Attenti a Pithie: questo “all black” ha fame di successi…

06.04.2024
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Ormai non lo si può più considerare una novità. Se la sua vittoria alla Cadel Evans Great Ocean Race aveva colto tutti di sorpresa, Laurence Pithie ha dimostrato nel prosieguo di questo avvio di 2024 che non era stata un caso. Al suo secondo anno nel circuito maggiore, sempre in forza alla Groupama-FDJ che pian piano gli ha fatto scalare anche le gerarchie interne, il ventunenne neozelandese è uno dei corridori più promettenti del panorama internazionale, soprattutto perché ha dalla sua la sfrontatezza della sua giovane età che lo porta a provare a emergere sempre, tipica espressione della nuova generazione ciclistica nata sull’onda delle imprese di Pogacar.

Pithie non si è minimamente spaventato per i grandi impegni che lo attendevano e infatti alla Milano-Sanremo è rimasto nel vivo della corsa fin quasi alla fine, lo stesso dicasi per le prime classiche del Nord, anche se il Fiandre alla fine lo ha relegato in un’anonima 39esima piazza. Ma il calendario gli dà subito l’occasione per rifarsi, nel tempio di Roubaix.

Pithie fra Pedersen e Van der Poel. La Gand-Wevelgem lo ha visto protagonista con una lunga fuga
Pithie fra Pedersen e Van der Poel. La Gand-Wevelgem lo ha visto protagonista con una lunga fuga
Che cosa ti ha spinto a fare ciclismo su strada? In Nuova Zelanda i successi maggiori sono arrivati dalla pista…

Inizialmente ho corso anche su pista, mi piaceva molto. Ho avuto dei buoni risultati e proprio grazie ai miei riscontri sono entrato nel Willebrord Wil Vooruit Juniors, un importante team olandese. La mia ambizione era correre su strada, la pista è stata una buona ispirazione. D’altronde non credo sia possibile avere una carriera lunga e buona su entrambi i fronti: se vuoi emergere in Europa è la strada che ti dà un futuro. Se correvo su pista sarei rimasto in Nuova Zelanda. Per me il ciclismo su strada e il Tour de France sono l’espressione massima di quello che faccio. Ciò che mi ha davvero ispirato per essere un professionista. La pista è stata una bella parentesi.

Come sono stati i primi mesi alla Groupama, è stato difficile per te che venivi da un altro mondo?

Sì, non posso negarlo. Venendo dall’altra parte del mondo era super, ma anche complicato, per me e Reuben (Thompson, ndr). Confrontarsi non solo con le gare, ma con la cultura e l’ambiente, una lingua diversa, soprattutto per me che ho avuto alcune cadute all’inizio del 2023 che hanno reso tutto più difficile. Ma il team è stato di grande supporto, mi aiuta a integrarmi. La cultura francese e il vivere in Europa, lontano da casa, sono cose alle quali mi sono andato abituando. Ricordo che il primo mese mi sentivo sotto un rullo compressore, con un sacco di alti e bassi nell’umore, ma è parte del passato.

Alla Cadel Evans Great Ocean Race il suo primo successo di peso, in una volata ristretta
Alla Cadel Evans Great Ocean Race il suo primo successo di peso, in una volata ristretta
Tu sei un corridore molto veloce, ma ti abbiamo visto spesso cercare la fuga. Hai fiducia nelle tue doti di sprinter?

Sì, certamente. So che ho buone doti per il finale, ma non mi piace aspettare, preferisco costruire la corsa quando posso, stare davanti anche ben prima delle fasi finali. Io dico che se sei sempre davanti, di solito corri per la vittoria, mentre se aspetti uno sprint lasciando fare tutto agli altri, potresti anche veder sfumare tutto e lasciarti sfuggire le occasioni. Poi capita che vieni ripreso, come alla Cadel Evans Ocean Race, ma eravamo in pochi e potevo ancora correre per la vittoria. Magari se non ci avessi provato…

Avevi già corso nelle classiche belghe, cominci ad avere esperienza per ottenere risultati migliori?

Sono strade e percorsi dove per emergere bisogna imparare sempre di più. E’ vero che per ogni gara percorriamo molte delle stesse strade, ma ogni volta è diverso, la corsa è diversa. Alcune corse per me sono la prima volta, soprattutto le grandi corse. Quindi sto imparando ad ogni gara e sto migliorando.

Pithie con Cadel Evans, fondatore dell’omonima corsa. L’estate australiana gli ha portato fortuna
Pithie con Cadel Evans, fondatore dell’omonima corsa. L’estate australiana gli ha portato fortuna
Alla Gand-Wevelgem pensavi che la fuga potesse arrivare?

Sì, rispecchia quel che dicevo prima. Io dovevo provarci, dovevo essere lì se volevo avere qualche speranza. Quando Van Der Poel e Pedersen hanno forzato, io c’ero, potevo lottare con loro, ma ancora non ho le gambe per farlo, l’esperienza giusta. Avrei potuto aspettare dietro, ma che cosa ne avrei ricavato? Ho cercato di usare i miei compagni di squadra per costruire un risultato, quando lo faranno loro io sarò al loro servizio. Nessuno può negare però che la possibilità di vincere la gara l’ho avuta.

Sei rimasto sorpreso dai tuoi risultati in Australia?

Un po’, è stata la ricompensa per il mio duro, duro lavoro nella nostra estate in Nuova Zelanda. Sono andato in Australia, affrontando subito il massimo livello, ho visto che andavo forte e volevo concretizzare. Sapevo di aver lavorato sodo.

Il neozelandese punta con decisione alla selezione olimpica. A Parigi non solo per partecipare…
Il neozelandese punta con decisione alla selezione olimpica. A Parigi non solo per partecipare…
Visti i risultati, speri di essere convocato per i Giochi Olimpici e che cosa pensi del percorso di Parigi, si adatta a te?

Lo ammetto, ci penso. Credo di aver dimostrato negli ultimi mesi che sarò competitivo e lotterò per un grande risultato. Ho studiato il percorso, ci sono molti punti dove attaccare, dove posso davvero giocarmi le mie carte. Quindi sì, spero di andarci ed è sempre stato un sogno gareggiare o fare le Olimpiadi, anche da prima di essere un ciclista per competere in qualsiasi sport.

In futuro pensi potrai essere un corridore anche per la classifica delle corse a tappe?

No, non per la classifica generale di sicuro. Mi piacerebbe fare le grandi corse a tappe e correre per le vittorie di tappa e anche per alcune maglie, ma non sarò mai uomo da classifica, non è nelle mie corde.

Nelle corse a tappe può puntare a vittorie parziali. Qui leader della classifica a punti alla Parigi-Nizza
Nelle corse a tappe può puntare a vittorie parziali. Qui leader della classifica a punti alla Parigi-Nizza
C’è un corridore al quale ti ispiri?

Non particolarmente. Posso dire che ci sono molti ragazzi che ammiro per come corrono, per le abilità che hanno, ma non direi che ci sia qualcuno che mi ha portato a essere dove sono.

Qual è la gara che più di tutte vorresti vincere?

Questa è facile: i campionati mondiali… Poter indossare la maglia arcobaleno per un anno penso che sia l’apice del ciclismo, qualcosa che resta per sempre.

La Paternoster del Fiandre, parole nuove e gli occhi della tigre

06.04.2024
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«Penso che il momento in cui ho risposto alla Longo – ride Paternoster – sia stato quello in cui mi ha finito, il colpo di grazia. Diciamo che negli ultimi chilometri del Fiandre quello che mi spaventava in realtà non era tanto il Paterberg, ma il Qwaremont. Il Paterberg è più corto e più esplosivo, anche se alla fine di esplosività non ne era rimasta molta. Diciamo che il Qwaremont e i suoi due chilometri mi tenevano in apprensione. Di solito tutte le azioni importanti delle scalatrici iniziano lì, per cui una volta che l’ho passato, sono andata al muro successivo con fiducia e invece ho scoperto di non averne più. Devo dire che confrontandomi con i direttori sportivi, ad esempio con Pinotti, sicuramente quel tipo di resistenza mi verrà con le gare e con l’esperienza. A me mancano un po’ di corse nelle gambe rispetto a tutti quelli davanti, quindi penso che col tempo riuscirò a colmare questo gap».

Martedì era in pista, mentre giovedì Letizia è partita nuovamente per il Nord: destinazione Roubaix. La trentina, che tanti per anni hanno accusato di pensare soltanto all’esteriorità, ha cambiato decisamente registro. Chi l’ha vista combattere a Waregem e poi al Fiandre, ha fatto fatica a riconoscerla. Un terzo e un nono posto. Una tigre, con la voglia di riprendersi qualcosa che sentiva di aver perso: una ragazza di 24 anni che sta crescendo e ha la carriera tutta davanti. Che stesse cambiando lo avevamo intuito incontrandola a settembre all’Italian Bike Festival, ma l’inverno ha portato davvero grandi cambiamenti.

Dopo l’arrivo del Fiandre, Letizia Paternoster era sfinita e motivata
Dopo l’arrivo del Fiandre, Letizia Paternoster era sfinita e motivata
In queste corse sei sembrata molto cattiva, non ti si vedeva così da un pezzetto…

Sono molto cattiva? No dai, non sono mai cattiva. Sicuramente ho tanta fame di risultato, tanta grinta, tanta voglia di arrivare e sicuramente si vede.

Questo amore per le corse del Nord c’è sempre stato o lo stai scoprendo ora?

In realtà diciamo che sono alle prime esperienze in queste gare. La prima volta che le ho fatte è stata lo scorso anno, la prima volta nella mia vita al Fiandre e alla Roubaix. La Attraverso le Fiandre invece l’ho scoperta quest’anno. Devo dire che mi stanno piacendo assai. E anche se non le abbiamo fatte col sole, ho scoperto che mi piacciono queste condizioni estreme, questa fatica. E’ tutto un insieme di cose che le rendono belle, perché amo soffrire, amo la fatica. Quindi riuscire a fare bene con queste condizioni mi piace davvero tanto. E arrivare alla fine e riuscire a stare bene fa sì che mi senta un’atleta tosta. E mi piace dimostrarlo.

Forse dimostrarlo è il verbo più giusto. Raramente avevi mostrato questa convinzione: vuoi far vedere che nei sei capace?

In realtà non è voglia di farlo vedere, quanto una cosa che mi viene da dentro. Sinceramente lo faccio solo ed esclusivamente per me stessa, penso di volerlo dimostrare innanzitutto a Letizia. Essere là, sentirmi bene, riuscire ad andare forte. E più riesco ad andare forte, più mi esalto e vado ancora meglio. E’ un nuovo circolo in cui mi trovo benissimo.

Il podio di Waregem, con Vos e Van Anrooij, è il primo degli ultimi due anni: un risultato che vale
Il podio di Waregem, con Vos e Van Anrooij, è il primo degli ultimi due anni: un risultato che vale
Meglio il terzo posto a Waregem o il nono del Fiandre?

Entrambi, ognuno ha il suo sapore. Sicuramente tornare sul podio è stato veramente emozionante, soprattutto esserci ritornata con un’azione di forza. Il Fiandre però è il Fiandre, è unico. Essere lì davanti fino all’ultimo muro a combattere con le grandi del ciclismo è stato veramente qualcosa di unico. Mi ha dato sicuramente fiducia ed è il punto di partenza che mi serviva e mi ha dato tantissime conferme. Una grande motivazione che mi fa ben sperare per il futuro. Sicuramente d’ora in avanti ci credo un po’ di più.

La sensazione è che il cambio di squadra sia stato un passaggio decisivo.

Sì, alla Jayco-AlUla mi sento veramente bene, mi vogliono veramente bene. Credono tantissimo in me, ci hanno creduto fin dal primo momento che mi hanno presa, accolta, accudita e aiutata a crescere. Avevamo un grande obiettivo, hanno sempre creduto nei miei numeri e sapevano che con pazienza e lavoro sarebbero riusciti a tirarmi fuori e così è stato. Hanno creato intorno un clima di lavoro veramente sereno, il cui merito è soprattutto di Brent Copeland. Penso che questo sia stato il punto di svolta.

Secondo te accade tutto grazie alla squadra oppure grazie a Letizia che sta diventando grande?

Penso che sia per entrambe le cose. Sicuramente in primis c’è una Letizia che è cresciuta, che è maturata. Che con le esperienze negative del passato è riuscita a maturare e imparare tanto. Ora ho una consapevolezza diversa. D’altra parte c’è la squadra vicina che mi ha dato fiducia. Mi stanno insegnando tantissimo e io ho bisogno di imparare tanto.

La nuova Paternoster sta sommando esperienze importanti correndo fra le big
La nuova Paternoster sta sommando esperienze importanti correndo fra le big
Che cosa?

Una delle cose di cui mi sono veramente resa conto è che stavo in gara, lì davanti, e pensavo: e adesso che faccio? Allora ho iniziato a guardare la Longo Borghini oppure Lotte Kopecky. Quando cambiavano rapporto, cambiavo anch’io. Guardavo come si muovevano. Quando prendevano i ciucciotti, dicevo: «Cavolo, devo mangiare». Tutte cose che sto iniziando ad imparare adesso che riesco a pedalare vicino a queste grandi campionesse. Sta andando tutto bene, sicuramente la vita è una ruota che gira e adesso è tempo che giri anche dalla mia parte.

Com’è stato passare dai sassi e dalla pioggia del Fiandre al parquet di Montichiari?

Bellissimo (ride, ndr), una gioia infinita, un sollievo. Sono tornata perché in vista della Coppa del mondo di Milton era giusto fare un allenamento in pista, riprendere un po’ di brillantezza. Ho visto Marco Villa, prima abbiamo girato insieme alle ragazze del quartetto e poi ho fatto un po’ di lavori con lui per richiamare la brillantezza e l’esplosività con la bici da corsa a punti.

Cosa farai alla Roubaix?

Non ci sono salite, ma ci sono pietre. La affronto con tantissimo entusiasmo, sapendo che sto bene. Voglio riuscire a capirla, pur sapendo che è una corsa in cui contano tanto anche le condizioni esterne. Voglio arrivare lì con la maggiore positività possibile, con il grande sorriso e con grinta e voglia di stupire. Dentro di me so che sto bene, so che Roubaix è un posto che mi ha sempre portato bene. Lì ho vinto il mio primo mondiale in pista, proprio davanti a Lotte Kopecky. Chissà, magari è di buon auspicio. Voglio lottare fino alla fine, la fatica non mi fa paura e finché ne ho, lotterò per sognare in grande.

Agli europei per Paternoster è arrivato il titolo dell’inseguimento a squadre
Agli europei per Paternoster è arrivato il titolo dell’inseguimento a squadre
Quasi non ti si riconosce: Letizia è sempre stata così guerriera e non lo avevamo capito?

Questa è la vera Letizia. C’è sempre stata, ma forse in quel periodo un po’ nero si era persa. Ora ho ritrovato quella che ero. Da junior sono sempre stata così, i primi anni da professionista feci terza alla Gand-Wevelgem. Ero questa, lo sono tuttora, mi sono ritrovata.

Le Olimpiadi di Parigi si svolgeranno ad agosto, restano il pensiero centrale?

Le Olimpiadi sono il grande e unico obiettivo dell’anno. Le sogno da tantissimo, chiudo gli occhi e ci penso. Ho fatto una grande preparazione per i campionati europei che sono andati bene, sono andata molto bene nel quartetto e da lì ho iniziato a fare veramente dei buoni numeri. Ora è il momento di correre su strada e stanno venendo fuori dei bei risultati, ma diciamo che tutta la preparazione è nata per la pista. Voglio ottenere i migliori risultati perché ho tanta fame di vittoria.

A Tokyo non si è vista una grande Paternoster, quanto sei diversa da allora?

Tanto. Sono una Letizia serena e con tanta voglia di riscatto. Se penso a Tokyo, penso soprattutto alla tanta voglia di riprendermi quello che ho lasciato per strada.

Mattinata nell’Arenberg: considerazioni tecniche aspettando VdP

05.04.2024
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WALLERS (Francia) – La cosa che più colpisce quando i ciclisti affrontano la Foresta di Arenberg è il rumore delle bici sul pavé. E per essere ancora più precisi, il rumore che fa la prima pietra, quando si entra in questo tempio del ciclismo.

Questo primo rumore è diverso da tutti gli altri. E’ grave e rimbombante al tempo stesso. Poi inizia la sequenza regolare dei sobbalzi, ma quella è già una “musica” più regolare. Quel primo tocco tra ruota e pavé invece è diverso. E ci si rende conto subito da chi sa andare sulle pietre e chi no. Dal primo suono alla sequenza. E se la sequenza va a calare drasticamente sono dolori!

Ultimi test

Anche oggi molti team hanno provato gli ultimi settori della Parigi-Roubaix. Ieri, tra i grandi, è toccato a Ineos-Grenadiers, Barhain-Victorious e Visma-Lease a Bike. Oggi sono passate Soudal-Quick Step, Bora-Hansgrohe, Lidl-Trek, Alpecin-Deceuninck e molte altre.

La Lidl-Trek era orfana di Mads Pedersen. Il favorito numero due della Roubaix aveva la conferenza stampa e aveva preferito testare queste pietre mercoledì, proprio mentre i suoi colleghi facevano a sportellate alla Scheldeprijs.

Vento, scrosci d’acqua e raggi di sole si sono alternati senza sosta durante la nostra attesa. Tanta la gente a bordo strada. E ancora di più erano i camper posteggiati su un ampio spazio 70-80 metri prima dell’ingresso nella Foresta, sul lato sinistro della strada.

Noi intanto aspettavamo Mathieu Van der Poel. La sua Alpecin-Deceuninck è stata l’ultima a passare visto che ormai si era fatto pomeriggio. E visto che all’appello dei due giorni di ricognizione mancavano solo loro.

Mathieu Van der Poel fa inversione di marcia: è la curva ad U, della nuova chicane
Mathieu Van der Poel fa inversione di marcia: è la curva ad U, della nuova chicane

La discussa chicane

Di solito i primissimi settori si saltano, stavolta invece parecchi team hanno mischiato le carte e hanno fatto la ricognizione sin da Troisvilles. In parte questa scelta è derivata dall’introduzione della chicane proprio all’ingresso della Foresta, tante volte punto chiave della corsa.

Prima della chicane, si entrava nell’Arenberg dopo un lungo rettilineo perfettamente asfaltato. E ci si entrava in discesa: 1-2 per cento. Quindi ad una velocità altissima (con tanto di un passaggio a livello 100 metri prima dell’ingresso). 

Adesso per ridurre la velocità d’ingresso, quindi per motivi di sicurezza, l’UCI ha accolto la richiesta del CPA ed è stata introdotta l’ormai famosa chicane. Si tratta di una svolta a destra 20 metri prima di entrare nella Foresta. Si percorre una trentina di metri, si fa un’inversione a U verso sinistra attorno allo spartitraffico. E dopo altri 25-30 metri, con una svolta a 90 gradi di nuovo a destra, si entra nel settore più iconico della Roubaix.

Van Aert, Van der Poel e Philipsen nell’Arenberg l’anno scorso. I gialloneri avevano accelerato già nei due settori precedenti
Van Aert, Van der Poel e Philipsen nell’Arenberg l’anno scorso. I gialloneri avevano accelerato già nei due settori precedenti

Cambio di tattica?

L’introduzione di questa variante potrebbe far esplodere la corsa un po’ prima. L’idea è di arrivarci con gruppi meno numerosi e far sì che la chicane e il seguente segmento dell’Arenberg non siano del tutto decisivi. O che non lo siano per cadute.

«L’anno scorso – ha osservato Van der Poel – la Visma attaccò prima per questo motivo, arrivare con meno stress all’Arenberg. Con la chicane, che non mi convince ai fini della sicurezza, è più probabile che la corsa esploda prima». 

Non solo sicurezza. La chicane può cambiare tatticamente l’approccio a questo settore e alla corsa. Partendo infatti da velocità più basse è lecito attendersi che tra chi affonda il colpo e chi cede possano esserci distacchi maggiori a fine settore. Se prima magari si sfruttava l’abbrivio e poi si andava a scemare, adesso questa fase di accompagnamento non c’è più. Quindi un corridore che fa forcing può aprire subito il gap.

Basta pensare che prima si entrava a 70 all’ora, adesso difficilmente si entrerà a più di 30 all’ora. Una differenza abissale.

«Se non sei tra i primi 20 – ha spiegato Van der Poel – in quella chicane potresti perdere mezzo minuto subito. Se non mettere piede a terra».

Intanto, finalmente ecco l’iridato. Tanta attesa per vederlo danzare sulle pietre e invece quando piomba nella Foresta non sceglie di affrontare il pavé, ma di sfruttare la lingua d’asfalto laterale (qui il video).

Il punto preciso in cui si attacca il settore della Foresta di Arenberg. Il passaggio tra asfalto e pavè è meno liscio di quanto non renda la foto

Il punto preciso in cui si attacca il settore della Foresta di Arenberg. Il passaggio tra asfalto e pavè è meno liscio di quanto non renda la foto

Pietre e pietre…

Le pietre fiamminghe sono più gentili e forse anche un po’ più piccole. Queste francesi sono più grandi, più “aguzze”. Quelle dell’Arenberg, di Mons-en-Pevele e del Carrefour de l’Arbre sono tra le peggiori… O le migliori in base a come la si voglia leggere!

«La Foresta di Arenberg è uno dei segmenti più pericolosi di tutta la stagione – ha detto ancora VdP – e non credo che le sue pietre siano destinate alla guida di una bici da corsa. Anche gli altri segmenti a volte sono in cattive condizioni, ma sono fattibili. Guidare sull’Arenberg a 65 all’ora non ha nulla a che fare con l’abilità. Devi solo sperare che la tua bici regga».

E su questo punto lasciateci la libertà di contraddire il campione del mondo: l’abilità conta. Eccome se conta. E lo sa bene anche Mathieu. Se poi parliamo di restare in piedi, allora okay. Ma saper guidare forte e ancora di più uscire forte dall’Arenberg è questione di forza e di abilità.

Un tabellone esplicativo della storia di questo settore. Dal lato opposto c’è una stele dedicata a Jean Stablinksi, che volle inserire la Foresta nella Roubaix
Un tabellone esplicativo della storia di questo settore. Dal lato opposto c’è una stele dedicata a Jean Stablinksi, che volle inserire la Foresta nella Roubaix

Senso del mito

Abilità o meno, la Parigi-Roubaix è servita. Domani mattina s’inizia con le donne che scatteranno alle 13,35 da Denain per arrivare al Velodromo di Roubaix dopo 148,5 chilometri e 17 settori di pavé per un totale di 29,2 chilometri di pietre. Poi domenica toccherà ai colleghi uomini. Partenza da Compiegne alle 11,10: 260 chilometri, 29 settori per un totale di 55,7 chilometri di pavé.

E un’altra cosa certa di questo luogo è il mito che aleggia nell’aria. Dai cartelli che spiegano l’Arenberg da un punto di vista ciclistico, ai disegni fatti sull’asfalto. Dal monumento che vi è posto all’ingresso, ai cartelli all’uscita del settore. I francesi sanno bene come valorizzare i loro gioielli.

Pensate che domenica, in questi 2.300 metri dritti come un fuso, che tagliano la vecchia foresta paludosa, sono attese 30.000 persone. E all’arrivo mancheranno ancora 96 chilometri.

Un altro Fabbro in arrivo, ma questo è un velocista

05.04.2024
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Vincitore del Circuito di Orsago battendo in volata un certo Filippo Cettolin, vero riferimento della categoria juniores, Riccardo Fabbro è uno degli elementi di punta del team Industrie Forniture Moro-C&G Capital. Si potrebbe non considerarla una delle squadre più in vista del panorama nazionale, eppure riesce a mettersi spesso in evidenza e a lottare anche con formazioni più blasonate e dai budget più ricchi. L’esempio si è avuto proprio nella classica trevigiana.

«Era un percorso veloce – afferma il diciassettenne nato nel capoluogo di provincia – su cui ce la siamo giocata in due squadre, la nostra e la Borgo Molino. I miei compagni hanno fatto di tutto per tenere la corsa unita e pilotarmi verso la volata, io ho corso stando molto protetto alla loro ruota, poi nello sprint avevo più energie e ce l’ho fatta».

Lo sprint vincente di Orsago beffando il favorito Filippo Cettolin (photors.it)
Lo sprint vincente di Orsago beffando il favorito Filippo Cettolin (photors.it)
Un inizio a ottimo livello considerando anche il 7° posto nel Trofeo Tecnomeccanica come prima gara. Per te questa è la seconda stagione nella categoria, il 2023 com’era andato?

Non avevo gareggiato tantissimo, ma se si considera che su 20 gare ho collezionato 3 vittorie (compreso il campionato regionale in Emilia) e 12 presenze nei primi 10, non posso davvero lamentarmi. Oltretutto i successi sono arrivati tutti nel finale di stagione, quindi diciamo che ho continuato su quella scia. Io però sono abituato a guardare sempre il bicchiere mezzo vuoto, preferisco focalizzarmi su quel che non è andato, sulle vittorie sfuggite per miei errori, saperli riconoscere è importante se si vuole crescere.

Come sei arrivato a tutto ciò?

Ho iniziato molto presto, da G1. A portarmi a correre è stato un amico di famiglia, che ha intuito come il ciclismo potesse essere per me un’ottima valvola di sfogo. Ho corso con un team di Montebelluna fra gli esordienti e già da allievo ero alle Industrie Moro. Col passare del tempo questo sport mi ha preso sempre di più. Per l’adrenalina che scatena, per la velocità soprattutto perché è davvero uno sport di squadra dove più che l’individualità conta la forza del gruppo.

Quali sono i percorsi dove ti trovi meglio?

Io sono il classico passistone, ma che regge bene anche sulle salite non troppo lunghe, sui percorsi ondulati dove si crea selezione. Me la cavo bene negli sprint di gruppo, ma preferisco quando c’è selezione e si arriva in pochi.

Fabbro con i compagni del team, ben 3 nei primi 4 a Orsago (photors.it)
Fabbro con i compagni del team, ben 3 nei primi 4 a Orsago (photors.it)
Anche tu fai parte della nuova generazione di ciclisti che svariano fra una disciplina e l’altra?

No, io sono nato su strada e ho sempre continuato così. Ho una mountain bike, ma la uso solo per divertimento, per qualche allenamento invernale per conto mio, non ho mai gareggiato. In questo sono un po’ “vecchia maniera”…

Che cosa senti che è cambiato rispetto allo scorso anno?

Sicuramente i risultati di fine stagione mi hanno dato molta consapevolezza nei miei mezzi. Sento di avere più sicurezza in corsa, riesco a muovermi meglio. Ho più coraggio nell’affrontare le situazioni e ragiono su come impostare ogni gara. Molto incide la consapevolezza di avere al mio fianco una squadra forte. Non siamo poi così piccoli, siamo 13 atleti in tutto e la nostra forza è proprio la cooperazione. Non guardiamo mai le altre squadre ma cerchiamo di dare sempre il massimo seguendo le indicazioni nel nostro diesse Claudio Biasi.

Oltre al ciclismo quali sono le tue passioni?

Tra allenamenti e scuola non ho molto tempo libero, ma mi piace il calcio e sono tifoso del Milan.

Sul podio del Trofeo Bianco Verde vinto da Thomas Capra, una delle belle prestazioni del 2023 (Photors)
Sul podio del Trofeo Bianco Verde vinto da Thomas Capra, una delle belle prestazioni del 2023 (Photors)
Questo per te è un anno importante, che hai iniziato bene. Che cosa ti proponi?

La mia ambizione non è legata a una gara specifica, ma a fare meglio in quelle dove ho sbagliato lo scorso anno. Voglio migliorarmi per potermi anche guadagnare una chance in nazionale. Con il gruppo azzurro sono stato una volta sola, in allenamento, ma non ho mai avuto occasione di vestire la maglia azzurra e non ho mai potuto correre all’estero. Sono tutte esperienze che voglio fare, come anche dimostrare di farmi valere nelle corse a tappe.

Ne hai già affrontate?

Ho corso lo scorso anno il Giro del Veneto finendo ottavo fra i corridori di primo anno e prima ancora quello del Friuli, dove però mi sono ritirato alla terza tappa. Ho visto però che in certe tappe posso giocarmela, per la classifica generale invece credo di dover ancora crescere, non è propriamente nelle mie caratteristiche.

La vittoria di Fabbro a Poggio Torriana (RN) nel 2023 con Sambinello, 6°, vincitore del titolo regionale
La vittoria di Fabbro a Poggio Torriana (RN) nel 2023 con Sambinello, 6°, vincitore del titolo regionale
E a fine anno?

Spero che bussi qualche squadra U23, per poter continuare il mio sogno, ma una chance devo guadagnarmela e per questo approdare in nazionale sarebbe un bel biglietto da visita. Contatti per ora non ne ho, spero che nel prosieguo della stagione arrivino.

Il tuo corridore di riferimento?

A dir la verità ne ho due. Il primo è Pogacar perché se la sa cavare davvero in ogni ambito, è il più completo che ci sia. Il secondo è Milan, è uno che ce la mette tutta e poi è veloce, tanto. Spero un giorno di essere anch’io allo stesso livello…

Zurigo, le crono con Velo: il via dalla pista e poca sicurezza

05.04.2024
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ZURIGO (Svizzera) – La discesa che da Bermeilen riporterà i cronomen sulla riva del lago in località Meilen è una bestemmia tecnica. Immaginare atleti di 80-85 chili, sia pure dotati di super bici e freni a disco, infilarsi in quella picchiata ripidissima e poi sotto il piccolo ponte in pietra, per poi svoltare a sinistra e riprendere la pianura, dà i brividi anche ora che la percorriamo in auto. Nel furgone davanti, i tecnici della nazionale osservano la stessa cosa. In quel punto la sicurezza della crono è stata ritenuta un optional.

Il limite della prudenza

Ieri vi abbiamo raccontato del sopralluogo dei commissari tecnici sui percorsi iridati della strada, oggi con Marco Velo si parla della crono. Il bresciano alla fine della ricognizione si dice soddisfatto di quello che ha visto, ma quella discesa dà i brividi e chissà se ci sarà margine per qualche cambiamento.

«Sì, diciamo che quello non è proprio un passaggio da cronometro – ammette Velo – perché sarebbe una discesa impegnativa anche facendola con la bicicletta da strada, figurati con quella da crono. Sapendo che ci si gioca tutto per pochi secondi, sicuramente ci sarà chi azzarderà di più. Però bisogna sempre avere quel limite di prudenza che non ti fa uscire di strada, perché alla fine vai a compromettere il risultato finale».

Un luogo storico

Si parte dallo storico velodromo di Oerlikon che per anni fu la sede di arrivo della Zuri Metzegete (in apertura foto zuerich.com), il Campionato di Zurigo: pietra miliare della Coppa del mondo. Una di quelle corse di cui purtroppo si è persa anche la memoria, battezzata nel 1914 e che attraverso vincitori dai nomi pazzeschi, si è interrotta nel 2006 con la vittoria di Samuel Sanchez e dopo sette edizioni per under 23 è definitivamente sparita.

Si parte dal velodromo e sostanzialmente la crono sarà divisa in tre parti. Una velocissima lungo il lago. Una più impegnativa nella zona del Pfannenstiel: zona montuosa a contatto con la città, la cui vetta arriva a 853 metri. Sulla cima, l’omonima torre di avvistamento in acciaio è da anni il simbolo della zona. Poi la discesa sul lago (quella con il passaggio pericoloso). Infine la strada verso l’arrivo, nuovamente veloce, lungo il lago che ha la forma di una banana, lungo 42 chilometri e largo neppure 4. I numeri nel complesso parlano di 46,1 chilometri, e dislivello di 413 metri.

«La prima parte è molto molto veloce – dice Velo che mentre parla visualizza i ricordi – bisogna davvero frenare pochissimo. La strada tende a scendere fino al lago, poi lo costeggia tutto. La parte centrale è parecchio impegnativa, però non impossibile, con degli strappi duri. Quindi bisognerà stare molto attenti nelle due discese. La prima ha la strada molto ampia e veloce, porta fuori e ti spinge a prendere tanta velocità. La seconda è stretta e molto molto ripida e scende verso il lago, per affrontare gli ultimi chilometri completamente piatti che portano fino all’arrivo. Bisogna essere bravi a interpretarla, perché sicuramente questa crono si può perdere o vincere in qualsiasi momento. Soprattutto nella parte centrale, non bisogna distrarsi assolutamente, sia in salita ma soprattutto in discesa».

L’altimetria della crono degli uomini elite da cui si nota la suddivisione nei tre blocchi

Salita non banale

Il tratto in salita misura quasi 6 chilometri e non è affatto leggero. Certo parliamo di atleti con cilindrate molto importanti, ma il conto da fare sarà nel confronto fra la massa di un corridore come Ganna e i 21 chili in meno di Evenepoel. Molto meglio da questo punto di vista la crono di Parigi. Una salita del genere sarà infatti un pesante fardello per gli specialisti più potenti e diventerà vantaggio per quelli più leggeri e veloci, come il belga, ma anche Pogacar e Roglic, se saranno della partita.

«Sicuramente si userà la bici da crono – prosegue Velo – però con la massima attenzione. Con i miei ragazzi pretenderò che guardino il percorso più di una volta per avere le idee chiare. Poi ovviamente ci sarò io in macchina che gli darò tutte le indicazioni, anche se comunque nella discesa finale bisognerà essere dei bravi piloti per stargli dietro. Ci sono tre blocchi distinti e sicuramente li studieremo bene nei giorni prima con gli stessi atleti e con i loro preparatori, quindi decideremo la tattica da utilizzare. Questo è quello che facciamo solitamente, in avvicinamento ai grandi eventi. Rispetto a Parigi è una prova meno da specialisti, per tutte le categorie. Under 23 e donne elite fanno qualche chilometro meno rispetto ai professionisti, però più o meno il percorso ricalca la stessa strada».

Velo e Bennati si sono alternati alla guida con Amadori nel sopralluogo sui vari percorsi
Velo e Bennati si sono alternati alla guida con Amadori nel sopralluogo sui vari percorsi

Milesi bis?

Proprio dagli under 23, lo scorso anno a Stirling arrivò la vittoria di Milesi, che fa ancora parte della categoria e che Velo non vuole lasciarsi assolutamente scappare. In un conteggio a spanne fatto con Marino Amadori giusto la sera prima, nel gruppo WorldTour ci sono più di 60 corridori U23 e fra questi il 10 per cento è composto da italiani: Milesi è uno di loro.

«Lorenzo potrebbe far parte nuovamente della partita – conferma Velo – per come è andato l’anno scorso e per quello che ha dimostrato. Quindi valuteremo con il ragazzo, con la sua squadra e con la stessa Federazione se impegnarlo anche quest’anno nella prova under 23. A me piacerebbe. Quando si vede un percorso per la prima volta, si comincia anche ad immaginare i nomi. E così sta accadendo a me in queste prime ore. Come ho detto prima, per me resta un percorso da specialisti, quindi non mi discosto tanto dall’idea che avevo prima di venire. Quindi sicuramente correrà gente che sa andare a cronometro e che sa anche guidare la bici. Se invece posso dire ancora una cosa, non mi piace che il Mixed Team Relay si corra nel circuito delle prove su strada, che è troppo duro. Lì gli specialisti saranno penalizzati».

Pogacar ha già vinto il Giro? L’analisi (spietata) di Chiappucci

05.04.2024
5 min
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Cinque vittorie in nove giorni di corsa nel 2024 per Tadej Pogacar, se si allarga l’orizzonte ai primi tre posti siamo ad un conteggio di sette podi. Praticamente lo sloveno è uscito dalle prime tre posizioni soltanto quando la gara è terminata con una volata di gruppo. I numeri collezionati dal fuoriclasse del UAE Team Emirates fanno impressione. Alla Volta a Catalunya non c’è stato spazio per nessuno, Pogacar ha dominato la corsa dal primo all’ultimo giorno. Una fame che rischia di divorare il Giro d’Italia ancor prima di iniziare. Al via della corsa rosa manca un mese, ma con un predatore del genere i giochi sembrano praticamente chiusi. 

«Probabilmente – ci dice Claudio Chiappucci, interpellato per leggere con noi le prospettive di questo Giro – assisteremo a due gare: quella di Pogacar e quella degli altri, dei battuti. La prima tappa, da Venaria Reale a Torino, prevede già delle difficoltà altimetriche, se Pogacar vorrà potrà prendere la maglia al primo giorno». 

Pogacar al Catalunya ha scavato un solco tra sé e gli avversari ogni volta che la strada saliva
Pogacar al Catalunya ha scavato un solco tra sé e gli avversari ogni volta che la strada saliva

Un Giro già chiuso?

Il varesino nella sua lunga carriera si è trovato a lottare contro campioni come Lemond e contro l’inscalfibile Miguel Indurain, eppure nessuno di loro ha mai palesato la voracità di Pogacar. Se si guarda a quanto accaduto in Spagna, al Catalunya, non c’è spazio per altre interpretazioni: Pogacar arriva in Italia pronto a giganteggiare. In salita ha battuto tutti, vero che non si è confrontato con i migliori, ma non sembrano esserci vie di scampo. 

«Al Catalunya – replica Chiappucci – quelli forti c’erano: Bernal, Landa e alcuni altri. Non ho visto nessuno che potesse essere vagamente alla sua altezza. Ha dominato tutte le tappe, vincendo anche l’ultima in volata. Pogacar ha l’istinto di prendere tutto, non vedo chi potrà impensierirlo, al prossimo Giro d’Italia».

Anche perché nella seconda tappa si arriva a Oropa.

Praticamente dopo due giorni Pogacar può già aver messo una bella firma sul Giro d’Italia. Nella tappa di Torino screma, in quella di Oropa assesta un bel colpo. Il peggio, se vogliamo dirla così, è che ha anche una squadra fortissima. 

Secondo te può tenere la maglia per 21 tappe?

E’ un corridore di grande spessore, appena ha l’occasione prende tutto. Alla Volta a Catalunya è stato così. Vero che era una corsa di una settimana, qui si parla di tre, ma non vedo nessun altro che possa tenere la maglia al posto suo. Anzi, meglio, se la prendono altri corridori e la tengono è per una scelta di Pogacar. 

L’impressione, durante il Catalunya, è stata di una netta superiorità della UAE e dello sloveno
L’impressione, durante il Catalunya, è stata di una netta superiorità della UAE e dello sloveno
La superiorità è così netta?

Per me sì. La cosa che fa più impressione è che questi fenomeni (Van Der Poel, Pogacar, Vingegaard, ndr) attaccano da davanti. Non c’è più l’effetto sorpresa del partire dalle posizione di fondo. Loro stanno davanti a tutti e comunque se li tolgono di ruota. Il bello è che dichiarano anche cosa faranno, ad esempio Pogacar alla Strade Bianche

Si può pensare ad un’azione di gruppo contro Pogacar?

Difficile, perché per fare una cosa del genere bisogna rischiare e nel ciclismo moderno non è facile. Anche le posizioni di rincalzo contano molto, in termini di punti e sponsor. Dietro Pogacar sarà un tutti contro tutti, perché una posizione di rincalzo come un terzo o quarto posto, fa gola. 

Pogacar ha divorato il Catalunya con quattro successi in sette tappe
Pogacar ha divorato il Catalunya con quattro successi in sette tappe
Ci sono squadre, come la Bahrain che portano due capitani, Caruso e Tiberi, lì si può pensare a qualcosa…

Tiberi è giovane, si sta ritrovando e va forte, al Catalunya è andato bene, ma era comunque lontano da Pogacar (ha terminato con 6’ e 33’’ di ritardo dallo sloveno, ndr). E’ pretenzioso pensare che Tiberi possa fare un Giro al livello di Pogacar.

Per Caruso invece?

Per Caruso la cosa è diversa, bisogna vedere se sarà ai livelli del Giro del 2021. Se sarà così, la Bahrain può giocare con l’esperienza di Caruso e la freschezza di Tiberi. Anche se attaccare lo sloveno frontalmente diventa un’arma a doppio taglio. 

La Bahrain può giocare sulla coppia Caruso-Tiberi, l’esperienza del primo e la “spavalderia” del secondo
La Bahrain può giocare sulla coppia Caruso-Tiberi, l’esperienza del primo e la “spavalderia” del secondo
Spiegaci…

Con un Pogacar così forte, attaccare rischia di farti saltare in aria. Aspettare può essere la soluzione per capitalizzare. Il Giro per me è in mano a lui, gli altri corrono per il secondo posto. Pensare di attaccarlo e lasciarlo lì diventa difficile, se non impossibile. 

Non c’è qualcuno che può provare a far saltare il banco, come facevi tu?

Ora come ora mi immedesimo in questi corridori e dico di no. Non per superbia, ma perché serve essere davvero fortissimi per scalfire Pogacar. Solo i grandi campioni lo hanno battuto (Vingegaard su tutti, ndr). Ci sono sempre dei fattori esterni, come il meteo, una crisi o altro ancora, ma per ora, seguendo un ragionamento tecnico, Pogacar è imbattibile. 

Paesi Baschi, 36 chilometri all’arrivo: di colpo l’inferno

05.04.2024
6 min
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«Le strade tendenzialmente sono perfette – racconta Rota – e anche il grip è abbastanza buono. C’è molto nervosismo, il livello è altissimo. Se guardate la start list qui ai Baschi, è a livello Tour. Ovviamente ci sono quei 4-5 grossi team che hanno i loro leader migliori e hanno portato una squadra fortissima e tra di loro c’è sempre guerra, che inevitabilmente fa alzare il livello, il nervosismo, la velocità e tutto quello che ne consegue».

Ieri al Giro dei Paesi Baschi è successo un vero inferno. Una discesa prima dell’ultima salita, uno scolo dell’acqua, i primi della classifica tutti davanti e di colpo la caduta che ha riempito tutte le pagine social del mondo del ciclismo. L’apparenza dice che l’abbia innescata Tesfatsion, ma quando si va a quelle velocità basta una sbandata e tutto precipita. Sono giorni che all’Itzulia si continua a cadere, ma questa volta il bilancio è pesantissimo.

Roglic, il  leader della corsa, se l’è cavata con una scivolata e alla fine ha preferito ritirarsi. Evenepoel ha riportato la frattura di una clavicola e della scapola. Vingegaard è andato via in ambulanza, con la maschera dell’ossigeno e fratture della clavicola e di svariate costole. Jay Vine ha riportato la frattura di due vertebre cervicali e di due vertebre toraciche. E alla fine, per una decisione scombinata della Giuria, la fuga dei sei è stata lasciata andare al traguardo con la vittoria di Mejnties, mentre la corsa del gruppo è stata neutralizzata.

Poco da brindare

Rota è compagno di squadra del sudafricano. E pur riconoscendo la stranezza della giornata vissuta nei Paesi Baschi, ieri sera in casa Intermarché-Wanty hanno minimamente festeggiato.

«Un po’ abbiamo fatto festa – racconta il bergamasco – ma abbiamo tenuto un basso profilo, dopo una giornata come questa. Sicuramente se non ci fosse stato tutto quel casino, difficilmente sarebbe arrivata la fuga. Meglio per noi, la vittoria non ci fa schifo, ma certo mi rendo conto che sia venuta in modo un po’ strano.

«Il gruppo era abbastanza nervoso. C’era questa discesa molto tecnica e arrivavamo da una salita corta ma dura. Tutti volevano stare davanti, anche perché dopo la discesa tecnica c’era subito una salita dura di due chilometri e quindi avere la posizione giusta era fondamentale».

Reuben Thompson della Groupama-FDJ era nella fuga: il commissario della Giuria spiega
Reuben Thompson della Groupama-FDJ era nella fuga: il commissario della Giuria spiega
Pensi che fra i primi ci fosse in ballo la classifica?

Forse qualcuno avrebbe attaccato, anche perché l’ultima salita era veramente dura. E poi era a 5-6 chilometri dall’arrivo. Per questo la fase era concitata. Tutti volevano stare davanti e siamo arrivati a quella curva troppo forte e purtroppo sono andati dritti. Personalmente non conoscevo la discesa, qualcuno ha detto che una parte sia stata fatta in una delle prime tappe dell’ultimo Tour.

Quando avete visto quel mucchio di gente, avete capito che non sarebbe stata una giornata normale?

Sicuramente non normale, anche se negli ultimi giorni abbiamo fatto parecchi mucchi. Alla prima tappa siamo caduti in 20-25 corridori, mercoledì sono caduti due volte. Però si è capito che questa fosse una caduta abbastanza brutta. C’era uno scolo dell’acqua in cui sono scivolati, però non pensavamo che sarebbe finita così.

Durante l’attesa siete andati all’ammiraglia?

No, semplicemente siamo stati lì. Ci hanno portato un po’ d’acqua, quello di cui avevamo bisogno, anche perché inizialmente pensavamo che la gara sarebbe ripresa. Poi hanno deciso di neutralizzarla, ma eravamo tutti pronti per ricominciare.

Che cosa vi dicevano mentre aspettavate?

Praticamente niente. Non ripartivamo perché non c’era più l’ambulanza, non c’erano le condizioni di sicurezza, quindi ci hanno fermato. Ci hanno detto che probabilmente la corsa sarebbe stata neutralizzata e dopo un po’ abbiamo capito che non sarebbe stata una pausa breve. Hanno preso una decisione abbastanza strana, perché a quelli davanti hanno lasciato briglia sciolta, mentre al gruppo non è stata data la possibilità di giocarsi la tappa. Però non sono io la Giuria, quindi non so cosa dire. Per noi dell’Intermarché è stata una cosa buona, però in effetti non c’è stata proprio parità.

Vi siete resi conto che fossero finiti per terra tutti i big?

Io personalmente ero messo abbastanza bene e quando ho visto che sono caduti davanti, ho immaginato che potessero esserci uomini importanti. Ma che ci fossero tutti i big, sinceramente non me lo aspettavo. Anche perché in una fase così veloce, ero concentrato sul non cadere a mia volta.

Dopo l’arrivo, Kuss racconta la giornata in cui la Visma-Lease a Bike ha perso Vingegaard
Dopo l’arrivo, Kuss racconta la giornata in cui la Visma-Lease a Bike ha perso Vingegaard
Parliamo di te, come stai?

Sono tornato quattro giorni fa dall’altura e sono ancora in fase di rodaggio. Nella prima tappa stavo molto bene, ma sono caduto e per fortuna non mi sono fatto niente. Mercoledì stavo già un pochino meglio e sono arrivato settimo. Oggi, così e così. Però il mio focus è sulle Ardenne e sono fiducioso che sarò al 100 per cento.

Altura in Colombia o più vicino?

Questa volta sono stato a Sierra Nevada, anche se il tempo non è stato clemente. Ho optato per un’altura un po’ diversa quest’anno, anche perché l’anno scorso, la seconda volta che sono stato in Colombia, non ha funzionato molto bene. Così ho optato per un’altura europea, un po’ differente. Per cui speriamo di uscire bene da questa corsa e poi, un giorno per volta, cercheremo di arrivare bene alle Ardenne.

Skjelmose è il nuovo leader del Giro dei Paesi Baschi, ma non ha voglia di festeggiare
Skjelmose è il nuovo leader del Giro dei Paesi Baschi, ma non ha voglia di festeggiare

Nuovo leader

Purtroppo la Liegi non vedrà per l’ennesima volta il duello fra Pogacar ed Evenepoel. Il Giro dei Paesi Baschi ha davanti ancora due tappe, con Mattias Skjelmose che da ieri sera ha indossato la maglia di leader.

«Oggi è un giorno davvero triste – ha commentato – il mio pensiero va a tutti i ragazzi caduti oggi, a partire dal mio compagno di squadra (Tesfatsion, ndr). Ora sono il leader della corsa, ma ovviamente non c’è niente da festeggiare. Tutto è successo molto velocemente e all’improvviso. Natnael è caduto davanti a me, mi sento fortunato di non essere stato coinvolto. La strada era accidentata, stavamo tutti lottando per la posizione e sfortunatamente il gruppo è arrivato a quella curva un po’ troppo veloce. Quando il primo corridore è caduto, gli altri lo hanno seguito. Il livello della competizione è alto, così come il livello dello stress e del nervosismo. Questo è un dato di fatto, questo è il ciclismo in questo momento».

ESCLUSIVO / Zurigo, mondiale duro, non per scalatori

04.04.2024
8 min
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ZURIGO (Svizzera) – «Aveva ragione Alfredo Martini – dice Bennati con un sorriso ironico – i percorsi andrebbero visti di notte, in modo che i fari illuminano le salite e ti rendi conto delle pendenze. Comunque rispetto a ieri quando l’abbiamo fatto in macchina, oggi l’ho valutato diversamente. Finché il fisico un po’ mi sorregge, mi piace sempre provare i percorsi in bici, perché ti dà sempre tante indicazioni in più. E questo dei prossimi mondiali, rispetto ai due che ho già affrontato come cittì, è il tracciato che mi piace più di tutti. Anche quello in Australia era bello, però questo è disegnato molto bene. C’è un po’ di tutto. C’è salita impegnativa, una salita un po’ più lunga, ci sono le discese. E’ un percorso esigente…».

Le dieci del mattino di una giornata grigia sulle colline intorno alla città. Il lago è in basso, siamo quasi sul punto più alto del circuito di Zurigo su cui si assegneranno i prossimi titoli mondiali. Quando passa Demi Vollering e saluta, si capisce che le grandi manovre sono iniziate un po’ per tutti. I tecnici italiani della strada e della crono sono arrivati ieri, 3 aprile, per una due giorni di presa di contatto. Hanno alloggiato nello stesso hotel che ospiterà le squadre azzurre e il sopralluogo in bici di Bennati è l’atto conclusivo del viaggio. A breve riprenderanno l’autostrada verso Milano.

Mercoledì sul furgone

Il primo giorno è stato dedicato alla ricognizione dei tratti in linea e delle crono. I professionisti partiranno da Winthertur e proprio verso la cittadina a est di Zurigo si sono diretti i commissari tecnici sul furgone bianco della FCI. Il cielo era grigio anche ieri, il traffico ordinatissimo. Con Marco Velo al volante, Bennati sul sedile anteriore teneva in mano le stampate del percorso. Seduti dietro, Sangalli, Amadori e Salvoldi seguivano con lo sguardo.

Da Winterthur la strada esce in campagna. L’ordine non è un’imposizione, ma un’esigenza e un privilegio. All’uscita di scuola, i bambini intorno si muovevano in bicicletta e tutti rigorosamente col casco. Nessuno di loro metteva mai le ruote sulla strada perché i marciapiedi sono larghi e le corsie ciclabili non mancano. C’era una bambina così piccola che la testa le spariva nel casco e pedalava controvento sulla sua biciclettina, col cestino e lo zainetto.

Una pausa caffè dopo aver visto il tratto in linea dei pro’: ora sotto con gli U23
Una pausa caffè dopo aver visto il tratto in linea dei pro’: ora sotto con gli U23

Le prime salite

La prima salita l’hanno incontrata in prossimità di una casa con le persiane decorate. Una svolta a sinistra e la strada lascia abbastanza rapidamente la valle. Un campanile a Buch am Irkel, poi la salita va avanti a gradoni. Si è fatto una sorta di giro, infatti la discesa riporta su Winthertur e da lì la strada si stringe. Diventa un viottolo e alla fine spunta un antico ponticello di legno, con la copertura di assi. Sarà largo tre metri e, subito dopo, una curva a destra introduce a una salita ripidissima. Una sorta di Redoute, con il vuoto sulla destra e il bosco a sinistra, su fino a Kyburg.

«Non credo che il tratto in linea serva a qualcosa – commenta ora Bennati – c’è questa salita di un chilometro, un chilometro e mezzo, che però serve come warm-up e per fare le foto (sorride, ndr). Non influisce sicuramente sull’andamento della corsa e sul risultato. A differenza di altri mondiali, questa volta si girerà sul circuito per più di 200 chilometri».

Sangalli e Amadori si prendono cura della bici di Bennati: «I settori collaborano», hanno scherzato
Sangalli e Amadori si prendono cura della bici di Bennati: «I settori collaborano», hanno scherzato

Il circuito di Zurigo

Nel tratto basso del circuito, si corre lungo il fiume con le rotaie del tram parallele al senso di marcia. Gli sguardi e i commenti fra i tecnici non hanno bisogno di didascalie: troveranno certo il modo di tapparle. Una frase che è un po’ certezza e un po’ anche auspicio.

Bennati è salito in bici davanti all’Università di Zurigo. La sua Pinarello per l’occasione è una macchina da presa. Oltre al Garmin in cui ha caricato la traccia del percorso, sul manubrio ci sono due GoPro con le quali il toscano ha ripreso i giri e le salite. Ieri in macchina non si è potuto fare del tutto lo strappo più duro, con la bici Daniele è riuscito a farlo pedalando sul marciapiede, dato che normalmente il senso di marcia è opposto.

La seconda salita

Dopo quel primo strappo, con pendenza del 14 per cento, il percorso piega a destra, scende per un tratto, rientra fra le case e poi ne esce per attaccare la seconda salita. Quella meno ripida, ma più lunga.

«Qui dove siamo adesso – dice Bennati – dopo 260 chilometri è il tratto in cui si può fare la differenza. Qui si spingerà il rapporto e farà male. Il primo strappo alla fine è quasi di un chilometro e si raggiungono pendenze in doppia cifra: se uno attacca lì, vuol dire che ha tante gambe. Questa seconda salita premierà i corridori che sapranno fare velocità. Siamo ancora lontani dall’arrivo, però in questi ultimi anni si è visto che aprono la corsa anche a 100 chilometri dall’arrivo, quindi non credo che a quei 3-4 faccia paura provare nel penultimo o terzultimo giro. Secondo me non è un percorso da scalatori puri, come ho letto in questi mesi, ma sicuramente servono doti da scalatore. Bisogna andare forte in salita, però anche avere doti di velocità, perché è un percorso in cui si fa a tanta velocità. Verrà fuori anche una bella media, secondo me».

Gli juniores torneranno

Quando Bennati si è fermato accanto agli altri tecnici, si è messo a spiegare con il gesticolare delle mani che descriveva i cambi di pendenza e l’uso dei rapporti. Mentre Daniele pedalava, gli altri con il furgone hanno girato sul percorso, facendo la rampa più dura nel verso della discesa.

«Un percorso che va rivisto – dice Salvoldi, tecnico degli juniores – mi piacerebbe tornarci a giugno con una rosa ampia di ragazzi. Credo che nella nostra categoria il primo giro nel circuito farà molta selezione. La prima parte della discesa è difficile, poi quando si arriva sul lungolago il percorso è veloce, fino a che si riprende nuovamente a salire. C’è quel primo strappo impegnativo e poi la salita più lunga tutta dritta, che non dà recupero né riferimenti. E’ sicuramente un percorso per atleti con caratteristiche di esplosività in salita e abilità di guida, non esclusivamente per corridori superleggeri».

La parte superiore della seconda salita richiede il rapportone: qui si può fare la differenza
La parte superiore della seconda salita richiede il rapportone: qui si può fare la differenza

A favore di chi attacca

Bennati ha finito di cambiarsi. Amadori ride e gli dice che sui questo percorso non lo avrebbe convocato. I cittì sono molto affiatati, scherzano, ma si capisce che avendo visto il percorso, hanno già iniziato a ragionare sui nomi. Sangalli li ha scritti nel telefono e ce li mostra con la promessa che li teniamo per noi. Amadori è più cogitabondo.

«La squadra sarà importante – dice Bennati – ma non ci sono grossi tratti in pianura, quindi a ruota si sta bene, a parte quando la corsa scoppierà. Da qui in cima e verso l’arrivo, ci sono tratti favorevoli e altri di strada tecnica e più stretta, per cui chi è davanti fa la stessa velocità di quelli dietro. Per questo, dando per scontato che in un mondiale non è mai facile organizzarsi, credo che chi sarà davanti avrà vantaggio. Quando poi si arriverà in basso, ci sono due o tre dentelli che potrebbero essere dei trampolini e poi la strada continua sempre a tirare un pochettino. C’è anche un tratto al 4-5 per cento, prima di girare a sinistra sul lago e da lì gli ultimi 3 chilometri saranno pianeggianti».

Ugualmente oggi, sul percorso abbiamo incontrato Demi Vollering, regina del Tour 2023
Ugualmente oggi, sul percorso abbiamo incontrato Demi Vollering, regina del Tour 2023

Demi Vollering nel frattempo è passata un’altra volta. La campionessa olandese, vincitrice del Tour 2023, abita a Basilea, quindi non perderà occasione per prendere confidenza con il percorso iridato. Nel frattempo il furgone con i tecnici azzurri ha imboccato la discesa. Le corse chiamano e la testa gradualmente sta tornando sulle Olimpiadi e le altre scelte da fare. Per chi ha il compito di schierare le migliori nazionali, il 2024 non sarà affatto un anno semplice.

Belletta cambia marcia: il primo obiettivo è la Roubaix

04.04.2024
4 min
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VILLA DI VILLA – Il meteo non ha risparmiato il Giro del Belvedere, che accoglie gli atleti sotto una pioggia torrenziale. Auto, camper, pulmini e ammiraglie si sparpagliano all’interno di questo paesino nella provincia di Treviso. La Visma Lease a Bike Development ha imbastito quello che sembra un campeggio, con tanto di tende a coprire le teste e le bici dei ragazzi. Al riparo dall’acqua e ben coperto contro il freddo spunta Dario Igor Belletta. Il corridore nato a Magenta è uno dei due ragazzi italiani del team olandese, l’altro è Pietro Mattio

Secondo tra i “calabroni”

Belletta è al secondo anno nel devo team dello squadrone olandese. Nel 2023, prima stagione da U23 ha messo insieme 32 giorni di corsa e buone esperienze. Tra queste una delle più incoraggianti è stato l’undicesimo posto alla Parigi-Roubaix Espoirs. Non sono mancati anche altri spunti interessanti, come il doppio podio al campionato italiano: prima a crono e poi in linea.

«Innanzitutto sto bene – racconta – ho passato un buon inverno, senza intoppi. Ho già fatto qualche giorno di corsa, in preparazione agli impegni che ci saranno più avanti nel corso dell’anno». 

Ultimo check alla bici prima della partenza del Giro del Belvedere
Ultimo check alla bici prima della partenza del Giro del Belvedere
Cosa vuol dire iniziare la seconda stagione in questa squadra?

C’è un pregresso, che vuol dire conoscere lo staff, il preparatore e tutto quello che mi circonda. Non c’è bisogno di ambientarsi o di imparare a vivere all’interno della squadra. E’ più bello, c’è molto meno stress e sono molto felice. 

Essere nel team più forte al mondo come ti fa sentire?

E’ fantastico, ovviamente richiede tanto impegno da parte di te stesso in primis. Mi sento parte di questo team e c’è quasi il dovere e la responsabilità di essere il migliore al mondo in tutto quello che fai. 

Questa mentalità la senti sempre più tua?

Sì. In confronto al 2023 sto acquisendo il DNA della squadra ed è fondamentale per migliorare. 

Belvedere e Recioto sono servite a Belletta per puntellare la condizione in vista della Roubaix U23 del 7 aprile
Belvedere e Recioto sono servite a Belletta per puntellare la condizione in vista della Roubaix U23
Rispetto all’anno passato come ti senti?

Vedo dei miglioramenti, soprattutto in allenamento, il passo in più che sto cercando di fare è quello di ottenere risultati importanti in gara. Ad esempio la Roubaix che ci sarà questa domenica.

Quindi sei alla caccia di risultati?

Adesso sì. Dopo le prime corse di preparazione si punta a raccogliere qualche risultato e speriamo arrivino. La cosa che aiuta parecchio è il fatto di conoscere il calendario delle gare già dall’inverno. In questo modo sei libero di testa, nel senso che conosci già i tuoi obiettivi e ti concentri su quelli. 

Avete fatto qualche cambiamento nella preparazione?

No, la filosofia della squadra rimane sempre la stessa. Cambiano l’intensità e leggermente il volume. 

Belletta schierato alla partenza del Belvedere mentre parla con Pellizzari (al centro) e Pinarello (a destra)
Belletta a colloquio con Pellizzari (al centro) e Pinarello (a destra)
Qual è il tuo obiettivo all’interno del mondo Visma Lease a Bike?

Direi quello di arrivare nel team WorldTour. Chiaramente se non si cresce abbastanza, non è possibile cogliere le occasioni, sia da under che da pro’. Quindi sì, passare è possibile, ma bisogna anche adattarsi a quello che il team chiede; ovvero crescere e cercare anche dei risultati. 

E’ possibile pensare di passare nel WorldTour il prossimo anno?

La strada è ancora lunga, sicuramente le gare di inizio stagione faranno pendere l’ago della bilancia da una parte o dall’altra. Con il team parleremo bene a giugno (a fine Belletta scadrà il contratto con il devo team, ndr).