Il Giro del Delfinato concluso ieri è stata la prima corsa a tappe di categoria WorldTour per Alessandro Fancellu. Il corridore della Q36.5 Pro Cycling ha vissuto questa sua prima esperienza come un modo per crescere, imparare e per confrontarsi con i migliori corridori al mondo. Nella breve corsa a tappe francese, infatti, erano presenti molti dei protagonisti del prossimo Tour de France. A partire dal vincitore Primoz Roglic.
«E’ andata come da previsioni – dice da casa il comasco – è la corsa di più alto livello dopo il Tour de France. Lo ha dimostrato giorno dopo giorno, far risultato o semplicemente mettersi in mostra è impegnativo. Ma se riesci a fare qualcosa è perché te lo sei meritato e lo hai conquistato lottando.
Eccolo a colloquio con Fortunato: il corridore dell’Astana, uscito dal Giro d’Italia, ha provato a tenere duroEccolo a colloquio con Fortunato: il corridore dell’Astana, uscito dal Giro d’Italia, ha provato a tenere duro
Da cosa si era capito che sarebbe stato complicato?
Direi fin da subito, dal primo arrivo in salita nella seconda tappa. Sono rimasto con i migliori e forse c’è un po’ di rammarico per non essere riuscito a fare la volata. Ma all’ultimo chilometro ero davvero senza gambe.
Ritmo elevato?
La salita l’abbiamo affrontata a ritmi folli (per percorrere i dieci chilometri finali del Col de la Loge il gruppo ha impiegato 18 minuti, velocità media 36 chilometri orari, ndr). La solidità dei corridori la si capisce dal fatto che in quella tappa con un arrivo in salita, anche se non estremamente impegnativo, siamo arrivati in 50.
Fancellu nella sesta tappa ha visto muoversi corridori di primo piano e si è unito alla fugaFancellu nella sesta tappa ha visto muoversi corridori di primo piano e si è unito alla fuga
Non si staccava nessuno…
Peggio! Rimanevano attaccati anche i velocisti, quella tappa l’ha vinta Magnus Cort e Pedersen è rimasto con noi fino all’ultimo.
Una bella misura per capire il tuo livello rispetto ai più forti al mondo.
L’idea era quella di capire quanto realmente vanno forte, è importante confrontarsi con i corridori di massimo livello. Il Delfinato e il Giro di Svizzera per la nostra squadra sono le corse più importanti in calendario. Partecipare è una bella esperienza e un onore, bisogna cercare di mettersi in mostra. Per far capire che l’invito è meritato.
Tu ci hai provato.
Entrare in una fuga è difficilissimo, ci va solamente gente con tante gambe e una super condizione. Io nelle prime quattro tappe non ci ho provato, sapevo che il terreno giusto sarebbe arrivato alla fine della corsa. Così dopo la frazione della maxi caduta ho provato ad andare in fuga.
Ancora la sesta tappa, dopo essere stato ripreso ha provato a tenere duro ma ha pagato 13 minutiAncora la sesta tappa, dopo essere stato ripreso ha provato a tenere duro ma ha pagato 13 minuti
A proposito, vista da dentro com’è stata quella caduta?
Abbastanza terribile, fortunatamente sono riuscito a evitarla. Ne ho viste un po’ di cadute così: velocità alta, in discesa e appena tocchi i freni voli. Io non ho frenato e sono rimasto in piedi, facendo un po’ di slalom tra corridori a terra e bici.
Difficile arrivare al traguardo contro corridori così?
La fuga non è mai arrivata alla fine. Segno di quanto si andasse forte e di come fossero pronti e preparati i migliori.
In salita hai anche provato a tenere.
In tutte le tappe, era una prova per me stesso, per capire il livello. Il giorno in cui sono andato in fuga stavo bene e una volta ripreso ho provato a restare con i primi. La tappa dopo la condizione era ancora buona e sono rimasto con con i migliori staccandomi quando eravamo rimasti in 20. Non era tanto per un’ambizione di classifica ma proprio per capirmi, conoscermi. Sono rimasto soddisfatto, i primi 7-8 sono ingiocabili ma gli altri sono lì.
Nel 2024 il comasco ha corso anche per la prima volta al Nord, un’esperienza unicaNel 2024 il comasco ha corso anche per la prima volta al Nord, un’esperienza unica
Questa è una stagione che ti sta dando anche tanta continuità…
Sì e ne sono molto felice. Sto facendo tante corse e alcune importanti, come le Classiche delle Ardenne. E’ stato il mio esordio in quel mondo e mi è piaciuto molto. Ho avuto un bel blocco di gare in primavera e questo mi ha permesso di essere più costante rispetto al passato.
Appuntamenti così di alto livello ti servono per poter essere competitivo in altri appuntamenti?
Sicuramente. Ora farò un po’ di riposo e andrò direttamente al campionato italiano. Sono lista per il Giro di Slovacchia e a luglio correrò al Sazka Tour.
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A un certo punto bisogna dire le cose come stanno. E a chi butta fango senza approfondirle, si potrebbe dire che la situazione del ciclismo italiano di base dipende da una multiforme serie di fattori. La gestione federale che ad ora non sta spingendo sull’attività giovanile vera e propria, ma non solo quella. Con il Giro Next Gen appena partito, abbiamo sentito dire che le continental italiane e le vecchie squadre elite/U23 sono piccole realtà asfittiche senza prospettive e questo non ci sembra del tutto giusto.
C’è chi sta in piedi per miracolo, vero, ma anche chi ci riesce in cambio di sacrifici notevoli in un ambiente che da tempo gli ha voltato le spalle. Fanno quello che possono, cercando in molti casi di migliorarsi. Sono espressione di un ciclismo che ha bisogno di rifondarsi e vivono grazie a un volontariato che non sa più quale direzione prendere. Anche perché a livello nazionale nessuno ha ancora avuto la voglia, la lungimiranza e probabilmente la competenza per organizzare loro un calendario all’altezza. Sono quel che abbiamo: siamo certi che tutti lavorino per valorizzarlo?
Jakob Soderqvist ha vinto la crono inaugurale di Aosta: la prima maglia rosa parla svedese (foto Giro Next Gen)Jakob Soderqvist ha vinto la crono inaugurale di Aosta: la prima maglia rosa parla svedese (foto Giro Next Gen)
La WorldTour italiana
Andiamo anche oltre: se non ci fossero schiere di agenti che prendono giovani atleti e li portano all’estero, forse la situazione sarebbe un po’ meno difficile. Nelle squadre italiane correrebbero i migliori italiani e al Giro Next Gen magari farebbero risultato e belle figure. A quel punto, ispirati dai risultati e non dalle promesse, i manager stranieri avrebbero un valido motivo per contattarli.
Volete che non si trovassero poche squadre italiane disposte a far correre Savino, Toneatti, Sambinello, Milan, Belletta e Delle Vedove? Probabilmente li avrebbero messi al centro delle operazioni e qualcosa avrebbero potuto fare, anziché restarsene a casa in attesa del loro turno. Quando si dice che al nostro ciclismo manca la WorldTour italiana, prima di fare spallucce, si tenga conto anche di questo fattore.
Il quarto Consiglio Federale del 2024 ha approvato il bilancio consuntivo 2023, con due voti contrari e un astenuto (foto FCI)Il quarto Consiglio Federale del 2024 ha approvato il bilancio consuntivo 2023, con due voti contrari e un astenuto (foto FCI)
La Ciclismo Cup
Chi all’interno della Federazione si occupa di promuovere il ciclismo in Italia? Come vanno i tesseramenti di allievi e allieve? Dove è finita la Coppa Italia o Ciclismo Cup che dir si voglia? Perché non c’è più la formula che in Francia tiene in piedi l’attività delle squadre cosiddette minori, proponendo loro un calendario ben distribuito per tutto l’arco della stagione?
Le corse muoiono, le società chiudono, i corridori migrano. E la cosa più sensata che si trova da fare è puntare il dito verso le squadre che non fanno un’attività adeguata? Quanto investe la Federazione per riqualificare la loro attività? Qualcuno ha pensato di ridisegnare il modello del ciclismo in questo Paese, studiando, creando sinergie e magari prendendo spunto da altre federazioni (come quella del tennis) che dopo anni di sacrifici e investimenti mirati, sta ora raccogliendo frutti inimmaginabilli?
La Coupe de France è il fiore all’occhiello della Federazione francese e spinge l’attività sul territorio nazionaleLa Coupe de France è il fiore all’occhiello della Federazione francese e spinge l’attività sul territorio nazionale
I soldi dalla base
Leggendo il bilancio FCI appena approvato, si evince che sono stati spesi più di 6 milioni di euro per attività sportiva, riconducibile quasi esclusivamente al funzionamento delle nazionali. Fra le entrate, invece spiccano il contributo di Sport e Salute (intorno ai 10 milioni) e le tasse a carico dei tesserati (poco più di 18 milioni), mentre le entrate per sponsorizzazioni e pubblicità ammontano a poco più di 2 milioni di euro.
E’ un sistema in perdita che si tiene in piedi grazie ai contributi del suo popolo. Sta ai revisori dei conti dire se si debba considerarlo in equilibrio precario o rassicurante, anche se la storia federale non ha mai visto un bilancio rimandato al mittente. Ci si copre e ci si nasconde dietro tolleranze tranquillizzanti. Per cui se anche il risultato economico continua a essere poco esaltante, il fondo di dotazione minimo definito dal CONI è talmente basso da far sembrare ogni disavanzo non troppo grave. Come spiegheranno alla base, che versa così tanti soldi per tesseramento e affiliazioni (da cui vanno scalati i costi assicurativi), che le cose là sotto non vanno poi così bene?
I conti del Giro donne
Di fatto i conti della Federazione hanno subito un duro colpo anche per il pagamento della produzione televisiva del Giro donne (poco più di 700 mila euro), senza la quale sarebbe venuta meno l’inclusione nel WorldTour con il probabile passo indietro di RCS. Per forza alla presentazione del Giro Next Gen l’amministratore Paolo Bellino, con una gaffe un po’ sfrontata, ha ringraziato il presidente Dagnoni per avergli permesso di unificare l’organizzazione dei Giri d’Italia. Gli sono stati serviti su un bel piatto d’argento, senza alcun vincolo tecnico o legato alla promozione del movimento.
Alla presentazione del Giro Next Gen, da sinistra, Vegni, il ministro Abodi, Dagnoni e Paolo BellinoAlla presentazione del Giro Next Gen, da sinistra, Vegni, il ministro Abodi, Dagnoni e Paolo Bellino
Quale prospettiva?
Il trend dei conti federali è in calo. Ricostruendolo dai dati messi insieme di anno in anno, si è passati dall’attivo di 2.650.000 del 2020 (quando l’assenza di attività causa Covid permise di risparmiare parecchio) al passivo di 1.317.000 del 2023.
In tutto questo e consapevoli che non sia per niente facile mandare avanti una simile struttura, quanta fetta del budget spetta ad esempio all’organizzazione di cronometro nelle categorie giovanili, per il supporto dei Comitati regionali, per la creazione di un calendario che sia un senso alla nostra attività di base?
Si parla di 800 mila euro destinati ai Comitati e di 170 mila per l’organizzazione delle prove del Trofeo delle Regioni su Pista 2024. Hanno annunciato quasi 11.000.000 di euro in entrata “per i prossimi sei anni, a partire dal 2024, come minimo garantito per la gestione dei diritti di immagine della FCI, legati in particolare alla visibilità della maglia azzurra”. Aspettiamo la conferenza stampa e i relativi dettagli.
Quello che c’è di certo è che abbiamo una WorldTour, che è l’Italia della pista. Ad essa si destinano le risorse migliori, perché probabilmentelo scintillare di una medaglia d’oro coprirebbe quello che non si vuole mostrare. La sensazione è che si stia sfruttando ancora l’onda lunga del lavoro di Cassani. A lungo andare, questo è il modo giusto perché quelle medaglie continuino ad arrivare con regolarità o non piuttosto una gestione carpe diem, che non si cura troppo del futuro?
Gli azzurri si sono mostrati uniti, ma con poche gambe e alla fine gli altri sono andati più forte. I crampi di Bettiol. E la scelta di non correre il Tour
Michele Bicelli ci ha provato a far saltare il banco proprio in extremis all’ultimo Giro del Friuli. E la sua impresa nella tappa conclusiva della corsa riservata agli juniores ha destato un grande interesse non solo intorno alla corsa, ma anche sul portacolori bresciano del Gs Aspiratori Otelli, un corridore da tenere sott’occhio perché potrebbe essere il prototipo del nuovo junior italiano. Quello che scaturisce non più da un’attività monocorde legata solo alle corse d’un giorno, ma che sfrutta la libertà nell’utilizzo dei rapporti e il nuovo calendario più ricco di prove a tappe per maturare prima e meglio.
Il podio finale del Giro del Friuli, vinto dall’ungherese Zsombor Tanas Takaks (Fotobolgan)Il podio finale del Giro del Friuli, vinto dall’ungherese Zsombor Tanas Takaks (Fotobolgan)
Ribaltare la classifica
Torniamo però alla corsa friulana, che merita un approfondimento ed è lo stesso Bicelli a raccontarla alla sua maniera: «Dopo l’annullamento per maltempo della prima tappa, la cronosquadre, al venerdì abbiamo affrontato una frazione piatta nella quale la mia unica preoccupazione era non cadere. Al sabato c’era la tappa regina, verso Forni di Sopra, 110 chilometri. In salita c’è stata grande selezione e io sono rimasto con i primi fino a 3 chilometri dallo scollinamento. Poi ho accusato la fatica, ma nella discesa ho recuperato molto chiudendo quinto a 31” dal vincitore Bessega.
«Alla domenica siamo partiti con l’intento di ribaltare la classifica. Su un percorso quasi da classica, con una salita di 4 chilometri e due muri da un chilometro e mezzo siamo entrati in tutte le fughe per rendere la corsa dura. Chi era davanti in classifica controllava, si è formato un gruppo di 18 corridori ma di loro lavoravamo solo in 5-6. Sapevo che dovevo anticipare gli altri così sono scattato prima dei due muri finali mantenendo un buon distacco, ma l’ungherese Takaks ha fatto buona guardia, è stato l’unico a non perdere terreno, così ho vinto la tappa ma sono finito 2° in classifica».
Il gardesano ha trovato grande sostegno nel team, dove milita dallo scorso annoIl gardesano ha trovato grande sostegno nel team, dove milita dallo scorso anno
Le fatiche della scuola
Un racconto che è l’espressione di un corridore di carattere, al quale non piace agire di rimessa. Tutte caratteristiche mutuate dal suo carattere e emerso ben presto in bici: «Ho iniziato a 6 anni seguendo le gesta di mio padre e mio zio. So che nel mondo del ciclismo c’è stato un altro Michele Bicelli, che ha corso dal 2011 al 2015, l’ho scoperto sui siti specializzati e mi ero incuriosito, ma non è mio parente. Nella mia zona, la parte bresciana del Garda è un cognome molto comune. Da allievo ho corso nella Feralpi Monteclarense, della mia zona, poi ho trovato posto all’Aspiratori Otelli ed è stata la mia fortuna, perché è una squadra davvero di alto livello».
La difficoltà maggiore per Michele è attualmente conciliare l’attività sportiva con la scuola: «Frequento l’Itis Cerebotani, un corso professionale e non nascondo che faccio un po’ fatica, ma cerco di tenere botta in entrambi i campi».
Prima del Friuli Bicelli aveva trionfato al Trofeo Pistolesi, battendo il colombiano Herreno (foto Rodella) Prima del Friuli Bicelli aveva trionfato al Trofeo Pistolesi, battendo il colombiano Herreno (foto Rodella)
Corridore per gare a tappe
I suoi risultati lo hanno proposto come uno specialista delle corse a tappe e a livello junior non è cosa comune nel ciclismo italiano juniores: «La mia prima esperienza è stata al Giro della Valdera lo scorso anno. Ho visto subito che me la cavavo bene e che soprattutto andavo in crescendo con il passare dei giorni. E’ stato così anche al Giro del Veneto e al Lunigiana. Quest’anno all’Eroica ho fatto fatica i primi due giorni, poi mi sono sbloccato e mi è spiaciuto che abbiano neutralizzato una tappa perché potevo fare ancora meglio. Nelle corse a tappe riesco a gestirmi bene, spero di progredire in questo tipo di gare».
Dicevamo che il corridore di Lonato del Garda è un po’ l’espressione di un ciclismo nuovo, che ha preso coscienza di quel che manca per avvicinarsi ai migliori corridori esteri di categoria: «Spesso ne parliamo con i diesse, è evidente che le corse a tappe ti danno qualcosa in più. Ti danno quell’abitudine allo sforzo, fisica ma anche mentale, che serve per affrontare chiunque. Ora il calendario va riempiendosi di queste prove ed è un bene. Io devo riuscire ad emergere sin dall’inizio, poter offrire un rendimento costante più che in crescendo».
Bicelli al Lunigiana del 2023, chiudo al 30° posto dopo essere andato sempre in crescendoBicelli al Lunigiana del 2023, chiudo al 30° posto dopo essere andato sempre in crescendo
Una scelta non facile
Come tutti gli altri della sua categoria, anche per Bicelli queste sono settimane importanti, dove bisogna fare una scelta per il futuro e l’estero è un’eventualità: «Se capiterà bene, ma io penso anche che rispetto a qualche anno fa il livello di quelle 2-3 squadre italiane di riferimento sia cresciuto al punto da essere un valido approdo. Certo, un devo team intriga sempre molto, ma è una scommessa che bisogna fare sapendo se ci sia davvero la possibilità di crescere, non di diventare uno dei tanti. So che questa scelta è fondamentale: se la sbagli, poi è difficile ritrovare la strada giusta per continuare in questo mestiere».
Una maglia tricolore sarebbe sicuramente un buon viatico per un contratto importante, anche per questo il bresciano guarda all’appuntamento di Casella (GE) del 30 giugno con grande attenzione: «Ci punto tanto e le gare che farò da qui ad allora saranno tutte in funzione di trovare la miglior gamba per la corsa ligure. So che ci sono osservatori che si sono segnati il mio nome sul taccuino, ma se voglio che qualcosa si concretizzi sono queste le settimane importanti».
Il giovanissimo Marcin Wlodarski è arrivato dalla Polonia all'Aspiratori Otelli, per confrontarsi con il meglio. E in Nation's Cup si sono visti gli effetti
Il guaio di quando ti chiami Remco Evenepoel è che sei sempre sotto esame. Il belga aveva dichiarato con largo anticipo che il Delfinato sarebbe stata una gara di rientro e nulla più. Era scritto che in salita l’avrebbe pagata, ma la vittoria così larga nella crono ha confuso le carte e quando la maglia gialla non è riuscita a tenere il passo, è sembrato di assistere al crollo del grande leader della corsa.
Dopo le fratture al Giro dei Paesi Baschi, Evenepoel era curioso di sapere come avrebbe risposto in gara la spalla infortunata. Prima della crono ha detto di avere problemi nella posizione più aerodinamica e si è visto come è andata a finire. Nel resto dei giorni ha raccontato di avere bisogno di un massaggio supplementare dopo ogni tappa. E poi ha aggiunto di aver avuto più di una volta problemi agli occhi a causa dell’allergia. Allergia agli acari della polvere e ai pollini: il medico del team, dottor Janssen, dice che questo potrebbe essere un fattore del prossimo Tour, ma che sarà tenuto a bada con la dovuta terapia.
La cronometro ha dimostrato che la condizione c’è, ma c’è da lavorareLa cronometro ha dimostrato che la condizione c’è, ma c’è da lavorare
Il test della crono
Il giorno della crono è stato un passaggio ad altissima tensione: il momento di ritrovare la fiducia. Se ti chiami Evenepoel oppure Ganna e hai davanti una crono, ti è vietato fare finta di niente. Per questo chi l’ha osservato nelle ore precedenti la tappa di Neulise non ha potuto fare a meno di notarne l’estrema concentrazione. Eppure, nonostante quella prova di altissimo livello in cui Remco si è lasciato alle spalle Tarling e Roglic, al rientro in hotel appariva molto più provato. Racconta il diesse Tom Steels che dopo la recon del mattino sul percorso aveva gli occhi gonfi per l’attacco dell’allergia.
La considerazione che è scattata nell’entourage della Soudal-Quick Step è che se è stato capace di andare tanto forte in quelle condizioni, la settima tappa del Tour sarà un passaggio a suo favore. Da Nuit Saint Georges a Gevrey-Chambertin ci sono 25,3 chilometri su cui guadagnare il massimo possibile.
A Le Collet d’Allevard, Remco ha perso la maglia gialla, cedendo 42″ a RoglicA Le Collet d’Allevard, Remco ha perso la maglia gialla, cedendo 42″ a Roglic
Sempre in controllo
Quello che era già noto e che è stato confermato dalle ultime tre tappe della corsa francese è che in salita le cose non vanno come dovrebbero. La nota positiva è che nei tre giorni le cose sono cambiate in modo abbastanza netto. La tappa di ieri, chiusa a 58 secondi da Carlos Rodriguez e 10 da Roglic, ha fatto segnare un passo in avanti. In ogni caso è stato evidente giorno dopo giorno che il belga non sia mai stato fuori controllo e che, al contrario, si sia gestito senza versare una sola goccia di sudore più del necessario.
«Soprattutto sabato – ha spiegato – ero davvero in difficoltà ed era importante concludere la tappa con buone sensazioni e fortunatamente ci sono riuscito. Ieri invece ho finito a soli 10 secondi da Roglic. Questo significa che anche lui ha momenti difficili. Per cui devo essere positivo. Non sono ancora al top in questo momento: forse all’85, massimo al 90 per cento. C’è ancora del lavoro da fare, ma il fatto di aver concluso concluso la corsa in crescita è molto positivo. Sono uscito dal Delfinato in condizioni migliori rispetto a quando l’ho iniziato».
Sabato a Samoens 1600 il giorno più duro: passivo di 1’46” da RoglicSabato a Samoens 1600 il giorno più duro: passivo di 1’46” da Roglic
Un chilo da perdere
Chiuso il Delfinato, per Evenepoel sono previsti ora tre giorni di riposo assoluto, che trascorrerà comunque in Francia, nel ritiro di Isola 2000. Remco ha già fatto grandi passi in avanti nelle ultime quattro settimane, ma sicuramente deve crescere ancora in vista del Tour. Il gradino che manca prevede anche la necessità di perdere un chilo. Il belga ha certo grande potenza, segno che in altura ha lavorato tanto, insieme però trasmette la sensazione di essere ancora su di peso. E siccome alla Soudal-Quick Step non si può fare nulla di sconveniente senza che Lefevere lo scriva nella sua rubrica di Het Nieuwsblad, è già successo che il manager belga abbia cominciato a parlarne.
«Dopo la caduta – ha detto Evenepoel, mettendo le mani avati – mi sono preso una pausa per tre settimane. Sono uno che può prendere due chili in un periodo del genere. Ma tutto questo sarà a posto prima dell’inizio del Tour».
Remco dovrebbe pesare circa 62,5 chilogrammi, quindi si tratta di perdere un chilo. Anche se a questo punto il medico della squadra avverte: dovrà perderlo in modo intelligente, soprattutto adesso che sarà impegnato in quota. E dovranno stare attenti che non cali troppo, perché questo è già successo in passato e non ha dato grandi frutti.
Nell’ultima tappa a Plateau de Glires, Evenepoel ha perso solo 10″ da RoglicNell’ultima tappa a Plateau de Glires, Evenepoel ha perso solo 10″ da Roglic
L’impatto col Tour
Il prossimo step nell’avvicinamento al Tour, concluso il periodo a Isola 2000, sarà la difesa del titolo di campione belga. A quel punto sarà tempo di chiudere la valigia. La Soudal-Quick Step si sposterà a Firenze dal mercoledì e da lì in avanti non passerà giorno senza che Evenepoel prenda le misure con la grandezza del Tour.
Il debutto nella Grande Boucle lascia il segno. Si scopre il livello stellare degli avversari. Si scopre la frenesia di finali come raramente accade nelle altre gare del calendario. E poi lentamente si prendono le misure. Uno dei fattori che faranno la differenza nella trama del Tour di Evenepoelsarà il tempo necessario ad abituarsi. I rivali ne hanno grande esperienza e c’è da scommettere che non gli faranno alcun favore.
Crisi di fame? Dolori postumi delle varie cadute? Giornata no? Alla fine Primoz Roglic ha salvato il Criterium du Dauphiné per soli 8”, quando invece sembrava una passeggiata. Una giornata thrilling lo sloveno la deve mettere sempre nei suoi cammini, anche quando trionfa. E così è stato oggi verso Plateau des Glieres.
Anche se questa volta sembra più probabile un errore di alimentazione o d’idratazione pre o durante la tappa. E’ solo una supposizione sia chiaro, ma ci sembra improbabile che da un giorno all’altro la squadra più forte veda tutti e tre i suoi migliori uomini in difficoltà o comunque meno brillanti.
Hindley, Vlasov e poi Roglic che prima dominavano all’improvviso non sono i più forti? Okay, se fosse successo ad uno, ma a tre su tre, ci sembra parecchio. E se è davvero così, Roglic può dormire sonni tranquilli.
La foto del giorno. De Plus e Rodriguez si scatenano, lo sloveno si staccaPrimoz si difende come può, Ciccone alla sua ruota stringe i denti. Giulio si era mosso già ad inizio salitaNegli ultimi tre giorni il Delfinato ha affrontato qualcosa come 11.506 metri di dislivelloLa foto del giorno. De Plus e Rodriguez si scatenano, lo sloveno si staccaPrimoz si difende come può, Ciccone alla sua ruota stringe i denti. Giulio si era mosso già ad inizio salitaNegli ultimi tre giorni il Delfinato ha affrontato qualcosa come 11.506 metri di dislivello
Roglic ottimista
Il capitano della Bora-Hansgrohe è parso comunque sereno. Di certo era felice per aver portato a casa una gara per la quale la sua squadra aveva lavorato molto.
«Ho avuto sicuramente un momento difficile oggi – ha detto Primoz dopo il traguardo – ma non credete che nei giorni scorsi sia stato tanto diverso. È stata un’edizione del Delfinato dura con tutte le salite e le cadute. Cosa è successo oggi? Penso di essere solo stanco dopo questi giorni in montagna e così gli altri sono riusciti ad essere più veloci di me». Il che può anche starci se la si guarda in un quadro più generale della preparazione.
«Voglio godermi il momento perché in queste condizioni non si vincono gare tutti i giorni. Avevamo bisogno di questa vittoria dopo tanto lavoro. Con la squadra ci stiamo conoscendo ogni giorno di più. L’ambiente è buono. Questo successo fa piacere e certamente dà fiducia, ma vincere il Delfinato è una cosa, vincere il Tour de France è un’altra».
Di buono c’è che Roglic non è andato nel panico. Si è staccato un filo prima di quanto non avesse potuto tenere. Per sua stessa ammissione Roglic ha detto che conosceva i distacchi dei due là davanti e in qualche modo si è gestito, soprattutto fin quando li ha avuti a vista d’occhio. Ma otto secondi sono maledetti pochi da gestire.
Matteo Jorgenson (classe 1999) andrà al Tour con grosse opportunitàMatteo Jorgenson (classe 1999) andrà al Tour con grosse opportunità
Attenti a Jorgenson
L’altra notizia che arriva dalla Francia è che la Visma-Lease a Bike ha ufficialmente pronto il “Piano B” qualora Jonas Vingegaard non dovesse esserci o non mostrarsi al top. Un piano a stelle strisce, di nome Matteo Jorgenson. Magari il talento californiano non sarà ancora all’altezza di un Pogacar, ma di certo potrà lottare per qualcosa d’importante.
Jorgenson ha mostrato una grande solidità tecnica, fisica e mentale in questa stagione. Alla fine si è ritrovato a fare il capitano in corse importanti, senza fare la minima piega. Ha vinto la Parigi-Nizza, ha lottato nelle classiche e a crono è quello messo meglio di tutti in assoluto tra gli uomini di classifica. E’ paragonabile a specialisti come Ganna o Kung.
E poi in salita oggi ha colpito la sua tenuta sul cambio di ritmo feroce di De Plus. Jorgenson non è piccolo. Se tiene queste “botte” e poi ha la possibilità di mettersi di passo è un problema grosso… per gli altri.
Quello stesso cambio di ritmo che prima di mettere in difficoltà, ha sorpreso Roglic.
Carlos Rodriguez vince a Plateau des Glières. Collabora con Jorgenson che gli lascia la tappa. Per loro un’ottima prestazioneAnche Fortunato è riuscito a dire la sua. Il corridore dell’Astana ha vinto la maglia dei GpmIl podio finale del Delfinato: primo Roglic, secondo Jorgenson a 8″, terzo Gee a 36″Carlos Rodriguez vince a Plateau des Glières. Collabora con Jorgenson che gli lascia la tappa. Per loro un’ottima prestazioneAnche Fortunato è riuscito a dire la sua. Il corridore dell’Astana ha vinto la maglia dei GpmIl podio finale del Delfinato: primo Roglic, secondo Jorgenson a 8″, terzo Gee a 36″
E ora Tour
Tutti gli uomini di classifica dicono che sono in fase di crescita, che gli manca qualcosa… e c’è da credergli, ma più o meno i valori sono questi. In tre settimane si può cambiare poco. Carlos Rodriguezè migliorato giorno dopo giorno in questo Definato e lui sicuramente al Tour si vorrà giocare il podio. Lo spagnolo è sostanza pura. Alla distanza esce sempre.
Capitolo Giulio Ciccone. L’abruzzese era quello con meno giorni di corsa nelle gambe. Come ci aveva detto, questo era il primo appuntamento al quale era arrivato davvero preparato. Ha chiuso ottavo a 2’54” da Roglic. Se pensiamo che 2’33” di quel distacco lo ha preso a crono, possiamo dire che se l’è cavata benone. Magari lui è il più fresco del lotto e se Tao Geoghegan Hart non dovesse andare come si aspettano, in casa Lidl-Trek potrebbe essere lui il leader alla Grande Boucle.
Persino Remco Evenepoel, parso non tiratissimo, fa parte della schiera di chi si è dichiarato in crescita: «Sono decisamente migliorato questa settimana. E’ bello finire così. Considerando che sono forse all’85 per cento della mia forma, direi che va bene. Ho vinto una tappa, sono riuscito a stare a lungo con i migliori scalatori e le discese sono andate bene, quindi tutto è stato positivo in vista del Tour… che non vedo l’ora di affrontare».
Dopo averla... preparata nei giorni scorsi, rileggiamo con Malori la crono di Tokyo per capire che cosa insegna. Da Roglic a Ganna, passando per Van Aert
Lo ha detto Daniel Oss, parlando di Pogacar dopo il Giro d’Italia vissuto sulla moto di Eurosport. «Che cosa posso dire… è stato emozionante! Il mio parametro è sempre se piaci ai bambini, in quel caso hai fatto centro…».
Il Giro di Pogacar è stato anche il Giro dei bambini, che Tadej ha reso protagonisti con una serie di gesti strappa applauso. La borraccia presa dal massaggiatore e regalata a un ragazzino sul Grappa. Il cinque e poi il sorriso scambiati con un altro, che non lo dimenticherà mai (guardate la foto di apertura). Così come non lo dimenticherà un ragazzo di 13 anni, Simone Ponzani, che ha avuto la sorte di incontrare lo sloveno alla partenza dell’ultima tappa del Giro. Quello che ha fatto è stato provare a descrivere le sue emozioni e poi ce le ha inviate.
ROMA – Domenica del 26 maggio è stato il giorno più fortunato della mia vita. Alla partenza dell’ultima tappa del Giro d’Italia infatti, sono riuscito a vedere dal vivo Tadej Pogacar. E’ il corridore che tifo da quando seguo il ciclismo e sono riuscito anche a farmi regalare un cappellino autografato da lui. E’ stata un’esperienza unica, proprio non ci credevo.
Sono riuscito anche a fare molte foto, che sicuramente stamperò appena ne avrò l’occasione e le incornicerò insieme al cappellino. Penso che sono stato uno dei pochi ragazzi quel giorno ad aver vissuto questa esperienza e ad aver visto un campione del ciclismo e tutta la sua squadra da così vicino.
Simone era decisamente in ottima posizione: ecco la sua foto del team UAE EmiratesSimone era decisamente in ottima posizione: ecco la sua foto del team UAE Emirates
I calzini rosa
Io e mio padre quella mattina ci siamo svegliati presto per andare a vedere la partenza dell’ultima tappa del Giro, sperando di incontrare Pogacar all’uscita dal pullman della UAE Emirates. Era pieno di persone che aspettavano l’uscita di Tadej. Attraverso la porta del bus si vedevano appena i calzini, le scarpette e una parte dei pantaloncini tutti rosa e subito la folla lo chiamava per farlo scendere.
Ovviamente davanti a me c’erano molte persone, ma sono riuscito a infilarmi davanti a loro cosi che potessi vedere Pogacar. Però non mi sarei mai aspettato di vederlo da così vicino. Infatti io ero nella zona dei giornalisti, cioè davanti ai corridori.
Poi andando con mio padre verso la partenza siamo riusciti a farci due selfie. Uno con Joxean Fernàndez Matxin, lo sport manager del UAE Team Emirates, e uno con Matteo Trentin, corridore della squadra Tudor.
Il cappellino con l’autografo di Tadej Pogacar, prima del via di RomaIl cappellino con l’autografo di Tadej Pogacar, prima del via di Roma
Calciatore e ciclista
Mi chiamo Simone Ponzani, un ragazzo di 13 anni che pratica calcio. Nonostante ciò, sono un appassionato di molti sport ma soprattutto di ciclismo. Possiedo una bici da corsa con cui sia in inverno che in estate (molto più spesso) faccio insieme a mio padre dei giri abbastanza lunghi per me, circa 50 chilometri.
Ovviamente da italiano tifo i corridori italiani, ma se gareggia Tadej Pogacar tifo solo e soltanto per lui. Tifo per lui da quando si è dimostrato uno dei giovani più forti, quindi intorno al 2020, l’anno in cui vinse il suo primo Tour de France. Ma già da quando esordì come professionista, cioè nel 2019, avevo capito che da lì a pochi anni sarebbe diventato un fenomeno, oppure come dicono i telecronisti un “exaterrestre”.
Pogacar oltre ad essere un ciclista molto giovane (25 anni) in cui si rispecchiano molti ragazzi, è anche una persona che ha “molto cuore”. Lo ha dimostrato nella sedicesima tappa del Giro di Italia 2024 (21 maggio) quando, dopo aver recuperato un altro corridore, è andato a vincere la tappa. E a quello stesso ciclista, ha regalato maglia e occhiali. Dal quel momento appena penso a lui mi viene voglia di andare in bici e mi sento molto fortunato a vivere l’apice della sua carriera.
Sugli sterrati du Troyes, nona tappa del Tour, Pogacar fa il diavolo a quattro, ma alla fine non guadagna. Vingegaard si difende sornione con la squadra
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Quando Wilier Triestina è subentrata a Lapierre in casa Groupama-FDJ era chiaro a tutti che l’eredità fosse pesante. Se non altro perché la collaborazione fra le due realtà francesi andava avanti da anni e aveva visto lo sviluppo di modelli sulla base delle esigenze del team. Chi ha assistito allo sviluppo di quelle bici ricorda le interazioni fra gli ingegneri del team e quelli di Lapierre. Ora anche Wilier ha iniziato un cammino analogo, sapendo di avere di fronte una squadra di grandi talenti, di esigenze importanti e traguardi elevati.
La sfida della crono
Le vittorie di Lenny Martinez e Gregoire in salita hanno confermato che le biciclette da strada, su tutte la Filante SLR, hanno raggiunto uno standard vincente. Restava da accontentare uno dei cronoman più forti al mondo: Stefan Kung. Lo svizzero, che oggi ha preso il via nel Tour de Suisse con l’ottavo posto nella crono di apertura, ha esigenze e richieste importanti. Ed è proprio per lui che Wilier ha messo allo studio e portato a termine il progetto Supersonica.
«Si tratta del primo vero progetto sviluppato da zero insieme a Wilier», dice Jeremy Roi, responsabile per lo sviluppo dei materiali nella squadra di Madiot. «Il reparto Innovation Lab di Wilier – spiega – ha speso un’enorme quantità di ore e i risultati sono arrivati in tempi record. Dopo i tanti test virtuali effettuati e poi in galleria del vento, siamo orgogliosi di vedere questa bici veloce e moderna che ha preso forma in meno di un anno.
«Devo dire che sono state gettate solide basi per il futuro della nostra collaborazione. Le prestazioni si sono fatte notare dalla cura dei dettagli. Geometria rivista, spiccata efficienza aerodinamica, rigidità ottimizzata e un nuovo manubrio migliorato. Dopo aver seguito con attenzione ogni singola fase del progetto, sono davvero entusiasta».
Kung ha partecipato alla fase dei testSimulazioni al computer, quasi 50 ore di lavoro prima dei testI test in pista hanno portato alla creazione del primo prototipo da usare su stradaI test in pista hanno permesso di verificare i dati della galleria del ventoKung ha partecipato alla fase dei testSimulazioni al computer, quasi 50 ore di lavoro prima dei testI test in pista hanno portato alla creazione del primo prototipo da usare su stradaI test in pista hanno permesso di verificare i dati della galleria del ventoCockpit e forcella sono il punto di forza della nuova bici
Due prototipi
Per arrivare al risultato finale sono stati realizzati due prototipi. Fatti infiniti test di stampa 3D, con oltre 50 ore di simulazione al computer. 30 ore fra la galleria del vento di Silverstone, il velodromo in Svizzera e test su strada in Belgio.
I passaggi non sono stati pochi né semplici. Il punto di partenza è stato un’analisi dell’atleta da cui ottimizzare la posizione in bicicletta. Grazie alla scansione ottica dell’avambraccio, è stato possibile realizzare su misura le appendici aerodinamiche, scegliendo tra titanio stampato in 3D o laminato in carbonio di altissima qualità. La posta in gioco del resto è elevata. Va bene il Giro di Svizzera, ma l’agenda di Kung ruota soprattutto sulle Olimpiadi a cronometro e poi sui mondiali che si correranno in Svizzera.
«Sono molto felice e anche molto impressionato – ha detto Kung al termine dei test – dal lavoro svolto da Wilier. La sfida era molto difficile. Quando è stato firmato il contratto tra Wilier e la squadra ad agosto 2023, fin da subito si sono concentrati al 100% sul progetto di Supersonica. Sviluppare una bici da zero in 9 mesi è già difficile, ma sviluppare la migliore bici da cronometro in 9 mesi lo è ancora di più. Vedere tutte le persone che sono state coinvolte e ci hanno lavorato a lungo, che mi hanno seguito ed ascoltato, è una motivazione forte per cercare di dare tutto il possibile nel giorno della gara.
«La bici è stata concepita per andare veloce, lo senti subito quando ci sali sopra. Dopo aver pedalato sul primo prototipo ad inizio 2024, abbiamo apportato alcune modifiche. In poco tempo è arrivato il secondo prototipo che ha risposto perfettamente alle richieste che ho fatto. Non vedo l’ora di pedalare e, soprattutto, di vincere!».
Kung ha eseguito anche test su strada, chiedendo un secondo prototipoIl nuovo manubrio ha permesso allo svizzero di raggiungere la posizione desiderataKung ha eseguito anche test su strada, chiedendo un secondo prototipoIl nuovo manubrio ha permesso allo svizzero di raggiungere la posizione desiderata
Solo per Kung
Proprio per far capire che si è lavorato su misura per Kung, al momento la Supersonica è disponibile solo la taglia di progetto L/XL (quello usato dallo svizzero). Le misure XS/S e M saranno disponibili ad inizio 2025, per cui nel resto della stagione Gaudu e i corridori che faranno classifica continueranno a usare la già collaudata Turbine.
Il telaio della nuova bici tiene conto delle misure imposte dall’UCI e ottimizza i vari segmenti inseguendo aerodinamica e prestazione. Il reggisella aerodinamico è integrato e prevede la possibilità di regolazione della sella. La forcella e il carro posteriore permettono un passaggio ruota fino a 28 millimetri. Il piantone non ha andamento rettilineo. Nella parte subito sopra al movimento centrale è curvo e segue la sagoma della ruota posteriore. Nella parte immediatamente superiore che porta al reggisella è affilato come una lama. L’attacco per il deragliatore si può rimuovere e il sensore per il powermeter è integrato nel carbonio del fodero orizzontale di destra subito dietro la scatola del movimento centrale.
Supersonica raccoglie l’eredità della Turbine, che ancora è la base per le crono del teamSegmento per segmento, le specifiche del nuovo telaioSupersonica raccoglie l’eredità della Turbine, che ancora è la base per le crono del teamSegmento per segmento, le specifiche del nuovo telaio
Già sul mercato
La bici è già in vendita e da Wilier hanno diffuso anche i prezzi. Il kit telaio (telaio + forcella + manubrio + reggisella) a 9.000 euro.
Montata con Shimano Dura Ace Di2 / ruota lenticolare posteriore Miche KleosRD + anteriore SPX3 / Appendici Profile Design ACS PRO a 20.500 euro.
Con Shimano Dura Ace Di2 / ruota lenticolare posteriore Miche KleosRD + anteriore SPX3 / appendici fatte su misura del cliente, in carbonio o titanio a 27.400 euro.
Robert Spinazzè è molte cose. Patron della Spinazzè Group SPA di San Michele di Piave in provincia di Treviso, azienda che produce pali in cemento per la vigne (e non solo). Ex corridore. Ma forse, soprattutto, grande appassionato di ciclismo, tanto da essere partner di squadre WorldTour da ormai diversi anni.
L’abbiamo raggiunto al telefono per farci raccontare com’è nata questa passione e come la sta portando avanti, da Peter Sagan fino alla nuova formazione che avrà come main sponsor Red Bull.
La bottiglia per la vittoria del Giro 2022 di Hindley, celebrato anche in aperturaLa bottiglia per la vittoria del Giro 2022 di Hindley, celebrato anche in apertura
Robert, com’è nata la tua passione per il ciclismo?
Il ciclismo è sempre stata una passione di famiglia. Mio papà ha avuto la prima squadra dilettantistica, la TiEsse-Spinazzè, a inizio anni ‘80 ed è stata una rivoluzione per l’epoca. Siamo stati i primi ad impostare una squadra giovanile seguendo gli stessi standard dei professionisti, con i ritiri, grande attenzione a figure dello staff impensabili all’epoca, come per esempio i cuochi. Abbiamo anticipato quelli che sono venuti dopo, subito dopo di noi ha seguito il nostro esempio la Zalf. Se non sbaglio siamo ancora la squadra dilettantistica plurivittoriosa in un anno, con 82 vittorie in una sola stagione. Io poi, cresciuto in un ambiente del genere, mi sono fatto influenzare in prima persona e ho corso fino al primo anno dilettanti, da junior gareggiavo con Cipollini.
Da qui però in grande salto nel ciclismo WorldTour. Com’è andata?
Abbiamo deciso di fare il grande salto nel 2014 con la Cannondale. Erano gli anni d’oro di Sagan, che conoscevo da tempo perché al suo primo anno da pro’ abitava qui, a meno di un chilometro dall’azienda. Poi siamo stati due anni al fianco della Tinkoff di Sagan e Contador. E lì, al fianco di Oleg Tinkov, ho capito come muovermi in quel mondo, capendo dove e come investire. L’esperienza maturata in quei primi anni mi ha permesso di affrontare meglio i successivi 10 in Bora-Hansgrohe. Come in tutto, anche in questo lavoro occorre maturare esperienza che arriva dopo un po’ di tempo.
Sagan è di famiglia, da quando si trasferì a Cimadolmo, per diventare un corridoreIn quella Tinkoff correvano anche Contador e l’attuale cittì della nazionale BennatiSagan è di famiglia, da quando si trasferì a Cimadolmo, per diventare un corridoreIn quella Tinkoff correvano anche Contador e l’attuale cittì della nazionale Bennati
Come vanno le cose con la Bora?
Da loro ho trovato una forte apertura nei nostri confronti, fin dall’inizio mi hanno detto: «Si cresce assieme. Se cresci tu, cresco anch’io». E questo atteggiamento mi ha dato grande fiducia. Con loro si è creata una sinergia che va al di là della singola gara e mi ha fatto intraprendere ancora con più passione la sponsorizzazione. Ho imparato per esempio che io, come piccolo sponsor, magari non posso pretendere di vedere il nome nelle gare più importanti della stagione, ma ho altri 11 mesi a disposizione per farmi notare meglio. Decine di altre gare o occasioni dove invece sono molto più visibile.
Cos’altro?
Ho capito anche che non serve voler stare vicini solo ai grandi campioni, anzi. Voglio dire, personaggi come Sagan e Contador sono sempre pieni di gente attorno, invece è giusto cercare l’interazione con gli atleti del team magari meno noti. I gregari, i giovani, come anche con lo staff, i meccanici, i cuochi eccetera. Ho capito che io potevo trovare il mio spazio avendo un occhio di riguardo lì dove c’è molta meno attenzione. E questo mi ha dato moltissime soddisfazioni, perché da lì partono le sinergie lavorative che poi ti portano dove magari non immaginavi neanche.
Bottiglie personalizzate per Ralf Denk, manager della Bora-Hansgrohe, e Willi Bruckbauer, fondatore di BoraBottiglie personalizzate per Ralf Denk, manager della Bora-Hansgrohe, e Willi Bruckbauer, fondatore di Bora
Si sente spesso dire che sponsorizzare le squadre di ciclismo è un investimento a perdere. Nel tuo caso c’è solo passione o hai anche dei ritorni effettivi in termini di business?
La passione è la molla che ti permette di entrare più facilmente in quel mondo, per me che mastico ciclismo da tantissimi anni è qualcosa di immediato. Nella sponsorizzazione con Bora portiamo avanti due brand, che sono l’azienda principale Spinazzè e la cantina Terre di Ger. Le strade del ciclismo passano spessissimo per i miei impianti, per le vigne dei miei clienti, e per me questo è importantissimo. Negli ultimi anni abbiamo realizzato due opuscoli in cui parliamo del nostro lavoro attraverso le corse.
Due opuscoli?
Uno che riguarda le corse del Nord e che abbiamo chiamato “Inside Cobbles”, immaginando i nostri pali di cemento come fossero fatti di pavè. Abbiamo seguito un mese di campagna ciclistica raccontando i corridori, i contadini, il territorio e gli ambienti in cui lavoriamo, perché abbiamo tantissimi clienti nella campagna tra Belgio e Olanda. La stessa cosa abbiamo fatto al seguito del Giro d’Italia, alternando figure del ciclismo e vittorie della squadra con interviste ai nostri contadini. A ben vedere fanno una vita molto simile a quella dei corridori, sempre all’aria aperta con ogni tipo di meteo facendo sacrifici per ottenere un risultato. Questo ci ha dato un grande riscontro sul mercato, perché adesso tutti ci riconoscono come “quelli del ciclismo.”
Spinazzè Group produce pali e coperture per vigneti e fruttetiSulle ammiraglie, un piccolo cenno alle attività dell’aziendaUn esempio delle strutture a protezione dei fruttetiSpinazzè Group produce pali e coperture per vigneti e fruttetiSulle ammiraglie, un piccolo cenno alle attività dell’aziendaUn esempio delle strutture a protezione dei frutteti
E la cantina?
Con Terre di Ger produciamo l’olio di oliva che diamo ai corridori e il vino usato per tutti gli eventi della squadra. Tutto questo nell’arco di diversi anni porta a consolidare la nostra posizione. E ora posso dire che tutto quello che investo poi mi rientra in diverse forme.
Non è più un segreto che tra poco la squadra cambierà main sponsor, come sono stati i primi contatti con Red Bull?
Sì, a inizio luglio entrerà ufficialmente Red Bull, ma devo dire che si sono mossi in modo molto intelligente, in punta di piedi. E’ un’azienda incredibile per l’organizzazione, certamente c’è molto da imparare. Comunque il concetto di crescere assieme che c’è stato in Bora rimane. Sono alla ricerca di situazioni durature e stabili anche tra i partner, vogliono continuità che è quello che vogliamo anche noi. Sicuramente la nuova squadra avrà una costruzione dal basso, senza nomi altisonanti, ma puntando di più sul vivaio a cominciare dagli juniores e U23. L’obiettivo è far crescere in casa atleti che possano garantire una prospettiva futura, com’è giusto che sia. Noi abbiamo il contratto fino al 2027 per terminare il decennio della squadra WorldTour, poi si vedrà.
I corridori della Bora-Hansgorhe sono parte della famigliaI corridori della Bora-Hansgorhe sono parte della famiglia
In tutti questi avrai sicuramente molti aneddoti da raccontare…
Aneddoti moltissimi, ma quello che più mi è rimasto è l’aver fatto amicizia con quasi tutti i corridori che ho incontrato. In particolare con Maciej Bodnar col quale ancora ci sentiamo spesso e poi, certo, non posso non citare Sagan. Lui è nato ciclisticamente qui a 500 metri dalla fabbrica, l’ho visto fin dai suoi primissimi giorni in Italia. Conoscevo molto bene Bruseghin e altri che si allenavano con lui. Mi raccontavano che quando facevano le sfide durante le uscite, tipo fare una salita col 53, lui vinceva sempre, anche se aveva 6-7 anni meno di loro. Da lì ho capito subito che aveva qualcosa in più. Sono stato anche per due anni sponsor della sua academy, la squadra giovanile che ha fondato a Žilina, la sua città natale.
Altri episodi?
Un altro bellissimo ricordo che ho è quando durante il Giro del 2017 ho ospitato una ventina di quei ragazzi con i genitori nella mia cantina, li ho portati prima a vedere il passaggio della corsa a Ca ’del Poggio poi in hotel a conoscere i corridori e tutto lo staff. Sono sicuro che per loro è stato un fine settimana indimenticabile.
Le immagini di questo articolo provengono tutte dalla gallery Facebook di Robert Spinazzé e della sua azienda.
Quest’anno il Tour de France scalerà Cime de la Bonette, la strada carreggiabile più alta d’Europa. Un valico infinito, lungo, assolato, a cavallo fra le Alpi Marittime e quelle della Savoia, che svetta a 2.802 metri di quota. Lassù l’aria è davvero fina.
Cime spoglie, se vogliamo anche “calde” tanto si è in alto. Il luogo è meraviglioso, suggestivo. Aquile e ciclisti, servono coraggio e polmoni d’acciaio. Il valico “naturale” è a quota 2.715 metri, con l’anello aggiuntivo si arriva a 2.802.
Quarto ed ultimo transito del Tour sulla Bonette nel 2008: primo fu il sudafricano John-Lee AugustynQuarto ed ultimo transito del Tour sulla Bonette nel 2008: primo fu il sudafricano John-Lee Augustyn
Quattro passaggi
Il Tour de France solo quattro volte sulla Bonette. Lo fece per la prima volta nel 1962. E il primo a transitarvi fu uno scalatore mitico, Federico Bahamontes. Lo spagnolo si ripetè due anni dopo. Poi si dovette attendere 29 anni perché la Grande Boucle vi ritornasse. Quella volta il primo a transitare sulla cima fu Robert Millar, ma i protagonisti di quel giorno furono due: Davide Cassani e Laurent Fignon. E non lo furono per vittorie altisonanti o scatti memorabili. No, la Bonette in qualche modo li mise all corde. E di brutto.
Prima di immergerci in questa storia però, ci sembra doveroso fare una piccola e interessante precisazione. Si fa la Bonette, ma nonostante la sua quota – chiaramente il punto più elevato del Tour – non sarà il SouvenirHenri Desgrange, in memoria dell’ideatore della Grande Boucle. Perché? Perché se c’è il Galibier, il Souvenir Desgrange si assegna lassù. Quella era infatti la scalata più amata dallo stesso Desgrange e il Tour lo affronterà nella quarta tappa, al rientro in Francia dopo la Grande Depart italiana.
Il Gpm della Cime de la Bonette a 2.802 metri di quotaIl Gpm della Cime de la Bonette a 2.802 metri di quota
La resa di Fignon
E’ il 15 luglio 1993 e un solleone spacca le pietre sulle strade del Tour.La corsa affronta la sua undicesima tappa, da Serre Chevalier ad Isola 2000: 179 chilometri e 5.339 metri di dislivello. Tra l’altro gli ultimi 120 chilometri sono identici a quelli che si faranno il prossimo 19 luglio.
«Fu una tappa importante – inizia a raccontare Cassani con la sua innata passione – perché quel giorno praticamente si è conclusa la carriera di un grande come Laurent Fignon. Proprio lassù, in cima alla Bonette, Laurent mise piede a terra e smise di correre. Quello fu il suo ultimo giorno di gara da professionista. Si ritirò da ultimo».
Fignon era soprannominato il “Professore” per i suoi occhialini tondi, per i suoi pensieri profondi. Pensieri che non mancarono neanche quel giorno: «Volevo vivere un momento di tristezza e di grazia senza dividerlo con nessuno», disse Fignon.
Davide Cassani in maglia a pois durante quel Tour del 1993Davide Cassani in maglia a pois durante quel Tour del 1993
Cassani a pois
«Io invece – riprende Cassani – indossavo indegnamente la maglia pois! E proprio per quel motivo andai in fuga. Il giorno prima avevamo fatto il Galibier ed ero arrivato con la mia normale mezz’ora di ritardo. Il giorno dopo c’erano da fare l’Izoard, il Vars, la Bonette e la scalata finale ad Isola 2000. Era una delle tappe più dure del Tour. Ed era, mi sembra, la prima o la seconda volta che la tappa veniva trasmessa in diretta totale, era una novità.
«In quegli anni si partiva ancora abbastanza piano, quindi la prima salita la facemmo a velocità cicloturistica ed è per quel motivo che riuscii ad andare a fare la volata per prendere qualche punto per la maglia a pois. Al primo Gpm arrivai terzo e poi ebbi la malsana idea di continuare. Staccai tutti nella discesa successiva. Se in salita soffrivo, in discesa ero abbastanza bravo».
Cassani quindi tira dritto e va in fuga. In fuga da solo in maglia a pois e in mondovisione. Spinge, va avanti, ma chiaramente non è la sua tappa. Davide aveva altre qualità, ma non certo quella di essere uno scalatore.
«Ho sempre sofferto le tappe con queste salite e infatti quando ero sul Var è arrivato Ferretti (il suo direttore sportivo, ndr). Appena è arrivato “Ferron” mi disse: “Davide ma cosa stai facendo?”. E io: “Sono in fuga”».
Il Gpm si trova dietro questo monte. Il colle naturale (2.715 m) è nella parte bassa della foto. Con questa appendice supera lo Stelvio (2.758 m)Il Gpm si trova dietro questo monte. Il colle naturale (2.715 m) è nella parte bassa della foto. Con questa appendice supera lo Stelvio (2.758 m)
Via Crucis
Ferretti gli dice senza troppi giri di parole che è matto. Gli ricorda delle sue difficoltà in certe tappe. La trattativa tra i due va avanti. «Ferretti alla fine mi convince e mi dice: “Mi raccomando Davide vai piano che è lunga”». E lui lo prende in parola. Ma di pari passo le energie per chi come Cassani non è uno scalatore, iniziano a scemare.
«E infatti – va avanti Davide – comincia la Bonette… lunghissima, infinita. I francesi hanno fatto anche questa appendice di un paio di chilometri per rendere il passo più alto rispetto allo Stelvio. Non finisce mai. Vado su col mio passo. Mi raggiungono i primi, i secondi, i terzi… mi raggiungono tutti. Arrivo in cima già stremato con 20 minuti di ritardo.
«A quel punto però riesco comunque a restare con un gruppo abbastanza numeroso. Mi butto giù in discesa, cerco di mangiare, di recuperare, ma quando comincia l’ultima salita è come se andassi contro un muro. Non vado più avanti. Mi ritrovo da solo con Domenico Cavallo, che era sulla seconda ammiraglia, il quale mi tiene informato sul tempo massimo».
Sulla Cima una targa commemorativa della strada della Bonette, nata per collegare Nizza a BrianconSulla Cima una targa commemorativa della strada della Bonette, nata per collegare Nizza a Briancon
La volata con Abdu
La situazione si fa complicata. Le energie non ci sono più. La Bonette si fa sentire anche dopo. Isola 2000 è lunga e anche gli altri del gruppo con cui scendeva dalla Bonette sono scappati in avanti. Poi bisogna sapere che una volta il tempo massimo era molto meno “gentile” rispetto ad oggi.
«Cavallo mi fa: “Dai Davide, perché rischiamo”. Io gli dico di farmi attaccare alla macchina, ma lui replica secco di no: “Siamo soli, ci beccano sicuro e ci mandano a casa. Prova ad attaccarti alla macchina di un’altra squadra”. Solo che non c’erano altre macchine! Eravamo soli».
«Cavallo era collegato con Ferretti sull’arrivo. Quando arriviamo a 5 chilometri dall’arrivo sempre Cavallo mi dice che manca un quarto d’ora al tempo massimo. “Ma come un quarto d’ora? – replico io – Non ce la faccio ad andare a 20 all’ora”. Lui mi conforta e mi dice che l’ultimo chilometro è in leggera discesa.
«Ad un certo punto mi riprende Abdujaparov. Impauriti entrambi da questo muro del limite, ci mettiamo sotto. Arriviamo all’ultimo chilometro che mancano ancora tre minuti. Ce la possiamo fare. Quando la strada spiana, parte la volata. Abdu davanti e io a ruota. Sembriamo il primo e il secondo. Abbiamo lo stessa voglia di vincere quello sprint. Un volatone! Primo Abdujaparov, secondo io. In realtà penultimo ed ultimo a 25 secondi dal tempo massimo».
Il profilo della scalata alpina: 22,9 km e pendenza media del 6,8%Il profilo della scalata alpina: 22,9 km e pendenza media del 6,8%
Bonette infinita
Se questo è il racconto romantico di quel giorno, c’è poi l’aspetto più tecnico de la Bonette. Certe salite e certe quote ti scavano dentro. E anche se le pendenze non sono impossibili ti svuotano, ti presentano il conto.
«Oggi si sa tutto – continua Cassani – noi della Bonette conoscevamo solo la lunghezza e il dislivello, nulla di più. Avevamo ancora dei rapporti lunghi: 39×23, il 25 al massimo, ma era quasi considerato un’onta montarlo. Anche quello la rese dura. Sia andava via a 60-70 rpm, non di più».
«Sapevamo di questa Bonette, lunga. L’avevamo studiata dal Garibaldi. Non l’avevo mai fatta ed è stata veramente una Via Crucis. Sapevo però di questo anello aggiuntivo in cima. Sono sempre stato curioso, ero andato a spulciare qualcosa, anche se la passione per la storia mi è venuta dopo.
«Mentre non mi è venuta quella per le salite! Pensate che l’ho rifatta solo l’anno scorso, 30 anni dopo, ma senza fare l’anello aggiuntivo. Mi è bastato quel 1993: una volta e stop!».
Anche il Giro è transitato quassù: era il 2016Anche il Giro è transitato quassù: era il 2016
Tetto d’Europa
I numeri ufficiali del Tour dicono di una scalata di 22,9 chilometri al 6,8 per cento di pendenza media e massima del 10 in qualche breve tratto, per un dislivello che sfiora i 1.600 metri.
«Almeno – spiega Davide – è una scalata regolare. La sua difficoltà maggiore è quella di essere interminabile e chiaramente perché si arriva a 2.800 metri di quota. E questa si fa sentire, anche perché i chilometri sopra i 2.000 metri sono parecchi (12 per la precisione, ndr). E tornando alla mia scalata io soffrivo anche l’altura. Mi ricordo che ai mondiali in Colombia non andavo avanti».
Sarà un bel momento quello de La Bonette, il prossimo 19 luglio. E dopo questo racconto di Davide Cassani potremo godercelo ancora di più, non lasciandoci catturare “solo” da quel numerone: 2.802.