Remco, inferno e ritorno: ne parliamo con Nibali

09.09.2023
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«Ieri ho avuto una giornata e una serata molto difficili – dice tutto d’un fiato Remco Evenepoel – non sono riuscito a dormire molto e ho passato una notte molto brutta. Mi preoccupavo continuamente e mi svegliavo ogni ora. Avevo solo pensieri negativi. Volevo ritirarmi, ma Oumi mi ha costretto a prometterle che avrei continuato per lei. Non avrei potuto farcela senza il suo sostegno e quello dei dirigenti e compagni di squadra. Hanno continuato a credere in me e dicevano costantemente: un vero campione risponde sempre. Questo è per tutti coloro che continuano a credere in me. E non è ancora finita».

Commosso all’arrivo, con quell’essere teatrale che contraddistingue Remco
Commosso all’arrivo, con quell’essere teatrale che contraddistingue Remco

Al telefono con Nibali

Come sia che a distanza di 24 ore dalla crisi più terrificante della sua carriera, Remco sia riuscito ad andare in fuga e ad arrivare da solo su un traguardo di montagna resterà a lungo motivo di dibattito. Va bene: quando hai mezz’ora di svantaggio, ti lasciano andare, ma ugualmente non saresti capace di andare sino in fondo nella tua fatica. Che cosa lo ha tradito ieri, al punto da accusare un passivo di 27 minuti?

Dato che si cammina nel terreno delle ipotesi, abbiamo provato a vederci chiaro con l’aiuto di Vincenzo Nibali. Quelle che seguono sono teorie dal di fuori, cercando di capire che cosa potrebbe essere successo ieri. Lo Squalo visse tutto il Giro del 2016 senza uno spiraglio di luce: qualcosa lo bloccava. Poi di colpo tornò la luce e in tre tappe ribaltò un risultato che sembrava ormai immutabile.

Con Nibali abbiamo provato a capire che cosa sia successo ieri a Remco Evenepoel
Con Nibali abbiamo provato a capire che cosa sia successo ieri a Remco Evenepoel
E’ possibile che abbia pagato la pressione psicologica di dover vincere a tutti i costi?

Siamo nel campo delle ipotesi, questo diciamolo chiaramente. Che Remco sia esuberante lo sappiamo e magari politicamente gli sarebbe convenuto stare più abbottonato davanti a uno che ha vinto per due volte il Tour. I rivali vanno sempre studiati e rispettati. Tanti mi prendevano quasi in giro perché alla Vuelta del 2013 mi feci battere da Horner, ma io non lo sottovalutai affatto. Fu davvero il più forte e non batté solo me, ma tutti i migliori di quel tempo. Poi magari i rivali li punzecchiavo, ma sempre tenendo un basso profilo. Anzi, a volte mi incavolavo…

Quando?

Quando i giornalisti mi attribuivano dichiarazioni troppo altisonanti. Io non ho mai usato certe parole. Per contro bisogna dire che il modo di correre di Remco è spettacolare, ma forse è più utile nelle classiche che nelle corse a tappe. Se però ti metti a fare i traguardi volanti, allora vuol dire che sei poco sicuro. Anche io ho avuto i momenti in cui soffrivo, ma quando era necessario menavo forte.

L’arrivo di Cattaneo nella fuga ha dato nuovo impulso all’azione e lanciato Remco
L’arrivo di Cattaneo nella fuga ha dato nuovo impulso all’azione e lanciato Remco
Che cosa può essere successo ieri?

Se prendi mezz’ora, vuol dire che sei saltato del tutto. E qui forse potrebbe entrarci anche l’alimentazione. Ormai si va avanti solo con rifornimenti liquidi, ma se sei in crisi, i liquidi non sono l’ideale. Bere e mangiare è difficile, per questo se a inizio tappa hai mandato giù qualcosa di solido, ti aiuta anche a trattenere i liquidi. Non sono un nutrizionista, ma nell’ultima parte della mia carriera, iniziavo la corsa mandando giù qualcosa di solido e poi prendevo i liquidi. Era una strategia concordata con Erica Lombardi e mi trovavo bene.

Perché secondo te Evenepoel è andato fortissimo fino al giorno di riposo, poi ha fatto una bella crono e poi è colato a picco?

Ne parlavamo ieri a Squalo TV con Sobrero e Piccolo. Quando metti in fila il giorni di riposo e poi una crono, è come se riposassi per due giorni. La crono ti dà un’attivazione minima, perché è breve. Vieni da giorni in cui sei abituato a fare 4-5 ore, mangi di più e il giorno successivo può arrivare la crisi.

La Jumbo-Visma ha gestito senza affanno: i primi tre posti della classifica sono ancora suoi
La Jumbo-Visma ha gestito senza affanno: i primi tre posti della classifica sono ancora suoi
In realtà dopo la crono però c’è stata una tappa veloce.

In una tappa di montagna bruci circa 4.000 kcal e sono di zuccheri e grassi. In una crono ne vanno via a dire tanto 1.000, mentre nella tappa veloce come quella vinta da Molano arrivi a consumare 2.500 kcal, quindi sono tappe che passano come se non avessi acceso il motore. Sono ipotesi di quello che può essere successo, ma hanno una parte di fondamento. Se poi fa caldo, è un attimo anche prendersi qualcosa.

Un raffreddore come Almeida, ad esempio?

Dopo lo sforzo intenso di un arrivo, c’è la finestra temporale in cui è facilissimo ammalarsi, perché le difese immunitarie sono basse. Per questo tante volte andavo prima a fare la doccia calda e poi venivo alle interviste. Non ero arrabbiato, solo curavo questi dettagli.

Con Bardet hanno diviso il peso della fuga: il francese ha chiuso secondo a 1’12”
Con Bardet hanno diviso il peso della fuga: il francese ha chiuso secondo a 1’12”

Evenepoel commosso

Commosso dopo la vittoria, Evenepoel ha detto parole molto interessanti, che avvalorano il fatto che quel blackout sia stato frutto della pressione eccessiva o della difficoltà a carburare, ottimamente spiegata da Nibali.

«Nella prima parte della fuga – ha detto – siamo andati a tutto gas, ma mi sentivo molto bene. Questa è sicuramente una delle vittorie più emozionanti della mia carriera. Oggi volevo fare quello che meglio mi rappresenta, cioè andare forte e provare a vincere. La classifica è completamente rovinata, ma questa Vuelta può essere decisamente migliore. Come posso spiegare questa svolta? Nessuna idea. Volevo rimettere a posto la situazione, penso che sia tipico del mio carattere. Questo dimostra che ieri ho avuto una giornata davvero brutta, ma oggi ho pedalato a un livello superiore a quello degli ultimi due anni. Stiamo parlando di un livello altissimo, la Vuelta può essere ancora migliore».

Tornata sul podio, Bertizzolo guarda già al dopo carriera

09.09.2023
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Con il terzo posto nella Classic Lorient Agglomeration, la prova di Plouay inserita nel WorldTour, Sofia Bertizzolo è tornata a far parlare di sé. Non è la prima volta che la veneta entra in un podio nel massimo circuito, forse non sarà neanche l’ultima, ma il risultato ha riproposto una domanda che da tempo circola nell’ambiente: che ciclista è Sofia, una leader o una che corre per gli altri?

A 26 anni Bertizzolo, che sta affrontando ormai la sua ottava stagione nel ciclismo di vertice considerando che iniziò nel 2016 all’Astana, una risposta ormai se l’è data: sa bene che non c’è una definizione netta e parlando di questo emergono anche sfumature inaspettate, che guardano anche a un futuro lontano. Ma per farlo bisogna partire dalla stretta attualità.

Il podio di Plouay, con la vittoria dell’olandese Bredewold sulla polacca Lach
Il podio di Plouay, con la vittoria dell’olandese Bredewold sulla polacca Lach

«Per me questo podio ha un grande valore – racconta Bertizzolo tra una tappa e l’altra del Simac Ladies Tour – diciamo che mette un po’ di tessere a posto in un anno tenebroso. Una caduta a inizio anno mi ha procurato un po’ di guai, perché mi ha tolto lo smalto per le classiche del Nord, che sono da sempre il mio principale obiettivo. Ho sbagliato a non fermarmi, sono andata avanti fino al Giro d’Italia senza mai essere davvero me stessa. Ho ripreso dopo 40 giorni gareggiando con il team Development per ritrovare il ritmo gara e ora sono finalmente in una buona forma».

Non è la prima volta che il WorldTour ti vede protagonista…

Infatti, ma la cosa curiosa è che a Plouay ero già stata quarta nel 2021 in una gara che era stata la copia conforme di quel che è successo sabato scorso. E’ una corsa che mi piace molto, che si adatta bene alle mie caratteristiche. Oltretutto la gara si era messa nella maniera migliore per i nostri colori…

La festa delle compagne dopo il terzo posto di Plouay, secondo suo podio in questa stagione
La festa delle compagne dopo il terzo posto di Plouay, secondo suo podio in questa stagione
Perché?

Nella prima parte si è sviluppata una fuga che ha preso parecchi minuti, dentro c’era una nostra compagna e questo ci ha permesso di lasciare ad altri l’iniziativa. Su quel percorso ondulato risparmiare energie per il finale è vitale e quindi abbiamo potuto giocare le nostre carte. Io ero quella più davanti e quindi ho potuto sfruttare le mie doti veloci.

Allarghiamo allora in discorso: a 26 anni hai finalmente scoperto che ciclista sei?

Credo di essere una a 360°, in grado di fare un po’ tutto, ma non sempre questo è un vantaggio se vuoi metterti in mostra come vincente: sai far tutto, ma non spicchi in nulla. Sono veloce, ma non abbastanza per vincere le volate di gruppo. Vado bene in salita, ma non abbastanza per staccare le altre. Ne ho preso atto e quindi è più giusto e appagante correre per le altre, tirare una volata o fare il ritmo in salita perché vinca qualcuna della mia squadra, per me è una grande soddisfazione.

Al UAE Team Adq la bassanese è al suo 2° anno. Resta incerto il suo futuro
Al UAE Team Adq la bassanese è al suo 2° anno. Resta incerto il suo futuro
Eppure con le tue caratteristiche potresti anche giocare le tue carte in una corsa a tappe…

Sicuramente non in un grande Giro. Corsi nel 2018 il Giro d’Italia e mi sono accorta di quanto le cose siano cambiate da allora, i ritmi, le caratteristiche di chi emerge. Guardate quel che ha fatto la Kopecky, fino allo scorso anno ritenuta solamente una velocista. Per emergere in una corsa a tappe devi fare la differenza in salita, io dovrei perdere almeno 5 chili per forse – e dico forse – emergere in qualche corsa a tappe breve, ma così mi snaturerei e non lo voglio.

Hai quindi trovato la tua dimensione?

Sì, quella di donna-squadra – risponde decisa la Bertizzolo – oltretutto ho scoperto che mi piace insegnare, prendermi cura delle nuove leve, correre ad esempio con il team Devo trasmettendo un po’ delle mie esperienze, di quel che ho imparato correndo al fianco di campionesse come Marta Bastianelli e Barbara Guarischi. Ora posso passare alle altre quel che so. D’altronde correre per puntare a una Top 10 non mi soddisfa, preferisco puntare al bersaglio grosso contribuendo al successo di una compagna.

Una Bertizzolo visibilmente commossa nel giorno dell’addio della Bastianelli
Una Bertizzolo visibilmente commossa nel giorno dell’addio della Bastianelli
Sembrano parole di chi un domani, appesa la bici al classico chiodo, potrebbe mettersi a bordo di un’ammiraglia…

E’ da qualche giorno che ci penso, ma non posso dire che sia un obiettivo, perché nel mio domani non mi ci vedo a continuare a viaggiare in giro per il mondo a questi ritmi frenetici. Mi piacerebbe però fare un anno da diesse. Alla RideLondon Classique mi ero ritirata il penultimo giorno e nell’ultimo sono stata in ammiraglia, aiutavo e davo consigli alle mie compagne, alla fine ho avuto tanti feedback positivi che mi hanno emozionato. E’ un’esperienza che vorrei vivere appieno, prima di voltare definitivamente pagina.

Donne junior: verso Cali, il grande lavoro di Masotti

09.09.2023
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Il viaggio attorno agli junior azzurri pluri-medagliati al mondiale in pista a Cali fa scalo da Fabio Masotti, collaboratore tecnico del cittì Marco Villa. Così come era successo per le olimpiadi di Tokyo e per tanti altri eventi, durante la rassegna iridata di Glasgow, Masotti era rimasto a Montichiari a lavorare con i più giovani proprio in vista della trasferta colombiana. A lui il compito di seguire principalmente le ragazze (in apertura è con Anita Baima). E quando ad inizio agosto eravamo stati a Montichiari a vedere gli ultimissimi preparativi per la Scozia, il tecnico friulano ce lo aveva anticipato.

«Abbiamo buone sensazioni col gruppo junior – spiega il friulano – secondo me conviene risentirci al nostro rientro». Detto, fatto. Italia migliore nazionale a Cali con quattro ori e altrettanti argenti e bronzi.

Fabio Masotti è nato a Udine nel 1974. Tesserato con le Fiamme Azzurre, ha corso fino al 2012 (foto FCI)
Fabio Masotti è nato a Udine nel 1974. Tesserato con le Fiamme Azzurre, ha corso fino al 2012 (foto FCI)
Fabio avevi ragione, è andata alla grande in Sudamerica.

Il bilancio generale è stato davvero ottimo. Anzi è un medagliere per cui farci sempre la firma prima di partire. Siamo molto soddisfatti, soprattutto in relazione alla preparazione che abbiamo svolto. Andando nello specifico, ho lavorato con le juniores. Non siamo riusciti a fare più di tanto perché Venturelli e Toniolli erano a Glasgow, quindi le prove del quartetto le abbiamo affinate in Colombia. Anzi, le due settimane precedenti sono state un po’ difficili perché si sono allenate poco assieme. A maggior ragione avevamo programmato di arrivare a Cali diversi giorni prima dell’inizio dei mondiali (disputati dal 23 al 27 agosto, ndr) sia per smaltire il fuso orario sia per sistemare gli ultimi automatismi prendendo confidenza con la pista. Alla fine tutto è andato bene, non ci lamentiamo.

Come avete scelto le convocazioni?

Avevamo fissato il martedì e il giovedì per gli allenamenti a Montichiari, compatibilmente con gli impegni di scuole e squadre. La risposta è stata buona. Durante tutta la stagione ad ogni sessione abbiamo sempre avuto in media un gruppo di almeno una decina di ragazze. Diventa più facile lavorare in questo modo. Così assieme a Villa e Bragato abbiamo deciso di far ruotare un po’ di ragazze rispetto all’europeo di luglio ad Anadia. Ad esempio, il quartetto lo abbiamo cambiato per metà pur avendo vinto l’oro in Portogallo. Potevamo fare la stessa scelta di comodo, ma abbiamo avuto altri riscontri in base alla condizione delle ragazze. Così come abbiamo fatto in altre specialità dove abbiamo fatto le rotazioni. Poi crediamo essenzialmente che sia giusto così perché tutte queste ragazze, o quasi, ce le troveremo tra le U23 e le elite.

Il quartetto donne ha lavorato poco insieme, dato che Venturelli e Toniolli erano a Glasgow. L’argento ripaga (foto FCI)
Il quartetto donne ha lavorato poco insieme, dato che Venturelli e TOniolli erano a Glasgow. L’argento ripaga (foto FCI)
Risposta secca, ce ne sono di già pronte o più predisposte ad entrare nel gruppo delle più grandi?

Difficile dirlo al primo colpo (sorride, ndr). Battute a parte, per il futuro siamo ancora ben coperti con le elite perché è un gruppo molto giovane. Certamente una ragazza come Venturelli ha già dimostrato di poter lavorare con U23 e magari con le elite. Però penso a Pellegrini che da junior è andata molto forte su strada e in pista, ma quest’anno, anche perché aveva la maturità, ha dovuto ambientarsi alla nuova categoria, trovando recentemente una buona condizione per andare all’Avenir. Visto come l’hanno ben gestita, lei ad esempio per il 2024 sarà un innesto importante per il nostro gruppo U23. Stesso discorso per Delle Vedove. Alessio aveva inizialmente qualche lacuna poi si allenato tanto tra pista e strada e nell’ultimo mese ha vinto due gare importanti in Belgio. Anche lui sarà una risorsa degli U23.

La categoria junior in pratica cambia ogni anno. Iniziate a fare scouting fin dal primo anno allieve per vedere i prospetti oppure aspettate che siano più grandi?

Bisogna dire che gli juniores è una categoria acerba e di conseguenza quelle sotto. Dobbiamo fare molta attenzione a non voler cercare per forza il talento giovanile basandoci solo sui risultati. Tante volte ci sono juniores del primo anno che vanno benissimo e quello successivo si perdono un po’, così come è vero il contrario, ci sono ragazze che maturano e migliorano al secondo anno. Ecco, tra le allieve seguiamo solo quelle del secondo anno guardando gli italiani in pista, l’attività su strada. Ci basiamo anche su quello che ci riportano i loro diesse o i centri federali regionali perché sarebbe quasi impossibile vederle tutte. Una volta che passano juniores, lavoriamo subito su gruppi larghi poi avviene la scrematura, sia per scelte sia nostre sia da parte delle atlete che magari si sentono meno adatte alla pista col passaggio di categoria.

Masotti ha seguito la preparazione delle juniores durante il mondiale di Glasgow: qui con Baima iridata (foto FCI)
Masotti ha seguito la preparazione delle juniores durante il mondiale di Glasgow: qui con Baima iridata (foto FCI)
Il metodo di lavoro è il medesimo del gruppo elite?

Direi che è lo stesso del gruppo pista in generale. Ovvio che ci siano delle distinzioni da fare visto che parliamo di ragazze tra i 16 e i 18 anni. Ci adattiamo con la tipologia di ragazze che arrivano, aspettiamo sempre un po’ a dare certi carichi di lavoro. Di base con loro curiamo di più la qualità che l’aspetto fisico. Lavoriamo sulla tecnica, come il cambio nel quartetto o nella madison. Sono quelle fondamenta che devono poi fargli fare il salto quando saranno più grandi. Sono tre stagioni che abbiamo in mano il femminile e il nostro intento dichiarato a più riprese è quello di ripetere il metodo che abbiamo affinato con gli uomini. Con le juniores cerchiamo di dare nuova linfa al movimento poi è normale che se hai chi ti trascina è tutto di guadagnato.

Ti riferisci a Venturelli?

Federica per le juniores è stata ciò che sono stati Viviani o Ganna per gli uomini o Balsamo per le donne, giusto per fare i primi nomi che possono venire in mente. Federica in questi due anni da junior è stata uno stimolo per tutte le sue compagne. Se sai che corri una madison o un inseguimento a squadre assieme ad un talento del genere, ti concentri per dare il massimo. Da soli però non si fa nulla. Ed infatti abbiamo raccolto tante medaglie grazie all’impegno di tutte le ragazze. Il merito viene condiviso meglio così e c’è più soddisfazione per tutte.

Anche Paternoster è nelle Fiamme Azzurre: qui con Masotti e l’argento dell’omnium a Pruszkow 2019 (foto FCI)
Anche Paternoster è nelle Fiamme Azzurre: qui con Masotti e l’argento dell’omnium a Pruszkow 2019 (foto FCI)
C’è già chi può sostituirla?

Per il 2024 speriamo di trovare una nuova Venturelli, non necessariamente in termini di risultati, anche se vorremmo chiaramente, quanto più in termini di coinvolgimento generale. Baima in Colombia ha corso con classe tutte le sue prove, vincendo molto bene. Potrebbe ereditare questo ruolo, ma non vogliamo metterle ulteriore pressione. Abbiamo tante altre ragazze che sapranno formare un gruppo forte.

Alaphilippe sull’incudine, Lefevere il martello

09.09.2023
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Che cosa prova un campione davanti al declino inatteso? E che cosa prova se sente di avere ancora qualcosa da dare e per qualche motivo non ci riesce? Se è vero che il ritorno dopo gli infortuni più gravi richiede circa un anno, per rivedere un Alaphilippe competitivo ci sarà da attendere la prossima stagione. Ne è convinto Bramati, ne è convinto Julian, ma nel frattempo l’attesa lo sta logorando e lo ha portato a commettere qualche errore.

Se infatti l’incidente della Liegi 2022 lo tenne fuori per due mesi, probabilmente la vera causa della rincorsa ancora incompleta fu la voglia di bruciare i tempi per andare al Tour (senza riuscirci). Nel frattempo, le continue dichiarazioni di Lefevere non hanno contribuito a creare il clima migliore. Il manager belga infatti non ha fatto passare settimana senza punzecchiarlo e ricordargli il ricco contratto che li lega.

Patrick Lefevere e Alessandro Tegner: la Soudal-Quick Step ruota attorno a loro
Patrick Lefevere e Alessandro Tegner: la Soudal-Quick Step ruota attorno a loro

Vittorie, non fascino

Nell’ultima puntata della serie, commentandone la voglia di riscatto, all’ennesima bordata ha fatto seguire una… carezza, riconoscendo l’impegno del francese e la sua voglia di riscatto.

«Non posso assolutamente biasimarlo – ha scritto nella sua rubrica su Het Nieuwsblad – prima di questa stagione abbiamo avuto una conversazione piuttosto dura a Diegem. Julian, sua moglie Marion Rousse, il manager Dries Smets e io ci siamo seduti insieme al tavolo. Da patron della squadra ho detto le cose come stanno: Julian fa la vita giusta, quindi le cose devono migliorare. Lui stesso era d’accordo. So che ha fatto tutto il possibile per farsi trovare pronto. Per cui, di fronte ai risultati, non ci resta che concludere che non funziona più.

«Ho letto sulla stampa dell’interesse di TotalEnergies, ma per quanto ne so non c’è nulla di vero. Non è nemmeno qualcosa a cui sto puntando. Per essere chiari: Julian è ancora prezioso per la nostra squadra. Rimane il corridore più popolare in Francia e la persona più affascinante in ogni serata di sponsorizzazione. Ma certo: l’ho preso in squadra per vincere le gare, non per essere affascinante».

Al Delfinato con la compagna Marion Rousse: anche lei è stata presente all’incontro con Lefevere (foto MatosVelo)
Al Delfinato con la compagna Marion Rousse: anche lei è stata presente all’incontro con Lefevere (foto MatosVelo)

Rilancio in Canada

Una dichiarazione a metà fra lucido realismo e psicologia spartana, tesa a spronare il campione oppure a spingerlo via. Soltanto loro sanno se si tratti di un gioco duro e condiviso o se Lefevere stia calcando troppo la mano. Al momento Julian si trova in Canada, dove ieri ha corso il Gp de Quebec (arrivando al 9° posto nella volata di gruppo) e domenica la corsa di Montreal.

«E’ stato un anno difficile con due soli successi – ha ammesso il francese – ma è stato anche un anno importante in cui ho imparato molto. Dopo la scorsa stagione volevo fare tutto il possibile per raggiungere nuovamente un buon livello e ci sono riuscito. In termini di risultati, devo avere pazienza e continuare a lavorare come ho sempre fatto. Spero di concludere bene quest’anno e di ottenere altri successi. Questo è tutto quello che posso dire. Sono estremamente motivato e sto facendo tutto il possibile per tornare nella mia forma migliore e sono certo che ci riuscirò».

Alaphilippe ed Evenepoel: non sarà voluto, ma è palese che al crescere di Remco è coinciso lo spegnersi di Julian
Alaphilippe ed Evenepoel: non sarà voluto, ma è palese che al crescere di Remco è coinciso lo spegnersi di Julian

Non solo Evenepoel

Le critiche più pesanti Lefevere le ha mosse durante il Tour, dove al grande impegno del due volte campione del mondo non sono mai corrisposti risultati degni di nota: tante fughe e neppure un piazzamento fra i primi 10 sono un bottino obiettivamente troppo magro. Come troppo asciutto appare anche il corridore, che un tempo brillava per tonicità ed esplosività.

«Non è stato con le mani in mano – ha annotato Lefevere – ha attaccato tappa dopo tappa, ma alla fine ha perso terreno dai corridori che sulla carta dovrebbero essere meno forti di lui in salita. Siamo tutti delusi, ma soprattutto è deluso Julian. La sensazione in giro è che la nostra squadra dipenda da Evenepoel, come se non avessimo alcuna possibilità se lui non è al via. Ovviamente Remco è importante, ma mi rifiuto di accettare che dietro di lui ci sia il vuoto (ovviamente il passaggio a vuoto di ieri alla Vuelta non era stato previsto, ndr)».

Al Tour abbiamo visto Alaphilippe in fuga quasi ogni giorno, ma non è mai riuscito a concretizzare i suoi attacchi
Al Tour abbiamo visto Alaphilippe in fuga quasi ogni giorno, ma non è mai riuscito a concretizzare i suoi attacchi

Nessun cambiamento

Julian è volato in Canada sperando di trovarvi fortuna e motivazioni che lo rilancino verso un bel finale di stagione e rifiutando di snaturare il suo stile, che oggettivamente spesso contrasta con il correre prepotente e potente del gruppo. Quanto costano in termini di energie i cambi di ritmo alla Alaphilippe, se la velocità media è cresciuta in modo così evidente?

«Il mio modo di correre non cambierà mai – ha spiegato Alaphilippe nella conferenza stampa alla vigilia delle prove canadesi – è così che corro, è il mio modo di essere. Mi sono preso il tempo per sentirmi meno stressato e togliermi di dosso un po’ di pressione. Ho sempre desiderato vincere e raggiungere il massimo livello, ma ho dovuto rendermi conto che non è più tanto facile. Ho imparato che non sempre le cose vanno come vorresti. Ma ho anche iniziato a pensare di più a me stesso, alla mia salute e allo star bene. So che i risultati arrivano lavorando sodo, quindi continuerò a farlo. Ho ancora tanta passione e non mi arrenderò mai».

Wiggins, l’oro e l’eredità. La confessione del figlio d’arte

09.09.2023
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Dire che le medaglie e i titoli sono la miglior medicina per sciogliere la tensione di un ciclista può sembrare cosa scontata, ma basterebbe avere vissuto l’ultimo mese sull’ottovolante di Ben Wiggins per capire che cosa significa, soprattutto quando sulle spalle ti porti un peso come quel cognome. Dopo l’oro conquistato nella madison ai mondiali juniores, tutto è sembrato più leggero, tanto che si è sentito libero di aprirsi di più.

Appena tornato dalla Colombia, Wiggins ha rilasciato un’intervista a Global Cycling Network nella quale emerge molto del carattere del 18enne figlio dell’ex vincitore del Tour de France. Anche perché quell’oro conquistato con il neodetentore del record del mondo dell’inseguimento, Matthew Brennan, lo associa fortemente al ricordo di quanto fece Bradley, iridato due volte nella specialità insieme a Cavendish.

Per il britannico un bellissimo argento a cronometro a Glasgow, a 25″ dall’australiano Chamberlain
Per il britannico un bellissimo argento a cronometro a Glasgow, a 25″ dall’australiano Chamberlain

Un oro contro la depressione

«Era un mio sogno da sempre – ha esordito il giovane Wiggins – non riesco quasi a descrivere quello che ha rappresentato per me, mi sembrava di vivere in un’atmosfera surreale. Avevo chiuso 8° l’omnium e 4° nell’individuale a punti dove avevo mancato l’ultimo sprint vedendo sfumare la medaglia. Ero molto depresso, mi sembrava che tutto quel che avevo fatto non aveva avuto alcun senso».

Si parlava all’inizio di un “ottovolante” e il britannico spiega bene che cosa si intende: «E’ stato molto difficile rimanere sul pezzo, finire la crono di Glasgow al secondo posto e il giorno dopo già lavorare in funzione di Cali. La sequenza di eventi mi ha un po’ frastornato, era dura restare concentrati. Diciamo che l’oro nella madison ha salvato il mio mondiale e svoltato in positivo tutta la mia stagione.

«Se guardo all’indietro, a quello che mi prefiggevo a inizio anno, posso dire di aver centrato tutti gli obiettivi salvo la Roubaix, ma quello è un terno al lotto, fallire devi metterlo in conto… Volevo vincere una corsa a tappe e l’ho fatto (il Trophée Centre Morbihan, ndr), volevo una medaglia su strada e l’ho presa, volevo diventare campione del mondo su pista e ci sono riuscito. Sono contento per questo e perché mi sento ora molto più ciclista di quanto ho iniziato da junior».

Bradley Wiggins ha appena vinto il Tour 2012, il piccolo Ben lo segue sulla sua bici (foto Getty Images)
Una foto d’epoca, Bradley Wiggins ha appena vinto il Tour 2012, il piccolo Ben lo segue sulla sua bici (foto Getty Images)

L’approdo all’Hagens Berman Axeon

In questo suo cammino, Ben Wiggins ha trovato vari mentori: «Giles Pidcock innanzitutto, che ha avuto un ruolo importante, ma anche il mio allenatore Stuart Blunt che ha seguito tutta la mia crescita negli ultimi due anni al Fensham Howes-Mas Design, il mio team. Ora però è tempo di cambiare».

Ben il prossimo anno correrà con l’Hagens Berman Axeon di Axel Merckx. Una scelta sull’onda di altri giovani di grande avvenire come Herzog e Morgado, ma nel suo caso, considerando anche le offerte arrivategli da svariati team Devo del WorldTour, un po’ stupisce.

«Per me correre su strada e su pista è una priorità – ha ammonito Wiggins con parole che dovrebbero risuonare nella mente a tanti ragazzi, ma soprattutto a tanti diesse italiani – con Axel parlo da oltre un anno, ma crescendo la cosa è diventata più seria. Loro hanno avuto dozzine di corridori approdati nel WorldTour, per me è il miglior team di sviluppo, ma poi è contato il suo background».

Ben Wiggins con il padre nei box di Glasgow. Bradley si tiene lontano dall’attività del figlio, non vuole influenzarlo
Ben Wiggins con il padre nei box di Glasgow. Bradley si tiene lontano dall’attività del figlio, non vuole influenzarlo

Il peso di un cognome

E’ qui che Wiggins riserva alcuni concetti per certi versi sorprendenti, che risuonano come una sua totale messa a nudo: «Con il padre che aveva, ha vissuto tutte le pressioni che vivo io, ma amplificate perché suo padre era “the greatest”. Chi meglio di lui può guidarmi? Non volevo un team Devo, non volevo entrare in una squadra come un semplice ingranaggio, cambiando tutto nella mia vita, andando a vivere chissà dove. L’Axeon è più flessibile, è il team giusto per me».

E’ chiaro che a questo punto il tema del rapporto con il padre Bradley emerge in maniera prepotente: «Il nome è qualcosa di difficile da portare addosso quando tuo padre ha vinto tutto quello che ha vinto il mio – ammette Wiggins – so che cambiando categoria, l’anno prossimo si tornerà al punto di partenza, a nuove sfide, a nuovi raffronti. Mio padre è molto esplicito nel volerne stare fuori, la gente mi chiede che consigli mi dà, ma la verità è che non lo fa e per questo gli sono grato. So che è orgoglioso di me e questo mi basta. Io voglio farmi un nome con le mie forze, magari un giorno non diranno che sono il “figlio di”, ma diranno che lui è il padre di…».

Il podio della madison agli europei juniores 2023. Wiggins e Brennan sono d’argento, si rifaranno a Cali
Il podio della madison agli europei juniores 2023. Wiggins e Brennan sono d’argento, si rifaranno a Cali

Alla Ineos da vincitore

Ben Wiggins ha le idee chiare sul prossimo anno: «Ammetto che mi piacerebbe se già alla fine della prima stagione da U23 arrivasse una chiamata da un team WT, ma altrimenti un altro anno non potrebbe che farmi bene. So che sta tutto a me, a quel che farò per meritarlo. Io ho segnato nella mia agenda il Giro Next Gen e il Tour of Britain come cardini del nuovo anno, solo questi perché non voglio mettermi troppa pressione addosso».

Giustamente il collega della testata britannica ha chiesto alla fine perché Ben non ha scelto di passare direttamente dalla Ineos, seguendo le orme del padre: «Per ogni ciclista britannico Ineos è qualcosa di particolare, quasi una nazionale – ha risposto Wiggins – anche per me vista l’esperienza di mio padre, ma molto è cambiato da allora. Io vivevo nell’autobus della Sky da ragazzino, nessuno più di me conosce quell’ambiente. A me però interessa un team dove possa farmi un nome. Se andrò alla Ineos lo farò da vincitore, non come uno qualsiasi. D’altronde Axeon ha un legame anche con Jayco AlUla, dove il diesse è Matt White che lo era anche per mio padre. Staremo a vedere».

Le voci del Tourmalet: il dominio Jumbo, la resa di Evenepoel

08.09.2023
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Vingegaard, Kuss e poi Roglic. Già sembra insolito che succeda alla Roubaix, figurarsi sulla cima del Tourmalet. Oggi alla Vuelta va così, con la Jumbo-Visma che domina e gioca con gli avversari. Qualcosa di mai visto, ma niente di strano, considerato il livello degli atleti in ballo. Negli ultimi due anni uno solo ha provato a contrastarli – Tadej Pogacar – che però non è alla Vuelta. E anche lui comunque negli ultimi due Tour ha dovuto chinare il capo.

L’altro grande favorito, Remco Evenepoel, è uscito di scena prima ancora che la tappa entrasse nel vivo e a pensarci bene è questa la vera notizia. Si è staccato con tutta la squadra a 90 chilometri dall’arrivo ed è arrivato dopo 27 minuti. Nei giorni scorsi la Soudal-Quick Step aveva escluso che stesse male, soprattutto dopo che era andato a casa Bagioli, vedremo che cosa verrà fuori stasera. Di sicuro doveva essere il giorno in cui scoprire le sue attitudini per le salite lunghe e stando al risultato, l’esame andrà quantomeno ripetuto. Anche per lui e i suoi 23 anni tuttavia, il livello di Vingegaard, Roglic e del sorprendente Kuss è ancora troppo alto. Ma quanto va forte Kuss, che ha fatto il Giro e anche il Tour?

A più di 90 chilometri dall’arrivo, Evenepoel alza bandiera bianca: basta guardarlo, non è giornata
A più di 90 chilometri dall’arrivo, Evenepoel alza bandiera bianca: basta guardarlo, non è giornata

Ayuso testa dura

Alle loro spalle ha provato a tenere alta la testa il solo Juan Ayuso, che di anni ne ha appena venti ed è stato il solo fra quelli del gruppetto di testa a provare una reazione. Sul traguardo c’è arrivato quarto a 38 secondi. Non abbastanza per sognare in grande, ma quanto basta per coltivare la possibilità di un piazzamento a ridosso dei marziani.

«Vanno forte davvero – dice Manuele Mori che ha seguito lo spagnolo dall’ammiraglia del UAE Team Emirtates – non c’è niente da dire, ma anche Ayuso va forte. Rischiano di far primo, secondo e terzo, anche perché Juan è rimasto uno contro tre, purtroppo. Almeida invece sta prendendo l’antibiotico, perché da due giorni non si sente bene. Da dopo la crono ha iniziato a combattere col mal di gola. Se c’era lui, per la gamba che aveva, era lì di sicuro e allora eravamo in tre contro tre. E poi al conto della sfortuna, va aggiunta la caduta di Jai Vine. Ma adesso bisognerà cercare di inventarsi qualcosa, anche se non è facile. Ayuso sta bene, due giorni fa è caduto pure lui e oggi l’ha sentita. Però è l’unico che ci ha provato, gli altri stavano passivi. Dispiace anche per Remco, non se lo aspettava nessuno. Lui poteva essere un valido alleato…».

La resa di Remco

Nei primi minuti dopo l’arrivo, il belga non ha trovato la voglia di parlare e lo si può ben capire. In ogni caso il suo carisma di leader è stato confermato dal fatto che tutti i compagni gli siano rimasti intorno, a conferma del fatto che se anche la classifica è persa, si lotterà per altri risultati. Sempre sperando che Remco non prenda la palla al balzo per lasciare la compagnia.

«Ovviamente siamo delusi – ha detto Pieter Serry – Remco ha avuto una brutta giornata, non c’è certamente nulla di cui vergognarsi. Ha vissuto una stagione fantastica, solo perché non ha reso oggi non significa che non ci riuscirà in futuro. Ha dato una spiegazione? Non proprio. Mi ha semplicemente chiesto scusa”. Cos’altro dovrebbe dire? Se non va, non va. L’intenzione ora è girare l’interruttore e provare a vincere un’altra tappa. Questa finora è sempre stata la mentalità nella nostra squadra».

«Non c’è molto da dire su questa tappa – ha aggiunto il diesse Klaas Lodewyck – è stata semplicemente una brutta giornata per Remco: non era malato né ferito. E’ un peccato, ma può succedere. Il ciclismo non è correre su un simulatore, siamo tutti esseri umani. Stasera ci siederemo tutti insieme, valuteremo cosa è successo e troveremo nuovi obiettivi per il resto della gara».

La dedica di Vingegaard

Ben altro sentire nel clan dei vincitori, con le strade francesi che restano favorevoli a Vingegaard, commosso e sfinito dopo l’arrivo. Dominati gli ultimi due Tour, il danese è venuto a prendersi una vittoria sul Tourmalet, su cui la Vuelta ha sconfinato. Questa volta però non ci sono state scene di abbracci familiari dopo l’arrivo ed è proprio lui a spiegare il perché.

«Questo è il posto migliore – ha sorriso Jonas – per la mia prima vittoria di tappa alla Vuelta. Ha reso la giornata ancora migliore. Sono così felice perché oggi è il compleanno di mia figlia e volevo vincere per lei. Sono felice, questa è una vittoria per Frida. Il nostro piano era di guadagnare tempo quando se ne fosse presentata l’opportunità e anche questo ha funzionato. E’ stato anche meglio di quanto avessimo previsto».

Uijtdebroeks quinto sul Tourmalet a 38″ da Vingegaard: ha vent’anni, un battesimo speciale
Uijtdebroeks quinto sul Tourmalet a 38″ da Vingegaard: ha vent’anni, un battesimo speciale

La grinta di Uijtdebroeks

In questa sorta di antologia di voci dal Tourmalet, non si può non sottolineare anche la prestazione di Cian Uijtdebroeks. Il giovane belga, quinto all’arrivo, ha vent’anni come Ayuso che l’ha preceduto e nel 2022 ha vinto il Tour de l’Avenir: non è sempre immediato riuscire a confermarsi a certi livelli.

«Mi sono sentito benissimo fin dall’inizio – ha detto – e sull’ultima salita è come scattato un interruttore. Non ho pensato più a niente e ho cercato di tenere duro il più possibile. Seguire Vingegaard non era possibile, sarei scoppiato. Quindi ho semplicemente provato a stare con gli altri. Quando ho ricevuto la notizia che Vingegaard e compagni avrebbero partecipato alla Vuelta, ho pensato che la classifica fosse un capitolo proibito, ma è fantastico aver potuto partecipare a questa tappa. Le gambe mi fanno male, soffro di piaghe al soprassella, ma la testa sta benissimo. E’ un processo di apprendimento fantastico».

Bruttomesso punta l’azzurro e prepara la “sfida” con Merlier

08.09.2023
4 min
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L’intervista con Alberto Bruttomesso arriva dopo uno scambio di messaggi e alcune gare qui in Italia. Tutte svolte in preparazione all’impegno più importante in casa: l’Astico-Brenta, che si è corso oggi. Poi sarà la volta di prendere le misure con i grandi, in vista del passaggio nel WorldTour del prossimo anno, che avverrà con la Bahrain Victorious. Con un obiettivo abbastanza chiaro, riuscire a partecipare all’europeo.

Alberto Bruttomesso, a sinistra, dopo il ritiro al Sestriere ha corso in Romania al Tour of Szeklerland (foto Halmagyi Zsolt)
Alberto Bruttomesso, a sinistra, dopo il ritiro al Sestriere ha corso in Romania al Tour of Szeklerland (foto Halmagyi Zsolt)

Niente mondiale

Bruttomesso era parte del gruppo, guidato dal cittì Amadori, che ha preso parte al ritiro del Sestriere. Giorni importanti che hanno permesso di prepare al meglio mondiale e Avenir. Il corridore del CTF Friuli era uno dei nomi papabili per la trasferta di Glasgow. Alla fine però Amadori ha deciso di non portarlo, una decisione presa comunque con grande trasparenza.

«Amadori mi ha chiamato – dice Bruttomesso – e mi ha detto che non sarei stato parte della squadra per il mondiale. Ero stato inserito nella lista dei dieci nomi, ma alla fine il cittì ha deciso così. Mi ha detto che la tattica di squadra, che era quella di attaccare fin dai primi chilometri, mi avrebbe penalizzato. Lo capisco e infatti ho rispettato la sua decisione senza problemi».

Al circuito di Cesa, il 29 agosto, è arrivato secondo posto dietro al compagno di squadra Andreaus (photors.it)
Al circuito di Cesa, il 29 agosto, è arrivato secondo posto dietro al compagno di squadra Andreaus (photors.it)
I nostri favoriti, Buratti e Busatto, sono stati tagliati fuori per una caduta, tu saresti potuto essere un buon outsider?

Non saprei. La gara non l’ho vista tutta anche perché in quei giorni stavo correndo il Tour of Szeklerland (foto apertura Halmagyi Zsolt). Però ho visto gli ultimi chilometri e posso dire che il circuito finale era davvero duro, forse anche troppo per me. Non sono sicuro che sarei riuscito ad entrare nel primo gruppetto, e Milesi ha fatto comunque qualcosa di eccezionale. 

Per preparare il mondiale ti eri fermato due mesi, era già previsto uno stop così lungo dalle corse?

Sì, insieme alla squadra avevamo già deciso che mi sarei fermato per riprendere fiato e allenarmi in quota. Quindi con o senza nazionale sarei andato comunque in ritiro, farlo con Amadori è stato molto meglio. Ero seguito, in compagnia e comunque ho parlato e lavorato con lui. 

Una volta saputo che non saresti andato al mondiale sei tornato subito a correre…

Anche questa decisione l’ho presa con il team. Non volevamo perdere il grande volume di allenamento fatto. C’era l’occasione di andare a correre in Romania (al Tour of Szeklerland, ndr) e l’abbiamo colta. I riscontri sono stati super positivi, stavo bene ed ho ottenuto un secondo e un settimo posto. In gara erano presenti tanti elite, è stato un bel banco di prova.

Bruttomesso ha sfruttato bene il lavoro fatto in altura con la nazionale
Bruttomesso ha sfruttato bene il lavoro fatto in altura con la nazionale
Poi hai corso hai corso in Italia?

Ho corso prima al Valdarno, poi al Circuito di Cesa e infine l’Astico-Brenta. Ho recuperato un po’ dopo gli sforzi della Romania e mi sono allenato bene. Al Valdarno sono andato in fuga per fare gamba, la corsa era dura: 170 chilometri e 2700 metri di dislivello. Troppi per vincere ma giusti per fare fatica. 

Farai altre esperienze con gli elite o professionisti?

Il 13 settembre partirà il Giro di Slovacchia, sarò presente. Quello è un bel banco di prova, ci sarà qualche squadra WorldTour, e in più dovrebbe correre Tim Merlier

Uno dei tuoi possibili avversari il prossimo anno, come ti senti?

Sono curioso e sereno, non sento pressione. Ho fiducia, sto andando forte e le ultime corse me lo hanno confermato. 

Un ritiro a metà stagione era comunque previsto, Bruttomesso ha preferito farlo con la nazionale, per allenarsi al meglio
Un ritiro a metà stagione era comunque previsto, Bruttomesso ha preferito farlo con la nazionale, per allenarsi al meglio
Dalla Slovacchia quando rientri?

Il 18 settembre.

Il 22 ci sono gli europei, ci pensi?

Sono tra i dieci nomi che Amadori ha stilato e tra i quali sceglierà la squadra. Partecipare sarebbe bello, il percorso mi incuriosisce e sarebbe anche un bell’obiettivo per chiudere la stagione. Il percorso dovrebbe essere movimentato ma non troppo, con un arrivo in cima ad uno strappo. Si avvicina alle mie caratteristiche, vedremo.

Agostinacchio, debutto faticoso su strada. Ma ora c’è il cross

08.09.2023
4 min
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Filippo Agostinacchio è il campione italiano ciclocross under 23. L’aostano vinse il titolo lo scorso gennaio ad Ostia. Sotto al palco ci raccontò della sua volontà di puntare sempre di più sul cross, di affrontare questa disciplina come farebbe un belga. E cioè con la strada finalizzata al ciclocross. E così ha fatto.

Ha cambiato squadra. E’ passato alla Beltrami TSA- Tre Colli proprio perché c’è un importante progetto in corso. Tanto che il prossimo anno la Beltrami vedrà un roster di otto atleti: 5 under e tre juniores. Sono poche le squadre italiane che fanno questo tipo di attività. Tra l’altro Agostinacchio ha avuto carta bianca per qualche apparizione nella Mtb, la sua “vecchia casa”.

Ad Ostia Agostinacchio conquista il tricolore U23: si apre un nuovo capitolo verso il cross puro
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Filippo, ci eravamo lasciati dicendo che avresti fatto la strada per puntare al cross. Come è andata?

E’ stata una stagione veramente difficile per me. E lo è stata sotto molti punti di vista, sia fisici che mentali. L’adattamento al mondo della strada me lo aspettavo un po’ più facile, ma devo dire di aver imparato molto.

Quali sono stati questi momenti difficili?

Senza dubbio c’è un po’ di amarezza per quanto accaduto al Giro Next Gen. Ho sbagliato sullo Stelvio e questa cosa ha avuto un grande impatto su di me. Di fatto da lì ho poi corso molto poco. In più dei miei problemi personali non mi hanno aiutato. Però con la squadra va bene. E anche con loro c’è l’obiettivo condiviso del ciclocross.

E invece le difficoltà tecniche? Hai pagato lo stare in gruppo, i ritmi…

Ho pagato il fatto di non riuscire a performare quando sono stanco. Io tra cross e Mtb sono abituato a dare il massimo da fresco. Le mie gare durano un’ora, un’ora e mezza al massimo. Dare tutto dopo tante ore mi ha messo in difficoltà. Ma crescerò, ci vorrà del tempo.

Ottima posizione a crono per Agostinacchio, effetti positivi della multidisciplinarietà
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In effetti non è un aspetto banale questo. Sarà interessante vedere il contrario: e cioè che effetti avrà la strada sul cross. Ma torniamo a noi: come mai stai correndo poco?

Sto già lavorando per il cross. Gli obiettivi su strada non li ho più per questa stagione ed eventuali altre gare saranno finalizzate al cross. E anche al gravel. Di certo farò l’italiano e poi spero anche il mondiale. Ma non avendo potuto prendere parte alla Monsterrato spero in una wildcard.

Quindi cosa fa un crossista puro come te ad agosto?

Sto aspettando la bici da cross. In realtà ne ho una che mi avevano dato in prova, ma è di una taglia più piccola. In ogni caso mi sarei concentrato ancora sul volume con quella da strada. Fino a che non arriva sarà così. Poi inizierò ad inserire delle sedute specifiche e di tecnica con quella da cross. Sto anche facendo una buona base di corsa a piedi.

Come concili i chilometri su strada con quelli a piedi?

Preferirei parlare di ore. Per ora sono sulle due ore di corsa settimanali, suddivise in tre, quattro uscite. Mentre per quanto riguarda la bici mi attengo sul volume che più o meno ho tenuto per tutto l’anno e cioè 20 ore settimanali.

In tutto questo non è mancata qualche puntatina in mtb, come la tappa di CdM in Val di Sole e l’italiano eliminator da lui vinto
In tutto questo non è mancata qualche puntatina in mtb, come la tappa di CdM in Val di Sole e l’italiano eliminator da lui vinto
Tu sei ad Aosta, visto che hai parlato di base inserisci anche delle salite lunghe? Dalle tue parti non mancano!

No, no… non mancano! Ma le faccio poco, semmai qualche volta durante qualche uscita lunga con gli amici. Sto lavorando sull’intensità: 30”-30”; 40”-20”, Vo2 Max… quindi lavori di qualità.

Conosci già i tuoi programmi del ciclocross? Hai parlato con il cittì Pontoni?

Pontoni ci ha informato sul programma della nazionale, poi c’è da vedere se sarò convocato. Io so che con la Beltrami inizierò a gareggiare ad ottobre. Quando, dipenderà anche da come andrà il gravel visto che l’8 ottobre c’è il mondiale. In ogni caso l’idea è di correre sempre fino al campionato europeo di cross e poi da lì staccare un po’, un fine settimana senza gare con nel mezzo qualche giorno di riposo e iniziare la seconda parte di stagione.

Come mai vuoi staccare un po’?

Perché lo scorso anno sono arrivato parecchio tirato a gennaio. Avevo gareggiato sempre e non vorrei commettere lo stesso errore, anche perché poi con la squadra dopo la gara di Coppa del mondo in Italia in Val di Sole, c’è l’idea di andare in Belgio per un bel po’, fino all’italiano di cross.

Futuro Venturelli, viaggio tecnico con Daniele Fiorin

08.09.2023
6 min
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Federica Venturelli continua a crescere. L’abbiamo vista vincere nel cross, poi in pista, su strada e nelle crono. Quest’anno ha superato la maturità e alla fine della stagione riceverà il kit del UAE Adq Development Team in cui correrà per la prossima stagione. Il talento c’è e non si discute, ma dove può arrivare questa diciottenne che sembra sempre protesa verso la perfezione? Lo abbiamo chiesto a Daniele Fiorin, milanese classe 1971, in passato tecnico federale del settore giovanile e ora direttore tecnico del Vigorelli, che della cremonese è il mentore da quando era poco più di una bambina.

Per Venturelli ai mondiali di Cali, altra pioggia di medaglie: oro nell’inseguimento e nella madison, argento nel quartetto
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Da quanto la conosci?

E’ arrivata da me per caso alla fine dei giovanissimi. Avevo il papà amico su Facebook e dato che ero tecnico nazionale, mi chiedeva pareri sull’allenamento o la posizione. Mi mandava dei video affinché gli dessi consiglio su come metterla in bicicletta. Però un giorno lessi un post in cui diceva che probabilmente Federica avrebbe smesso di correre. Gli scrissi per chiedergli cosa fosse successo e mi spiegò che era per motivi familiari. La mamma e la nonna non ne volevano sapere che lei passasse esordiente e iniziasse ad allenarsi in strada.

Come le convincesti?

Viviamo lontani, loro sono di San Bassano, a 150 metri da Marta Cavalli, io invece vivo a Seveso. Però gli dissi che piuttosto di farla smettere, avrebbe potuto fare un po’ di ciclocross e poi a febbraio avrebbero preso una decisione. Così Federica fece la stagione del cross, dimostrando subito di avere dei numeri. A gennaio vinse l’italiano esordenti di primo anno a Roma e da lì non ci siamo più fermati. Ha fatto i quattro anni da esordiente e gli allievi da noi come Cicli Fiorin.

Al primo anno da esordiente, prova il cross e vince il tricolore. Doveva smettere, invece spicca il volo
Al primo anno da esordiente, prova il cross e vince il tricolore. Doveva smettere, invece spicca il volo
Perché il passaggio alla Gauss?

Perché grazie a un abbinamento, avevo già portato lì mia figlia e Beatrice Caudera. Era una squadra giusta per crescere, ma l’anno scorso Sara e Beatrice sono passate in UAE perché sono più grandi e a quel punto la situazione era un po’ troppo tranquilla per un talentino come Federica. Per questo ho preferito portarla alla Valcar-Travel&Service continuando ad allenarla, in modo che potesse avere delle situazioni di gara in un gruppo competitivo, dove potesse crescere ancora.

L’hai definita “un talentino”…

In realtà è un vero talento, togliamo il diminutivo. Io credo da sempre nella multidisciplina, così Federica è cresciuta alternando ogni settimana allenamenti diversi, a seconda delle necessità. Siamo andati avanti così e i risultati si stanno vedendo. Ogni tanto ha qualche problemino di salute, è un po’ cagionevole perché pretende molto da se stessa. In bicicletta ma soprattutto a scuola e quindi si stressa anche oltre il necessario.

Tricolore su strada al secondo anno da esordiente: l’accoppiata Fiorin-Venturelli funziona da subito
Tricolore su strada al secondo anno da esordiente: l’accoppiata Fiorin-Venturelli funziona da subito
Dove può arrivare?

Può arrivare veramente in alto, perché non ha ancora fatto grossi carichi di lavoro. Abbiamo sempre lavorato bene, ma in modo specifico, senza fare quantità. La mia idea è quella di lavorare sulle qualità neuromuscolari dei ragazzi in giovane età e non sulla resistenza, altrimenti rischi di appiattire le loro qualità e di “bruciarli”. Per questo Federica ha ancora notevoli margini. Nel momento in cui comincerà a inserire dei carichi di lavoro, anche se di fondo, e se manterranno le sue qualità, potrà crescere davvero tanto.

In qualche modo ha avuto il vantaggio della precocità?

Federica è sempre stata precoce, nel senso che già da esordiente di primo anno era alta così, intorno a 1,80. Però non abbiamo mai lavorato sulla quantità, per cui ha davvero tanto margine.

Il ciclocross resta il grande amore, ma Fiorin le ha consigliato un inverno meno intenso
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Verrà un momento in cui dovrà scegliere dove specializzarsi?

Secondo me sì. A lei piace molto il cross, siamo cresciuti così, ma le ho consigliato di non fare una stagione invernale troppo impegnativa. Ha bisogno di tirare un po’ il fiato. Siamo cresciuti attuando una doppia periodizzazione: durante la stagione della strada, gli altri corrono e noi ad agosto invece ci fermiamo. Poi abbiamo il secondo stacco di 15-20 giorni a fine periodo del cross. Le ho chiesto di rallentare, ma la tirano tutti per la maglia e alla fine non vuole deludere nessuno.

Che rapporto ha con la preparazione?

Con i miei atleti, ho una chat su Whatsapp dove io metto gli allenamenti e loro giornalmente mi dovrebbero mandare i file, le sensazioni e valori come peso e pulsazioni. Come un diario, diciamo. E lei è una di quelle che immancabilmente la mattina, alle 7, che sia a scuola oppure a casa, manda un messaggio super dettagliato. Se ha preso degli integratori, tutto nei minimi particolari.

Il terzo posto ai recenti mondiali di Stirling, in Scozia, dice che anche a crono il livello sale forte
Il terzo posto ai recenti mondiali di Stirling, in Scozia, dice che anche a crono il livello sale forte
E’ sempre così determinata?

Caratterialmente non molla una virgola da nessuna parte, è una guerriera. Ha finito le superiori perché era avanti di un anno, ma in pagella ha tutti dieci. Nella sua chat ci sono anche Bragato e Villa, perché Federica è un patrimonio della Federazione, quindi è giusto che ci sia un confronto anche con loro e che tutti sappiano cosa sta facendo.

Fisicamente ricorda un po’ Vittoria Guazzini: quale potrebbe essere il suo terreno?

Siamo intorno ai 68-70 chili, volendo può calare anche lì. Ha iniziato da quest’anno un discorso nutrizionale, per i problemi di salute che aveva sotto forma di intolleranze che le causavano delle infiammazioni. Diciamo che anche sotto questo aspetto è tutta da costruire, come quantità dell’allenamento e nutrizione è ancora al livello di un’allieva. Non voglio mettermi nei panni dei tecnici della nazionale, ma secondo me rischiamo di vederla in pista a Parigi nel quartetto. Soprattutto se comincia a lavorarci seriamente.

Pieno di medaglie per la Fiorin ai mondiali di Cali, con Matteo Fiorin, Carola Ratti di bronzo, Anita Baima, Federica Venturelli ed Etienne Grimod
Pieno di medaglie per la Fiorin ai mondiali di Cali, con Matteo Fiorin, Carola Ratti di bronzo, Anita Baima, Federica Venturelli ed Etienne Grimod
La scelta della UAE Development?

Lo scorso anno è andata lì mia figlia e mi avevano chiesto anche Federica. Lei aveva già tante altre offerte, anche all’estero, anche WorldTour direttamente. Però il mio consiglio è stato quello di crescere gradualmente. Avrà bisogno di un primo periodo di adattamento, non essendo abituata a fare determinati carichi di lavoro, per cui magari all’inizio potrebbe pagare qualcosa e lì non le faranno pressioni.

Vorresti seguirla anche il prossimo anno?

Io da una parte mi fermerei qua, nel senso che sono abituato da sempre a lavorare con le categorie giovanili e sopra non ci ho mai voluto mettere il naso. Dall’altra mi piacerebbe non allenarla in prima persona, ma collaborare con chi la prenderà in mano, dato che la conosco da così tanto. Questo però non dipende da me né da lei: dipenderà dalla squadra.