Monte Grappa: analisi, ricordi e numeri con Fabio Aru

24.10.2023
5 min
Salva

«Quel giorno sul Grappa c’era un grande tifo. Il supporto del pubblico fu tantissimo. Io poi ero giovane ed erano le prime volte che mi affacciavo ai piani alti delle classifiche. In più non mi funzionava la radiolina. Ad un certo punto “Martino” mi urlò dall’ammiraglia che ero sul filo con Quintana e allora andai ancora di più a tutta». Fabio Aru ricorda così la scalata del Monte Grappa.

Era la 19ª tappa del Giro d’Italia del 2014 e quell’anno una cronometro individuale portava da Bassano alla vetta del Grappa appunto, passando da Semonzo. Lo stesso versante che si affronterà, per due volte, nella prossima edizione della corsa rosa. 

«In carriera ho scalato tre versanti del Grappa – dice Aru – di quel giorno ricordo che cercai di trattenermi nei primi 7-8 chilometri di pianura e poi mi scatenai in salita, soprattutto dopo il cambio di bici. Ero partito con quella da crono. Io non ero tipo da fare troppi calcoli o sopralluoghi. E anche quella mattina ricordo che visionai in bici solo un pezzetto, poi il resto lo feci in macchina. Preferivo prestare più attenzione ad aspetti come quello dell’alimentazione, per dire».

Fabio Aru impegnato sul Grappa. Era il 30 maggio 2014 e dopo quella scalata il sardo guadagnò il podio del Giro
Fabio Aru impegnato sul Grappa. Era il 30 maggio 2014 e dopo quella scalata il sardo guadagnò il podio del Giro

Come l’Alpe Huez

I dati ufficiali della salita dicono che è lunga 18,1 chilometri, che ha una pendenza massima del 17 per cento e una media dell’8,1, per un dislivello pari a 1.475 metri. Fino a Campo Croce, metà salita, la strada è abbastanza stretta, nella vegetazione, e si conta una ventina di tornanti. Poi lo scenario si apre sempre di più… Anche fino a scorgere il campanile di San Marco a Venezia, ma non è certo questa l’occasione per ammirare la Serenissima!

«Si tratta di una salita dura – prosegue Aru – ma soprattutto lunga. Le pendenze non sono impossibili tipo uno Zoncolan. Il Monte Grappa ricorda quasi una scalata del Tour, ma è proprio la sua lunghezza a far sì che non passi “inosservata”.

E guarda caso la pendenza media del Monte Grappa dal versante di Semonzo è identica a quella dell’Alpe d’Huez, che in Francia è un totem. 

«La prima parte, se ben ricordo, è quella che tirava di più, poi nella parte centrale c’erano dei tratti in cui ti faceva respirare un po’. E di nuovo era molto dura nel finale». 

Il profilo del Grappa da Semonzo che il prossimo Giro affronterà due volte, prima di planare su Bassano
Il profilo del Grappa da Semonzo che il prossimo Giro affronterà due volte, prima di planare su Bassano

Quasi un’ora

Ma come diceva Aru la caratteristica principale del Monte Grappa è la sua lunghezza. La salita è piuttosto regolare e le pendenze raramente vanno in doppia cifra. L’effetto quota poi è limitato visto che non si toccano i 1.700 metri.

«Parliamo di uno sforzo di circa un’ora e anche alimentarsi sarà importante. Rispetto ai miei tempi – spiega Aru – anche se sono passati pochi anni, sono stati fatti passi da gigante su questo campo. Oggi si usa molto di più l’alimentazione liquida, con malto e gel. Alimentarsi servirà senza ombra di dubbio, poi saranno i team a definire al dettaglio questi aspetti».

Quali rapporti?

C’è poi un altro discorso legato alle pendenze, quello dei distacchi e delle differenze. E’ vero che non ci sono molti tratti sopra al 10 per cento, ma proprio per questo ci si possono attendere delle velocità non bassissime. E questo porta con sé altri ragionamenti tecnici.

«Sinceramente non ricordo di preciso a quanto salissi, anche perché sul computerino non tenevo sott’occhio i watt. Ricordo però che all’epoca in Astana avevamo il Campagnolo e di sicuro avevo la corona da 39 con la cassetta posteriore 11-29. Ovviamente il 29 non l’ho mai utilizzato. Al massimo ho usato il 21 nei tratti più duri e poi a scendere negli altri. E quando spingi questi rapporti, su queste pendenze che non sono quelle di uno Zoncolan i distacchi possono essere alti. Stare a ruota può aiutare tantissimo».

Con queste velocità, chi è al gancio potrebbe davvero sfruttare al massimo la scia e salvarsi. Ma se si aprisse un buco ecco che il divario di velocità sarebbe subito importante.  La questione è delicata quanto interessante.

La doppia scalata da Semonzo è inserita nella Alpago – Bassano del Grappa, 20ª tappa del prossimo Giro
La doppia scalata da Semonzo è inserita nella Alpago – Bassano del Grappa, 20ª tappa del prossimo Giro

Vam, velocità, tattica

Tattica e non solo gambe. Aru sottolinea questo aspetto molto importante. E’ presumibile che viste la VAM (velocità ascensionali medie) attuali, la scalata potrebbe durare 54′-58′, il che significa una velocità media sul filo dei 20-21 all’ora.

Per farci un’idea. Quintana vinse quella crono con 17” su Aru e impiegò 1h05’37” alla media di 24,5 chilometri orari, compreso però il tratto pianeggiante di 8 chilometri, che i big come Nairo, impiegarono in circa 9′. Pertanto la scalata di Quintana fu di 56′, pari ad una VAM di 1.580 metri/ora, la stessa identica VAM di Pogacar e Vingegaard sul Ventoux nel 2021 al Tour, tanto per individuare una salita di durata simile.

Ma quella era una cronoscalata. Quindi corridori a tutta per tutto il tempo, gambe fresche. Stavolta ci si arriverà in gruppo, ci sarà anche una componente tattica. Quindi veramente si potrebbe salire per un’ora.

Il tutto senza considerare il fattore vento. Nelle giornate “normali” si avverte solo nel finale, quando si è in prossimità della vetta. Ci sono davvero dunque tutti i presupposti per godersi un grande spettacolo e soprattutto che questa montagna possa davvero essere decisiva ai fini della maglia rosa.

Rivoluzione Technipes #InEmiliaRomagna: si riparte dai giovani

23.10.2023
5 min
Salva

I primi sguardi sul prossimo futuro la Technipes #InEmiliaRomagna li lancia da Riolo Terme, dove i ragazzi sono stati per un mini ritiro. Due giorni così da conoscersi meglio e iniziare a lavorare sulla stagione che verrà. Il team romagnolo ha cambiato tanto rispetto al 2023, la rosa ha subito una bella rivoluzione. Incuriositi da tale scelta siamo andati a chiedere a Michele Coppolillo, il primo diesse del team. La scorsa stagione su 12 atleti la Technipes contava 6 elite e 6 under, quest’anno il trend è cambiato. 

«Per il 60 per cento – racconta “Coppo” – la squadra sarà composta da ragazzi di primo anno. In totale, su 14 atleti avremo 11 under e 3 elite. Abbiamo appena chiuso un raduno di due giorni, che ci è servito solamente per conoscerci, i ritiri inizieranno più avanti. Quello fondamentale per lavorare e gettare le basi lo faremo molto probabilmente in Spagna, a fine gennaio, come fatto negli ultimi 2 anni». 

Tanti giovani

Il cambio di rosa è forte, tanti corridori sono andati via ed altrettanti ne sono arrivati. Si parte dai giovani, ma si potrebbe dire: si riparte. 

«Abbiamo deciso per una squadra giovane – continua Coppolillo – ma che potesse contare su uomini di esperienza. Scegliere di inserire tanti ragazzi di primo anno ci permette di lavorare con loro e farli crescere con la nostra mentalità. Si tratta di un progetto più a lungo termine, la nostra categoria di riferimento è l’under 23, poi abbiamo innesti con ragazzi elite che vogliono mettersi in gioco. Avremo una duplice attività: quella prettamente under 23 e quella di una continental, quindi con qualche gara con i professionisti. Rispetto all’anno scorso il calendario sarà simile, anche se abbiamo l’obiettivo di partecipare a qualche corsa internazionale all’estero, sempre dedicata agli under 23. Non sarà semplice ottenere gli inviti, ma sono fiducioso».

Rispetto alla stagione appena conclusa la Technipes #InEmiliaRomagna nel 2024 punterà sui giovani
Rispetto alla stagione appena conclusa la Technipes #InEmiliaRomagna nel 2024 punterà sui giovani

Si riparte da zero

Una volta entrati nella categoria under 23, il passato secondo Coppolillo conta poco. Non importa quanto si sia vinto prima, i valori si azzerano e si riparte da capo con l’ambizione di “costruire” corridori completi.

«I nuovi innesti di primo anno – spiega ancora il diesse – hanno un buon passato nella categoria juniores, chi più e chi meno. Ma in queste situazioni dire che un corridore sia forte o meno forte è relativo. Sono talmente giovani da essere in continua evoluzione, diciamo che abbiamo preso dei ragazzi interessanti sui quali lavorare».

Andrea Innocenti sarà uno dei tre elite in squadra, il fiorentino è in cerca di riscatto
Andrea Innocenti sarà uno dei tre elite in squadra, il fiorentino è in cerca di riscatto

Primo impatto

La novità in casa Technipes #InEmiliaRomagna all’inizio del 2023 era il passaggio a formazione continental. Dopo un anno si tirano le prime somme, e si cerca di capire se il cammino intrapreso sia quello giusto. 

«Il 2023 – spiega Coppolillo – ci è servito per dare un’impronta importante: siamo diventati continental e di conseguenza abbiamo fatto un’attività che potesse giustificare la categoria. Mettere i ragazzi in condizione di misurarsi con i professionisti è utile per la loro crescita, per fornire input. Quando vai a correre con i grandi, vedi il divario che c’è, lo si nota tra una continental e una professional, figuriamoci quando arrivano anche le WorldTour. Ma il ciclismo è questo, devi toccare con mano il livello delle gare per capire dove bisogna arrivare. Pensate al Giro dell’Emilia dove le squadre WorldTour erano 16. Per i nostri 3 elite (Innocenti, Garribo e Cavallo, ndr) quelle gare saranno importanti per mettersi in mostra.

«Sugli elite – spiega Coppolillo – abbiamo deciso di tenere Innocenti visto il suo trascorso e i 4 anni di stop. La scorsa stagione si è comportato bene e per alcuni problemi non è riuscito ad esprimersi al meglio, ma il finale di stagione ci ha dato buone risposte. A 24 anni nel ciclismo moderno sei considerato vecchio, ma ogni ragazzo ha un percorso diverso».

Le porte rimangono aperte anche per Emanuele Ansaloni, che al momento sta cercando un ingaggio da pro’ (photors.it)
Le porte rimangono aperte anche per Emanuele Ansaloni, che al momento sta cercando un ingaggio da pro’ (photors.it)

Staff e corridori

La qualità della Technipes emerge anche dallo staff a disposizione, che tra diesse e team manager può contare su nomi di primo livello.

«La nostra squadra è nata 5 anni fa – conclude Coppolillo – come team under 23. Ogni anno abbiamo fatto dei passi in avanti che ci hanno portato sempre più lontani, pensate che fino al 2022 avevamo una rosa composta solamente da corridori emiliani e romagnoli. Nel 2023 abbiamo cambiato tutto e siamo cresciuti ancora. Parte fondamentale di questa crescita è merito dello staff: Chicchi e Chiesa sono due figure di riferimento. Il primo ha lavorato tanto con gli elite e ha molta esperienza, il secondo svolge un ruolo più da manager. Poter contare su figure di riferimento vuol dire tanto per i corridori.

«Se dovessi guardarmi indietro vedo la giusta crescita per la Technipes, esattamente come me la sarei immaginata. Quindi credo che il cammino intrapreso sia quello giusto».

La via della seta di Lionel Marie, da China Glory a Parigi

23.10.2023
5 min
Salva

GUILIN (Cina) – Lionel Marie, 58 anni, è uno dei tecnici della continental China Glory, ma da poco collabora con la nazionale cinese per cercare di darle capo e coda dopo gli scossoni del Covid. In passato aveva lavorato alla Garmin, Orica-Greenedge, come pure alla Cofidis e alla Israel. Lo abbiamo fermato alla partenza dell’ultima tappa del Tour of Guangxi, l’occasione per i suoi ragazzi di cimentarsi con gli atleti del WorldTour. Nei giorni precedenti della trasferta in Cina, avevamo scambiato solo rapide battute.

La sua squadra di club lo scorso anno accolse Matteo Malucelli dopo la chiusura della Gazprom. La gestisce con Jerome Coppel e Feng Han. Marie parla un ottimo italiano: scoperta casuale dell’ultima ora, dopo aver interagito con lui in francese e qualcuno anche in spagnolo (in apertura è con Binyan Ma, 24 anni, campione nazionale cinese su strada).

Lionel Marie ha 58 anni e proviene dalla Costa Azzurra
Lionel Marie ha 58 anni e proviene dalla Costa Azzurra
Come sei arrivato alla nazionale?

Mi hanno chiesto di seguire la squadra perché qua conosco un po’ di gente. E’ un’esperienza diversa rispetto al team, ma ho accettato.

Nei giorni scorsi dicevi che dopo il Covid qua in Cina c’è da ricostruire una generazione di corridori.

Sì, perché hanno avuto tre anni senza potere uscire dal Paese e anche di fare bici. Conosco un corridore che si è allenato per tutto questo tempo su una pista di atletica di 400 metri. Faceva due ore al giorno, ci vuole fegato per certe cose.

Qual è l’obiettivo del tuo incarico?

Fare punti per la qualificazione alle Olimpiadi di Parigi. Questa volta siamo riusciti a piazzare un atleta e il sogno sarebbe che potesse finire la gara. Per il futuro vedremo se si potrà alzare di più il livello per avere più rappresentanti. Sarebbe il sogno di tutti qua in Cina.

Il team cinese è equipaggiato con biciclette Pardus, azienda di Laoling City, che lavora anche conto terzi
Il team cinese è equipaggiato con biciclette Pardus, azienda di Laoling City, che lavora anche conto terzi
Il Paese sembra ricchissimo, ci sono sponsor che vogliono investire nel ciclismo?

Gli sponsor ci sarebbero pure, ma tutto passa per il Governo. La Federazione assieme al Comitato olimpico era quella che all’inizio metteva più soldi, ma adesso hanno trovato un accordo e investono sull’organizzazione delle gare. Una parte di questi soldi arriva anche alla squadra, il mio manager si occupa di questo. In più abbiamo il supporto di Pardus, che è una grande azienda che fa le bici in Cina anche per altre marche. Loro ci danno una bella spinta.

Che tipo di attività si riesce a fare in Cina?

C’è un bel calendario, in cui ai corridori arrivano un sacco di soldi. Basti pensare che al Tour of Hainan (gara a tappe che si è corsa alla vigilia del Tour of Guangxi, ndr) al primo hanno dato 27.000 dollari. Per questo tante squadre vengono a correre qua, non solo per i punti. Quest’anno abbiamo corso contro Medellin, ma anche la Corratec e la Green Project-Bardiani. E questo fa crescere il livello, perché i cinesi devono lottare per stare al loro livello. Vedono dov’è il vero ciclismo e noi, con il supporto di corridori come Willie Smit, Piccoli e Trarieux, gli facciamo vedere come mettersi a posto.

Binyan Ma si è piazzato settimo nella seconda tappa del Tour of Guangxi, vinta da Milan
Binyan Ma si è piazzato settimo nella seconda tappa del Tour of Guangxi, vinta da Milan
Hai detto che ti piacerebbe portare qui uno sprinter europeo perché faccia da guida ai velocisti cinesi.

E’ molto difficile lottare per la classifica generale, ma vincere delle tappe è possibile, perché qui in Cina e nel resto dell’Asia ci sono opportunità di fare tanti sprint. Abbiamo due velocisti che possono crescere e a quel punto sto cercando un velocista che non abbia più voglia di fare sprint per sé. Sarebbe un altro stress, un altro livello di gara. Uno cui piace il ciclismo e lo insegni ai miei corridori. Come tenere le posizioni o seguirlo fino agli ultimi 200 metri.

Sarebbe anche un’esperienza di vita, in fondo.

Dal prossimo anno, staremo qua per un mese e mezzo e per il resto proveremo a correre in Europa o in Turchia. Vedremo come sarà possibile con i visti. Riuscire a fare piazzamenti e punti può aprire la porta alle wild card per le corse in Oriente.

Marie con i suoi atleti della nazionale cinese, che aiuta da poco tempo con l’obiettivo della qualifica olimpica
Marie con i suoi atleti della nazionale cinese, che aiuta da poco tempo con l’obiettivo della qualifica olimpica
Malucelli non andava bene per quel ruolo?

Era spesso scontento, veniva da un livello superiore, ma evidentemente non era stato nelle condizioni di scegliere. Se arrivi alla China Glory e non alla Soudal-Quick Step, evidentemente un motivo ci sarà. No, noi cerchiamo qualcuno che abbia messo via le sue velleità di fare risultato.

Quanto è stato diverso per te passare dal WorldTour a gestire questa piccola squadra?

Quando nel 1995 ero responsabile per la Federazione francese di organizzare il ciclismo in Normandia, avevo fondato una scuola di ciclismo. Qui mi sembra di essere ritornato un po’ indietro, ma con più possibilità. Non ho da cercare i soldi ed è interessante perché loro hanno voglia di crescere. Il WorldTour è un altro mondo. Sono forti, sanno cosa devono fare. Ma qui vedo che ho un impatto su di loro e mi piace.

Al Tour of Guangxi, Lionel Marie ha guidato la nazionale cinese, nel primo confronto con atleti WorldTour
Al Tour of Guangxi, Lionel Marie ha guidato la nazionale cinese, nel primo confronto con atleti WorldTour
Ma sempre con il problema della lingua?

Un bel problema. Per fortuna ho un corridore che parla inglese e qualcuno che lo capisce anche in macchina. Il cinese è molto complicato, la stessa combinazione di lettere può avere cinque significati diversi. Però andiamo bene. Vedono quando sono soddisfatto e capiscono subito quando sono arrabbiato, anche senza bisogno di parlare (ride, ndr).

La loro stagione è finita con il Tour of Guangxi?

Normalmente avremmo dovuto fare altre due corse per la Lega cinese, ma ho chiesto al manager di metterli a riposo, perché dal primo di settembre abbiamo viaggiato da una gara all’altra. Sono arrivati stanchi, hanno bisogno di recupero.

Farete un ritiro invernale?

Ne stiamo organizzando uno per gennaio ad Hainan. Hanno tutto il tempo per riposarsi…

EDITORIALE / Il Giro, la FCI e il ciclismo da spolpare

23.10.2023
6 min
Salva

Un osso da spolpare. Volete un’immagine del ciclismo italiano? Questa è quella che ci sentiamo di consegnarvi, andando oltre certe analisi. Dalla lontana Cina, sfogliando giornali e siti, proprio nel bel mezzo del calcioscommesse 3.0, ci siamo imbattuti in un bilancio molto duro e obiettivo da parte della Gazzetta dello Sport sullo stato di salute del ciclismo italiano. Lo ha firmato Davide Romani, spaziando su vari temi, dalla nazionale al Giro d’Italia.

«Sempre più giù – si leggeva – la moneta di colore azzurro continua a precipitare nel pozzo del ciclismo mondiale, ma ancora non si vede il fondo. La fotografia del movimento italiano al termine del 2023 è un’immagine sfocata».

A seguire, l’analisi corretta dei vari ranking UCI, il fatto che correremo alle Olimpiadi con soli tre atleti (come nel 1992) e i numeri in ribasso dei professionisti italiani nel gruppo del WorldTour. Oltre, ovviamente, alla considerazione che l’ultima squadra azzurra nella massima categoria fu nel 2016 la Lampre di patron Galbusera.

Non è semplice per Bennati scegliere gli azzurri se la loro attività non è qualificata come un tempo
Non è semplice per Bennati scegliere gli azzurri se la loro attività non è qualificata come un tempo

Gli interessi di chi?

L’indomani, ancora sulla Gazzetta e sempre con la stessa firma, l’intervista a Sonny Colbrelli su come sia cambiato il meccanismo di accesso al professionismo e sulle sue paure di genitore nel mettere in bici i figli, visti i pericoli delle strade e l’assenza di ciclabili e piste riservate.

Il concetto è stato poi ripreso da Cristiano Gatti su Tuttobiciweb nella sua rubrica Gatti e Misfatti, parlando della paura dei genitori, delle poche corse giovanili, dell’annullamento della Adriatica Ionica Race alla vigilia della partenza, dei talenti nostrani che migrano nei devo team stranieri e del Giro che «deve elevare suppliche perché le grandi squadre mandino almeno una formazione B. L’Italia che vede il suo sport storicamente più popolare trasformarsi negli anni in un agonizzante sport residuale…».

L’episodio legato alla corsa di Argentin rimane una pagina torbida, in cui sono stati coinvolti anche attori che avrebbero potuto benissimo restarne fuori. L’Accpi, ad esempio. Dicono che lo scorso anno i premi sono stati percepiti dai corridori dopo 5 mesi. Quest’anno non lo saranno affatto, avendo dato il proprio assenso alla cancellazione della corsa. Si è fatto l’interesse dei corridori o si è preferito schierarsi con il palazzo? E’ questo il ruolo del sindacato?

La cancellazione della Adriatica Ionica Race è stata una delle pagine più brutte e poco chiare degli ultimi anni
La cancellazione della Adriatica Ionica Race è stata una delle pagine più brutte e poco chiare degli ultimi anni

Il ruolo del Giro

Il quadro è desolante, ma verrebbe da chiedersi quali siano le ragioni del degrado. Chi ha spolpato il ciclismo? E grazie a chi? Prima di parlare della FCI, qual è il ruolo del Giro d’Italia in questo gioco? RCS Sport è capace di fare promozione oppure fa semplicemente il proprio utile? La sua presenza sul territorio genera interesse oppure si limita al montaggio e lo smontaggio dei palchi nel giorno della gara?

Le squadre italiane non sono mai cresciute, fra l’altro, perché non hanno avuto la certezza del calendario. Ogni anno e per anni abbiamo assistito allo stillicidio delle Wild Card, con una rotazione… democristiana che ha impedito di avere la minima programmazione, utile per incentivare gli investimenti da parte degli sponsor. Non è per caso che le squadre preferiscano il Tour: ne hanno beneficio a molti livelli. Il fatto di dover pagare per avere un grosso nome al via del Giro è una disarmante ammissione.

Il Tour 2024 partirà da Firenze: l’investimento sarà ripagato. Qui Prudhomme con Cassani e il sindaco Nardella
Il Tour 2024 partirà da Firenze: l’investimento sarà ripagato. Qui Prudhomme con Cassani e il sindaco Nardella

Il ruolo del Tour

ASO, la società che organizza il Tour, la Vuelta, la Roubaix, le classiche Ardennesi e un totale di 20 prove di altissimo livello, iniziò sin dal 2000 una campagna ben precisa in sostegno di due squadre francesi che per varie vicende erano rimaste fuori dal ProTour, prima che questo diventasse WorldTour. Indipendentemente dallo status o dai risultati, la Cofidis e il Team Total Energies hanno ricevuto sempre l’invito per il Tour e le classiche. I due sponsor hanno così ottenuto un buon ritorno dal loro investimento, sapendo che ogni anno i loro team avrebbero girato la Francia portando il marchio ai francesi e al mondo. L’incentivo ad investire di più è stato una conseguenza.

Non basta. Certi sponsor sono arrivati alle squadre su indicazione della stessa ASO, che ha proposto loro di distrarre una parte della sponsorizzazione destinata al Tour de France a vantaggio degli stessi team che grazie al Tour sarebbero diventati grandi.

Il Giro d’Italia ha mai suggerito a un suo sponsor di entrare a sostegno di un gruppo sportivo? Quel che si nota è semmai la sponsorizzazione da parte del team a vantaggio delle corse RCS, per avere un barlume di possibilità di prendervi parte. Mentre la Drone Hopper-Androni stava chiudendo i battenti, gli striscioni pubblicitari che portavano il suo nome erano ancora sulla cartellonistica del Giro. Non li avranno pagati, ma era previsto che lo facessero. Lo stesso dicasi per Eolo, che per anni è stato il title sponsor delle corse Gazzetta, spendendo quello che magari gli avrebbe permesso di ingaggiare qualche buon corridore.

La Total Energies, come la Cofidis, ha sempre partecipato al Tour, e le corse ASO pur non essendo nel WorldTour
La Total Energies, come la Cofidis, ha sempre partecipato al Tour, e le corse ASO pur non essendo nel WorldTour

Il ruolo della FCI

E la Federazione cosa fa? In che modo ha tutelato e sta tutelando il ciclismo italiano? Esiste negli uffici dello Stadio Olimpico una visione che porti in futuro a una nuova primavera?

Quel che si nota è da un lato un notevole appoggio da parte del Coni che ha permesso di superare parecchi ostacoli, dall’altro un certo appiattimento sulle posizioni di RCS Sport, cui sono stati affidati il Giro d’Italia U23 e quello delle donne, con il famoso bando che tagliò fuori gli altri organizzatori.

L’investimento sulle nazionali è astuto e probabilmente darà anche buoni frutti. Si prende il meglio e si cerca di trarne il meglio in termini di risultati. Se però non si fa nulla per alimentare il bacino, alla fine non ci sarà più acqua da pompare nel campo ed è quello che in parte sta già accadendo.

Amadio ha portato tutto quel che ha imparato in anni di gestione di grandi squadre, ma forse non è questo lo scopo di una Federazione, che dovrebbe spingere maggiormente la base a ritrovare solidità e credibilità. Il ciclismo italiano è in balia dei soldi altrui. E neanche si può impedire a un corridore di cercare fortuna all’estero, se la controproposta è un calendario asfittico popolato dalle squadre che sono rimaste. In Francia, la Federazione gestisce la Coupe de France, in cui vengono coinvolti professionisti e under 23 dei team continental. Avete fatto caso che nei Devo Team delle squadre del Belgio e d’Olanda è molto raro trovare un giovane francese? E’ così difficile immaginare un calendario formato dalle classiche internazionali per U23 e le altre corse professionistiche rimaste fuori dal WorldTour? E’ un tema che si è mai affrontato al tavolo della Lega commissariata?

Agli europei di Drenthe, il presidente Dagnoni con le tre azzurre del Mixed Team Relay juniores
Agli europei di Drenthe, il presidente Dagnoni con le tre azzurre del Mixed Team Relay juniores

La base spaccata

Quel che si nota è che, avendo lasciato ai Comitati regionali la possibilità di organizzarsi come meglio credono, non ci sono situazioni omogenee a tutto svantaggio della crescita del movimento. Esiste una prospettiva per il ciclismo italiano? La nascita del grande campione non dipende dalle strutture, la natura fa da sé, ma siamo certi di non averne persi perché anziché dedicarsi al ciclismo hanno preferito altri sport? Se la sola stella polare resta il profitto, non illudiamoci troppo. Intendiamoci: è legittimo che società private agiscano per fare soldi. La possibilità di fare promozione andrebbe nel senso di tenere alimentata la fiamma sotto il proprio investimento. Non raccontiamoci storie, insomma, certe cose non accadono per caso.

Ciuccarelli, basta ciclismo. Decisione sofferta e (forse) obbligata?

23.10.2023
7 min
Salva

Le sliding doors sono una costante nel ciclismo, uno sport che quando vuole sa essere anche il più spietato e duro del mondo. La storia di Riccardo Ciuccarelli racchiude tutto – gloria e delusione – nello spazio di pochi mesi, che per un atleta di ventitré anni possono rappresentare un colpo profondo a carriera e morale.

Il marchigiano di Fermo però è un ragazzo forte, già consapevole di ciò che è stato e ciò che sarà. Ciuccarelli ha deciso di smettere di correre (in apertura, foto Rodella). Al Giro del Veneto, come ci aveva anticipato il suo diesse Milesi, ha disputato l’ultima corsa sia con la Biesse-Carrera sia della carriera. Una scelta che fanno in tanti, dirà qualcuno, ma per capire quanto gli possa essere costato bisogna fare un salto all’indietro di un paio di anni.

Flashback

Nel 2021 Ciuccarelli vive una grande stagione. Al Giro d’Italia U23 conquista l’ottava tappa al termine di una lunga fuga e ad agosto trionfa al Poggiana grazie ad una stoccata solitaria. In quel periodo Riccardo non è più un nome qualunque e finisce sui taccuini della formazioni pro’. Si fa avanti l’allora Androni Giocattoli che a fine anno gli fa firmare un contratto per la futura Drone Hopper a partire dal 2023. Ma la beffa arriva implacabile. La formazione di Savio si deve ridimensionare per i guai finanziari del main sponsor spagnolo e Ciuccarelli non può più passare con loro. Lo scalatore classe 2000 ingoia il rospo e riparte nuovamente dalla Biesse-Carrera, fino ai giorni nostri, che abbiamo ricostruito con lui.

Seguito da Ellena

Nel 2022 però, su consiglio di Giovanni Ellena (all’epoca diesse della Drone Hopper), per Ciuccarelli è meglio restare ancora nella Biesse-Carrera – diventata continental nel frattempo – per crescere ulteriormente. Riesce a vestire anche l’azzurro della nazionale. Fare un calendario più ampio e alla portata può evitare l’errore di bruciare un ragazzo non pronto immediatamente al grande salto.

«Credevo molto in lui – dice l’attuale diesse della Eolo-Kometa alle prese con i postumi di una recente e rovinosa caduta in montagna dopo quaranta giorni di ospedale – ed è un peccato che si sia dovuto ritirare. Mi spiace molto. Confermerei ancora oggi la decisione di tenerlo “parcheggiato” in una società all’altezza come quella di Milesi e Nicoletti. Giusto fare così, però col senno di poi la situazione poteva prendere una piega diversa. Migliore? Chi lo sa…».

Milesi, Ciuccarelli e Savio al momento della firma nell’inverno 2021 per il passaggio nella Drone Hopper ad inizio 2023
Milesi, Ciuccarelli e Savio al momento della firma nell’inverno 2021 con la Drone Hopper

«Riccardo – prosegue Ellena – è rimasto vittima di una serie di incastri sfavorevoli oltre modo. Forse, per come sta viaggiando alla velocità della luce il ciclismo attuale, ha fatto risultati importanti in un momento in cui i Devo Team esteri non guardavano così tanto in casa nostra. Ora siamo noi a bussare a loro per i nostri talenti migliori, juniores o U23 che siano. Tuttavia il vero problema è che in Italia ne stiamo perdendo tanti di ragazzi così, perché mancano le squadre professionistiche o ce ne sono poche. Masnada è l’esempio che faccio sempre. Lo abbiamo fatto passare per il rotto della cuffia perché qualcuno non era convinto ed ora guardate dov’è arrivato. Qualcosa dovrebbe cambiare a livello governativo. All’estero alcuni Stati appoggiano diverse loro squadre in modo congruo».

Riccardo questa decisione quando l’hai maturata?

Era un po’ che ci pensavo. E’ nata qualche mese fa, è stata preventivata, metabolizzata. Già tanti anni fa mi ero sempre prefissato di arrivare fino alla fine degli U23 se non avessi trovato un contratto da pro’ prima. Quest’anno ho ascoltato le emozioni. A livello mentale sono state contrastanti. Da una parte dovevo dimenticare quello che era successo nel passato e che non svanisce nel nulla. Dall’altra avevo voglia di correre. Alla fine ho tracciato una riga cercando di essere ragionevole. Le motivazioni non erano più sufficienti per andare avanti ancora.

Come lo hai vissuto questo 2023?

Sono ripartito per rimettermi in mostra, ma era difficile. Qualche bel risultato l’ho ottenuto (un secondo, un quarto e altre cinque top 10, ndr). La difficoltà più grande è stato il calendario. Buono per larga parte, ma tra giugno e luglio ho corso poco perché la squadra era formata da tanti U23 e giustamente guardava più a quelle gare. Mi sono sempre impegnato al massimo come fossi al primo anno nella categoria, però è stato difficile restare concentrato. Onestamente ce l’ho fatta a continuare ad allenarmi senza saltare di testa, ma mi è costato fatica. A tal proposito vorrei aggiungere una cosa importante.

Vai pure…

Vorrei ringraziare tanto la Biesse-Carrera perché quest’anno mi hanno dato una nuova chance, riconfermandomi all’ultimo minuto lo scorso inverno, e per tutto il tempo trascorso con loro. Ho fatto tre anni favolosi, dove sono stato guidato da Marco e negli ultimi due anche da Dario (rispettivamente Milesi e Nicoletti, i due diesse, ndr). Mi hanno insegnato tanto. La Biesse-Carrera è stata la mia seconda famiglia e l’appartamento che avevamo ad Osio Sotto, che dividevo con Foldager e altri compagni, è stata la mia seconda casa. Ringrazio anche gli sponsor che ci hanno messo sempre a disposizione un bel budget per svolgere al meglio la nostra attività e per ospitarci da loro.

Cosa ti ha lasciato la vicenda della Drone Hopper?

Diciamo che si perde un po’ di fiducia nell’ambiente. Ho saputo tutto all’ultimo quando non c’era più nulla da fare. Ho pagato il fatto anche di non avere un procuratore. Mi resta amarezza perché se non hai una figura del genere sembra che tu non venga considerato anche se fai i risultati. Il ciclismo di adesso è come la moda. Cambia tanto da una stagione all’altra. E noi atleti siamo come degli yogurt, sembra che abbiamo una scadenza. Non si possono definire vecchi ragazzi di 23/24 anni. Avevo fatto bene a restare negli U23 nel 2022 perché non volevo passare per forza per poi soffrire ad ogni corsa. Ma è andata così, quest’anno nessuno dalla sponda pro’ mi ha più cercato.

Ciuccarelli nel 2023 si è impegnando a fondo, ottenendo qualche buon risultato, ma aveva già metabolizzato il suo ritiro (foto Rodella)
Ciuccarelli nel 2023 si è impegnando a fondo, ottenendo qualche buon risultato, ma aveva già metabolizzato il suo ritiro (foto Rodella)
Il rapporto di Riccardo Ciuccarelli col ciclismo com’è adesso?

Rimane buono perché per me non era un’ossessione. Il ciclismo è una profonda passione, tant’è che continuo ad uscire in bici approfittando del bel tempo. Ho iniziato a correre da G1 nella Rapagnanese e non vorrei interrompere il legame con questo sport. Ho ripreso gli studi in Scienze Motorie e nel giro di un anno vorrei laurearmi. Mi piacerebbe seguire i giovanissimi e magari in futuro anche allievi o juniores. Potrei trasmettere a loro la mia esperienza, potrebbe un insegnamento per i giovani. Ora però sto vivendo già il mio presente. Il diploma da odontotecnico è tornato utile e lo sto sfruttando lavorando nell’azienda di mio padre. A cosa fare più avanti ci penserò.

In Turchia si è rivisto Cavendish. Manzoni: «Leader motivato»

23.10.2023
5 min
Salva

Durante il Giro d’Italia aveva annunciato il ritiro, non prima di andare al Tour de France per accaparrarsi il record assoluto di vittorie di tappa. Poi dopo la caduta e il conseguente ritiro, Mark Cavendish è tornato sui suoi passi. Non c’è stato un ritorno ufficiale. Anzi…

Fatto sta che all’ultimo Giro di Turchia, Cav è arrivato ultimo. Che il corridore dell’Astana-Qazaqstan abbia concluso la sua prova in “maglia nera” poco conta. Conta che c’era. Conta che dopo il Tour sia tornato a mettere il numero sulla schiena.

Mario Manzoni (classe 1969) è stato pro’ per 14 stagioni. Oggi è uno dei diesse dell’Astana
Mario Manzoni (classe 1969) è stato pro’ per 14 stagioni. Oggi è uno dei diesse dell’Astana

In quei giorni turchi a dirigerlo dall’ammiraglia c’era Mario Manzoni, grande ex velocista, e oggi diesse del team kazako. Team che in Turchia la classifica non solo l’ha chiusa, appunto con Cavendish, ma l’ha anche aperta con Lutsenko. 

Quando lo intercettiamo, Manzoni è di ritorno da Dalmine. Anche l’Astana-Qazaqstan ha concluso il suo ritro “senza bici”, un breve raid nel bergamasco. «Solo che noi – dice il direttore sportivo lombardo – non eravamo tutti. C’erano i nuovi arrivati e qualche senatore, come Cav appunto, e Lutsenko che hanno accolto i nuovi innesti e le giovani leve. Mark è un personaggio vero. Ce ne rendiamo conto e per questi eventi ci deve essere. E’ un riferimento per i campioni in gruppo, figuriamoci per i nuovi del nostro team». Tra i nuovi arrivati, tanto per ricordarne uno, c’è anche Michael Morkov.

Cav al lavoro per la squadra durante il Giro di Turchia
Cav al lavoro per la squadra durante il Giro di Turchia
Mario, partiamo dal Giro di Turchia. Ti sei ritrovato Cavendish. Un ritorno importante…

Secondo me è stato importante che Mark sia rientrato in corsa. Aveva preso questo accordo con la squadra e sono convinto che gli abbia fatto bene, visto come è andata la sua stagione e vista quella che verrà.

Ci puoi raccontare del suo “non ritiro”?

La caduta al Tour l’aveva lasciato con l’amaro in bocca. Lui era, ed è, molto motivato nell’inseguire questo record di vittorie, ma anche per le altre gare. Vinokourov gli ha lanciato subito la proposta di continuare dopo l’abbandono della Grande Boucle. Ma abbiamo avuto subito il sentore che la cosa non sarebbe finita lì. E’ una mia sensazione.

Hai parlato positivamente della gara in Turchia di Cav, nonostante sia arrivato ultimo. Su che basi giudichi dunque la sua prestazione?

La giudico nel complesso e nel lavoro che ha svolto. Le prime tappe erano impegnative e lui era un po’ che non correva, di fatto dal ritiro al Tour, okay si è allenato, ma la corsa è un’altra cosa. Nel frattempo abbiamo vinto la tappa e preso la maglia con Lutsenko, a quel punto dovevamo controllare la gara. Ebbene, Mark ha svolto un grande lavoro nei primi 100, anche 150 chilometri, facendoci risparmiare degli uomini per il finale. Quindi il suo è stato un supporto vero, concreto. E si è mostrato un vero leader, sia in corsa che fuori.

Cavendish e Lutsenko, leader veri. In particolare Cav è parso sereno nella trasferta turca
Cavendish e Lutsenko, leader veri. In particolare Cav è parso sereno nella trasferta turca
Cavendish è da voi solo da un anno e tu sei il secondo direttore sportivo dopo Zanini a dirci del suo essere leader anche al di fuori della corsa…

E’ così. Cavendish in gruppo è sereno. Ha dato messaggi forti alla squadra. Con Lutsenko è stato un vero leader. Si è ambientato bene.

Insomma il suo è un ritorno vero. Non è il campione che si trascina e che non accetta l’idea del fine carriera…

Se uno come lui corre ancora di certo non lo fa per soldi o perché non sa cosa fare nella vita, ma lo fa perché ha una super motivazione. Come ho detto si è trovato bene in squadra. C’è gente che gli vuole bene e che lo ha accolto alla grande. Mark è un personaggio costruttivo, anche nelle critiche. Ogni volta che l’ho diretto, ho trovato un professionista serio e motivato. Allo ZLM Tour in Olanda, ricordo che era molto attento, guardingo… ma solo perché aveva paura di cadere prima del Tour.

Mario tu sei stato un velocista e sappiamo che col passare degli anni è sempre più difficile per uno sprinter primeggiare, tanto più oggi che ci sono dei ragazzini subito vincenti. Che idea ti sei fatto? Davvero Cav ce la può fare?

E’ vero, è sempre più difficile e si sa che con il passare degli anni si perde esplosività, ma è anche vero che lui è Cav… e non è uno normale! Vuole questo record, è consapevole che ha a che fare con velocisti molto forti. Li rispetta, ma non li teme. Il fatto che sia riuscito a vincere al Giro è stato importantissimo. Sa che ci può credere. Non è facile, ma se ci crede allora è sul pezzo.

Un buon clima in squadra. Poche volte si era visto il britannico (a destra) tanto sorridente e disponibile
Un buon clima in squadra. Poche volte si era visto il britannico (a destra) tanto sorridente e disponibile
Talmente sul pezzo che è riuscito non solo a non far smettere Morkov, ma anche a farlo arrivare da voi. Il danese si aggiunge così a Ces Bol e forse anche a Michele Gazzoli che abbiamo visto molto attivo nei finali veloci per Syritsa.

Lo scorso anno Bol, come Cav, era rimasto coinvolto nel caso B&B Hotels. Abbiamo trovato l’accordo anche con lui e posso dire che sono molto contento di averlo in squadra, a prescindere da Cav perché Ces è un corridore vero. Sarebbe stato un peccato perderlo. Ora è arrivato anche Morkov e abbiamo visto in questi anni le sue qualità di apripista. Da quel che ho visto alla tv il feeling con Jakobsen non è più lo stesso. Da ex velocista ho notato piccoli dettagli, movimenti, dai quali si capisce che forse Jakobsen non si fida più ciecamente di lui. Forse lui stesso ha perso un po’ di sicurezza dopo l’incidente. E spesso avevano avuto i presupposti per primeggiare.

Il ritorno alle corse di Cav dunque non è stato fine a se stesso, gli ha consentito di finire l’anno un po’ come tutti gli altri, di riprendere l’inverno con una certa routine e magari anche di controllare il peso?

Esatto. Pensate se non avesse più corso dal Tour. Sarebbero passati 6-7 mesi prima della gara successiva. Avrebbe fatto più fatica con il ritmo gara, con certi automatismi con la squadra e certe sensazioni. Col peso non era messo male. Certo, non era super tirato, ma aveva fatto la BIA (bioimpedenziometria, ndr) ed era in linea con il periodo.

L’addio di Van Avermaet, un uomo comune in cima al mondo

22.10.2023
6 min
Salva

«Quando diventi professionista, è un punto di partenza, è come se tutti partissero alla pari, devi semplicemente metterti alla prova e capire dove puoi arrivare. E io sono stupito di dove sono arrivato». In queste parole è racchiusa l’essenza della carriera di Greg Van Avermaet, che alla Parigi-Tours ha chiuso la carriera durata 16 anni e contraddistinta da 42 vittorie. Alcune di peso specifico enorme, come l’oro olimpico di Rio 2016 che gli ha ritagliato un posto fra i grandi del ciclismo belga. Per questo il suo ritiro non poteva passare inosservato.

«Quando ho iniziato – racconta – ero uno dei tanti. Avevo ambizioni, certo, volevo incidere, chi non lo vuole? Pian piano ho sentito che in certe gare come le classiche mi sentivo di essere migliore di tanti. Ma non avrei mai pensato di arrivare in cima, al numero 1 del ranking. Eppure è successo».

Greg con la figlia Fleur. Ora avrà la possibilità di godersi di più la famiglia, cosa che gli è mancata
Greg con la figlia Fleur. Ora avrà la possibilità di godersi di più la famiglia, cosa che gli è mancata

Un portiere mancato

D’altronde non potrebbe essere altrimenti, considerando le sue origini sportive. Da ragazzino, Greg non sognava di essere un ciclista, lui che pure veniva dalle Fiandre, che aveva avuto un nonno corridore professionista e un padre buon dilettante. Lui non guardava a Merckx o De Vlaeminck, Museeuw o Boonen, i suoi idoli erano Pfaff e Preud’homme. Greg voleva fare il calciatore o meglio il portiere. Era arrivato proprio alle soglie del grande calcio, a 17 anni militava nel Beveren, squadra di prima divisione belga avversaria tante volte dei nostri club nelle Coppe. Quel sogno s’infranse un giorno, con un grave infortunio. La riabilitazione passò per la bicicletta e Greg scoprì che nella sua vita era pronto un piano B.

«Quando ho iniziato – ricorda – c’era gente come Armstrong, Hincapie, Museeuw, Cancellara. E’ stato meraviglioso misurarsi con loro e crescere attraverso di loro».

Uno in particolare è stato il suo mentore, quasi senza saperlo: «Per me Hincapie era un’ispirazione, aveva un’atmosfera particolare intorno a sé e tanti anni dopo ho capito che io lo ero diventato per gli altri. Era bello vedere ragazzi come Florian Vermeesch venire in corsa vicino a me a chiedere consigli. Anche questo significa aver fatto la propria parte».

La storia di Van Avermaet è fatta anche di cadute, soprattutto al Giro delle Fiandre (foto Velo Online)
La storia di Van Avermaet è fatta anche di cadute, soprattutto al Giro delle Fiandre (foto Velo Online)

Il ritratto… ripetuto

Sedici anni di carriera sono contraddistinti da tanti episodi. Ma per descrivere l’uomo oltre il campione, può bastarne uno, quasi avulso dalle corse, dalle vittorie e sconfitte. Lo raccontava James Startt, fotografo americano alla rivista Velo Outside.

«Ogni anno Greg ha preso parte alla trasferta canadese – ha detto – per preparare al meglio i mondiali. Alloggiava sempre allo Chateau Frontenac, storico hotel nel cuore di Quebec City. Nel 2018, dopo l’allenamento, gli dissi che avevo trovato un angolo nella reception molto particolare, con una sedia del XVIII secolo circondata da dipinti storici con cornici in foglia d’oro, dove fare un ritratto, lui vestito da ciclista in un contesto completamente diverso.

«Lui, con la divisa BMC, assunse pose che mi piacevano molto per il contrasto che esprimevano e al contempo per quel che dicevano del personaggio. Quand’era tutto fatto, mi arrivò un messaggio dall’addetto stampa: le foto non si potevano usare, non aveva usato le scarpe da ginnastica del team perché aveva fastidi a un piede. Entrai nel panico, la foto era già stata spedita, ma a risolvere le mie difficoltà e i miei timori intervenne lo stesso Greg, disposto a rivestirsi di tutto punto e rifare tutto. Provate a chiedere oggi la stessa cosa…».

Il particolare ritratto scattato da James Statts nel 2018. Una storia dietro questo scatto
Il particolare ritratto scattato da James Statts nel 2018. Una storia dietro questo scatto

Talento e buon fiuto

Van Avermaet può essere considerato l’esempio di come si possa arrivare lontano attraverso due ingredienti specifici: talento e un buon fiuto, che ti consentono di stravolgere anche quelle regole che sembravano scritte. La sua vittoria più grande è figlia di questa regola, il titolo olimpico di Rio 2016: non era una gara per lui, alla vigilia nessuno avrebbe scommesso sulle sue possibilità, lui splendido passista in una gara che sembrava disegnata apposta per chi sapeva andare in salita.

La corsa si era messa esattamente come si prevedeva. Anzi, il suo epilogo sembrava segnato quando Vincenzo Nibali lanciò l’attacco in compagnia del colombiano Henao. In discesa lo Squalo stava costruendo il suo capolavoro, ma una malefica curva lo tradì. Van Avermaet era dietro, ma era sopravvissuto, fra crisi e cadute altrui, fino ad approdare alla gloria eterna.

Van Avermaet con l’oro di Rio 2016, secondo belga a conquistarlo alle Olimpiadi
Van Avermaet con l’oro di Rio 2016, secondo belga a conquistarlo alle Olimpiadi

La maledizione del Fiandre

La sua è stata una carriera di vittorie e fallimenti, anche nei suoi due anni più ricchi: il biennio 2016-17. Nel 2016 era partito fortissimo con le vittorie all’Omloop Het Nieuwsblad e alla Tirreno-Adriatico, era stato 5° alla Sanremo e prometteva sconquassi alle classiche, ma una rovinosa caduta al Fiandre gli costò la frattura della clavicola. Sembrava che la stagione fosse ormai persa, invece risorse dalle sue ceneri approdando alla vestizione della maglia gialla al Tour e all’apoteosi di Rio. Nel 2017 la caduta sull’Oude Kwaremont al Fiandre, quando davanti Gilbert era ancora raggiungibile: quel giorno la classica che più amava sfuggì ancora una volta, la definitiva. Ma sette giorni dopo, Greg sbaragliò la concorrenza a Roubaix.

La carriera di Van Avermaet ha sempre avuto in Sagan un punto di riferimento, il suo contraltare ed è curioso che i loro ritiri siano avvenuti a una settimana di distanza, quasi un segno del cambio generazionale. Due personaggi molto diversi fra loro, caratteri opposti. Molti rivedono nella loro rivalità quella attuale fra Van Der Poel e Van Aert, dimenticando probabilmente che quest’ultima non è però scaturita dal ciclismo su strada, ma è figlia di un processo più lungo e passato attraverso il ciclocross.

Van Avermaet e Sagan al mondiale 2017. La loro rivalità è stata il sale del ciclismo per anni
Van Avermaet e Sagan al mondiale 2017. La loro rivalità è stata il sale del ciclismo per anni

Fermarsi in tempo

Van Avermaet, nel suo passo d’addio, ha rivolto un particolare pensiero al suo rivale slovacco: «Peter ha vinto molto più di me, ma quand’eravamo sul mio terreno ho potuto batterlo alcune volte e questo rende le cose più belle. Lo rispetto molto, ha reso la mia carriera ancor più bella».

Probabilmente “Golden Greg”, come viene chiamato da quel giorno di Rio, avrebbe potuto ancora continuare, ma del suo ritiro si sapeva già dalla primavera.

«Io mi diverto ancora, mi piace pedalare – ha raccontato – ma sento che quel livello, quello del ciclismo di oggi, non mi appartiene più. Le classiche non sono state un granché, così ho deciso che poteva bastare, mi scadeva il contratto con l’AG2R Citroen Team e non mi sono neanche messo a cercarne un altro. E’ meglio fermarsi quando ancora si esprime qualcosa. Io sono ancora preparato, ma non ho più lo scatto di prima e così anche una top 10 diventa proibitiva. Allora mi chiedo, a cosa servirebbe? Sono contento di quel che ho fatto».

Nella Bora dei 5 capitani, ad Aleotti serve più fuoco

22.10.2023
4 min
Salva

LIUZHOU – Dopo l’arrivo in salita di Nongla, Aleotti si è seduto a terra e si è preso tutto il tempo per respirare ancora. Gli ultimi 1.500 metri della quarta tappa al Tour of Guangxi sono stati una lunga apnea e chiunque non avesse le gambe migliori l’ha pagata a carissimo prezzo. Qualcuno ha annotato che raramente si vedono simili facce stravolte dopo un arrivo, in realtà si trattava delle stesse facce del Muro d’Huy, in un periodo dell’anno in cui tuttavia la condizione è meno buona.

«La prima parte della tappa – sorride Aleotti – è stata abbastanza tranquilla, quasi facile. Poi gli ultimi 10 minuti li abbiamo fatti a fiamma ed è stato l’ultimo sforzo vero della stagione. E dopo la scorsa settimana con due cadute, anche quella del Lombardia, l’ho pagata con 19 secondi di ritardo».

Quattordicesimo a Nongla, con 19 secondi di ritardo da Vidar, Aleotti ha dato tutto quel che aveva
Quattordicesimo a Nongla, con 19 secondi di ritardo da Vidar, Aleotti ha dato tutto quel che aveva

Il 2023 è stato un calvario. Gli obiettivi sono sfumati, la lista delle sfortune è interminabile e la sensazione che Giovanni sia in un ambiente che va avanti bene anche senza di lui ce l’abbiamo addosso da qualche tempo. La Bora-Hansgrohe si è rinforzata con l’arrivo di Roglic. Ci sono Hindley e Vlasov, Higuita e l’emergente Uijtdebroeks. Qualunque piccolo spazio, l’emiliano dovrà conquistarselo con la forza e un po’ più di fuoco addosso.

Che stagione è stata questo 2023?

Un po’ complicata e specialmente nella prima parte ho avuto tanti problemi. All’Oman mi sono ammalato, poi sono tornato e sono caduto in allenamento. Mi sono aperto la mano e sono stato di nuovo fermo. Prima del Giro ho avuto un’infezione all’occhio, sono guarito a tre giorni dal via. E appena ho recuperato, ho preso il Covid e mi sono ritirato dopo la tappa di Napoli. Nel ciclismo di adesso in cui è tutto così al limite, trovarsi a inseguire non è facilissimo. Invece da agosto in poi ho avuto un buon periodo, in cui mi sono sentito molto bene. Ho trovato continuità, motivo per cui abbiamo deciso di venire qui in Cina. E’ l’ultima corsa WorldTour, c’era una sola tappa di salita. L’obiettivo era probabilmente un piazzamento nei 10, ma quello che si è visto è ciò che è rimasto nel serbatoio. E allora sono contento di essere qua e di finire qua la stagione.

A ruota di Cesare Benedetti, veterano della Bora-Hansgrohe, c’è Aleotti. E sullo sfondo i grattacieli di Nanning
Aleotti a ruota di Benedetti, veterano della Bora-Hansgrohe. E sullo sfondo i grattacieli di Nanning
Un bel percorso a ostacoli, purtroppo rispetto agli obiettivi di partenza è stata una stagione deludente…

Diciamo che voglio finire prendendo il poco di buono che si è visto in questi ultimi mesi. Dal Polonia in poi mi sono sentito bene, sono stato davanti e diciamo che voglio prendere questo in prospettiva dell’anno prossimo.

Forse abbiamo visto il Giovanni migliore in occasione delle due vittorie al Sibiu Cycling Tour, che idea ti stai facendo di te? Anche perché con l’arrivo di Rogic forse gli spazi si chiuderanno…

Credo che con Roglic tutta la squadra farà un passo in avanti. Io continuo a crescere e spero di avere un po’ più di continuità. Come dicevo, nel ciclismo in cui si va a mille all’ora, trovarsi a inseguire per problemi fisici non è il massimo. So che ho lavorato bene, ma se per ogni passo che fai in avanti, poi devi farne due indietro, tutto si complica.

Ogni più piccolo spazio si dovrà conquistare?

Spero che l’arrivo di Roglic non tolga spazio e anzi porti più professionalità alla tanta che c’è già in questa squadra. Sicuramente l’arrivo di una superstar dà qualcosa in più a tutti e magari per me sarà anche un campione da cui imparare.

Partenza dell’ultima tappa del Tour of Guangxi, da qui si potrà andare per un po’ in vacanza
Partenza dell’ultima tappa del Tour of Guangxi, da qui si potrà andare per un po’ in vacanza
All’inizio della stagione avete la possibilità di indicare le corse che vorreste fare?

Di solito i nostri desideri e i programmi si condividono sempre con i direttori sportivi e con i preparatori. Anche l’anno scorso avevamo un programma che prevedeva la partenza dall’Australia, ma per vari motivi da lì in avanti sono saltati. L’Oman e la Coppi e Bartali erano i miei due obiettivi di inizio stagione. In Oman mi sono ammalato e alla Coppi e Bartali non sono partito per la caduta in allenamento. La squadra ascolta e io sono il primo ad ascoltare quello che mi consigliano di fare. Però la voglia di provare a mettermi alla prova c’è ed è tanta.

La domanda serviva per capire se tu sia rassegnato a un ruolo da comprimario o abbia voglia di batterti per vincere.

Penso che ormai sia sempre difficile vincere, perché vincono quasi sempre gli stessi. E anche per i giovani penso serva più tempo, specialmente se si parla di scalatori. Magari il velocista riesce a inserirsi meglio, mentre in salita la tattica conta poco e alla fine contano le gambe. E’ un ciclismo in cui vincono quasi sempre gli stessi. Io penso che sicuramente anche la fiducia in se stessi porti a fare risultati. Quindi quello che spero è sicuramente di avere continuità di prestazioni e di sensazioni. E di ricostruire questa fiducia. E poi non ci starebbe male un po’ di fortuna…

Conca riparte dopo due mesi senza bici (come Masnada)

22.10.2023
6 min
Salva

CALDARO – Siamo in Trentino per il training camp di Q36.5 pronti a partire per un itinerario gravel, propensi a testare il materiale tecnico del marchio bolzanino. Ivan Santaromita (ex campione italiano, nonché tester e consulente R&D per Q36.5) ci sta parlando delle innovazioni tecniche che il brand sta progettando per il prossimo futuro. Vediamo arrivare un ragazzo alto, vestito con l’abbigliamento da riposo del Q36.5 Pro Cycling Team. «Oggi non pedalo con voi – dice sorridendo amaramente Filippo Conca – anzi a dir la verità non pedalo da inizio settembre». 

Proprio così, vi avevamo raccontato dell’infortunio di Fausto Masnada un mese fa e oggi troviamo con lo stesso medesimo problema al soprasella Filippo Conca. Un’infezione che lo ha costretto a riporre la bici in garage per due mesi senza altre possibilità. Per lui un anno complicato, ricco di aspettative, ridimensionate a seguito di tanti intoppi susseguitisi uno dopo l’altro inesorabilmente. 

Conca ha scelto il Q36.5 Pro Cycling Team dopo due anni in Lotto Dsnty
Conca ha scelto il Q36.5 Pro Cycling Team dopo due anni in Lotto Dsnty
Com’è andato questo tuo anno?

Un quarto di anno. Squadra nuova, tutto partiva da zero anche per loro. Le ambizioni erano comunque alte, sia come team sia per me stesso. L’anno scorso, a fine stagione, finalmente ero riuscito a trovare continuità, due o tre mesi senza problemi e stavo raccogliendo bene alla Vuelta. Alla diciassettesima tappa ho ripreso il Covid, quindi la stagione è finita anche lì in modo brusco. Dopo un bell’inverno ho iniziato bene, avevo buone sensazioni già a gennaio e febbraio alla Valenciana. Dopodiché al Tour of Rwanda sono stato male per colpa di un virus intestinale dopo solo un giorno di gara. Alla Strade Bianche comunque, non sono andato forte, ma col livello che c’era, neanche pianissimo, cioè mi sono staccato sul Monte Sante Marie da 50 corridori.

Poi?

A quel punto, sono andato alla Tirreno-Adriatico. I primi due o tre giorni stavo bene, poi tutto d’un colpo, da un giorno all’altro ero morto, mi staccavo prima dei velocisti e non si capiva il perché. Avevo un mal di schiena forte, non riuscivo a dormire, però non avendo né tosse né raffreddore, non abbiamo pensato neanche di fare un tampone Covid. Così ho fatto un mese completamente senza forze, fino a quando ho iniziato avere problemi respiratori. Tutte le volte che ho avuto il Covid ho sempre avuto problemi analoghi. Per 20-30 giorni, era difficile sia camminare che andare a 30 all’ora. Quindi molto probabilmente avevo passato il Covid senza essermene accorto.

Qui Conca all’italiano di Comano Terme con alla sua ruota Simone Velasco
Qui Conca all’italiano di Comano Terme con alla sua ruota Simone Velasco
Questo ha complicato la tua stagione?

Sì perché continuavo ad allenarmi, ma andavo sempre più piano, fino a quando poi abbiamo deciso di fermarci a inizio aprile. La squadra mi ha fatto un test VO2 Max e abbiamo visto  che avevo perso 12 punti di VO2 Max e 80 watt in soglia nonostante non avessi mai interrotto gli allenamenti fino a quel giorno. Da lì ho dovuto ricostruire tutto da capo, altura a Livigno e quant’altro, a fine aprile ho ripreso con le corse. Gare diciamo non adattissime, però facevo il mio, cercavo di aiutare la squadra, giustamente perché ero stato fuori la prima parte di stagione.

Quando hai rivisto la luce?

Finalmente sono riuscito a raggiungere un buono stato di forma all’italiano e ho fatto ottavo. Una piccola dimostrazione che mi ha dato fiducia per proseguire a testa bassa. In quelle situazioni ti aggrappi anche a risultati così. Alla sera dell’italiano sono partito e sono stato a Livigno 26 giorni, poi sono sceso e ho corso subito in Spagna dove ho ritrovato una buona gamba.

Poi cos’è successo?

Mi sono allenato ancora a casa e dopo 20 giorni sono andato a Burgos, dove è successo il misfatto perché ho fatto le prime tre tappe forte. Alla terza sentivo di stare bene, mi sono risparmiato per tutto il tempo, quando poi è arrivata la salita l’ho presa a tutta e sono rimasto subito da solo. Dopo tre, quattro minuti, tutto d’un tratto, sono esploso come se di colpo mi fossi surriscaldato. E’ una cosa di cui non avevo mai sofferto ed è suonato un campanello d’allarme. Con il dottore ci siamo accorti dell’infiammazione al soprasella, ma non abbiamo collegato le due cose. Nell’ultima tappa, sono stato malissimo, ho sofferto tutto il giorno e poi dopo l’arrivo febbre, vomito, mal di testa e l’ascesso tutto insieme. Da lì si è fermata la mia stagione…

Il Covid e l’infezione hanno alterato la stagione e la condizione fisica di Conca
Il Covid e l’infezione hanno alterato la stagione e la condizione fisica di Conca
E adesso?

Ho fatto l’operazione come ha fatto Masnada. Si rimuove l’ascesso e si riparte da zero. Infatti l’intervento è stato fatto dallo stesso chirurgo che ha operato Fausto.

Riprenderai la bici a novembre dopo 50 giorni. Ti aspetta un inverno anomalo?

Più o meno partirò nello stesso periodo, forse un po’ più tardi degli altri anni, perché di solito parto a inizio novembre. Anche se gli altri anni stavo fermo 20 giorni, dipendeva dall’annata, adesso però ripartirò da zero. 

Come ti sei tenuto in forma in questi due mesi senza bici?

In realtà ho provato a prenderla qualche volta quando l’infiammazione si sgonfiava, ma ogni volta facevo un danno più grosso. Così in accordo con i preparatori sto facendo camminate e molta palestra. Sono anche curioso di vedere come andrà, perché comunque non ho mai lavorato così tanto sulla forza. Pensavo di mettere molti più chili con la palestra. Proverò a far tutto l’inverno, tenendo gli allenamenti in palestra due volte a settimana.

La cronometro quest’anno gli ha regalato la terza top 10 stagionale
La cronometro quest’anno gli ha regalato la terza top 10 stagionale
Per quanto riguarda il team come ti sei trovato quest’anno in Q36.5?

Mi sono trovato bene. Comunque l’ambizione della squadra è alta, gli sponsor sono molto buoni, quindi c’è anche budget per lavorare bene. Il primo anno non è mai semplice, però credo sia stata un’annata positiva per la squadra.

Senti di aver trovato il tuo giusto spazio, sai che lo troverai anche anno prossimo?

Sì, a dir la verità, ho scelto di venire qua per questo. Sono professionista da tre anni e nelle poche occasioni in cui sono riuscito a trovare anche solo due mesi di costanza, che è pochissimo nel nostro sport, ho trovato un ottimo livello di performance. Con continuità potrei arrivare a livelli importanti anche di risultato. La possibilità di rinnovare in Lotto-Dstny ce l’avevo, però ho preferito cambiare aria. Il ruolo di gregario non lo disdegno, certo preferirei farlo in una squadra WorldTour italiana. Però qui sento che posso giocare le mie carte e mettermi a disposizione quando serve. Il tutto dimostrando di essere all’altezza anno dopo anno. 

Il tuo “quarto di anno” si è concluso. Ora obiettivi e ambizioni sono tutti spostati al 2024. Si parla di Giro d’Italia per Q36.5. Se così fosse?

Voglio esserci. Dovevo farlo nel 2022, ma il Covid me lo ha tolto due giorni prima del via.