Decathlon punta su Lapeira, cresciuto in casa fin da bambino

10.05.2024
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La Decathlon AG2R La Mondiale sta raccogliendo i frutti del suo lavoro alla base del ciclismo transalpino. Finora sono arrivate ben 14 vittorie, davvero niente male per un team del WorldTour che non ha nelle sue fila uno dei “magnifici sei”, ma che di corridori validi ne sta sfornando in continuazione, attingendo soprattutto a un bacino maturato nelle sue fila nelle categorie inferiori. Paul Lapeira è la perfetta sintesi della politica del team: inserito nella sua filiera sin dal 2018, quest’anno ha già colto 3 vittorie di peso e si è ben distinto anche nelle classiche.

A 23 anni Lapeira non è più identificabile come un prospetto, ma come un corridore bell’e fatto, punta del team per le corse d’un giorno e uno dei nuovi francesi sui quali puntare per vivere il ciclismo dei vertici, in attesa che emerga qualcuno in grado di competere anche per la classifica di un grande giro. E mentre i suoi compagni competono al Giro, lui prepara i prossimi eventi di casa, facendo l’occhiolino al Tour dopo aver esordito lo scorso anno (a dir la verità senza grande fortuna) nelle altre due grandi prove.

«Sono nato in Bretagna, ma sono cresciuto in Normandia, con i miei genitori che sono di lì e mio nonno che andava sempre in bicicletta e così seguendo il suo esempio ho iniziato a pedalare all’età di 7 anni. Anche mio padre amava pedalare, quindi sono stati loro due a motivarmi».

Il francese è stato protagonista all’Amstel Gold Race di Pidcock, chiudendo 5°
Il francese è stato protagonista all’Amstel Gold Race di Pidcock, chiudendo 5°
Quest’anno, sin dalla Faun Drome Classic hai mostrato un grande miglioramento, a che cosa pensi sia dovuto?

I miei primi 2 anni tra i professionisti mi hanno permesso di progredire nei giusti tempi. Soprattutto l’anno scorso l’aver partecipato alla Vuelta mi ha fatto fare un vero salto di qualità. Tre settimane di corsa sono servite per farmi maturare, mi sento più forte e sicuro di me.

Tu hai sempre corso nell’AG2R, quanto pensi sia importante nella crescita di un corridore essere sempre nello stesso team cambiando di categoria?

E’ qualcosa che ti dà stabilità e fiducia. Nel senso che conosco l’ambiente, conosco lo staff, c’è una crescita costante, monitorata e in piena sinergia con lo staff. Chiaramente cambiando di categoria cambiano anche le persone di riferimento, ma la struttura è quella, è davvero importante poter rimanere nello stesso ambiente.

Alla Vuelta 2023 non ci sono stati grandi picchi, ma tanta esperienza messa da parte
Alla Vuelta 2023 non ci sono stati grandi picchi, ma tanta esperienza messa da parte
I tuoi risultati all’Amstel e anche alla Liegi hanno sorpreso: sei rimasto sorpreso anche tu?

Ero felice ma non sorpreso perché l’Amstel Gold Race (dove il transalpino ha chiuso 5°, ndr) è davvero una gara che mi si addice molto. E’ fatta di tante salite, tutte molto brevi, quindi sapevo di essere capace di un grande risultato. A Liegi ero più sicuro di me, in un’edizione che è stata davvero molto veloce. Forse un 11° posto finale non sembra molto, ma in quel contesto ha un valore, soprattutto perché ora so che anche in una classica così importante posso dire la mia. Era importante per me sentirmi bene, a mio agio, dimostrare di aver fatto il salto di qualità ed essere pronto per quel contesto.

Hai notato maggiore attenzione da parte dei media nei tuoi confronti?

Sì, decisamente, soprattutto da quando ho iniziato a vincere. I media locali hanno cominciato a interessarsi e anche all’estero ora mi conoscono – la nostra chiacchierata lo testimonia… – Mi fa piacere soprattutto di essere un po’ più popolare nella regione dei miei genitori, so che i miei risultati al Giro dei Paesi Baschi e ancor più il seguito avuto nelle classiche hanno avuto scalpore da quelle parti.

Lo scorso anno Lapeira è stato al Giro d’Italia, portando a termine tre sole tappe
Lo scorso anno Lapeira è stato al Giro d’Italia, portando a termine tre sole tappe
Che caratteristiche hai e su quali percorsi ti trovi meglio?

Sono davvero un fighter, uno che ama attaccare. Potremmo dire che io e Benoît Cosnefroy abbiamo davvero lo stesso profilo, ci integriamo bene. L’Amstel ha il tracciato perfetto con brevi salite da 2 a 3 minuti. E questo può estendersi a gare come la Liegi dove lo sforzo rimane intorno ai 5 minuti.

Qual è finora la vittoria che ti ha dato più soddisfazione?

La tappa al Giro dei Paesi Baschi, perché è stata la mia prima in una prova del WorldTour. C’è stata anche la doppietta alla Coupe de France, le vittorie di metà marzo, due nello spazio di 24 ore, mi hanno dato molta fiducia e mi hanno permesso di fare tutto quello che ho fatto nelle ultime settimane.

La vittoria di Lapeira alla Cholet Agglo Tour, dopo aver vinto per distacco il giorno prima a La Haie-Fouassiere
La vittoria di Lapeira alla Cholet Agglo Tour, dopo aver vinto per distacco il giorno prima a La Haie-Fouassiere
Quanto è importante avere un gruppo così numeroso dei colori francesi nella propria squadra?

Non penso che conti così tanto avere un numero prevalente di corridori della stessa nazione. Rimaniamo ovviamente una squadra francese, ma oggi il ciclismo sta diventando internazionale e vediamo ancora che ci sono sempre più stranieri nei team. Per l’evoluzione è una buona cosa, è importante che ci sia un’identità e che chi arriva da fuori impari la nostra lingua, ma non penso che sia di fondamentale importanza avere molti francesi in squadra.

Tu hai corso e vinto spesso in Italia, che cosa ricordi delle tue vittorie giovanili al Lombardia, San Vendemiano, Giro del Friuli?

Sì, mi piace molto l’Italia, la cultura, la cucina. È davvero un Paese che mi piace molto, sono sempre contento di venire a correre in Italia. Ci sono gare fantastiche e lì si sente davvero la passione per il ciclismo, quindi è un Paese che amo davvero. Vincere il Piccolo Lombardia per me è stato qualcosa di molto importante perché prima avevo avuto un’estate complicata ed è sempre una gara che fa sognare tra gli espoirs e riuscire a vincerla per me è stato qualcosa di molto emozionante. Quindi ho un bellissimo ricordo.

La vittoria al Piccolo Lombardia 2021, battendo nello sprint a tre Petrucci e il tedesco Steinhauser (foto Dario Riva)
La vittoria al Piccolo Lombardia 2021, battendo nello sprint a tre Petrucci e il tedesco Steinhauser (foto Dario Riva)
Che gare ti aspettano ora e con quali obiettivi?

Non farò gare a maggio, andrò a un raduno di allenamento in quota in Sierra Nevada e poi a giugno farò il Critérium du Dauphiné, il campionato francese e se tutto va bene potrò esordire al Tour de France, dove l’obiettivo del team sarà aiutare a fare classifica a Felix Gall.

Tu hai 23 anni, che cosa rappresenta il Tour de France per un corridore come te?

E’ come il Giro d’Italia per gli italiani. E’ la gara che sogniamo di fare fin da quando eravamo bambini, quindi lo voglio davvero, aspetto la partenza da Firenze con trepidazione, anche se non ho proprio le caratteristiche per un grande giro, sono più uomo da corse di un giorno, ma partecipare al Tour de France è qualcosa di grande, soprattutto quando in squadra ne hai uno come Felix che ha grandi motivazione e sai che è capace di fare grandi cose quindi sì, la motivazione è molto grande.

Mazzone-Sabatini, portabandiera azzurri alle Paralimpiadi

10.05.2024
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Il ciclismo avvolto nel tricolore. Tre anni dopo Elia Viviani all’Olimpiade di Tokyo, l’onore di fare da portabandiera italiano toccherà a Luca Mazzone, che sarà l’alfiere azzurro nella Cerimonia d’apertura della Paralimpiade di Parigi 2024, in programma il prossimo 28 agosto (in apertura immagine CIP, Mazzone con Ambra Sabatini, altra portabandiera).

Due medaglie d’argento nel nuoto a Sydney 2000 e poi una sfavillante carriera nell’handbike, che l’ha visto conquistare 3 ori e tre argenti tra Rio 2016 e Tokyo 2020. L’ultimo acuto ai Giochi, nel nome di Alex Zanardi, ve l’abbiamo raccontato su queste pagine direttamente dall’autodromo di Fuji: quello splendido oro del terzetto azzurro completato da Paolo Cecchetto e Diego Colombari. Anche stavolta la dedica è per chi continua a essere un’ispirazione per tutto il movimento. Una prima volta storica perché mai nessun ciclista aveva ricoperto questo ruolo nella storia delle Paralimpiadi.

Rio 2016, Zanardi, Mazzone, Podestà: l’oro è per il terzetto azzurro
Rio 2016, Zanardi, Mazzone, Podestà: l’oro è per il terzetto azzurro
Luca, che cosa hai provato quando hai ricevuto la notizia?

E’ un onore al quale non avrei mai pensato e che mi ripaga di tanti anni di attività sportiva. Ringrazio il Comitato Italiano Paralimpico per la decisione. Il fatto che a proporre il mio nome sia stato il presidente Luca Pancalli mi inorgoglisce ancora di più: ho iniziato a fare sport proprio grazie a lui. Nel 1996, guardando la tv mi colpì la notizia di una sua impresa sportiva. La voglia di emularlo smosse dentro di me qualcosa che mi ha prima portato in piscina e poi nel ciclismo paralimpico. Ringrazio anche la Federazione ciclistica italiana che mi ha permesso, in questi anni, di concretizzare quel sogno e quelle ambizioni. Mi auguro che la mia storia e i miei successi possano rappresentare un esempio, come fu Pancalli per me, contribuendo a far uscire tanti ragazzi e ragazze di casa per fare sport.

Come te l’hanno comunicato?

Lunedì 29 aprile, mentre ero in aereo, in partenza per Ostenda, ho ricevuto una prima chiamata. Stavo per mettere il telefono in modalità aereo e poi vedo che squilla e compare un numero col prefisso romano. Di solito non rispondo a mittenti sconosciuti, invece, stavolta l’ho fatto e dall’altra parte c’era la segretaria del presidente Pancalli. Poi mi passano Luca e mi dice, raccomandandosi di non rivelarlo a nessuno, che la sua intenzione era di propormi come portabandiera italiano. Non ci credevo.

E poi?

Non ho più saputo nulla, fino alla chiamata di mercoledì del presidente della Federciclismo Cordiano Dagnoni. E’ stato lui a confermarmi tutto e a complimentarsi con me. Ieri, è stata resa pubblica la notizia e il telefono ha continuato a squillare all’impazzata, ma è stato molto piacevole.

E’ stato Luca Pancalli, presidente del Comitato paralimpico italiano, a proporre il nome di Mazzone foto CIP)
E’ stato Luca Pancalli, presidente del Comitato paralimpico italiano, a proporre il nome di Mazzone foto CIP)
A chi lo dedichi?

Come ho scritto ai miei compagni di nazionale nel nostro gruppo Whatsapp, ho detto che porto tutti loro con me. Tutti quelli che hanno partecipato coi loro risultati, tra cui Alex fino ad arrivare agli ultimi entrati in squadra. Senza dimenticare lo staff e tutti quelli che si sono avvicendati in questi undici anni in cui ho fatto handbike.

Citando il nome di Zanardi, la tua voce ha tremato….

Penso che Alex sarà orgoglioso di me. Siamo arrivati a questo traguardo storico insieme: è la prima volta di un ciclista paralimpico e voglio condividerla con lui. Ai campionati italiani del mese scorso a Montesilvano, si è avvicinata a me sua moglie Daniela. Non ho avuto il coraggio di chiedere come sta, perché rispetto il loro riserbo e mi piace ricordare altri momenti indelebili. Ad esempio, l’abbraccio di Rio alla fine della staffetta vinta, quando mi ha stretto forte come se fossi stato suo figlio. Sono cose che non ti aspetti da campioni che di solito hanno grande freddezza per ottenere qualunque vittoria e che, invece, sotto la scorza dura, sono dei teneroni. Lo ricordo sempre in quell’abbraccio e per l’ironia immancabile negli innumerevoli ritiri e nelle uscite di allenamento insieme. A Daniela ho chiesto soltanto di dargli un grande abbraccio.

Mazzone, nato a Terlizzi in Puglia, ha vinto 15 titoli mondiali
Mazzone, nato a Terlizzi in Puglia, ha vinto 15 titoli mondiali
Che cosa ti aspetti dai Giochi di Parigi?

Nell’ultima tappa di Coppa del mondo ad Ostenda ho voluto dimostrare ai miei avversari che Luca Mazzone c’è ancora. Magari non farò bottino pieno o non sarò il primo della classe, ma sono pronto a ruggire e con artigli ben affilati. Mi aspetto di fare bella figura e di dare filo da torcere agli avversari.

Come riesci a tener duro così al netto della carta d’identità?

A volte me lo chiedo anch’io. Però, quando salgo sull’handbike, mi sento come nuovo. E’ difficile spiegarlo in poche parole. Non voglio che passi come vanto, ma ho sempre fatto sport, sia prima dell’incidente sia dopo, non mi sono mai fermato e quella è stata la mia forza. Spero di ispirare così tanti ragazzi: sulla carta d’identità c’è un numero, ma la mia età sportiva è differente. Poi, avere un maestro come Alex, mi ha insegnato a non arrendermi, sia nel fisico sia nella ricerca meccanica. E’ una continua evoluzione e a volte, quando vinco le gare, mi compiaccio quasi più del Luca meccanico dell’atleta.

Mazzone, classe 1971, deve la disabilità a un tuffo nel 1990 e all’urto contro uno scoglio
Mazzone, classe 1971, deve la disabilità a un tuffo nel 1990 e all’urto contro uno scoglio
Come sarà condividere il tricolore con Ambra Sabatini?

Ci siamo incontrati a Tokyo e vedo in lei la stessa fiamma che bruciava dentro di me da giovane. Ha gli occhi di tigre ed è un motivo d’orgoglio per me a 53 anni, rappresentare la mia Puglia e tutta l’Italia con al fianco una ragazza così giovane, ma già così vincente.

Riceverai la bandiera dalle mani del presidente della Repubblica: ci hai pensato?

In questi anni, ho avuto la fortuna di incontrare prima Ciampi e poi Mattarella. Ricevere la bandiera dalle mani della carica più alta dello Stato mi fa già tremare le braccia: spero di reggerla nel migliore dei modi. Per fortuna, grazie al ciclismo, sono bene allenate e sono pronte a farvi sognare ancora.

De Lie è tornato e punta sul Tour. Tutto per colpa di una zecca?

10.05.2024
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Tre vittorie in dodici giorni, quando l’ultima risaliva ai primi dello scorso settembre. Non è stata una primavera semplice quella di Arnaud De Lie, che avrebbe voluto e potuto lasciare il segno in tutte le classiche dalla Sanremo all’Amstel e invece si è ritrovato al palo con una condizione nemmeno sufficiente. Lo hanno fermato alla Gand, conclusa a più di 5 minuti da Pedersen e con la testa bassa, quando è stato chiaro che le cose non andassero, ma non il motivo.

La malattia di Lyme

Sono servite alcune analisi più approfondite per scoprire tracce della malattia di Lyme, che di solito viene provocata dalla puntura di una zecca. Per un ragazzo che vive in una fattoria l’ipotesi non era neppure così remota e forse potrebbe spiegare la primavera al di sotto delle aspettative. In ogni caso, De Lie si è fermato. Per un po’ è stato a casa nel cuore delle Ardenne, poi si è spostato in Francia per ispezionare qualche tappa del Tour e ha ultimato la sua preparazione a Nizza. La squadra non gli ha messo pressione. Ha lasciato che tornasse ai suoi livelli e quando finalmente lo ha riportato in corsa, si è affrettata a dire di non avere aspettative.

Quelle ne aveva già abbastanza lui. E’ rientrato alla Lotto Famenne Ardenne Classic e l’ha vinta. La settimana successiva è arrivato terzo al GP du Morbihan. Il giorno dopo ha vinto il Tro Bro Leon e giusto ieri si è portato a casa il Circuit de Wallonie.

«Non ci aspettavamo risultati da Arnaud – ha detto a Het Nieuwsblad il direttore sportivo Kurt Van de Wouver – non sarebbe stato giusto. Aveva appena terminato una pausa piuttosto lunga. Aveva fatto i necessari chilometri di allenamento, ma ha soprattutto bisogno di chilometri di gara per migliorare. Dopo circa quattro corse ne sappiamo già di più. Ora deve ritrovare il suo tocco magico sulla bici».

Il rientro vittorioso al Lotto Famenne Ardenne Classic ha riacceso la stampa belga
Il rientro vittorioso al Lotto Famenne Ardenne Classic ha riacceso la stampa belga

Il piacere di correre

Il primo passo della svolta c’è stato quando De Lie ha ritrovato il buon umore: non a caso lo stesso discorso fatto ieri da Damiani a proposito di Benjamin Thomas. Tutti si erano accorti di quanto fosse incupito rispetto al ragazzino passato professionista a vent’anni. Ed era stato immediato capire che se un vincente del suo livello non riesce a esprimersi ai livelli che gi appartengono, diventa vittima di ogni genere di frustrazioni. La svolta psicologica è stata salutata positivamente da tutti, lui per primo.

«Se Arnaud si diverte nuovamente sulla bici – ancora Van de Wouver –  i risultati arriveranno. Ma ciò vale anche al contrario. Se ci saranno risultati, il divertimento tornerà sicuramente. In quest’ottica, le recenti vittorie hanno aiutato molto. Tutto è connesso. Per cui una volta che torneranno i risultati, De Lie ritroverà la fiducia in se stesso».

Con De Buyst al Tro Bro Leon: altra vittoria, dopo il secondo posto del 2023 dietro Nizzolo
Con De Buyst al Tro Bro Leon: altra vittoria, dopo il secondo posto del 2023 dietro Nizzolo

Con gli amici a Nizza

De Lie ha cambiato tono di voce. Aver ritrovato la vittoria dopo aver sconfitto la malattia di Lyme gli ha in qualche modo dato la conferma di aver individuato la causa dei suoi problemi e averla debellata.

«Aver vinto – dice – è stato una svolta importante. Il primo passo in questa fase è stato individuare la malattia, sapere cosa stava succedendo. Quando ho ripreso, le mie gambe erano ancora pesanti. Ho assunto antibiotici per dieci giorni e il medico della squadra mi ha confermato che ero nelle fasi iniziali di questa malattia infettiva. Dopo il trattamento antibiotico ho iniziato la ricostruzione. Ecco perché sono andato a Nizza da solo. Sono stato per cinque giorni al sole, ero felice di essere da solo: il mio obiettivo principale era ritrovare la gioia nel ciclismo. E’ stato un periodo divertente, ho incontrato altri corridori come Caleb Ewan. Se fossi rimasto a casa mia, avrei incontrato solo cervi o cinghiali. Non ho solo ritrovato il piacere della bici, ma l’atmosfera nel gruppo. E la conferma che posso ancora vincere ha reso le cose molto migliori. Continuerò a ritrovarmi corsa per corsa».

Per De Lie, il Wallonie è stata la terza vittoria negli ultimi 12 giorni
Per De Lie, il Wallonie è stata la terza vittoria negli ultimi 12 giorni

Un maialino in fattoria

La vittoria nel Tro Bro Leon gli ha portato un maialino in premio. Lo scorso anno l’aveva persa per mano di Giacomo Nizzolo, che proprio quel giorno centrò l’unico successo del 2023. E’ una corsa molto particolare, secondo alcuni l’antagonista francese della Strade Bianche, l’ideale per un uomo da classiche come De Lie.

«Devi avere delle gambe molto buone per vincerla – ha spiegato – e io ricordavo molto bene il finale dello scorso anno. Nella nostra fattoria non abbiamo ancora un maialino come quello che mi hanno dato. Prima che partissi, mio zio per sicurezza mi aveva regalato una scatola per trasportarlo correttamente. Ma non è stato proprio facile. Ho forato per la prima volta quando mancavano 70 chilometri e sono ripartito, ma senza sapere a che punto fossi. Avevo due gomme a terra e ho cambiato la bici. Sono tornato davanti e ho attaccato nel settore di pavé de la Ferme, provocando una piccola selezione. Ma ho bucato di nuovo.

«Sono stato costretto a inseguire ancora, ma alla fine siamo riusciti a fare una grande gara. Sono rimasto tranquillo. Ero particolarmente preoccupato da Venturini e Mozzato, che correvano in casa. Sapevo di avere ancora buone gambe e non volevo commettere lo stesso errore dell’anno scorso nello sprint finale. La forma sta tornando e questa è la cosa più importante».

Sul podio di Marcinelle, secondo si è piazzato Zingle (Cofidis) e terzo Brennan (Visma)
Sul podio di Marcinelle, secondo si è piazzato Zingle (Cofidis) e terzo Brennan (Visma)

Ora lo Svizzera

Nonostante lui per primo non voglia sentir parlare di ritorno ormai compiuto, la vittoria al GP Wallonie di ieri ne ha tanto il sapore. In una corsa con 1.983 metri di dislivello, De Lie ha forzato il ritmo per primo a 65 chilometri dall’arrivo, sulla ripida Rue Toffette che ha pendenze fino al 14 per cento. Poi ha sfruttato il lavoro colossale di Campenaerts, che ha tirato per tutto il giorno sulle tracce dei fuggitivi.

«Non ho idea di quanti chilometri abbia percorso in testa – ha detto alla fine il vincitore – ma è stato impressionante. Poi abbiamo fatto un grande sprint. Lionel Taminiaux mi ha lanciato. Ho aspettato e mi sono scatenato al momento giusto. Ora però mi aspetta il banco di prova più severo del Giro di Svizzera, ma non mi fa paura. So che Peter Sagan ha il record di tappe, ne ha vinte 18: chissà se riuscirò mai a fare altrettanto. Mi sento forte. Mentalmente ho fatto un grande passo».

Alla fine spunta Sanchez, che brinderà col nebbiolo di Sciandri

09.05.2024
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Per capire che la tappa di oggi non era finita per Pelayo Sanchez dopo quella rotonda sbagliata, bisogna tornare indietro al 16 settembre 2023. Guadarrama, penultima tappa della Vuelta. Lo spagnolo viaggia in fuga con Wout Poels e un certo Remco Evenepoel. 

Nella fuga inizialmente c’erano anche altri atleti, ma lui tra curve al limite, fuorisella e rapportoni lunghi, alla fine era riuscito a restare con i due corridori ben più forti e famosi del drappello. Anche il tempo dello sprint era giusto, ma a 23 anni, al primo grande Giro e al termine della terza settimana, si era dovuto arrendere. Primo Poels, secondo Remco, terzo Pelayo.

Oggi, verso Rapolano Terme, il film quasi si ripete. La fuga più numerosa che man mano si assottiglia e lui che resta con due campioni, Luke Plapp e Julian Alaphilippe, che è anche il suo idolo.

Stavolta è freddo. Stavolta quella lezione di Guadarrama l’ha messa a frutto e, complici ottime gambe, alla fine ce l’ha fatta. E neanche di poco, tanto da iniziare a scuotere il capo per l’incredulità qualche metro prima della linea bianca.

Pelayo Sanchez è alla terza vittoria da pro’. Prima aveva conquistato una tappa al Giro delle Asturie 2023 e il Trofeo Pollenca 2024
Pelayo Sanchez è alla terza vittoria da pro’. Prima aveva conquistato una tappa al Giro delle Asturie 2023 e il Trofeo Pollenca 2024

Testa e sogno

All’epoca di Guadarrama, Pelayo Sanchez era un corridore della Burgos-Bh, una professional spagnola, adesso è alla Movistar. Unzue, che ha l’occhio lungo lo ha voluto subito alla sua corte. E ancora una volta ha fatto centro.

«Non mi rendo conto di aver vinto una tappa al Giro – ha detto Sanchez – non ho parole. A questa tappa ci tenevo. E’ dall’inizio del Giro che risparmiavo energie per questa frazione. E sì che mi sarebbe piaciuto andare in fuga. Questa tappa era nella mia testa già da un po’, ma non avrei mai pensato che sarebbe stato possibile.

«Durante la corsa ho cercato di essere paziente e di mantenere la calma. Alla fine siamo rimasti solo io, Plapp e Alaphilippe. Ho provato a staccarli, ma non ci sono riuscito, così ho dovuto puntare tutto sullo sprint. Per fortuna ha funzionato».

Gruppo avvolto nel polverone degli sterrati senesi. Giornata “tranquilla” per gli uomini di classifica
Gruppo avvolto nel polverone degli sterrati senesi. Giornata “tranquilla” per gli uomini di classifica

Asturiano veloce

Pelayo Sanchez, classe 2000, 177 centimetri per 62 chili, di Tellego nelle Asturie, forse la regione spagnola più legata al ciclismo dopo i Paesi Baschi. Sui media la news di Pelayo prende a spallate la politica, la questione israeliana e i mega investimenti che ArcelorMittal si propina a fare in Spagna. Adesso lo spazio è per questo ragazzo.

Molto alla mano, semplice, Pelayo Sanchez impara in fretta, ci dice chi gli è vicino. «I numeri sarebbero anche da scalatore – chiarisce il suo direttore sportivo Maximilian Sciandri – ma io direi piuttosto che è un corridore completo, uno che emerge quando la corsa è dura. E oggi per esempio negli ultimi 100 chilometri c’erano quasi 2.000 metri di dislivello. E poi è veloce, molto veloce, e questa non è una caratteristica da poco per chi va forte in salita.

«Quando venni a vedere questa tappa pensai a lui ed era nei progetti che oggi ci provasse, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mondo, non il mare! Bisogna mettere insieme tante probabilità, che sullo sterrato si moltiplicano.

«Quando sono iniziati gli scatti Sanchez ci ha provato due, tre volte e lo ha fatto anche con l’aiuto di Fernando Gaviria e Lorenzo Milesi. Poi è partita l’azione buona con Alaphilippe. Noi, pensando alla fuga, avevamo già mandato in avanti la seconda ammiraglia».

Caduto nel terzo sterrato, Caruso ha chiuso a 15’45” da Pelayo Sanchez. «Due o tre giorni e torno in forma», ha detto il siciliano
Caduto nel terzo sterrato, Caruso ha chiuso a 15’45” da Pelayo Sanchez. «Due o tre giorni e torno in forma», ha detto il siciliano

Il nebbiolo di Sciandri

Il fatto che Sciandri, toscano, conoscesse queste strade e avesse fatto il sopralluogo è stato quantomai vitale per Sanchez.

«Ho visionato gli ultimi 80 chilometri – riprende Max – facendo dei filmati sull’ingresso degli sterrati, dello strappo di Serre di Rapolano e del finale. Durante la riunione immaginavamo, mettendoci nei panni di un diesse che ha l’uomo di classifica, che il gruppo non sarebbe arrivato compatto, che lasciasse andare. Tuttavia nel finale, abbiamo preso lo strappo duro con 20”: eravamo al limite. Lì Pelayo doveva provarci. Non è riuscito a staccarli. Per fortuna si ricordava bene il finale. Che tra l’altro tirava anche un po’. Che dire? E’ stato bravo. Bravo anche ad avere sangue freddo, tanto più con un cliente come Alaphilippe che in questi arrivi ci sa fare».

Quindi in Movistar si fa festa stasera. Diesse toscano che vince in Toscana, è lecito pensare che si brinderà con un bel rosso della zona.

«Sapete – conclude Sciandri – al via da Torino un mio amico mi ha regalato una cassa di nebbiolo. Stasera si va con quello!».

Alaphilippe, con Plapp e Sanchez: se il francese prende fiducia, ne vedremo delle belle
Alaphilippe, con Plapp e Sanchez: se il francese prende fiducia, ne vedremo delle belle

Alaphilippe non molla

Ma se questa è la parte del vincitore, del vinto che si dice? In tanti tifavano per l’ex iridato, Julian Alaphilippe. Quanto avrebbe fatto bene a lui e al Giro d’Italia una sua vittoria? 

Un tempo, una frazione simile se la sarebbe divorata in un boccone, stavolta fa “buon viso a cattivo a gioco”, nel senso che dopo l’arrivo si congratula sorridente con Sanchez. Evidentemente “Loulou” sa che era solo questione di gambe: quell’altro ne aveva di più, c’è poco da recriminare.

Ma quel che conta è che l’ex iridato c’è e cresce. «Io – spiega il direttore sportivo della Soudal-Quick Step, Davide Bramati – credo che Julian e la squadra abbiano fatto un’ottima corsa oggi. In ogni attacco noi c’eravamo. Quando si è creata quella situazione di 24 uomini, la UAE Emirates ha chiuso ed era normale. Ma poi sapevamo che poteva essere un momento buono e così Alaphilippe ha insistito e ha avuto ragione».

“Brama” guarda avanti. Dice che il Giro non è finito e fa intendere che riassaporare certe sensazioni, vale a dire giocarsi arrivi importanti, non può che far bene ad Alaphilippe.

«A parte una tappa, sin qui i ritmi sono sempre stati elevati – spiega Bramati – anche oggi: fare 46 di media su questo percorso è incredibile, per questo domani molti dei miei tra cui Alaphilippe sfrutteranno la crono per “recuperare” in vista delle altre tappe. Le occasioni sono ancora tante. E noi ci riproveremo».

Longo Borghini tira il fiato: primavera superba e l’estate che bussa

09.05.2024
7 min
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Tre giorni senza bici dopo la Vuelta, Elisa Longo Borghini ha avvertito la voglia di ripartire. La sua primavera è stata un inno all’alto rendimento. Il terzo posto alla Omloop Het Nieuwsblad, il secondo alla Strade Bianche e poi le vittorie del Trofeo Oro in Euro, del Fiandre, della Freccia del Brabante. A seguire ci sono stati il terzo posto alla Freccia Vallone e il secondo della Liegi. Fra i tanti sorrisi delle ultime settimane, quello è stato il più tirato. Vissuto e convinto sul momento, con tanto di complimenti a Grace Brown. Ma pesante come un pranzo indigesto nei giorni successivi.

«Ogni tanto viene su – ammette Elisa con un sorriso rassegnato – però più ci penso e più credo che Grace Brown quel giorno non potesse che vincere. Se uno fa dieci volte quella rotonda come l’ha fatta lei, cade undici. Lei invece è rimasta in piedi e quello è stato il segno che avrebbe vinto. E poi è sempre un cliente scomodo nelle volate, perché è forte…».

Nessun problema a farsene una ragione se fossi stata la Elisa di due anni fa, che perdeva volate in serie. Ma da quando hai pure imparato a vincerle…

E non ditelo a me! Io ci ho creduto fino a 25 metri dall’arrivo, poi mi ha passato a doppia velocità e quando l’ho vista ho detto: «No! Ma che vuole questa? No!». Sai quando resti male perché ti cade il gelato o la fetta biscottata dalla parte della marmellata? E’ stato uguale…

Lo sprint della Liegi, Grace Brown non lascia scampo: seconda Longo Borghini e terza Vollering
Lo sprint della Liegi, Grace Brown non lascia scampo: seconda Longo Borghini e terza Vollering
Torniamo alla Vuelta: era un obiettivo o il modo per chiudere la primavera?

Era in programma dall’inizio. Solo che ci sono arrivata con la condizione probabilmente già al limite. L’ho finita un po’ stanca. Alle Ardenne andavo veramente tanto forte, ma il clima non ci ha aiutato. Io sono una che non soffre troppo il freddo, invece l’ho sentito e quelle ghiacciate ti rimangono addosso. Con Slongo avevamo messo in conto che sarei arrivata alla Vuelta un pelo stanca, quasi al limite e alla fine non è andata così male. Mi è solo dispiaciuto che Gaia si sia dovuta ritirare, quella caduta non ci voleva (Gaia Realini si è ritirata per una caduta, dopo essere stata anche leader, ndr). Siamo partite entrambe leader, ma lei aveva seguito un diverso avvicinamento.

Hai capito subito che non fosse una Vuelta da dare fastidio a Vollering?

Vollering secondo me era alla portata, non è imbattibile o non ha lo stradominio dell’anno scorso. Piuttosto ero io in fase calante, ero abbastanza stanca e quindi non sono riuscita a tenerle tanto testa. Ma alla fine sul primo arrivo in salita mi sono mancati gli ultimi 700 metri e lei nella penultima tappa è stata battuta dalla Muzic, quindi non era irraggiungibile.

Gaia Realini è caduta nella quinta tappa e l’indomani si è preferito non farla ripartire:
Gaia Realini è caduta nella quinta tappa e l’indomani si è preferito non farla ripartire:
Resta il fatto che gli obiettivi di primavera erano le classiche e ora verrà il Giro, giusto?

Sì, adesso come primo obiettivo c’è il Giro d’Italia. Al Tour de France andrò veramente più in appoggio e per fare le tappe, con un approccio mentale diverso. Invece al Giro sarebbe bello poter fare classifica sul serio.

Come si concilia la generale del Giro che finisce il 14 luglio con la prospettiva, in caso di convocazione, di andare alle Olimpiadi che si corrono il 4 agosto?

Diciamo che adesso sto affrontando un periodo di stacco dopo la Vuelta. Poi avrò due settimane in cui ricomincerò ad allenarmi qui a casa, prima del training camp a San Pellegrino dal 27 maggio all’11 di giugno. Poi farò lo Svizzera e il campionato italiano, quindi avrò tempo di essere fresca sia fisicamente sia mentalmente, prima di affrontare un blocco di corse importanti come Giro d’Italia, Olimpiadi e Tour. Ho di fronte a me praticamente una quarantina di giorni per poter riprendere fiato, recuperare energie mentali e fisiche e poi ributtarmi nella stagione.

Come funziona il riposo a casa di Elisa Longo Borghini?

Ho fatto tre giorni senza andare in bici. Finché ha piovuto, ho detto: «Vabbè dai, riposa perché sta piovendo». Poi il tempo è migliorato e mi girano già un po’ le scatole a star ferma. Dopo la Vuelta ho sentito la necessità di stare ferma. Mi è venuto mal di gola, ho sentito un po’ di stanchezza, tutte le cose che ti vengono quando sei cotta. Quando Vollering mi ha staccato negli ultimi 700 metri della prima tappa che ha vinto (ad Alto del Fuerte Rapitàn, quinta tappa, ndr) ho capito che ero in calando.

Da cosa lo hai capito?

Già a inizio salita avevo iniziato a sentire che mi facevano troppo male le gambe. E poi quando sono esplosa e lei ha vinto, mi sono resa conto che a cose normali avrei tenuto quei wattaggi senza problemi e ho capito che stavo raschiando il fondo del barile. Sono sintomi che ormai conosco bene, tipici di quando sono al lumicino. Non riesco più a riposare bene e inizio a capire che il mio corpo sta dicendo basta.

Quinta tappa, Longo Borghini cede negli ultimi 700 metri e arriva terza. E’ il giorno che dà la svolta alla sua Vuelta
Quinta tappa, Longo Borghini cede negli ultimi 700 metri e arriva terza. E’ il giorno che dà la svolta alla sua Vuelta
E se queste sono le sensazioni di sfinimento, come va quando si riparte dopo tre giorni?

Inizio a pensare di non essere sulla mia bicicletta. Sono talmente abituata ad uscire tutti i giorni, che anche dopo tre giorni, penso che il manubrio sia strano e l’altezza sella diversa. Un motore ingolfato, come quando cerchi di accendere la Vespa dopo tutto l’inverno che è stata in garage. Come dopo le ferie, insomma. Se invece stacchi due giorni dopo aver fatto il ritiro di gennaio, è tutto diverso. Il ritiro è stressante anche a livello di testa, perché ci sono centomila impegni. E se fai due giorni tranquilla dove mangi e riposi bene, quando risali in bici sembra che non hai neanche staccato.

Qual è stato il giorno dell’anno in cui ti sei sentita più forte?

Quello del Fiandre, avrei potuto fare ancora 20 chilometri. Stavo veramente bene. Di solito scendo dall’altura e alla terza corsa vado forte. Avevo fatto la Gand e la Dwars door Vlaanderen come gare di rodaggio e al Fiandre mi sentivo veramente bene e mentalizzata. Non era l’obiettivo stagionale e nessuno ne aveva parlato, neppure in squadra. Ci eravamo solo dette di arrivare al Koppenberg, perché lì si capisce sempre tutto. E quando ci siamo arrivate è stato come se, senza essercelo dette, tutte volessimo fare qualcosa di grande. E lo abbiamo fatto.

Eppure non era un tuo obiettivo, come le prime gare in cui sei andata forte: sarà che ormai hai raggiunto una base di forza che ti permette di essere competitiva anche quando non sei al top?

Forse in un certo senso è vero, però questo livello di base ho dovuto recuperarlo quest’inverno. Credo che aver lavorato tanto a bassa intensità mi abbia dato le fondamenta della forma. Quindi da questa base posso avere dei buoni picchi, ma non dei down incredibili. Poi magari mi smentirò tra qualche mese o tra qualche settimana, però ho visto che la mia condizione media va bene, basta anche per essere vincenti. Magari non in tutte le corse, ma ci si va vicino. In fondo alla Vuelta ero in fase calante, però mi sono difesa e alla fine sono salita sul podio.

La preparazione, la potenza e la precisione di Zoccarato

09.05.2024
5 min
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«Oggi è impossibile pensare di allenarsi senza il potenziometro». Samuele Zoccarato non fa troppi giri di parole quando parliamo di allenamento moderno. Il professionista della VF Group-Bardiani nonché ex campione nazionale gravel, va dritto al sodo, come sua abitudine del resto.

Zoccarato è meticoloso e nella sua preparazione ricerca sempre il dettaglio. E’ attento sia agli aspetti del programma vero e proprio da seguire, che a quelli tecnici degli strumenti. Aspetto, quest’ultimo, che vale tanto per gli allenamenti su strada, quanto nel fuoristrada. In entrambi gli ambiti il corridore veneto utilizza il misuratore di potenza Assioma: modello Duo su strada, Pro MX in fuoristrada. Ma del resto non potrebbe essere così per chi, oltre ad amare l’asfalto, non rinuncia agli sterrati del gravel.

I pedali Assioma PRO MX rilevano la potenza: un dato che anche nel fuoristrada è ormai imprescindibile
I pedali Assioma PRO MX rilevano la potenza: un dato che anche nel fuoristrada è ormai imprescindibile

Potenza imprescindibile

«Io – spiega – sono già cresciuto con il potenziometro, quindi con la potenza come riferimento, e neanche saprei fare un vero paragone con il passato. Anche cambiando allenatore (come è accaduto quest’anno, ndr) il potenziometro resta indispensabile. Non ci ho visto grandi differenze, quel che cambia sono i programmi ma l’utilizzo del parametro dei watt resta lo stesso».

Il corridore della VF Group-Bardiani insiste sul fatto che avere sotto controllo, o meglio basare l’allenamento su dati certi e puri quali i watt, è fondamentale. Il cardiofrequenzimetro per esempio non ti dà certe risposte assolute. Magari sei stanco, ma stai bene lo stesso. I watt invece non mentono. E questo è importante anche per l’atleta stesso che impara a conoscersi e a gestirsi. E alla fine assume sicurezze.

L’importante poi però è non andare oltre e diventare succubi dello strumento. Ma in tal senso conta l’esperienza.

«Un aspetto molto importante per me – spiega Zoccarato – è che col potenziometro puoi davvero stabilire il tuo livello di preparazione, il tuo stato di forma e di conseguenza valutare quanto migliori».

Samuele Zoccarato ha conquistato il titolo italiano gravel nel 2022
Samuele Zoccarato ha conquistato il titolo italiano gravel nel 2022

Più base aerobica

Già questo inverno Zoccarato ci aveva illustrato a grandi linee il suo allenamento. Non c’era una settimana tipo, ma un continuo alternarsi di triplette intervallate da un giorno o due di riposo.

«Da quest’anno soprattutto – prosegue Samuele – ho implementato molto il lavoro in quella che è la Z2 (cioè la base aerobica un po’ più spinta, ndr). E’ in questa fascia d’intensità che passo la maggior parte delle mie ore di allenamento. Questo fa sì che non vada mai troppo piano e infatti torno a casa sempre con delle belle medie orarie e anche dei bei wattaggi medi».

Non solo, ma Zoccarato, ora seguito dal dottor Andrea Giorgi, preparatore in seno al team, lavora  molto anche a cavallo di due zone: è il cosiddetto “swift spot”.

«Insistere fra Z3 e Z4 è un modo per lavorare vicino alla soglia, ma senza poi spendere troppo. Con l’avanzare della stagione sono aumentati anche i richiami in Z5 e Z6, ma poi tanti di questi volumi si fanno in gara».

In particolare nelle prime gare, sia della stagione che quelle dopo un ritiro in altura, servono per completare il lavoro. Trovare la brillantezza necessaria. Il che vuol dire raggiungere le zone massimali o sub-massimali come appunto la Z5 e la Z6 senza però doversi distruggere. 

«A parte alcuni richiami in Z5 – dice – quest’anno non avevo mai toccato i massimali in allenamento alla vigilia delle gare di inizio stagione. Ma questi aspetti sono oggi così precisi proprio perché c’è il potenziometro, che ci consente di individuare intensità di lavoro precise».

I Pedali Pro MX sono ideali per il gravel e la mtb, tanto da essere stati utlizzati persino nella tremenda Cape Epic
I pedali PRO Mx sono progettati e realizzati in ottica fuoristrada

Lo strumento conta

Insomma, preparazioni così strutturate e precise sono divenute possibili grazie al controllo della potenza. Ma per farlo anche gli strumenti devono essere precisi e ben tarati, affinché le variazioni siano coerenti e da queste si possa tenere conto dell’alimentazione, altro cardine che si è sviluppato tantisismo con l’utilizzo della potenza in allenamento.

Lo scorso inverno, lo stesso Zoccarato ci aveva detto che: «Fare dei lavori specifici dopo tante ore ti aiuta a conoscere il tuo fisico, specie nelle ore finali quando sei stanco, quando calano gli zuccheri. Riesci anche a capire come gestire gli integratori e la nutrizione. Capisci come migliorare nell’ultima ora».

«Ebbene, in generale mi regolo molto sulle calorie bruciate e queste vanno di pari passo con i watt espressi o comunque con le intensità prodotte».

«In tal senso – spiega Zoccarato – mi trovo molto bene con i nuovi pedali del team. Non hanno bisogno di calibrazione e la batteria dura davvero tanto. Inoltre hanno una base di appoggio molto larga e questo permette sia la miglior trasmissione della potenza, sia la sua lettura più precisa. Questo aspetto l’ho avvertito subito. Ho grande senso di stabilità, nonostante già usassi gli agganci fissi e non quelli che lasciano un po’ di gioco».

Qualche dato tecnico

La linea offroad Assioma Pro Mx (sia 1 che 2) è all’avanguardia e rivoluzionaria. Innanzi tutto si può avere il misuratore sia su un pedale che (MX-1) che su entrambi (Mx-2), per una precisone pressoché assoluta.

L’installazione del pedale è estremamente semplice: basta avvitarlo alla pedivella e il gioco è fatto. Grazie all’integrazione sia di Bluetooth che ANT+, gli Mx sono compatibili con la maggior parte dei ciclocomputer presenti sul mercato.

Il fulcro di questi pedali è nel suo perno. Un perno ad altissima tecnologia: qui ci sono i sensori e tutti i componenti elettronici compresa la batteria ricaricabile integrata (oltre 60 ore di attività). Tutto chiuso, tutto cablato a tutto vantaggio della resistenza nel tempo e all’ingresso dello sporco o dell’umidità. La ricarica infatti avviene tramite un sistema magnetico.

«Grazie allo speciale IAV (Instantaneous Angular Velocity-based) Power System – dicono le indicazioni della casa – le misurazioni di Assioma tengono in conto delle pedalate irregolari (come per esempio sprint, salite, utilizzo di corone ovalizzate) garantendo così un’accuratezza della rilevazione della potenza pari a ±1% in qualsiasi situazione».

Il Giro delle novità e delle curiosità (tecniche)

09.05.2024
8 min
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La partenza del Giro d’Italia è stata anche una bella vetrina per le tante curiosità e novità tecniche. Questa è anche una sorta di conferma che non c’è più una regola stagionale per le novità del futuro, come avveniva in passato.

Il nuovo Red di Sram è utilizzato da diversi corridori, con soluzioni differenti, ma la nuova piattaforma si delinea sempre più. Scarpe customizzate e scelte tecniche dei corridori, ma anche la ricerca della leggerezza al pari di performance non sacrificate. Cerchiamo di entrare nel dettaglio.

Al Giro le cose nuove di Carbon-Ti

Il disco aero in puro stile Carbon-Ti, con il ragno che è un blocco unico in carbonio e la pista frenante in acciaio. E’ utilizzata da diversi atleti del Team UAE Emirates, ma non da Pogacar, che invece monta una corona interna più piccola, di sicuro non è una 40 denti. Potrebbe essere un 38, ma forse anche meno. Pogacar utilizza anche le pastiglie dei freni con le alette esterne super alleggerite.

Dischi da 140 per le bici del Team FDJ-Groupama
Dischi da 140 per le bici del Team FDJ-Groupama

I dischi da 140 della FDJ-Groupama

Anche in epoca precedente, ovvero quella delle bici Lapierre, il team ha sempre sostenuto questa scelta, ovvero quella di montare i dischi “piccoli” davanti e dietro. L’Assistenza Tecnica Neutrale Shimano ha uno “standard” di 160 per il disco anteriore e 140 per il posteriore.

Nell’ordine della classifica per team, la compagine francese è penultima e quindi la sua ammiraglia viaggia in fondo alla schiera del plotone di auto ed in caso di intervento le operazioni si dilatano.

Tre campioni nazionali per l’Astana

Simone Velasco, Henok e Lutsenko. Tutti e tre utilizzano le Wilier Filante SLR con delle livree dedicate. Il Team Astana-Qazaqstan è l’unica squadra che al Giro schiera tre campioni nazionali.

I pedali Time customizzati per i team

Tutti utilizzano il modello Xpro, pedali che tornano in grande stile in gruppo, utilizzati anche da diversi atleti che militano in squadre non sponsorizzate direttamente. Ad esempio Trentin invece di usare i pedali Wahoo utilizza Time. Per ogni team, in base alla livrea, Time ha personalizzato la colorazione della copertura.

Ruote DT Swiss con cerchio più basso?

Fanno parte della famiglia ARC e sono delle serie 1100, ma di sicuro non sono quelle con altezza da 50 millimetri. Le abbiamo viste montate sulle bici di Storer alla frazione con arrivo ad Oropa. Più basse, ma c’è sempre lo zampino di Swiss Side.

Le NW di Ganna con il rosa per celebrare il Giro
Le NW di Ganna con il rosa per celebrare il Giro

Le Northwave rosa per Ganna

Tecnicamente hanno tutta l’aria di essere le Veloce Extreme sviluppate dall’azienda veneta a braccetto con Filippo Ganna. La particolarità sta nella livrea bianco/rosa, creata appositamente per Top Ganna e per la sua partecipazione al Giro.

Nuovi mozzi per le Roval, livrea e forme diverse
Nuovi mozzi per le Roval, livrea e forme diverse

Le Roval della Soudal-Quick Step

In generale tutti i corridori con le bici Specialized (e di conseguenza ruote Roval), erano alla partenza del Giro senza tubeless e con i coprtoncini/camere d’aria. Ma quello che ci ha colpito di più è stato il mozzo argento delle Roval in dotazione al team di Alaphilippe. Si nota un vistoso cambio di design dello stesso mozzo, mentre il cerchio sembra il CLX già usato in precedenza.

Pochi monocorona ed il nuovo Red

Soprattutto rispetto alla scorsa edizione del Tour de France, il Giro numero 107 mette in vetrina un numero ridottissimo di atleti con la corona singola anteriore, una sorta di esclusiva Sram. Ad esempio nella tappa di Andora (Vittoria di Milan) solo Gaviria e Cimolai dei Movistar Team lo hanno montato (il colombiano ha scelta quella da 56 denti) e nessun corridore Visma-Lease a Bike ha scelto questa soluzione. Sempre in ambito Sram inizia sempre di più a delinearsi il nuovo Red, utilizzato da molti (non tutti) corridori di team diversi. Di sicuro avremo dettagli precisi ed approfonditi in tempi brevi.

Un altro fattore che ha attirato la nostra attenzione è un largo utilizzo delle corone Sram della famiglia Force (quelle tutte nere), con numerosi atleti che scelgono il binomio 52-39, di solito abbinato ai pignoni 10-33 per il posteriore.

Le corone 53-39 ed i pedali Assioma
Le corone 53-39 ed i pedali Assioma

Le corone “non convenzionali” di Pozzovivo

Pozzovivo usa una De Rosa 70 montata con il pacchetto Campagnolo, la trasmissione è Super Record Wireless, ma le corone non sono quelle previste per questa piattaforma.

Sono sempre Campagnolo, ma sono delle “classiche” 53-39. Inoltre, il corridore lucano e tutti i suoi compagni utilizzano i pedali Favero con il power meter Assioma.

Selle Italia Novus Boost, una sella comoda per Frigo (e non solo per lui)
Selle Italia Novus Boost, una sella comoda per Frigo (e non solo per lui)

Le Novus Boost anche per i professionisti

Viene categorizzata come una delle selle più “comode” del portfolio Selle Italia e abbiamo notato che numerosi corridori l’hanno scelta. Rispetto alle più utilizzate Flite Boost e SLR Boost è leggermente spoilerata e grazie al suo design permette di portare ancora più in avanti il punto anatomico. A Marco Frigo che la utilizza abbiamo chiesto una veloce considerazione. «Uso la Novus Boost da tre anni e continuo a trovarmi bene. Naso stretto che permette di sfruttare bene tutto l’anteriore e sezione posteriore larga – prosegue Frigo – che offre un ampio appoggio quando si sposta il peso verso il retro. E poi un’imbottitura che non è estrema, la ritengo un giusto compromesso tra sostegno e comodità».

Il manubrio da 36 di Plapp

La giant TCR con livrea customizzata colpisce anche per un manubrio largo solo 36 centimetri, quello scelto da Luke Plapp. Strettissimo. In aggiunta ci sono anche i “tappi non tappi” di chiusura del nastro, una scelta curiosa.

La nuova Fizik Antares Adaptive usata da Vendrame
La nuova Fizik Antares Adaptive usata da Vendrame

Una Antares 3D

Ufficializzata qualche giorno addietro, vediamo per la prima volta dal vivo la nuova Antares con tecnologia Adaptive. La sella si sviluppa attorno alla stampa 3D di Fizik e adotta lo shape della nuova famiglia Antares, molto diversa da quella precedente.

Mareczko a Cremona, due vittorie a 10 anni di distanza

09.05.2024
5 min
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Domenica Jakub Mareczko, da ieri in gara al Giro d’Ungheria (terzo nella prima tappa), è tornato a vincere. Lo ha fatto al Circuito del Porto-Trofeo Arvedi, una delle classiche internazionali del ricco calendario Under 23 aperta anche agli Elite (foto di apertura Sessa). La partecipazione sua e della Corratec ha scatenato un vespaio di polemiche sul quale in seguito torneremo, ma pochi hanno evidenziato un altro aspetto della sua vittoria: il fatto che si è ripetuto a 10 anni di distanza.

Il podio finale di Cremona con Mareczko tra Simone Buda e Alessio Portello (foto Sessa)
Il podio finale di Cremona con Mareczko tra Simone Buda e Alessio Portello (foto Sessa)

Non capita spesso che un ciclista (ma sarebbe meglio uno sportivo in genere) vinca a una simile distanza di tempo, per molti lo spazio fra due carriere. Per Jakub questo pensiero toglie un po’ di quell’amaro che ha coperto la sua vittoria.

«Effettivamente ripetersi a tanto tempo di distanza fa piacere. E’ sempre stata una corsa adatta alle mie caratteristiche, completamente piatta, dove si deve lavorare di squadra per costruire la volata finale».

Il corridore bresciano è al suo primo anno alla Corratec. In Ungheria subito un podio
Il corridore bresciano è al suo primo anno alla Corratec. In Ungheria subito un podio
Che differenze ci sono fra il Mareczko della prima vittoria e quello di oggi?

Ci sono 10 anni da professionista, fatti di momenti più o meno elevati, più o meno felici, ma tutti ricchi di esperienza. Quando vinsi avevo 19 anni, ero al mio secondo anno fra gli under 23 e avevo il cuore pieno di speranze. Diciamo che anche quella vittoria ha contribuito a lanciarmi fra i professionisti. Oggi sono un altro corridore, un altro uomo.

Una gara importante?

Molto, lo è sempre stata. Al tempo era uno degli appuntamenti cardine della stagione per un Under 23, oggi è ancora un evento importante, nel calendario Uci, con molte presenze straniere. Domenica c’era anche la nazionale militare francese.

Mareczko dopo la gara con il suo bimbo in bici, seguirà le sue orme? (foto Sessa)
Mareczko dopo la gara con il suo bimbo in bici, seguirà le sue orme? (foto Sessa)
Con questa vittoria è come se si fosse chiuso un cerchio. A dispetto della tua ancor giovane età, come giudichi questa decade d’intervallo?

E’ stata bella, importante, ricca di soddisfazioni. Ho vinto corse in grandi squadre, ho vissuto il ciclismo del WorldTour. Ho sempre fatto la mia parte e di questo vado orgoglioso. Il mio unico rammarico è non essere riuscito a vincere una tappa al Giro d’Italia, ci sono andato vicinissimo tre volte, è ciò che più mi dispiace, ma magari c’è ancora tempo e occasione per farlo…

E’ vero però che più di qualcuno ha un po’ storto la bocca vedendo la tua vittoria, proprio in relazione ai tuoi quasi 30 anni, non prendendosela naturalmente con te ma con in generale la presenza del tuo team…

Sì, è stata una vittoria contraddistinta da polemiche e questo mi dispiace. Perché eravamo lì? E’ semplice: questione di punti Uci. Il regolamento quest’anno è cambiato e per mantenere lo status di professional, un team deve raggiungere un certo punteggio, quindi è imperativo andare in ogni corsa dove si possono prendere punti. Quella di Cremona era un’ottima occasione per vincere e raccogliere un bel bottino, abbiamo lavorato tutti insieme per questo.

La Corratec ha lavorato per tenere la corsa unita nelle fasi finali e favorire lo sprint (foto Sessa)
La Corratec ha lavorato per tenere la corsa unita nelle fasi finali e favorire lo sprint (foto Sessa)
Oltretutto la Corratec paga anche la mancata partecipazione al Giro d’Italia…

Esatto, quindi siamo costretti a cercare gare random per conquistare punti. Non a caso già lunedì ero su un aereo per venire a correre in Ungheria e appena finita la prova magiara andrò in Grecia. Poi avrò un periodo per ricaricare le batterie e si ricomincerà, andando anche in Asia.

Perché allora si è creato tutto quel polverone?

Il discorso non era rivolto a noi in quanto tali. Il regolamento permette la partecipazione delle squadre come la nostra, punto. All’estero problemi simili non ci sono, le gare di categoria 1.2 come quella di Cremona sono piene di squadre professional, la stessa Bardiani negli anni scorsi era presente anche al Circuito del Porto. Ricordo ad esempio al Giro di Gran Bretagna come abbia partecipato anche l’Alpecin ed era una corsa di quella categoria. Qui allora si scatenerebbe il pandemonio… I punti bisogna cercarli dove sono, chiaramente è giusto farlo se si può nelle corse più vicine.

Mareczko era stato 3° alla prima tappa dell’Uae Tour, vinta da Merlier
Mareczko era stato 3° alla prima tappa dell’Uae Tour, vinta da Merlier
In che condizioni sei, visto che sei nel pieno della tua stagione?

Direi molto buone. Sono uscito dal Giro di Turchia con una buona forma, modellata proprio in quella corsa così lunga, otto giorni filati senza interruzione servivano per la messa a punto. Ora ci sono corse che hanno tappe a me adatte, con altimetrie non eccessive. L’obiettivo è fare risultato in entrambe.

A Cremona, in quella vittoria, quanto c’è stato di tuo e quanto della squadra?

Penso che ci sia stata una bella commistione, prima lanciando all’attacco un corridore di valore come Tsarenko, poi costruendo la volata con i compagni che sono stati bravissimi a mettermi nelle migliori condizioni, infine con la mia volata. Ma l’aiuto della squadra serve sempre. A dispetto di quel che si possa pensare, del fatto che c’erano corridori molto più giovani, una volata non ha mai un esito scontato…

Thomas, la fuga giusta. E su Pogacar, Damiani si schiera

08.05.2024
6 min
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«Ragazzi – dice Damiani durante la riunione del mattino – guardate l’altimetria della tappa. Non è scritto da nessuna parte che si debba arrivare in volata».

Ben Thomas sta osservando proprio il profilo della Genova-Lucca e annuisce. Sul pullman della Cofidis si ragiona ad alta voce. Non hanno un velocista all’altezza di Milan e degli altri, perciò ogni tappa vagamente mossa può offrire il pretesto per un attacco. E quando i corridori scendono per andare alla partenza, hanno fatto loro un concetto espresso dal direttore sportivo lombardo. Il ciclismo non è matematica: se sei un velocista buonino, ma evidentemente battuto, devi provare a fare qualcosa di diverso. Sei corridori su otto della squadra francese andranno in fuga e la strategia paga. A 28 anni compiuti, Benjamin Thomas ha vinto la tappa, cogliendo la vittoria più bella su strada. Su pista invece il francese è una star e di questo si accorge Valgren, quando lo vede sprintare da seduto come nella volata finale di una madison».

«Prima è andato in fuga Getschke – racconta Damiani, che questa squadra l’ha assortita proprio per attaccare – però l’hanno ripreso. Sapevano che se ci fossero stati altri attacchi, avrebbero dovuto seguirli. Invece la seconda volta è stato proprio Benjamin ad attaccare. Aveva bisogno di ritrovarsi, anche mentalmente. L’anno scorso ha avuto una stagione abbastanza dura, soprattutto verso la fine tra pista e strada. Invece un paio di giorni fa dopo la tappa mi ha detto: “Lo sai che oggi mi sono proprio divertito?”. E io gli ho risposto che quello era un segnale incredibilmente bello e l’ho detto anche in riunione».

La Alpecin è la squadra che più ha lavorato nell’inseguimento, le altre sono mancate
La Alpecin è la squadra che più ha lavorato nell’inseguimento, le altre sono mancate

Chi vince non sbaglia

L’altimetria parlava del Passo del Bracco e di Montemagno a ridosso del finale, ma è palese che fra le squadre dei velocisti qualcuno abbia preso una cantonata. Soltanto la Alpecin-Deceuninck ha provato a lavorare di squadra e Damiani torna sul discorso ripartendo da un concetto appena esposto nell’intervista flash della RAI dopo l’arrivo.

«Chi vince ha fatto tutto bene, chi perde ha fatto degli errori. Qui al Giro – spiega Damiani – ci sono 3-4 squadre con dei velocisti che possono vincere tutti i giorni. Ma secondo me una aspetta sempre un po’ di più l’altra. Oggi, come dicevamo, la Alpecin si è spesa di più, poi la Soudal e la Lidl-Trek, ma hanno messo un solo uomo e solo quando si sono resi conto che la fuga gli stava facendo le scarpe. Avevamo studiato bene gli ultimi 5 chilometri per entrare in città, con il pezzettino di pavé, la curva a sinistra e la curva destra. In quei tratti sicuramente è più vantaggiosa la situazione di chi è in fuga e poi erano dei bei pedalatori. Quando c’è una fuga, devi valutare anche chi c’è dentro».

Pietrobon ha collaborato per buona parte della fuga, poi ha tentato il colpaccio nel finale
Pietrobon ha collaborato per buona parte della fuga, poi ha tentato il colpaccio nel finale

L’effetto domino

Per la Cofidis la ruota è girata e adesso si attende l’effetto domino che nel Tour dello scorso anno mise le ali ai piedi a tutti i ragazzi del team. Per cui alla vittoria di Lafay fece seguito a breve quella di Izagirre.

«Certo che si riprova – sorride Damiani – assolutamente, però con la serenità di avere già una vittoria in tasca. La vittoria di Ben sarà una bella spinta, perché è uno dei leader della squadra. In ogni meeting, lui entra con personalità, con estrema educazione, però tira fuori quello che ha in testa. E’ uno che studia molto i finali, è un bell’uomo squadra, non solo quello che ascolta in silenzio. Sul pullman è uno di quelli che aveva valutato meglio la tappa. Perciò è stato lui a proporre di mettere un corridore vicino ad Aniołkowski per salvare il velocista e poi tutti all’attacco, mentre gli altri sei avrebbero provato».

Dopo l’arrivo, Thomas sfinito dalla fatica e dall’emozione
Dopo l’arrivo, Thomas sfinito dalla fatica e dall’emozione

Il fantasma di Carcassonne

Thomas arriva dopo i tanti rituali del dopo tappa. Dopo l’arrivo si è seduto per terra, ancora incredulo. Quando sono arrivati i compagni lo hanno sollevato di peso per abbracciarlo come si deve.

«Vivo in Italia da sette anni – dice – e sono felice di aver ottenuto la mia prima grande vittoria su strada qui. Onestamente, mi ero segnato alcune tappe in cui attaccare, ma non questa. Ho seguito il mio istinto e ho chiesto in gruppo se qualcuno voleva seguire la mia azione. Valgren era pronto, così come Paleni. Abbiamo interpretato l’azione come fosse un inseguimento a squadre su pista, ci siamo dati cambi regolari, ma non credevo che ce l’avremmo fatta. Quando siamo entrati nel ciottolato a 3 chilometri dall’arrivo, ho pensato che avremmo potuto giocarci la vittoria. Nel ciclismo mi piace giocare, altrimenti avrei già smesso. All’arrivo il mio gesto era un omaggio alla canzone ‘Zitti e buoni’ dei Maneskin. E’ il primo successo stagionale del mio team, è stato bello vederli tutti felici all’arrivo».

Ben vive a Desenzano con la compagna Martina Alzini. Proprio di recente li avevamo incontrati perché raccontassero la bici Look del team e ci avevano dato l’idea di una coppia davvero spensierata nella condivisione della comune passione per il ciclismo. Martina è passata a salutarlo al via da Novara, con sui padre e sua nonna, mentre oggi non c’era.

Questa volta la UAE Emirates si è disinteressata della fuga e dell’inseguimento
Questa volta la UAE Emirates si è disinteressata della fuga e dell’inseguimento

Benedetto sia Pogacar

Il Giro riparte domani per la tappa sugli sterrati di Rapolano che potrebbe mettere nuovamente le ali ai piedi di Pogacar. Sul suo allungo nel finale di Fossano si è detto tanto, i social sono impazziti. Eppure su questo Damiani ha una posizione a parte.

«Se Pogacar si sente di fare così – dice Damiani – non saranno le critiche a fermarlo. Da direttore sportivo non gli direi mai di attaccare in un arrivo come quello di Fossano, però probabilmente lui segue molto l’istinto e sono convinto che, se uno ha una buona condizione, non è la menata di Fossano che gli fa perdere il Giro. Poi ci saranno i soliti benpensanti, che conoscono tutto il ciclismo. E se per caso vince il Giro e fa secondo al Tour, diranno che è stato per lo scatto di Fossano. Io non sono qui per vincere il Giro, ma le tappe. La penserei allo stesso modo se oggi fosse uscito dal gruppo e avesse ripreso Thomas vincendo al posto suo? Non l’ha fatto e nemmeno a Fossano è uscito per andare a prendere una fuga. E’ partito seguendo un attacco, è diverso.

Oggi Pogacar ha lasciato fare: sta già pensando agli sterrati di Rapolano?
Oggi Pogacar ha lasciato fare: sta già pensando agli sterrati di Rapolano?

Come Bocca di Rosa

«Non sarei stato felice – conclude Damiani – se oggi avesse messo la sua squadra a chiudere sulla fuga, in una tappa per velocisti. Invece in maniera intelligente ha lasciato spazio, pensando forse a domani, ma certo anche alla crono e a Prati di Tivo. A me sinceramente non pare che faccia niente di disdicevole. E’ un campione, uno che quando sente il profumo di vittoria va a cercarla, bello che sia così. Abbiamo martellato per anni tutti quei campioni calcolatori che facevano solo il Giro o solo il Tour e adesso ce la prendiamo con questo che vince le classiche e poi viene a vincere il Giro? Chapeau a lui. Sinceramente non lo conosco, probabilmente gli ho detto tre volte ciao, però tanto di cappello. Quando sento queste cose, mi sembra di sentire la canzone Bocca di Rosa di De André. Sul fatto che è bello e vince, mentre agli altri non restano che i commenti. E’ meglio un Giro con lui da solo oppure un Giro di piccoli calibri che se le danno fra loro?».