il ciclismo professionistico, pensi che adesso personalmente verrai visto in maniera un po’ diversa?

Io spero di sì, perché credo di aver dimostrato non solo in questa gara, ma anche in tutte le altre gare che ho fatto durante l’anno di esserci. Ho fatto diversi piazzamenti nel calendario UCI. Penso di aver dimostrato di meritare un posto. Il campionato italiano è una corsa a sé, questo è notorio, ma credo che ora sia chiaro che su di me si può investire.

I velocisti al Tour? Per Malucelli è una lotta a tre

03.07.2025
5 min
Salva

«Jonathan Milan, Jasper Philipsen e Tim Merlier – ci dice Matteo Malucelli appena accenniamo all’argomento della chiamata – sono i tre velocisti più forti al Tour de France. Le sette volate previste se le spartiranno loro».

La Grande Boucle, che partirà da Lille sabato 5 luglio, non sarà solamente l’ennesimo banco di sfida tra Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard. Il Tour de France è la corsa a tappe più importante al mondo e di conseguenza diventa il palcoscenico sul quale ammirare i migliori ciclisti al mondo, qualsiasi siano le loro caratteristiche tecniche. 

secondo Malucelli la vittoria di tappa del Delfinato è un segnale molto positivo per Milan
secondo Malucelli la vittoria di tappa del Delfinato è un segnale molto positivo per Milan

Milan e la forza del team

Partiamo parlando di Jonathan Milan. Il velocista della Lidl-Trek arriva al Tour de France per la prima volta nella sua carriera. Un avvicinamento curato nei minimi dettagli e forte delle buone risposte arrivate dal Giro del Delfinato. Malucelli e Milan si sono incrociati al campionato italiano: vero che lui come tutti gli altri si è fatto mettere nel sacco da Conca e dalla Swatt Club, ma i segnali visti sono positivi. 

«Milan sta andando fortissimo – prosegue Malucelli – al Delfinato non è arrivato in una super condizione e ha fatto fatica. Però è stato giusto così, in una gara del genere non devi presentarti al 100 per cento. Anzi, meglio arrivare con qualcosa da migliorare. In altura ha lavorato tanto quindi ha perso qualcosa nello sprint secco e una corsa come il Giro del Delfinato serve per ritrovare la giusta brillantezza. Ha vinto una tappa e questo è un ottimo segnale. Vero che nella quinta è stato battuto, però dopo tanti chilometri e molti metri di dislivello ci sta. Domenica l’ho visto in azione all’italiano, dopo 230 chilometri aveva ancora gambe e stava molto bene».

«Se avesse avuto la squadra – dice ancora – avrebbe vinto il campionato italiano. Al Tour, Milan si presenta con la formazione più forte: Theuns, Stuyven e Consonni sono affiatati e lavorano benissimo insieme».

Merlier ha dimostrato di poter battere Milan anche in rimonta, come fatto al UAE Tour e alla Gent-Wevelgem
Merlier ha dimostrato di poter battere Milan anche in rimonta, come fatto al UAE Tour e alla Gent-Wevelgem

Merlier, il più forte

Tim Merlier sarà l’uomo veloce della Soudal Quick-Step. La formazione belga si schiererà però a favore di Remco Evenepoel con l’intento di lottare per la classifica generale. Il campione europeo in carica e il nostro Milan si sono scontrati poche volte quest’anno spartendosi però le vittorie in palio. 

«Penso che Merlier – racconta Malucelli – sia il più forte dei tre nomi citati. Lo confermano i numeri e la maglia di campione europeo che porta addosso. Tuttavia al Tour si presenta con una squadra votata ad altri obiettivi. Per vincere dovrà correre sulla ruota di Milan e del treno della Lidl-Trek, facile a dirsi ma molto più difficile a farsi. Tutti vorranno incollarsi al team più forte, anche lo stesso Philipsen.

«L’unico che può battere Milan in un testa a testa è Merlier. Il belga ha la forza per superare Jonathan anche quando è lanciato alla massima velocità. lo ha dimostrato diverse volte. Però senza il supporto dei compagni è difficile arrivare posizionati bene in una volata del Tour de France. Alla lunga questo fattore potrebbe incidere». 

Philipsen e il fattore VDP

Il terzo nome fatto da Matteo Malucelli è quello di Jasper Philipsen, l’unico dei tre ad aver vinto la maglia verde al Tour de France (era il 2023, ndr) e uno sprinter forte. Tuttavia questa stagione non ha sorriso molto al belga della Alpecin-Decuninck che ha conquistato due sole vittorie fino ad adesso. 

«Sicuramente la caduta alla Nokere Koerse – analizza “Malu” – non gli ha fatto bene e ha compromesso la Sanremo e le prime Classiche e semi classiche di primavera. Poi ha raccolto qualcosa, ma non ha brillato. Lui però è uno che al Tour ci arriva sempre pronto e i risultati del Baloise Belgium Tour e del campionato nazionale testimoniano una buona condizione. Lo metto comunque un attimo sotto gli altri due, però dalla sua parte gioca il fattore Van Der Poel. Quando il tuo ultimo uomo è un corridore del genere hai un qualcosa dalla tua parte che gli altri difficilmente possono avere.

«A livello tecnico – conclude Malucelli – Philipsen non ha la forza per superare Milan una volta lanciato, deve sorprenderlo. Lo può fare in un modo solo, a mio avviso, ovvero mettendosi alla ruota di Van Der Poel alle spalle del treno della Lidl-Trek. Ai 300 metri dal traguardo VDP apre il gas e anticipa, in questo modo Milan deve uscire allo scoperto e prendere vento. Ai 150 metri Philipsen lancia la volata e rimane in testa».

Malucelli ha escluso altri velocisti dalla lotta per gli sprint, anche il vincitore della maglia verde lo scorso anno Biniam Girmay
Malucelli ha escluso altri velocisti dalla lotta per gli sprint, anche il vincitore della maglia verde lo scorso anno Biniam Girmay

Tutto equilibrato

«La cosa bella – dice infine Malucelli – è che tutti e tre sono molto forti ma non c’è il velocista capace di annientare la concorrenza. Tutti hanno delle caratteristiche di forza e delle “debolezze” che gli altri possono sfruttare. Non vedo l’ora di guardarli in azione. E a Parigi per me si arriva in volata! E’ una regola non scritta del Tour». 

Lenny Martinez e il secondo Tour per tappe e pois

03.07.2025
6 min
Salva

Il secondo Tour di Martinez inizia con una conferenza stampa in francese, singolare eccezione all’inglese di tutte le altre. Il figlio di Miguel e nipote di Mariano è di ottimo umore: la vittoria dell’ultima tappa al Delfinato gli ha restituito la convinzione di aver lavorato bene. Lenny si è calato con entusiasmo nel nuovo corso alla Bahrain Victorious e soppesa ogni parola, consapevole che ogni dichiarazione troppo audace gli si ritorcerebbe contro come un boomerang. 

«E’ vero che ho avuto parecchie giornate complicate negli ultimi tempi – ha detto – tranne l’ultima tappa sul Moncenisio, in cui sono andato piuttosto bene. Mi sono ripreso, ci siamo ripresi con tutta la squadra. E penso di essere pronto e in buona forma per il Tour. Prima di tutto, si tratterà di puntare alle tappe. So che se riesco a vincerne una, forse potrei guadagnare punti per la maglia a pois. Per ora, non c’è l’idea della classifica generale».

Sebbene sia francese, con tutte le implicazioni campanilistiche del caso, averlo visto vincere al Giro della Lunigiana e averlo seguito da allora passo dopo passo fa di lui un beniamino anche da queste parti. Il ragazzo è genuino ed entusiasta: un piacere seguirlo nei suoi progressi.

Delfinato 2025, Martinez conquista l’ultima tappa a Plateau du Mont Cenis
Delfinato 2025, Martinez conquista l’ultima tappa a Plateau du Mont Cenis
Il secondo Tour a 21 anni…

Mi sento ancora giovanissimo, ma so anche di aver fatto molti progressi. Sto migliorando ogni anno, credo di stare al passo con i miei progressi. Abbiamo anche cambiato molte cose in allenamento. Con il mio nuovo allenatore (Loic Segaert, fratello di Alec, ndr) ho lavorato molto sulla capacità di correre in modo aggressivo. E poi penso di essermi giovato del cambio di squadra. Avevo bisogno di un nuovo ambiente e di essere in una squadra internazionale con compagni di tutte le nazionalità. Penso che sia motivante, mi piace il cambiamento e penso che mi abbia fatto bene.

I francesi si aspettano altro da te…

Ma penso che puntare alle tappe sarà altrettanto soddisfacente. Meglio vincerne una che finire tra i primi 10 della classifica generale. So che in futuro cercherò di concentrarmi di più sulla classifica, ma per ora mi sto divertendo molto lottando per le tappe.

Che cosa significa essersi allenato per correre in modo aggressivo?

Ho lavorato sui cambi di ritmo e gli scatti. L’idea è stata del mio allenatore. Penso che abbia visto i miei dati di allenamento su Training Peaks, si è reso conto della mia capacità di fare sforzi brevi e si è concentrato molto su quello. In realtà, ho anche la capacità di affrontare salite lunghe, ma a lui deve essere parso più interessante lavorare su questo. Credo che abbia avuto un’intuizione importante, è la differenza che mi fa vincere quando arrivo in un piccolo gruppo. E’ il tipo di situazione in cui mi sento più sicuro e in cui mi diverto.

Martinez è migliorato nelle salite lunghe, ma ha lavorato soprattutto sulle più brevi
Martinez è migliorato nelle salite lunghe, ma ha lavorato soprattutto sulle più brevi
Hai già adocchiato delle tappe?

Parecchie, certo. Mi piace la tappa del Mur de Bretagne (la settima, ndr), per esempio. Mi piace anche quella del Mont Ventoux (numero 16, ndr) e quella che termina a le Mont d’Ore (tappa numero 10, ndr). Ci sono molte tappe che vorrei vincere, ma vanno bene tutte. Vincere sarebbe il massimo.

Con Lenny Martinez proiettato sulle tappe, alla classifica chi pensa?

Santiago Buitrago. E’ un corridore molto importante, che è leader di questa squadra da molto tempo. E’ anche più grande di me (25 anni del colombiano, contro i 21 di Martinez, ndr) e mi aiuta. Penso sia positivo avere qualcuno che ci guidi. Avere un leader un po’ più grande con più esperienza mi permette di concentrarmi sulla possibilità di crescere e diventare un giorno un leader anche io. Se potessi aiutarlo in montagna, sarebbe fantastico.

Ci saranno dei giorni in cui rinuncerai ad entrare in fuga?

Onestamente, non si sa mai se la fuga andrà e fino a dove. Se prendo l’esempio del Delfinato, dove ho vinto la tappa proprio attaccando da lontano, ero convinto che mi avrebbero ripreso. Ho guadagnato un massimo di due minuti e alla fine sono arrivati molto vicini. E’ stata una vera e propria lotta, penso che bisogna anche essere fortunati. Deve essere un gruppo abbastanza numeroso, con tanti corridori forti. Solo così si può andare avanti e guadagnare. Per cui posso solo dire che entrerò nella fuga e poi vedremo. Se veniamo ripresi, veniamo ripresi. Altrimenti si andrà all’arrivo.

La popolarità di Martinez, 21 anni, è in crescita verticale fra il pubblico francese
La popolarità di Martinez, 21 anni, è in crescita verticale fra il pubblico francese
Pensi che ti proverai accanto ai più forti in qualche tappa di montagna?

Sarà da vedere. Magari riuscirò a resistere, perché pur essendo molto lontano dal poter vincere il Tour, riuscirò a correre senza avere grosse pressioni. So da me che se un giorno mi avvicinerò al livello che serve, forse inizierò a sentire la pressione, ma per ora va bene.

Il fatto di non correre più in una squadra francese cambia le cose per te?

Ho molta meno pressione rispetto all’anno scorso e allo stesso tempo, avendo fatto già il Tour, ora so cosa aspettarmi. E’ sicuramente una prova molto importante, ma è pur sempre una gara ciclistica. Non sarà cinque volte più veloce delle altre gare e averlo visto mi ha tolto di dosso un po’ di pressione. Inoltre, la preparazione è stata diversa. Ho fatto molti più ritiri in altura e abbiamo fatto persino un ritocco nell’allenamento dedicato al Tour. Quindi, secondo me, la mia forma sarà completamente diversa e sarà completamente un altro Tour rispetto all’anno scorso.

Perché eri così nervoso lo scorso anno?

Perché un sacco di gente parlava dicendomi che sarebbe stato terribile. Prendevano ad esempio le gare minori in cui si andava a tutta dalla partenza all’arrivo, dicendo che al Tour è così ogni giorno. Alla fine, non è vero. Certo, è veloce, ma molto meno di quel che temevo. Mentre sarà davvero un Tour caldo e il caldo è sempre un problema quando si pratica uno sport all’aperto e penso anche che questo diminuisca le nostre prestazioni. E’ difficile arrivare al proprio meglio, ma se non altro è lo stesso per tutti. Siamo fortunati, grazie al nostro staff, ad avere un sacco di ghiaccio e tante borracce fredde per tutta la gara. Questo semplifica davvero le cose, più che in allenamento dove non abbiamo tutta questa attrezzatura. Sicuramente però è sempre difficile pedalare in mezzo a un’ondata di caldo.

Duello tiratissimo con Almeida al Romandia: primo e secondo. Entrambi saranno ora al Tour
Duello tiratissimo con Almeida al Romandia: primo e secondo. Entrambi saranno ora al Tour
Che Tour immagini?

Due anni fa feci la Vuelta e con il caldo andavo bene. Sicuramente Pogacar al Delfinato ha dimostrato di essere davvero forte, meglio di Vingegaard. Il Tour non è il Delfinato, potrebbe essere tutto diverso. Ma in ogni caso spero che ci sia una bella battaglia tra loro due e che vinca il più forte. Sappiamo che è difficile batterli entrambi, come sappiamo che ci siano parecchi corridori che arrivano direttamente dal ritiro e non hanno corso il Delfinato. Io non sono mai stato così in alto, ma devo migliorare ancora. Anche Pogacar continua a migliorare più velocemente di tutti noi, quindi è sempre complicato tenergli testa. Per cui penso che sia solo questione di recuperare bene e compensare bene. E poi si tratterà solo di divertirsi. Non vedo l’ora di cominciare…

Come fanno i corridori vegani? L’esperienza di Adam Hansen

02.07.2025
6 min
Salva

E’ davvero possibile per uno sportivo (e ancor più per un atleta d’elite) seguire una dieta completamente vegetale senza compromettere la propria performance e il proprio benessere? Per rispondere, abbiamo intervistato Adam Hansen, attuale presidente del CPA, ex ciclista professionista e detentore del record di partecipazioni consecutive ai Grandi Giri (Giro, Tour e Vuelta), tutti conclusi regolarmente. Hansen, che nella foto di apertura è con Vittoria Bussi, ha condiviso con noi il suo percorso verso una dieta vegana, vissuto non come scelta ideologica, ma come strumento per ottimizzare le prestazioni sportive.

«Diventare vegano – racconta Hansen – non era il mio obiettivo iniziale. Volevo semplicemente migliorare le analisi del sangue, convinto che un sangue in condizioni ottimali mi avrebbe permesso di ottenere il massimo anche in gara. Così ho iniziato a studiare, includendo ed escludendo alcuni alimenti, finché un giorno mi sono accorto che la mia dieta era diventata vegana».

Adam Hansen, australiano di 44 anni, è stato pro’ dal 2007 al 2023. E’ l’attuale presidente del CPA
Adam Hansen, australiano di 44 anni, è stato pro’ dal 2007 al 2023. E’ l’attuale presidente del CPA

Latticini, poi carne, uova e pesce

La prima spinta al cambiamento, in realtà, risale a quando aveva 17 anni. «Frequentavo una ragazza vegana che mi convinse a smettere di consumare latticini. In seguito ne sono diventato intollerante e, riflettendoci, non riuscivo a trovare un motivo per cui dovremmo bere proprio il latte di mucca e non di un altro animale. Credo sia una cosa culturale, perché altrimenti troverei l’idea di bere latte di gatto disgustosa?»

Durante gli anni da professionista, Hansen aveva già escluso i latticini, pur continuando a consumare salmone, occasionalmente anatra e molte uova. E’ intorno ai 33-34 anni che la sua alimentazione si è orientata in modo definitivo verso il veganismo. Un passaggio, spiega, tutt’altro che complicato. «La transizione è stata facile, perché i latticini erano già fuori dalla mia dieta. Ho solo eliminato carne e uova, anche se questa è stata la parte più difficile. Nessuno mi ha realmente aiutato. Molti nutrizionisti tendono a essere di parte, così ho preferito studiare e monitorare i parametri del mio sangue, adattando la dieta per migliorare i valori uno alla volta. Gli ultimi alimenti che ho eliminato sono stati i frutti di mare e i bastoncini di granchio, perché continuavo ad avere valori ematici di mercurio troppo alti».

Il latte di mucca è stato uno dei primi alimenti eliminati da Hansen, seguito ovviamente dai latticini (depositphotos.com)
Il latte di mucca è stato uno dei primi alimenti eliminati da Hansen, seguito ovviamente dai latticini (depositphotos.com)

I benefici del digiuno

Anche nei periodi più intensi della sua carriera, Hansen non ha mai aumentato in modo rilevante l’apporto proteico. «Avevamo uno sponsor di nutrizione che ci forniva integratori di proteine vegetali da piselli, riso e soia, scientificamente bilanciati. Dopo l’allenamento o la gara assumevo carboidrati per stimolare l’insulina e poi, 30-40 minuti più tardi, prendevo le proteine. Nella mia dieta quotidiana c’erano sempre insalate miste molto ricche, con una grande varietà di verdure, semi e legumi. Così non ho mai avuto carenze.»

In trasferta o durante i giri, la gestione della dieta vegana può sembrare difficile ma non per Adam. «Credo molto nei benefici del digiuno – spiega – quindi durante i viaggi o nei giorni di riposo digiunavo. Questo stimola l’ormone della crescita, utile anche negli allenamenti di forza, e mi aiutava a rimanere magro, cosa vantaggiosa nel ciclismo. Non ho mai vissuto il viaggiare da vegano come una difficoltà».

Nella dieta di Hansen c’erano insalate miste molto ricche, con una grande varietà di verdure, semi e legumi (depositphotos.com)
Nella dieta di Hansen c’erano insalate miste molto ricche, con una grande varietà di verdure, semi e legumi (depositphotos.com)

Integratori? No, grazie

Anche sull’uso degli integratori, la sua esperienza è piuttosto atipica: «Sono sempre stato molto incostante. Non ho preso vitamina B12 quando correvo e tantomeno oggi, ma non ho mai avuto carenze. Anche se so che non va bene, ero convinto che le patate dolci che mangiavo con la pelle e le verdure, sciacquandole velocemente sotto l’acqua ma senza lavarle propriamente, fossero sufficienti, perché la vitamina B12 è nel suolo. L’unico integratore davvero utile per me sono stati gli amminoacidi BCAA, fondamentali per il recupero muscolare».

Hansen diventa vegano intorno al 2011. Nel 2014 vince alla Vuelta la tappa di Cangas do Morrazo
Hansen diventa vegano intorno al 2011. Nel 2014 vince alla Vuelta la tappa di Cangas do Morrazo

Alcune precauzioni da adottare

Tuttavia da biologa, è necessario fare un paio di considerazioni. Anzitutto verificare la provenienza delle verdure è essenziale per capire se consumare anche la buccia o la pelle dei vegetali. L’origine biologica, senza residui di fertilizzanti e altri contaminanti vari, è senz’altro consigliabile.

Un altro punto importantissimo è la sicurezza alimentare dal punto di vista igienico. La frutta e la verdura vanno sempre lavate bene per evitare contaminazioni alimentari, infezioni batteriche e intossicazioni da metalli pesanti.

Terzo punto, e non per importanza, è che una dieta salutare, varia e a base di vegetali, rafforza il microbiota intestinale aumentandone la biodiversità di specie batteriche. Questi micro organismi che vivono nel nostro intestino, svolgono importantissime funzioni per il benessere tra cui l’assorbimento e la sintesi di alcune vitamine. Il fatto che Adam non abbia la necessità di integrare può essere quindi legato a un’ottima flora batterica. Se però state seguendo una dieta vegana o la volete intraprendere, rivolgetevi a un professionista della nutrizione che vi possa aiutare nella valutazione del vostro fabbisogno e nel bilanciamento della dieta.

I carboidrati di qualità sono vegani: qui l’Isocarb di Enervit in dotazione a Lidl-Trek e UAE Emirates (foto Dankingphoto Lidl-Trek)
I carboidrati di qualità sono vegani: qui l’Isocarb di Enervit in dotazione a Lidl-Trek e UAE Emirates (foto Dankingphoto Lidl-Trek)

I carboidrati sono vegani

Quanto ai rifornimenti durante gli allenamenti, Adam è categorico: «Non capisco perché molti credano sia un problema. Oggi i ciclisti assumono circa 120 grammi di carboidrati all’ora e tutti i prodotti tecnici usati durante l’attività sportiva sono vegani. Se non lo sono, non sono di qualità. Io sono stato tra i primi a usare molti gel durante le gare. I grassi e le proteine non servono durante lo sforzo: serve energia rapida e quella arriva dai carboidrati, che sono sempre vegani».

Anche la colazione pre-allenamento non è un problema per chi è vegano, rientrando nella logica dell’efficienza. «La colazione perfetta è quella che fanno tutti gli atleti: ricca di carboidrati, come nel caso del porridge di avena. Le proteine e i grassi rallentano la digestione e l’assorbimento degli zuccheri. Il mio consiglio è per tutti di consumare un pasto vegano prima di allenarsi, evitando alimenti come uova, prosciutto o formaggio».

Per anni si è creduto che la carne rossa fosse il solo modo di integrare proteine e ferro
Per anni si è creduto che la carne rossa fosse il solo modo di integrare proteine e ferro

La carne non dà energia

Rivalutando la sua scelta alimentare, Adam non ha rimpianti particolari. «Non mi manca nessun alimento, ci sono alternative valide per tutto. L’unica cosa che potrei dire è che mangiare vegano significa dedicare più tempo alla cucina, preparare cibi freschi e limitare il ricorso a prodotti processati, spesso offerti anche nei ristoranti».

A chi ancora dubita che una dieta vegana possa sostenere le prestazioni di uno sportivo, Hansen risponde senza esitazioni. «E’ una delle affermazioni più stupide che abbia mai sentito – dice – c’è questa idea sbagliata che i vegani siano tutti magri e senza muscoli. Ma dobbiamo chiarire che la cosa che migliora maggiormente la performance sono i carboidrati, ovvero la benzina preferita dal nostro corpo. La carne non è energia. Per il recupero bastano proteine in polvere, che tra l’altro sono più facili da digerire. Inoltre, un consumo eccessivo di carne può aumentare il rischio di cancro. Quindi, non capisco davvero perché si dovrebbe credere che si perde forza in bici: seguendo una dieta vegana, i carboidrati non mancano mai».

Da Vetralla arriva Carosi, tricolore non per caso

02.07.2025
5 min
Salva

Pochi, prima della partenza del campionato italiano juniores, avrebbero scommesso sul nome di Vincenzo Carosi, eppure i segnali che il laziale della Work Service Coratti potesse essere un candidato alla vittoria c’erano, considerando che aveva collezionato ben 8 Top 10 nella stagione e che le caratteristiche del percorso tricolore sembravano sposarsi perfettamente con le sue capacità. Ma Carosi si era ritirato al GP Baron e questo lasciava credere che la forma non fosse dei giorni migliori, invece…

La vittoria di Carosi riporta in auge il ciclismo laziale, rimasto un po’ ai margini nelle ultime stagioni dopo essere stato sempre presente nel ciclismo professionistico. La storia del neocampione italiano è molto simile a quella di tanti suoi coetanei.

Lo sprint di Carosi mette in fila il meglio del settore. Alle sue spalle Patrik Pezzo Rosola e Michele Pascarella (foto FCI)
Lo sprint di Carosi mette in fila il meglio del settore. Alle sue spalle Patrik Pezzo Rosola e Michele Pascarella (foto FCI)

«Io vengo da Vetralla, un paesino della provincia di Viterbo e ho cominciato ad andare in bici seguendo le orme dei miei fratelli. Ho iniziato dal fuoristrada, con ciclocross e soprattutto mtb, poi da allievo ho cominciato ad andare anche su strada. Da junior è diventata la mia attività principale, praticamente mi ci dedico a tempo pieno solo da quest’anno».

Come ti sei trovato in quest’ambiente?

Avevo un amico delle mie parti che faceva già parte della squadra, sapevo che era nata dalla fusione di un grande team con uno dei principali del panorama laziale. Si è sempre trovato bene, mi ha consigliato lui al presidente e ai dirigenti e appena li ho conosciuti ho capito che era il team giusto. Non ho neanche guardato proposte di altre squadre, avevo trovato quella giusta per crescere.

Fino allo scorso anno il laziale si dedicava soprattutto alla mountain bike e al cross (foto Billiani)
Fino allo scorso anno il laziale si dedicava soprattutto alla mountain bike e al cross (foto Billiani)
Prima del campionato italiano, com’era stata la tua stagione?

E’ stata dura, è un mondo diverso, già molto professionale. Ma mi sono adattato in fretta e sono riuscito a togliermi molte soddisfazioni, mi mancava solo la vittoria ed è arrivata nell’occasione più importante, ma visto com’ero andato sapevo che era abbastanza matura, bisognava trovare solo l’occasione giusta.

Ma che potessi diventare campione italiano lo avevi messo in preventivo?

Io ero partito con quell’idea, alla vigilia con il direttore sportivo ne avevamo parlato, bisognava solo che la corsa si mettesse nella giusta situazione. Infatti speravamo che nascesse una fuga numerosa in cui ci fossero tutte le regioni più importanti, in modo tale che il gruppo lasciasse andare. E io sono riuscito ad entrarci dentro, poi in volata ho fatto il mio.

Già da allievo il viterbese si era distinto correndo per la Borgo Molino (foto Instagram)
Già da allievo il viterbese si era distinto correndo per la Borgo Molino (foto Instagram)
Con la tua vittoria hai un po’ rilanciato anche l’immagine del ciclismo laziale. Com’è la situazione nella tua regione?

Il ciclismo laziale adesso si sta un po’ riprendendo rispetto agli anni precedenti. Adesso c’è un bel vivaio di allievi che vanno davvero forte, credo che dai prossimi anni il Lazio si farà vedere di più nel panorama nazionale. Magari la mia vittoria darà anche un’ulteriore spinta, soprattutto ai team che sono delle nostre parti, non proprio l’epicentro dell’attività nazionale.

Che caratteristiche hai da corridore?

Sono abbastanza completo perché non mi definisco uno scalatore puro, però le salite le riesco a reggere bene e in volata sono abbastanza veloce. Anche in pianura riesco a spingere un buon rapporto, i numeri dicono che ho un buon motore, infatti mi adatto bene a qualsiasi tipo di percorso.

In evidenza al Giro d’Abruzzo, il rider della Work Service Coratti pare adatto alle corse a tappe (foto Instagram)
In evidenza al Giro d’Abruzzo, il rider della Work Service Coratti pare adatto alle corse a tappe (foto Instagram)
Quindi preferisci le corse in linea o a tappe? E’ chiaro che ne hai fatte ancora poche essendo tu al primo anno, però come ti trovi nelle gare di più giorni?

Al Giro d’Abruzzo dove ho colto un quinto posto nella generale e la maglia bianca di miglior giovane mi ero trovato molto bene, ho anche centrato un podio di tappa. Poi il GP Baron e il Valdera sono stati più sfortunati, non sono riuscito a finirli, eppure credo di avere buone doti di recupero. Per ora comunque preferisco le gare singole. Le gare a tappe però mi stanno facendo scoprire delle caratteristiche che di me che non conoscevo ancora.

Tu sei al primo anno junior, adesso hai la maglia tricolore indosso e quindi hai anche l’attenzione di tanti grandi team che magari vogliono puntare su di te. Sarebbe un po’ presto pensare a cambiare squadra, puntare a qualche formazione filiera di un team internazionale?

Per ora non voglio pensarci, cerco di correre il più serenamente possibile, anche perché indossare la maglia tricolore è una grande soddisfazione, ma anche un grande peso, grande responsabilità. Per ora, essendo al primo anno, cerco da correre ancora spensieratamente. Se poi arrivasse qualche chiamata importante la valuterò con la mia famiglia. Ma io mi trovo benissimo con il mio team, mi danno tutto e non ho ragioni per cambiare.

A scuola hai un supporto?

Sì, faccio il liceo scientifico a Vetralla, nell’ambito del progetto studente-atleta, i professori sono molto comprensivi. Così riesco a conciliare bene le due cose.

La maglia tricolore è una grande responsabilità, ora per Carosi viene il difficile…
La maglia tricolore è una grande responsabilità, ora per Carosi viene il difficile…
Fai solo strada ora?

Sì e devo dire purtroppo, ma la stagione della mountain bike si accavalla completamente con quella della strada, è praticamente impossibile farle convivere. Mi piacerebbe fare ciclocross d’inverno, valuteremo più avanti se sarà possibile. Io comunque porto con me quelle esperienze offroad, infatti la gara che più sogno è la Roubaix dove penso che potrei esprimere al meglio le mie potenzialità.

Ora però viene il difficile, nel gruppo non sei più uno sconosciuto…

Per questo dicevo che questa maglia è anche un peso. Ora i corridori mi guardano in maniera diversa. Quando provo a muovermi o attaccare è sempre difficile andare via perché non mi lasciano tanto spazio, ma sta a me adattarmi, no?