La porta in faccia ha un suono terribile. Filippo Conca lo conosce bene, anche se alcuni di quelli che l’hanno rifiutato alla fine del 2024 domenica a Gorizia gli hanno stretto la mano dopo la vittoria inattesa nel campionato italiano.
Filippo è del 1998 come Pogacar e l’abbiamo incontrato per la prima volta nel 2019, quando chiuse al quinto posto il Giro d’Italia U23 alle spalle del vincitore colombiano Andres Camilo Ardila. Appena davanti, al quarto posto, chiuse Alessandro Covi, che domenica lo ha seguito sul podio di Gorizia. Il suo percorso da quei giorni è stato pieno di segnali e sfortune. Doveva passare con Savio all’Androni, preferì la Lotto. Poi prese il Covid nella forma peggiore, ebbe tendiniti, cadute e problemi al soprassella che gli hanno impedito di avere continuità. La grinta mostrata domenica per vincere il tricolore, in tempi non troppo lontani gli è servita per rialzarsi.


Ti sei finalmente tolto la maglia tricolore di dosso?
L’ho tolta, l’ho tolta (sorride, ndr). Aspettavo da quattro anni che girasse un po’ di fortuna. Ne sono successe davvero tante. Il 2024 è stata la stagione in cui ho raccolto di meno, perché da gregario aiuti sempre la squadra. Alla Q36.5 hanno deciso di non rinnovarmi il contratto dopo che praticamente ho fatto tutta la stagione a tappar buchi a destra e sinistra, senza mai conoscere il calendario. Il giorno prima della corsa, mi dicevano che avevo un volo da prendere. Così non riesci mai ad essere al 100 per cento. Ero sempre là, ma senza risultati veri e propri.
Hai mai pensato di smettere?
Non mi è mai passato per l’anticamera del cervello, se non nell’ultimo periodo. Da quando a dicembre ho deciso che avrei corso con lo Swatt Club, mi sono messo in mente solo il campionato italiano. Ci credevo. Sono partito per vincere, anche se era quasi impossibile. Però gli amici più stretti, le uniche persone che ci sono state davvero, ci credevano con me. Questo mi ha dato ancora più forza. Sono andato per vincere, non avrei firmato per nulla meno della vittoria.
Quanto è stato difficile aspettare questi sei mesi?
Non ero tanto preoccupato. Sapevo che sicuramente mi sarebbe mancato un po’ di ritmo, però all’italiano, col caldo e altri fattori, si va sempre più piano rispetto alle altre corse. Non ci sono corridori che fanno ritmi assurdi, quindi sapevo che avrei sofferto un po’ meno. Due anni fa sono arrivato ottavo dietro Velasco ed ero lì a giocarmi un bel risultato. Mi mancarono 50 metri per agganciare i primi e giocarmi il podio, ma sapevo di essere all’altezza di una sfida così. E domenica per la prima volta negli ultimi quattro anni, le cose hanno girato nel verso giusto. Anche se non alla perfezione…


In che senso?
Ho bucato a 40 chilometri dall’arrivo e sono rientrato solo all’inizio della penultima salita. Secondo me quella è stata la chiave della corsa, perché riuscire a tener duro dopo uno sforzo del genere non è stato un momento banale. Prima sono stato nella scia delle ammiraglie. Poi ho trovato un gruppetto con Mosca, Oldani, Milesi e Lonardi. Forse non ci credevano già più, invece li ho motivati e abbiamo collaborato. Avevamo circa 40 secondi e io stavo già inseguendo da 10-15 minuti. E’ stato fondamentale non essere da solo, altrimenti la corsa si sarebbe chiusa lì.
Covi ha detto che hai vinto con ampio merito.
Covi era davvero in forma, era il più forte e gliel’ho detto. Ci conosciamo da quando abbiamo sei anni. I suoi familiari conoscono bene i miei, infatti dopo l’arrivo sua mamma è venuta ad abbracciarmi tutta contenta.
Ti ha dato fastidio che la tua vittoria sia stata definita la sconfitta del ciclismo italiano?
Diamo merito al vincitore, però a me piace anche essere oggettivo ed era un campionato italiano con tanti assenti, da Albanese a Frigo, come pure Bagioli. Però i problemi fisici fanno parte del ciclismo, io lo so bene. Se in Italia ci fosse davvero un top rider per corse dure, non ci sarebbe stata storia. Covi e Baroncini in salita erano nettamente i più forti, sono dei gran bei corridori, ma rispetto ai top rider mondiali, sono un’altra cosa. In più mettiamoci il caldo e il fatto che tutte le squadre sono sempre a tutta per i punti. Soprattutto in questo ultimo anno, sono a tutta da inizio stagione. Ci pensavo e mi dicevo: «Secondo me tanta gente arriva morta». Ed effettivamente tanti sono parsi sfiancati. Una volta si usciva dal Giro con la gamba per l’italiano, ma se oggi al Giro ti finisci e poi ti mandano allo Slovenia, al Giro di Svizzera, a Gippingen e all’Appennino, è chiaro che all’italiano ci arrivi sulle ginocchia.


Lettura acuta: la superiorità numerica di alcune squadre non si è tradotta automaticamente in superiorità atletica.
Alla fine solo Zoccarato ha fatto una grande gara. Ci avevo parlato ad aprile e mi aveva detto che non andava e che era stanco. Probabilmente proprio il fatto di aver corso poco a primavera gli ha permesso di arrivare bene all’italiano.
Come è stato correre un campionato italiano con una squadra di amatori e riuscire a vincere?
Sono rimasto sorpreso anch’io dalla prestazione di squadra. Ho letto articoli sull’Heat Training, di allenamenti al chiuso sui rulli, ma io non ho fatto nulla di tutto questo: non mi piace. Sono solo sceso da Livigno venti giorni prima e ho continuato ad allenarmi nelle ore più calde per migliorare l’adattamento. Sapevo che sarebbe stato fondamentale per fare la differenza rispetto ad altri che avevano corso da destra a sinistra, senza poter curare questo aspetto.
Hai visto la differenza in gara?
Col caldo la cosa fondamentale è non esplodere. Per cui vedevi tanti corridori pedalare molto bene e da un momento all’altro si piantavano in mezzo alla strada. E quello è il caldo, non è mancanza di gambe.
Domanda cattiva: se avessi avuto ogni giorno negli ultimi quattro anni questa determinazione, la storia sarebbe stata un po’ diversa?
Ne ho passate talmente tante che se non avessi avuto motivazione, avrei già mollato da un pezzo. E’ sempre servita una carica incredibile per riemergere dagli infortuni e ritrovare prestazioni buone. Nel 2022 ai Paesi Baschi ho preso un bruttissimo Covid e sono rimasto completamente a terra fino a metà maggio. Avrei dovuto correre il primo Giro d’Italia, mi è caduto il mondo addosso. Sono andato a Livigno e dopo 15 giorni di allenamento sono andato al Delfinato. Magari mi staccavo da 50-60 corridori però fare il Delfinato con meno di un mese di preparazione e dopo quattro settimane fermo significa che la determinazione c’era. Se uno davvero fosse esperto e guardasse certe dinamiche, anche se ormai si guarda solo a chi vince, avrebbe visto che i segnali di un buon potenziale si sono visti. So benissimo che sono un corridore normale, buono ma normale. Però neanche un corridore da buttare in discarica, come è successo l’anno scorso. E come me in Italia ce ne sono tantissimi, perché qui non abbiamo il paracadute di squadre che ti aiutano.


Cosa intendi?
Tante prendono gli juniores e non c’è più spazio per noi di 25, 26 anni. Chiaramente ognuno fa come vuole, ma è un peccato. Tutto lo sport è lanciato sui giovani, per far uscire il campione. Ma cosa succede se il campione non lo trovi? Intanto ci sono corridori come me, che fino a 26 anni continuano a crescere e nessuno li vuole. Abbiamo il misuratore di potenza e ogni anno vedo dei passi in avanti. Probabilmente, come caratteristiche fisiche, sono più adatto per aiutare, ma nelle gare secondarie posso anche raccogliere. Peso tanto, ma in salita non vado per niente piano.
Quest’anno meno gare e meno problemi?
Sono riuscito ammalarmi molto meno. Ho avuto qualche infortunio per cadute. A febbraio mi sono lesionato i legamenti alari del ginocchio in una caduta durante una gara di gravel, però alla fine son riuscito a essere più costante. A maggio ho investito una marmotta a Livigno. Ho preso un colpo forte in faccia, infatti ho ancora i segni, e ho fatto una settimana a non toccare la bici. Mi esplodeva la testa. Ho fatto due o tre TAC perché bisognava controllare che non si formasse liquido in testa, perché davvero faceva male. E lì ho ricominciato. Ho fatto quattro giorni di allenamento e ho deciso di andare a correre in Austria, perché mi sarebbe servita per l’italiano. Non sono andato pianissimo, però non ho potuto fare neanche una bella figura come ci si aspetterebbe da un professionista in una gara 2.2. Ho fatto nono nell’ultima tappa e undicesimo in generale.
Ti è servito per l’italiano?
Molto, visto il periodo, ero contento di quanto fatto. Sono ritornato a Livigno per 9-10 giorni. Ho avuto ancora tempo per fare dei bei blocchi di allenamenti e arrivare all’italiano, forse non al 100%, ma quasi.
Essere in una piccola squadra ti ha permesso di metterti a posto al meglio?
Un conto è se ti fermi per una o due settimane a causa di cadute. Magari il corpo ha tempo di recuperare e supercompensare. Altra storia se ti fermi una o due settimane per un virus con le squadre che ti mettono pressione per rientrare il prima possibile. Lo fai anche, ma sei comunque debellato ed entri in un circolo vizioso per cui ti porti dietro quella stanchezza per un mese e mezzo. Io questa volta ho avuto la possibilità di fermarmi e guarire.


Beretta ci ha detto che il tuo posto è in una grande squadra e sarà contento di vederti andare via.
Nella settimana dell’Agostoni, a ottobre, si sono tirate indietro la professional spagnola e l’italiana da cui attendevamo risposte. A quel punto mi sono trovato senza chance di trovare una sistemazione. Ho corso l’Agostoni sulle strade di casa con tutti gli amici sulle strade, con una rabbia incredibile. Ho attaccato da solo, una corsa pazza chiusa al nono posto (migliore della Q36.5, ndr). A quel punto Carlo Beretta mi ha proposto di parlare. Se entro dicembre non mi fosse arrivato nulla, avrei potuto correre con loro su strada, puntando tutto sul campionato italiano. Negli ultimi mesi ho cercato anche varie continental per correre da luglio, ma avevo deciso che l’italiano lo avrei vinto in maglia Swatt e a modo nostro abbiamo fatto la storia.
Se arrivasse la chiamata di una squadra più grande, come saresti messo con il passaporto biologico?
Ne parlavo ieri con il mio procuratore. Possono arrivarmi a fare i controlli quando vogliono, però probabilmente stano andando al risparmio e non vedo nessuno da parecchio tempo. In teoria quindi potrei fare delle corse professional, ma non WorldTour. Per quelle dovrei aspettare un periodo o che vengano a farmi dei controlli.
Sai già dove indosserai la maglia tricolore?
La verità: no. Lo Swatt Club non è stato accettato in tutta una serie di gare, dal Città di Brescia al Medio Brenta, passando per la Pessano-Roncola, ma non so neppure se con la maglia tricolore da pro’, potrei correrle. Perciò vediamo se in queste settimane arriva una squadra importante per finire la stagione dei professionisti. Alla fine era questo il mio obiettivo. Mi sarei accontentato anche di una continental e di non prendere lo stipendio, ma non mi hanno voluto.


Del resto finora hai sempre corso gratis, no?
Non ho contratto, prendo qualche rimborso. Per fortuna non ho sperperato negli anni da pro’. Mi sono comprato una casa che ho iniziato ad affittare ai turisti su Airbnb e Booking, in modo che con le entrate vado pari col mutuo. Però a 26 anni devi pure avere i soldi per campare e per fortuna avevo qualcosa da parte. Ho trovato assurdo non essere valutato da una continental neppure a costo zero. Eppure hanno tutti i nostri dati, hanno Strava e alcuni anche l’accesso su Training Peaks. Questo davvero è ciò che non riesco a spiegarmi.