Paolo Rosola nella sfortuna o meglio nell’indifferenza del caso Gazprom, ha trovato il modo di fare tante nuove esperienze. Dal Giro d’Italia in moto staffetta, all’Adriatica Ionica Race, fino ad arrivare alla General Store al Giro under 23 che oggi (ieri per chi legge) sta vivendo il suo giorno di riposo.
Nell’editoriale di lunedì scorso si era parlato di motivazione e di giovani. Vederlo al Giro under ci ha dato lo spunto per chiederci cosa possa fare un diesse come lui insieme a questi ragazzi.
Come è arrivato Paolo Rosola in General Store?
Ero al Giro d’Italia in staffetta, il venerdì prima dell’ultima settimana mi hanno chiamato e mi han chiesto se fossi stato disponibile a traghettare la squadra fino alla fine della stagione. In questi mesi hanno avuto dei problemi con il diesse precedente. La cosa mi stimolava e così ho colto al volo l’occasione ed eccomi qui.
Cosa ti ha spinto ad accettare?
I giovani, la voglia di trasmettere loro la mia passione per il ciclismo a dei ragazzini che hanno 21-22 anni.
Che mondo hai trovato?
Sono ragazzi tanto curiosi, mi chiedono spesso delle cose riguardo al mio passato da corridore. Anche oggi in macchina, nel trasferimento (che ha portato la carovana del Giro giovani da Chiavenna fino alla zona del cuneese, ndr), ho raccontato dei miei errori commessi quando avevo la loro età. Questi racconti non servono per annoiarli, ma per permettergli di aprire gli occhi ed insegnargli qualcosa.
Tu arrivi da anni di esperienza nel professionismo, che ragazzi hai trovato?
Una cosa che mi ha sorpreso è stato vedere la loro incredulità quando ho aperto il PC per mostrare come lavora una squadra professionistica. Ho mostrato loro i video pre gara, il percorso, la riunione la sera prima… Sono piccoli passi che stiamo facendo insieme per inserirli nel mondo dei pro’, alcuni li vedi che sono ancora acerbi.
Tuttavia passano sempre più giovani…
Ho qui tanti ragazzi che hanno 21-22 anni e alcuni già si demoralizzano perchè non sono passati professionisti. Perdono proprio lo stimolo. Invece a questa età dovrebbe essere il contrario, ogni giorno si devono svegliare con la voglia di imparare a fare meglio. Ma non è colpa loro.
E di chi è?
Del sistema che si è venuto a creare. Le squadre junior hanno ragazzini, anzi io li definisco ancora bambini, ed il loro unico obiettivo è vincere. Poi però si presentano alle gare con la batteria del cambio elettronico scarica, capite che c’è qualcosa che non va? Mancano le basi. Certi insegnamenti li puoi dare quando hanno 14-15 anni, non a 22.
Ora che sei al Giro under che differenza vedi con le squadre straniere?
Gli stranieri vanno forte, considerate che la maggior parte delle squadre estere sono i team development del WorldTour (Lotto, Groupama, DSM, Israel, Astana, ndr). La cosa più evidente è come ai nostri ragazzi manchino le esperienze fuori confine, non corrono mai fuori dall’Italia e questo non permette uno sviluppo totale.
Qualche squadra però all’estero a correre ci va.
Se vai una volta all’anno è come accendere un fiammifero, la fiamma dura poco. La crescita dei ragazzi è un fuoco che va alimentato volta per volta. In Italia noi abbiamo solamente 3 corse a tappe: Giro d’Italia, Giro della Val d’Aosta e Giro del Veneto, e due di queste sono davvero brevi. Le squadre straniere invece fanno tante corse a tappe in tutta Europa e i risultati si vedono ampiamente.
I ragazzi che vanno forte sono tutti di team development di squadre WorldTour. Da noi invece i ragazzi passano per le continental…
Ci sarebbe da aprire un libro su questo tema. Le squadre continental crescono i ragazzi con la consapevolezza di perderli, mentre le squadre di sviluppo straniere li crescono con l’obiettivo di inserirli nel team principale. Ovviamente le seconde hanno più a cuore la crescita degli atleti.
Tu hai visto in breve sequenza Giro d’Italia pro’ e Giro under 23, che cosa pensi?
Che si fa a gara per portare i ragazzi sempre più giovani, ma poi quando si vanno a confrontare sul serio, prendono le bastonate. Il passaggio under 23 non serve più per far crescere i ragazzi, ma per cercare uno che possa essere un piccolo fenomeno, ma quelli sono rari. Al Giro d’Italia pro’ c’è gente che ha 25, 26 anni che fa 30-40 chilometri a tirare in testa al gruppo a 50 all’ora. Sono uomini fatti e finiti, è logico che se si manda un ragazzo di 20 anni non ancora fisicamente maturo si fa male. In tutti i sensi.
Al Giro under c’è anche tuo figlio, ci hai parlato?
Kevin è qui ma non doveva esserci, è stato fermo un mese e ha ripreso la bici solamente 15 giorni prima del Giro. Durante la seconda tappa è caduto e si è massacrato, nella terza tappa si è salvato “con le mani lunghe” (ridacchia amorevolmente, ndr). Ieri è stato tutto il giorno con i migliori, ma dopo l’arrivo mi ha detto: «Papà, son già caduto e non ho voluto rischiare, così mi sono fatto sfilare».
E com’è?
E’ stato più fortunato degli altri perché io e sua mamma (Paola Pezzo, ndr) gli abbiamo insegnato tante cose sul mezzo e come si mettono le mani sulla bici. Sa fare qualche cosa in più dei suoi coetanei. Però è come loro: fanno fatica a parlare, a confrontarsi. Il giorno che è caduto, mi diceva che stava male e voleva andare a casa. Così gli ho chiesto se si fosse confrontato con il diesse o con i massaggiatori, anche per capire come curare le ferite e mi ha detto di no. Ma tutti i ragazzi sono un po’ così, a volte sembra abbiano paura a parlare o chiedere e si perdono dietro al telefono. Capita a tutti ormai, lo abbiamo sempre in mano. A volte però bisognerebbe lasciarlo giù e parlare, che fa tanto bene a tutti.