Mediterraneo Cross, serbatoio di talenti da far sbocciare

18.11.2024
6 min
Salva

In un weekend scevro di grandi appuntamenti di ciclocross al Nord, i fari dell’attenzione si sono spostati su Belvedere Marittimo (CS), teatro della quarta tappa del Mediterraneo Cross, la principale challenge del Meridione, tanto che ad assistere alle gare si è presentato anche il cittì della nazionale Daniele Pontoni. Perché anche nelle regioni del Sud si svolge attività sui prati, in un universo che forse sfugge ai fari dell’attenzione ma dove emergono storie e talenti. Il problema è capire se e come questi possano poi arrivare ai vertici nazionali. Perché, a essere sinceri, dopo i fasti lontani dei successi del pugliese Vito Di Tano non ci sono più stati ciclocrossisti meridionali ai vertici e forse avrebbero potuto.

Ogni tappa del Mediterraneo Cross raccoglie almeno 250 presenze di gara. In totale sono 5 eventi
Ogni tappa del Mediterraneo Cross raccoglie almeno 250 presenze di gara. In totale sono 5 eventi

Lo specchio di parte del Paese

Per questo mettere in piedi una challenge come il Mediterraneo Cross è ancora più meritorio. L’artefice è il vulcanico Michele Carella, titolare di mtbonline.it, un sito specializzato nell’attività offroad e di un allegato sistema di cronometraggio al quale si rivolgono moltissimi organizzatori fra mtb e ciclocross. Con lui Sabino Piccolo e Franco De Rosa, che insieme a Pietro Amelia hanno investito le loro energie dedicando i mesi freddi (che poi a queste latitudini così freddi non sono…) per dare opportunità a tanti appassionati di fare attività.

«Ogni tappa ha almeno 250 partecipanti – spiega Carella – distribuiti nelle varie categorie. E’ chiaro che non siamo al livello del Giro delle Regioni, ma per noi sono numeri importanti, considerando il passato, significa che c’è fermento. L’epicentro dell’attività è in Puglia, dove infatti c’è la maggioranza dei team che svolgono attività invernale e dove la tradizione, anche grazie alla storia di Di Tano, è molto forte, tanto che spesso arrivano anche i nomi di spicco del panorama settentrionale. Ma c’è molta attività anche in Basilicata, Calabria, Campania mentre latita un po’ in Sicilia, dove però il 23 dicembre allestiremo un grande evento, il Trinacria Cross di Sant’Alessio Siculo (Messina».

Vittorio Carrer, vincitore a Bisceglie e Belvedere Marittimo e già nel taccuino del cittì Pontoni (foto Caggiano)
Vittorio Carrer, vincitore a Bisceglie e Belvedere Marittimo e già nel taccuino del cittì Pontoni (foto Caggiano)

Un ambiente famigliare

Partecipando a una delle tappe del Mediterraneo Cross ci si accorge che il concetto di gara di ciclocross cambia un po’ rispetto agli stereotipi ai quali siamo abituati: «E’ vero, qui si vive una dimensione molto più familiare e per capirlo basta girare alla sera della vigilia nell’area paddock: ci si unisce per cena, si vedono i ragazzi che mettono da parte le bici per fare i compiti, si vedono soprattutto corridori di squadre diverse unirsi, fare gruppo, lasciare la loro rivalità sul campo di gara. Ogni tappa assume l’immagine di una giornata di autentica festa».

Dal punto di vista tecnico la qualità è molto alta e Pontoni ha potuto verificarlo di persona: «Rispecchia un po’ l’andamento nazionale, ossia a un livello elite buono, ma senza quei picchi che ti autorizzano a sognare a livello internazionale, abbiamo grandi valori in campo nelle categorie giovanili. Mi sento anzi di dire che ci sono ragazzi che hanno grandissime qualità, che potrebbero davvero emergere anche in ambito nazionale e aspetto con curiosità l’appuntamento tricolore perché sono convinto che i ragazzi di queste parti porteranno a casa grandi soddisfazioni».

Non molte le presenze femminili, come spesso avviene al Sud. Le ragazze gareggiano insieme a juniores e amatori
Non molte le presenze femminili, come spesso avviene al Sud. Le ragazze gareggiano insieme a juniores e amatori

I nomi da appuntare

Un esempio lo si ha fra gli Allievi: «Ci sono un paio di ragazzi che sono già sul taccuino del cittì e che anche a Belvedere Marittimo hanno dato vita a una gara sensazionale. Il primo nome è Walter Vaglio, che ha già a casa ben 3 maglie tricolori vinte nella mtb fra esordienti e allievi oltre a essere finito sul podio agli europei giovanili e sono sicuro che può allungare la sua collezione. Lui è un secondo anno, Marco Sicuro invece è un primo (nella foto di apertura i due fra Carella e Pontoni, ndr): sono compagni di squadra alla Scuola Ciclistica Tugliese V.Nibali ma in gara non si risparmiano. Poi c’è Marco Russo (Team Go Fast Puglia Aradeo) fra gli juniores che nella tappa calabrese ha chiuso terzo (vittoria per Francesco Carnevali del team romano Cycling Café, ndr)».

La domanda è: questi ragazzi quante possibilità hanno di emergere anche a livello nazionale, di trovare un futuro nel ciclocross? «Una domanda che non ha una soluzione definita. Cambiare squadra, andare al Nord? Chi l’ha fatto in passato si è perso, trovandosi in una dimensione diversa, lontano da casa e risentendone anche sul piano degli studi che a queste età deve essere primario, quindi non risolve. Possiamo dire che molta responsabilità è dei team, sta a loro garantire occasioni per farsi vedere e per continuare a crescere nella loro attività, cercando di tenere i ragazzi al passo con i loro coetanei delle regioni epicentro del ciclocross italiano».

Walter Vaglio, tre volte tricolore in mtb, forse il maggior talento attuale del vivaio meridionale (foto Caggiano)
Walter Vaglio, tre volte tricolore in mtb, forse il maggior talento attuale del vivaio meridionale (foto Caggiano)

Percorsi tecnici e sponsor importanti

Dal punto di vista organizzativo, queste gare non hanno nulla da invidiare ad altre prove nazionali: «Anzi, vorrei davvero vedere quali altre prove possono avere contesti come quelli del circuito. C’è almeno un poker di gare che si svolge in riva al mare, abbinando un contesto tecnico di qualità a teatri naturali straordinari. Tra l’altro pur essendo sul mare sono tutti percorsi non sabbiosi, salvo quello di Barletta con due passaggi proprio sul bagnasciuga».

L’inserimento delle varie tappe nel calendario nazionale è stato per queste prove un toccasana: «E’ tutto legato ai punti del ranking nazionale: chi è di queste regioni può accumulare punti per poi potersi giocare le proprie carte ai campionati italiani, ma al contempo anche chi viene dalle regioni del Centro ha l’opportunità di fare trasferte meno onerose e competere comunque a livello nazionale. Anche gli sponsor credono nel nostro progetto, abbiamo trovato in Selle SMP e Ursus due realtà che ci hanno dato fiducia, oltre a Scratch Tv».

Il cittì azzurro fra gli organizzatori e i leader di ogni categoria nella tappa calabrese
Il cittì azzurro fra gli organizzatori e i leader di ogni categoria nella tappa calabrese

Due tappe per i titoli

Il Mediterraneo Cross ha tra le sue finalità anche quelle sociali: durante le sue prove viene infatti svolta una raccolta fondi a favore dell’Associazione Le Ali di Camilla per la cura dell’epidermolisi bollosa. La challenge proseguirà il 24 novembre a Barletta e l’1 dicembre a Grumo Nevano, la tappa conclusiva che varrà anche quale campionato regionale campano. L’evoluzione del ciclocross italiano passa anche da qui, trovare una rete di collegamento anche con il Nord è un passaggio fondamentale se vogliamo che la specialità possa crescere davvero.

L’occasione mancata: Baldato e la rincorsa al Giro del Veneto…

18.11.2024
4 min
Salva

Non è facile, per chi ha trascorso questa stagione sull’ammiraglia della UAE Emirates, individuare una vera occasione mancata. Pogacar e compagni hanno praticamente vinto tutto. Eppure, quando si cerca la perfezione, qualche dettaglio viene sempre fuori. A raccontarcelo è Fabio Baldato, uno dei direttori sportivi del team emiratino.

Tutto è accaduto nelle ultimissime gare della stagione, soprattutto al Giro del Veneto, ma in parte anche alla Veneto Classic, quando Baldato e la sua squadra si sono ritrovati a dover affrontare un gruppo che remava contro. Ecco come sono andate le cose, direttamente dalla voce di Baldato.

Fabio Baldato è uno dei direttori sportivi della UAE Emirates
Fabio, sappiamo che stiamo cercando il pelo nell’uovo, ma hai definito il Giro del Veneto un’“occasione mancata”. Con voi le virgolette sono d’obbligo!
Fabio Baldato è uno dei direttori sportivi della UAE Emirates

Esatto, il Giro del Veneto. Ogni volta ti fai un’idea prima del via: guardi i partenti, analizzi i favoriti. Quella mattina ce n’erano tre o quattro che spiccavano, su tutti Kaden Groves, della Alpecin-Deceuninck, e Corbin Strong, della  Israel-Premier Tech. Da lì inizi a capire chi potrebbe muoversi in corsa e chi attenderà. Noi eravamo la UAE Emirates, con oltre 80 vittorie all’attivo e Hirschi in gara, che era tra i favoriti, anche se giustamente in calo dopo un’estate così intensa.

E non era solo lui il vostro uomo di punta…

Esatto, c’erano anche Ulissi e Vine. Ma era una corsa adatta a un passista veloce, molto veloce. Il dislivello complessivo era di 1.800-1.900 metri. Per farla breve, decidiamo di tenere d’occhio soprattutto Israel e Alpecin. Parte una fuga, ma nessuno si muove. Allora ci mettiamo a tirare. Avevamo Giaimi, un giovane della nostra development, che ha fatto un ottimo lavoro. Ad un certo punto mi avvicino alla macchina della Israel e chiedo di collaborare, ma loro rispondono: «Vincete voi, fate tutto voi». Che fare? Se lasciavamo andare la fuga, prendeva 15 minuti e la corsa era persa.

Chiaro…

Soprattutto considerando che è una corsa a cui tengo molto, da buon veneto. Quindi controlliamo la situazione, e nel finale ci provano sia Ulissi sia Vine per rendere la gara dura. Ma il percorso non era abbastanza selettivo: alla fine è arrivato un drappello di una trentina di corridori. Noi, avendo speso più energie degli altri, ci siamo dovuti accontentare di un quinto posto con Hirschi. Tornando indietro, forse non mi metterei a controllare la corsa. È una situazione che ci è capitata più volte a fine stagione, anche quando non avevamo il favorito numero uno.

Israel guardinga e alla fine Strong si porta a casa la corsa
Israel guardinga e alla fine Strong si porta a casa la corsa
Perché?

Proprio perché quest’anno abbiamo vinto di tutto e di più. Ci siamo trovati spesso nella posizione in cui, se non tiravamo noi, la corsa andava alla fuga. Al Giro del Veneto ero io a dirigere con il supporto di Marcato. Una dinamica simile si è ripetuta alla Veneto Classic, diretta invece da Marcato con il mio supporto.

E com’è andata lì?

Alla Veneto Classic è arrivata la fuga da lontano. Certo, c’erano corridori di livello, ma anche noi abbiamo iniziato a controllare più tardi. Le altre squadre ci aspettavano, e c’è stata una lunga fase di attesa e gioco tattico, in particolare con la Groupama-FDJ, che poi è arrivata seconda con Gregoire. Anche in quel caso ci siamo ritrovati a tirare, pur non avendo i favoriti principali. Ulissi, il nostro regista, aveva capito subito l’importanza di quella fuga e ci aveva consultati in ammiraglia, ma alla fine abbiamo atteso oltre 100 chilometri prima di entrare in azione.

Ci sta…

Sì, lo farei anch’io se fossi dall’altra parte. Dopo una stagione simile, capisco gli altri. Con il diesse della Israel ci siamo fatti una risata alla fine del Giro del Veneto. E non avevamo nemmeno pressioni enormi… fino a un certo punto.

Baldato si scopre e mette Giaimi a tirare prima che Ulissi e compagni entrino in gioco (come nella foto di apertura)
Baldato si scopre e mette Giaimi a tirare prima che Ulissi e compagni entrino in gioco (come nella foto di apertura)
In che senso?

Ad inizio anno ci eravamo posti l’obiettivo di alzare l’asticella: essere la migliore squadra al mondo, fare punti. Dopo il Tour era chiaro che avremmo vinto la classifica UCI, ma a quel punto volevamo anche battere il record di vittorie in un anno: 84, stabilito dal Team Columbia HTC nel 2009. Tra Cavendish, Boasson Hagen e altri velocisti, vinsero 84 corse. Noi ci siamo fermati a 81.

È anche una questione di stimoli, però. Bello così, no?

Quando sei lì, ci tieni a battere i record. La cosa bella è che gli stimoli sono rimasti alti fino alla fine. Merito anche di Matxin, che sa valorizzare tutti. E poi, quando hai leader come Pogacar o Hirschi, sai che il lavoro di squadra può finalizzare qualcosa di grande. Io ricordo una Sanremo in cui, lavorando per Petacchi, iniziai a tirare prima della Cipressa e riuscii a farlo fino al Poggio. Probabilmente, se avessi corso per me stesso, mi sarei staccato molto prima. Si innesca un meccanismo di autofiducia che fa rendere al massimo.

NEGLI ARTICOLI PRECEDENTI

L’occasione mancata: Cozzi, la Tudor e il Giro d’Abruzzo

L’occasione mancata: Zanatta e la fuga di Pietrobon a Lucca

L’occasione mancata: quando Zanini ha fermato l’ammiraglia

L’occasione mancata: quando Zanini ha fermato l’ammiraglia

17.11.2024
4 min
Salva

Continuiamo la nostra serie di racconti sulle occasioni perse, sugli errori tattici o, come in questo caso, su eventi quasi impossibili. Stavolta il protagonista è Stefano Zanini, per tutti Zazà. Il direttore sportivo dell’Astana-Qazaqstan, riflettendo, non punta il dito su una tappa o una corsa in cui si sia veramente mangiato le mani, ma su un ricordo legato alla pura sfortuna.

«Vi parlo di quella volta in cui ho dovuto ritirare l’ammiraglia al Giro delle Fiandre», racconta Zanini. Questa è una di quelle storie invisibili, sommerse dal frastuono della corsa dietro ai vincitori, agli sconfitti, alle dinamiche tattiche. Ma è una storia di ciclismo puro. Quel giorno eravamo ad aprile scorso, nessun corridore dell’Astana-Qazaqstan tagliò il traguardo di Oudenaarde.

Da ormai 12 anni, Stefano Zanini è sull’ammiraglia dell’Astana
Da ormai 12 anni, Stefano Zanini è sull’ammiraglia dell’Astana
Stefano, ci dicevi del ritiro dell’ammiraglia. Raccontaci…

Il Giro delle Fiandre per me rimane una delle gare più belle, insieme alla Milano-Sanremo. Perciò, le aspettative sono sempre molto alte, anche se sai già che magari non puoi giocartela per il podio. Tuttavia, puoi fare un’ottima corsa con i tuoi ragazzi, c’è sempre una speranza in più, specialmente in Belgio, dove le gare possono cambiare fino all’ultimo. Ma quell’anno siamo stati veramente sfortunatissimi.

Cosa è successo?

Attorno al chilometro 190, ora non ricordo con precisione, è caduto Cees Bol, l’ultimo dei nostri atleti in gara. Si è agganciato con uno dei tanti spettatori a bordo strada. Cees è ripartito, ma aveva preso una bella botta. Ha rincorso e ha tenuto duro, ma ormai era fuori dai giochi. A quel punto insistere era inutile: abbiamo pensato alle gare successive. Però certo, non terminare il Fiandre…

È stata una bella botta al morale…

Eh, un bel po’. Al morale sì, perché anche i ragazzi volevano fare una buona gara. Solo che sai, quando la sfortuna ci si mette, quelle gare lì sono sempre difficili da interpretare. Non avevamo più nessun corridore in gara: tra chi si era staccato, chi era caduto e chi aveva avuto problemi meccanici, eravamo fuori. E la sfortuna già ci attanagliava, visto che avevamo faticato per mettere insieme la formazione per il Fiandre. Avevamo gli uomini contati.

Il Fiandre di Zanini e dei suoi non era iniziato bene visto che la squadra aveva gli uomini contati (foto Instagram)
Il Fiandre di Zanini e dei suoi non era iniziato bene visto che la squadra aveva gli uomini contati (foto Instagram)
Chi si era fermato prima di Bol?

L’ordine dei ritiri di preciso non lo ricordo, ma l’altro atleta che era rimasto in gara era Fedorov. Quel giorno oltre a Bool e Fedorov, avevamo schierato Gidich, Gruzdev, Syritsa, Morkov e Selig. Alcuni non erano al top e si sa quanto siano dure certe gare. Ma Bol, fino a quel momento, circa 60 chilometri dall’arrivo, era nel gruppetto che poi ha fatto la corsa.

Cosa vi siete detti quella sera dopo la gara?

Molto poco, sul bus. Poi la sera abbiamo riflettuto: contro la sfortuna si può fare poco, ma non dovevamo abbatterci. Dovevamo reagire subito. Chiaro, un’analisi di cosa non aveva funzionato l’abbiamo fatta, ma in quel momento serviva soprattutto tenere alto il morale. Certo, l’umore fa fatica a risalire: hai comunque delle aspettative per certe gare. Alla fine, però, ci siamo ripresi bene. Qualche giorno dopo, infatti, Bol ha chiuso quarto alla Scheldeprijs, dietro a corridori come Merlier, Philipsen e Groenewegen.

Bella come sempre la cornice di pubblico fiamminga, ma Bol è stato messo ko proprio da un tifoso
Bella come sempre la cornice di pubblico fiamminga, ma Bol è stato messo ko proprio da un tifoso
Ti era mai capitato di ritirare l’ammiraglia?

Sì, mi era capitato all’inizio della mia carriera da direttore sportivo con la Fuji-Servetto TMC, la squadra di Giannetti, nel 2009.

Come è stato il momento del ritiro?

In pratica, prima del secondo passaggio sull’Oude Qwaremont, ho tirato dritto verso il bus, sono uscito dal percorso.

Cosa hai detto? Cosa ti passava per la testa?

Cosa ho detto è meglio non ripeterlo! Per il resto, tanta delusione. Per radio, tanto silenzio. Anche in ammiraglia, dove con me c’era il meccanico, Morris Possoni.

NEGLI ARTICOLI PRECEDENTI

L’occasione mancata: Cozzi, la Tudor e il Giro d’Abruzzo

L’occasione mancata: Zanatta e la fuga di Pietrobon a Lucca

Colladon approda tra i pro’, dopo un anno da zingaro

17.11.2024
5 min
Salva

Tra gli italiani che hanno fatto il grande salto fra i professionisti c’è anche un ragazzo romano del quale si è sentito parlare molto poco. E la ragione è molto semplice: Jacopo Colladon ha svolto tutta la sua attività del 2024 all’estero, viaggiando molto, facendo capo per la prima parte di stagione in America e nella seconda nelle trasferte nell’Europa dell’Est.

Colladon è da anni uno dei componenti dell’universo della Novo Nordisk, la formazione americana che attraverso la sua attività svolge anche una vasta opera d’informazione legata alla patologia diabetica degli sportivi. Quest’anno Colladon, 21 anni, approda alla formazione professional, pronto a un nuovo salto di qualità, un traguardo che allo stesso tempo è anche un punto di partenza.

Colladon in allenamento al primo camp di gennaio. Per il romano quest’anno 36 giorni di gara
Colladon in allenamento al primo camp di gennaio. Per il romano quest’anno 36 giorni di gara

Gli inizi sul Lago di Albano

«Ho iniziato con la bici abbastanza tardi, a 10 anni – racconta con il suo tipico accento romano – all’inizio con la mountain bike perché adoravo pedalare dalle mie parti. Nella zona del Lago di Albano ci sono molti percorsi davvero divertenti e io ne approfittavo anche perché inizialmente non avevo ambizioni agonistiche, mi piaceva semplicemente divertirmi. Una volta però in una caduta mi sono rotto un polso e non potendo sopportare i sussulti della mtb, ho fatto a cambio con una bici da strada. Mi sono appassionato a tal punto da non lasciarla più…

«Ho iniziato a gareggiare da secondo anno allievo, prima con la Ss Lazio Ciclismo, poi da junior con il Team Coratti. Intanto però erano iniziate le selezioni per approdare alla Novo Nordisk e potendo ho aderito. Il processo è abbastanza complicato: c’è una prima selezione fra giugno e luglio che coinvolge ciclisti di tutto il mondo e dalla quale emergono 100 nomi. Una seconda selezione, effettuata attraverso test da fare a casa sui rulli, porta a 25 atleti, la terza e decisiva si è svolta in Normandia e ha premiato 4 atleti: io ero fra questi».

Jacopo al Tour of Rhodes. Il laziale era l’unico italiano nel devo team della Novo Nordisk (@nassostphoto)
Jacopo al Tour of Rhodes. Il laziale era l’unico italiano nel devo team della Novo Nordisk (@nassostphoto)

Sull’orlo del baratro e ritorno

Eppure l’inizio dell’avventura nel team nordamericano non è stato proprio dei migliori: «Durante la prima stagione sono caduto rovinosamente frantumandomi la clavicola. Uso questo verbo appositamente perché si era rotta in 4 punti e inizialmente si pensava che non si potesse aggiustare, che dovessero mettermi una protesi e quindi addio sogni ciclistici. Poi ho trovato un chirurgo bravissimo che invece è riuscito nel miracolo. Sono stato fermo 4 mesi, poi ho ripreso, ma nel frattempo avevo dovuto lasciare il team, correndo per la Linea Oro Bike Avezzano, una formazione più legata alla mountain bike. Alla fine dell’anno scorso però mi hanno ricontattato dalla Novo Nordisk, non mi avevano perso di vista, così sono tornato con loro».

La stagione di Colladon si è svolta tutta all’estero, dove faceva capo? «Diciamo che ho vissuto un’annata da zingaro, in totale sarò stato a casa 4 mesi, ma divisi in piccoli pezzi. Basti pensare che nella prima metà dell’anno ho fatto una trasferta in Grecia per il Tour of Rhodes, poi sono partito per gli Usa per un mese e mezzo, sono tornato a casa e dopo una settimana di nuovo sull’aereo verso l’America.

Davanti all’immensità del Grand Canyon. Il viaggio americano gli ha regalato grandi emozioni
Davanti all’immensità del Grand Canyon. Il viaggio americano gli ha regalato grandi emozioni

Gli Usa, poi il giro d’Europa

«La seconda trasferta a stelle e strisce sarebbe anche durata di più, ma ho preso una botta al ginocchio e sono tornato a casa per il periodo più lungo, nel quale sono stato anche a Livigno per riprendermi dall’infortunio e fare un periodo in altura. Nella seconda parte erano tutte gare a tappe con percorsi non adatti a me, tra Polonia, Austria, Bulgaria, ma almeno ho potuto dare una mano alla squadra».

Al di là dei risultati ottenuti, Colladon ha vissuto un’esperienza piuttosto originale gareggiando in gare americane solitamente non battute dai corridori del Vecchio Continente, guardandole con gli occhi di un ciclismo più legato a vecchi schemi: «Alcune corse cambiano abbastanza poco, ma molte sono organizzate in maniera diversa. In America prediligono i criterium, perché attirano più gente ad assistere. Sono gare su circuiti cittadini risicatissimi, basti pensare che a Washington ho gareggiato in una prova di 100 chilometri su un circuito di un chilometro con 7 curve… A me non piacciono, sembra di stare dentro a un frullatore anche perché sono giri stretti, dove si rischiano molte cadute. La particolarità è anche che hanno premi molto alti perché ci sono un sacco di sponsor».

Il laziale impegnato in un criterium americano. Una formula di gara spettacolare ma poco adatta agli europei
Il laziale impegnato in un criterium americano. Una formula di gara spettacolare ma poco adatta agli europei

Più la gara è dura, meglio è…

C’è però anche un rovescio della medaglia: «Ho avuto davvero l’opportunità di conoscere varie anime dell’America. E’ stato bellissimo gareggiare in California come in Arizona, ai 2.200 metri di Flagstaff, un posto neanche tanto grande che è completamente immerso nella natura. E’ davvero un premio per l’attività che faccio poter vedere così tanti posti».

Tornando all’aspetto tecnico, che corridore è Colladon? «Io mi definirei un passista che va anche abbastanza bene in salita, considerando che sono alto 1,84 e che ho sempre un certo peso da portare su. Non posso neanche dimagrire troppo perché ho visto che non funziona. Io mi trovo bene nelle corse dure, anche perché non sono per nulla veloce, ma più la gara è aspra, più vado bene e riesco a farmi vedere quando altri cedono alla stanchezza».

La Novo Nordisk ha fatto firmare a Colladon un biennale, puntando su di lui come uomo squadra
La Novo Nordisk ha fatto firmare a Colladon un biennale, puntando su di lui come uomo squadra

Tutto per la squadra

La promozione nella squadra principale è arrivata a sorpresa? «Mi avevano detto già a inizio stagione che sarebbe avvenuto, ma finché non ne hai la certezza, finché non metti quella benedetta firma sul contratto di sicuro non c’è nulla. Ora il mio obiettivo è poter lavorare al meglio per la squadra, ovunque mi vorranno. So che il livello si alzerà ma mi farò trovare pronto, puntando magari a emergere nelle corse a tappe con un occhio speciale alle classifiche per i più giovani».

Alzini a cuore aperto. Volta pagina e riparte con nuovi stimoli

17.11.2024
8 min
Salva

Aveva bisogno di respirare aria nuova. Martina Alzini aveva bisogno di ricaricare completamente le batterie psicofisiche per ritrovarsi. Manca poco alla fine del 2024, ma la 27enne velocista della Cofidis ha già iniziato a mettersi alle spalle una stagione che lei stessa definisce “distruttiva”.

Ce lo dice a malincuore dopo qualche botta e risposta, tirando tuttavia un sospiro di sollievo sapendo che è iniziata la discesa dopo un’ardua salita. Perché Alzini anche davanti alle difficoltà che più la colpiscono nel profondo non perde l’occasione per sdrammatizzare o sapersi fare forza con un sorriso. D’altronde non è semplice per un’atleta di alto livello svelare gli intoppi che la limitano dentro e fuori le gare, ma il saper “farsene una ragione in fretta” è una virtù che appartiene a pochi. L’Olimpiade le è costata molto, forse troppo, però Martina ne esce con ulteriori convinzioni e insegnamenti che valgono come medaglie. E la ringraziamo una volta di più per essersi aperta con noi.

Buon umore

Dicevamo, un motivo per sorridere Alzini lo ha sempre trovato, anche grazie a situazioni curiose. Quando qualche settimana fa scopre di essere diventata una “cover girl” su un sito generalista di sport che tratta pochissimo il ciclismo, appare confusa: «Non capisco se sia importante o meno, anche se mi fa piacere e forse serve anche questo per il nostro sport». Oppure durante la vacanza a Sharm El Sheikh con le sue amiche-compagne di sempre Guazzini, Consonni e Vece.

«Nel nostro resort – racconta divertita Martina – c’era un centro SPA ed un giorno decidiamo di concederci una seduta di massaggi. Ci accomodiamo nella stanza, entrano due ragazze egiziane per i trattamenti ed una delle due riconosce subito Vittoria (Guazzini, ndr). L’aveva riconosciuta dai riccioli e sapeva benissimo che era una campionessa olimpica del ciclismo in pista. Poi questa ragazza ha messo a fuoco anche noi tre. E’ stata una scena bellissima, dove ci siamo messe tutte a ridere come pazze. In quel momento ho pensato alla potenza comunicativa dell’Olimpiade. Questo viaggio e la loro compagnia mi hanno aiutata molto da punto di vista morale».

Adesso Martina cosa stai facendo?

Sono ancora in una fase post-vacanza, quindi molto tranquilla. Farò tutto novembre a casa a Calvagese col mio gatto Olly. Quest’inverno non ho gli europei in pista da preparare come l’anno scorso che erano a gennaio, anche se poi spero di fare quelli del prossimo febbraio. Ho ricominciato a pedalare da qualche giorno, andando anche in palestra. Dal 5 dicembre mi troverò con la squadra. Il giorno successivo avremo la presentazione a Lille, poi faremo gli incontri con gli sponsor e infine ci trasferiremo a Denia per il ritiro. Rimarremo in Spagna fino al 19 dicembre dove faremo anche alcuni test. Il ciclismo femminile ogni anno diventa sempre più esigente e già lì si gettano le basi per la stagione.

Perché invece il 2024 è stato distruttivo?

Ho chiuso l’annata male di testa ed esausta fisicamente. Sento di essermi trascinata. Fino al 6 agosto ho avuto in mente solo di andare a Parigi. Avevo la pressione di prepararmi a dovere per quell’appuntamento e ho sempre cercato di fare il massimo durante l’avvicinamento. Poi sono state fatte delle scelte da parte del cittì, ma non ne voglio più parlare perché bisogna guardare oltre. Dopo l’Olimpiade ho avuto tante emozioni che non ho saputo gestire.

E come hai risolto questa situazione?

Ho cominciato a farmi seguire da uno psicologo che è fuori dal mondo del ciclismo e che ho trovato vicino a casa attraverso mie conoscenze in accordo con la Cofidis. Non mi vergogno a dirlo perché vorrei essere di aiuto o esempio anche per altri ragazzi che corrono in bici. Non bisogna mai arrivare al punto di stare male per iniziare a farsi seguire. Io non me ne rendevo conto lì per lì, ma dovevo fare qualcosa.

Ora come va?

Decisamente bene. Da quando ho chiuso l’attività ho visto tanti cambiamenti e miglioramenti. Ho notato subito un cambio di mentalità. Sono molto più serena. Adesso nel mio percorso guardo avanti un passo alla volta senza inutili pressioni. Non fisso obiettivi a medio o lungo termine perché al momento serve di più raggiungere bene quelli a breve termine. Ma c’è stato un momento in cui mi sarei avvelenata se mi fossi morsicata la lingua da tanto ero al limite (dice ridendo, ndr).

C’erano motivi in particolare?

A parte le battute, era tutta una questione di stress. Innanzitutto mi ha fatto rabbia sentire sempre dire che ormai da noi donne si aspettano di più solo perché siamo pagate bene o che prendiamo stipendi come gli uomini. Per la serie, avete voluto la parità di trattamento e allora dovete fare di più come i maschi. La gente però non considera a fondo che nel ciclismo femminile sono aumentate le ore di gara, le corse stesse e soprattutto le pressioni. Forse anche più che nel maschile. Poi c’era anche un’altra questione che condizionava me e che mi incontrava.

Per caso c’entra il fatto che sei a casa da sola col gatto?

Diciamo di sì (risponde col suo solito sorriso, ndr). Non sono una ragazza a cui piace sventolare ai quattro venti certe questioni ed infatti a molta gente rispondevo come non fosse cambiato nulla, però la realtà adesso è un’altra. Dopo Parigi, Ben ed io (riferendosi al suo compagno Thomas, ndr) abbiamo deciso di separarci. Siamo rimasti in buonissimi rapporti, non si possono cancellare questi anni assieme, ma ci siamo trovati entrambi ad anteporre la carriera alla nostra relazione. Sono cose che capitano tra sportivi che puntano entrambi a grandi traguardi, forse il più alto. Poi qualcuno dirà che lui ha vinto l’oro olimpico ed io invece sono stata esclusa all’ultimo, ma non siamo tutti uguali. Non tutti i contesti sono identici, soprattutto nello sport dove succede spesso che puoi perdere.

“Mamma Marti”. Alzini per la 19enne Bego è diventata un riferimento a cui chiedere consigli su e giù dalla bici
“Mamma Marti”. Alzini per la 19enne Bego è diventata un riferimento a cui chiedere consigli su e giù dalla bici
La ritieni una sconfitta questa cosa?

No, la ritengo un insegnamento. Dopo l’Olimpiade, considerando che avevo fatto anche quella di Tokyo, ho capito cosa non vorrei più fare per preparare certe gare. Ad esempio sacrificare la mia vita, perché nonostante tutto, la vita va avanti. Anche il fatto di parlare un pochino più serenamente rispetto a prima di questa novità mi rende più leggera, anche se mi costa. Sicuramente tolgo certi imbarazzi. Ho capito che noi atleti possiamo parlare di tutto, non solo delle cose belle o che ci vanno bene. Possiamo parlare anche delle circostanze più avverse in modo discreto e comunque con persone che conosciamo meglio o di cui ci fidiamo.

Possiamo dire quindi che il 2025 sarà la stagione della rinascita di Martina Alzini?

Direi che sarà una stagione piena di motivazioni in un ambiente che conosco bene e in cui sto bene. Sono contenta di aver rinnovato con Cofidis, che ringrazio per essermi stata molto vicina durante l’annata, dandomi la possibilità di curare la pista per Parigi. Così come l’Esercito. Ho capito che non sono un numero per loro e che credono in me. Anzi, penso che col mio modo di fare, cercando di dire le cose con onestà rispettando il lavoro di tutti, mi sia ritagliata un ulteriore ruolo all’interno della Cofidis. E ne sono felice.

Ancora non si sa se nel 2025 la Cofidis prenderà la licenza Professional (foto Face to Face Richez)
Ancora non si sa se nel 2025 la Cofidis prenderà la licenza Professional (foto Face to Face Richez)
Quale in particolare?

Quest’anno mi sono molto legata a Julie Bego, che è il talento della squadra ed ha rinnovato fino al 2027. Lei ha 19 anni e mi chiama “mamma Marti” perché le ho dato tanti consigli e supporto su e giù dalla bici. Durante il Giro Women alla sera veniva spesso a chiedermi come aveva corso o cosa doveva fare per essere più attenta. Io non sarò la ciclista più forte del pianeta, ma questo tipo di rapporto con una compagna di squadra mi appaga e mi fa piacere. Poi certo, resto sempre pronta a sprintare nelle gare più adatte a me.

Glivar nel WorldTour, ma con la Alpecin: «Cerco i giusti spazi»

17.11.2024
5 min
Salva

Tra i corridori che nel 2025 cambieranno squadra c’è anche Gal Glivar (in apertura foto DirectVelo/Nicolas Mabyle), lo sloveno arrivato quasi da sconosciuto nel devo team del UAE Team Emirates e che dopo una sola stagione ha già dovuto cambiare il proprio destino. Quello di Glivar è uno spunto interessante per continuare il discorso fatto sui giovani del UAE Team Emirates e lo spazio che possono trovare all’interno di una rosa estremamente competitiva. 

Se gli scout hanno evidenziato il talento del giovane sloveno un motivo ci sarà stato, vederlo andare via dopo un solo anno lascia un senso di incompiuto. Come se qualcosa di già scritto poi fosse stato improvvisamente cancellato. Non è detto che tutti i corridori dei team di sviluppo andranno a rimpolpare gli organici della prima squadra, questo è un dato di fatto sul quale si potrebbe (o si dovrebbe) aprire un altro discorso. 

Glivar lascerà il mondo UAE dopo appena una stagione nel devo team (foto DirectVelo/Nicolas Mabyle)
Glivar lascerà il mondo UAE dopo appena una stagione nel devo team (foto DirectVelo/Nicolas Mabyle)

Sempre WorldTour

Tuttavia vedere andare via un corridore come Glivar, per lo più in un team rivale come la Alpecin-Deceuninck, fa capire che a volte il rischio di intasare il sistema sia abbastanza concreto. Così il team di Van Der Poel e Philipsen ringrazia e senza troppi sforzi coglie i frutti del lavoro di qualcun altro. 

«In attesa di ripartire con la nuova stagione – spiega Glivar – sono a casa mia, in Slovenia. Sono andato cinque giorni a Mallorca in vacanza e per il resto del tempo sono rimasto qui. Da poco ho anche iniziato a pedalare e fare i primi allenamenti tra palestra e bici. A volte inserisco qualche sessione di corsa, giusto per riattivare il fisico. Sarò nell’ordine delle 13-14 ore di allenamento a settimana, non di più. Al momento non serve accelerare troppo.

«Con la Alpecin – dice – faremo il primo ritiro tra poco, sono molto contento di iniziare. Entrare nel mondo WorldTour è un sogno che si avvera, un obiettivo che avevo e sono riuscito a raggiungere».

Glivar a inizio 2024 ha corso e vinto il Tour of Sharjah, gara classificata 2.2
Glivar a inizio 2024 ha corso e vinto il Tour of Sharjah, gara classificata 2.2
Qual è il motivo che ti ha portato lontano dalla UAE?

E’ molto semplice, in realtà. Non eravamo sulla stessa lunghezza di pensiero a causa del contratto, non tanto per una condizione economica, quanto per le occasioni di correre e migliorare. Da quando ho intuito che difficilmente sarei andato avanti con loro, ho iniziato a cercare altri team. La Alpecin si è fatta avanti e la cosa è andata in porto subito. 

Secondo te mancava qualcosa per continuare con la formazione emiratina?

Ero al mio ultimo anno nel devo team visto che sono un classe 2002 e quindi dal 2025 non sarò più under 23. Continuare con la formazione di sviluppo non era un’opzione. Probabilmente sono mancati i risultati nelle corse importanti, vincere ti dà modo di avere maggiore confidenza e fiducia. 

Al Lombardia U23 l’ultimo podio di stagione, terzo dietro Rolland e Savino (foto Facebook)
Al Lombardia U23 l’ultimo podio di stagione, terzo dietro Rolland e Savino (foto Facebook)
Qualcosa poteva essere fatto meglio in questo 2024?

Tutto può essere migliorato con il senno di poi. Ho collezionato tanti secondi e terzi posti, l’ultimo dei quali al Giro di Lombardia U23. In certe gare avrei potuto rischiare qualcosa in più per cercare la vittoria, ma alla fine ho ottenuto un totale di 10 podi in stagione. La gara che mi ha sorpreso di più, in positivo, è stato proprio il Lombardia U23. Il percorso era difficile e movimentato, con tante salite, ma stavo bene e il terzo posto finale è un grande risultato. 

Glivar è stato uno dei protagonisti della primavera italiana degli U23, qui trionfa al Belvedere (photors.it)
Glivar è stato uno dei protagonisti della primavera italiana degli U23, qui trionfa al Belvedere (photors.it)
Quest’anno hai corso comunque con i professionisti, come ti sei visto in quel tipo di gare?

E’ stato bello correre con la maglia della UAE e supportare i miei compagni di squadra. Dare il massimo per cercare poi di vincere la gara è qualcosa di speciale e bello, soprattutto nel WorldTour. Mi sono sempre messo a disposizione, difficilmente ho avuto spazio per correre in prima battuta. 

Pensi che il livello sia giusto per te?

SIcuramente ci sono i corridori più forti al mondo, ma sarò felice di scontrarmi con loro e crescere. L’inizio di stagione sarà più morbido, con gare non troppo impegnative per prendere le misure. Per il tipo di corridore che sono ci saranno delle buone occasioni e penso che saprò coglierle al meglio, anche perché in Alpecin ci sarà maggior spazio.

Lo sloveno ha già corso tra i professionisti, eccolo alle spalle di Bax alla Milano-Torino
Lo sloveno ha già corso tra i professionisti, eccolo alle spalle di Bax alla Milano-Torino
E che tipo di corridore sei?

Un puncheur, vado forte nelle corse mosse e con salite brevi ed esplosive. In più ho un buono spunto veloce negli sprint, soprattutto se ristretti. Se dovessi paragonarmi a qualcuno direi che somiglio, per caratteristiche, a Tom Pidcock. 

Che cosa ti ha spinto verso la Alpecin?

Penso che sia un team veramente dedicato a un certo tipo di corse, con due o tre corridori sopra gli altri: Van Der Poel, Philipsen e Groves. Però d’altro canto non ci sono tante superstar e quindi per noi giovani c’è il giusto spazio per crescere e avere le nostre occasioni. La UAE mi ha dato tanto, con il mio allenatore Giacomo Notari ho instaurato un grande rapporto. Mi dispiace lasciarlo, ma a volte il ciclismo funziona così. 

Un obiettivo per il 2025?

Provare a vincere la mia prima corsa da professionista.

Cataldo, una firma e riparte tutto dall’Astana

16.11.2024
5 min
Salva

Quando leggiamo il comunicato per cui Dario Cataldo sarà uno dei prossimi direttori sportivi della Astana, l’abruzzese è ancora in vacanza nelle Filippine. E’ rimasto in Oriente dopo il Criterium di Singapore e tornerà in Italia il 21 novembre, ma intanto qualcosa ci racconta con la promessa di non rubargli più di cinque minuti, che alla fine diventeranno dieci. E poi ancora buone vacanze…

La voce parla di una nuova emozione. Un video che ci ha mandato mostra il traffico polveroso e vivace del posto. Scherziamo sul bisogno di vacanze e sui modi alternativi di staccare un po’ la spina, compreso il cogliere le olive.

Cataldo rimarrà in vacanza fino al 21 novembre. Qui a Singapore dopo il Criterium
Cataldo rimarrà in vacanza fino al 21 novembre. Qui a Singapore dopo il Criterium
Quanto tempo fa è venuta fuori questa proposta della Astana?

Come sapete, con loro ho sempre avuto ottimi rapporti, sono rimasto in contatto. Mi sentivo spesso con Mazzoleni e lui sapeva che avrei smesso. Quindi appena stava per finire la stagione, abbiamo iniziato a parlare in modo un po’ più concreto. Nel frattempo valutavo anche altre opzioni, ma questa era già quasi sul tavolo a prescindere, nel senso che dipendeva dalle situazioni. Non era scontato che loro ne avessero bisogno, però sapevano che io ero libero e a disposizione. Quindi nel momento in cui ho deciso di fare il corso UCI da direttore sportivo, ne abbiamo parlato e poi le cose sono andate avanti.

Con chi altri stavi parlando?

Con Guercilena per capire quali potevano essere le prospettive alla Lidl-Trek. E’ una decisione molto fresca. Al Lombardia avevo parlato ancora con Luca e in quei giorni avevo sentito anche qualche altra squadra, il giorno che ho smesso di correre non sapevo ancora che cosa avrei fatto. Invece dopo qualche settimana la possibilità ha iniziato a concretizzarsi e si è presa la decisione questa settimana.

Inizialmente avevi parlato di fare il procuratore: quando ha virato verso l’ammiraglia?

L’idea del procuratore mi ha sempre attirato, mi piace, solo che bisogna partire con calma e poi farsi strada. Non avendo corridoi con cui partire, avrei dovuto fare comunque qualcosa di alternativo mentre mi costruivo un nome e l’esperienza che servono. Però fare le cose a metà non mi attira tanto, quindi a quel punto ho preferito farne una sola e fatta bene. Sul fatto di diventare direttore sportivo, quando avevo 18 anni ho iniziato a fare Scienze motorie proprio per questo. Ho iniziato il terzo anno da U23 che avevo già il terzo livello. E poi mio padre è un direttore sportivo, diciamo che è una cosa di famiglia.

Cataldo ha continuato a sentirsi con Mazzoleni (a sinistra), ma rispetto ai suoi anni, non troverà più Martinelli
Cataldo ha continuato a sentirsi con Mazzoleni (a sinistra), ma rispetto ai suoi anni, non troverà più Martinelli
Si dice che il corridore che ha appena smesso può essere un grande direttore sportivo: pensi che aver corso fino a un mese fa sarà un valore aggiunto?

Sicuramente, perché il ciclismo è cambiato talmente tanto, che è molto difficile da interpretare se uno non ha vissuto questi cambiamenti da molto da vicino. E’ difficile anche comunicare con i corridori. Quando devi spiegare qualcosa, fai molta fatica e vedo che chi non è dentro da un po’ non riesce a comprendere. Quindi riuscire a comunicare con i corridori sapendo com’è la situazione in gruppo in questo momento è un vantaggio.

Sei stato in Astana, hai vissuto le vittorie di Fabio Aru e quelle di Nibali. Sarà una squadra diversa perché Martinelli non c’è più e arrivano nuovi direttori sportivi. Che squadra trovi secondo te?

Una squadra che ha delle radici come quelle che ho lasciato, ma che sta affrontando una grossa evoluzione. Ha avuto tanti corridori da corse a tappe e adesso ha completamente rivoluzionato il suo modo di correre. Sono passati ai velocisti e alle classiche e hanno inserito tanti corridori e tanti membri dello staff molto in gamba per questo genere di corse. Finalmente Zazà (Stefano Zanini, ndr) si trova con un bel gruppo per il suo terreno del Nord. Quindi è una squadra strutturata in un modo molto diverso, che quest’anno si è rinforzata tantissimo. Non solo Bettiol, che per le classiche forma un bel gruppo assieme a Ballerini e Teunissen, ma è arrivato anche Ulissi. Ci sono corridori che possono dire la loro anche nelle classiche più dure.

Cataldo è passato nel gruppo Trek sin dal 2022: dopo la Astana, un passaggio alla Movistar
Cataldo è passato nel gruppo Trek sin dal 2022: dopo la Astana, un passaggio alla Movistar
Il fatto che sia così pieno di italiani ti ha aiutato a scegliere o non c’entra niente?

No, non ha influito. E’ una squadra molto internazionale e lo è diventata ancora di più, quindi sicuramente mi trovo a mio agio. E’ un ambiente che conosco, se ci penso mi sembra di esserne uscito ieri e di essere io ad accogliere i nuovi direttori, quando in realtà dovrò fare una vera gavetta. Certo non sarà come entrare in una squadra di cui non conosci nulla, ma in ogni caso mi dovrò porre in un modo molto diverso con i corridori. Il rapporto rimane comunque molto stretto, ma ora mi trovo dall’altra parte e non dovrò gestire solo le situazioni di gara, ma anche tutto il resto. Il mio rapporto con gli altri direttori sportivi da cui avrò certamente tanto da imparare. Per cui andrò al primo ritiro con qualche sicurezza, ma anche la consapevolezza di dover imparare tutto.

Chi porta più punti? I numero uno di ogni team

16.11.2024
5 min
Salva

Con la stagione conclusa e con la possibilità di analizzare i risultati a mente più fredda, è ora più chiaro il quadro delle varie classifiche dei punteggi UCI, sia per team che per singoli atleti. È ormai noto che Tadej Pogacar e la UAE Emirates hanno letteralmente sbaragliato la concorrenza, persino doppiando i secondi classificati in termini di punti e successi. Pensate: ben 81 corse vinte per la squadra di Mauro Gianetti. Tuttavia, man mano che si scende in graduatoria, le classifiche raccontano una storia diversa.

Questi dati ci aiutano a comprendere perché, in un’epoca in cui i punti UCI sono fondamentali per i contratti e, addirittura, per ottenere la possibilità di partecipare ai grandi Giri (i primi 40 quest’anno e i primi 30 dal prossimo anno), alcuni atleti godano di un certo appeal per i team. Di conseguenza, questi atleti diventano molto ricercati sul mercato.

Pogacar chiaramente è il numero uno anche per quel che concerne i punti UCI
Pogacar chiaramente è il numero uno anche per quel che concerne i punti UCI

Da Pogacar a Fortunato

Un caso emblematico è stato il trasferimento di Vincenzo Albanese alla EF EasyPost. Dopo appena un anno all’Arkea-B&B Hotels, l’italiano ha cambiato squadra. Come mai? Una combinazione di fattori: è risaputo che Arkéa non sta attraversando un buon momento finanziario; inoltre, Albanese era il terzo atleta per punti del team e quindi appetibile per altri. Allo stesso tempo, per EF ogni punto in più è utile in prospettiva, ed ecco spiegato questo passaggio.

Questo evidenzia un fatto ormai noto: oggi si corre per i punti. Molti atleti evitano di mollare anche solo per un piazzamento, preferendo raccogliere ogni singolo punto, anche a costo di maggiori fatiche. Spesso, inoltre, le direttive in questo senso arrivano direttamente dall’ammiraglia.

POSIZIONE TEAMNUMERO UNOPUNTINUMERO DUEPUNTI
1. UAE EmiratesTadej Pogacar 11.655Marc Hirschi3.536
2. Visma – Lease a BikeJonas Vingegaard 3.536Van Aert2.925
3. Soudal – Quick StepRemco Evenepoel6.072,57Tim Merlier 2.047
4. Lild-TrekMad Pedersen2.723Jonathan Milan2.397
5. Red Bull – Bora HansgrohePrimoz Roglic 3.471Alex Vlasov2.073
6. Decathlon – Ag2RBen O’Connor4.096Benoit Consefroy1.621
7. Ineos GrenadiersCarlo Rodriguez2.290,86Jonathan Narvaez2.110
8. Alpecin – DeceuninckJasper Philipsen4.790Mathieu Van der Poel4.053
9. Groupama – FdjStephan Kung2.022Valentin Madouas1.553
10. EF Easy PostRichard Carapaz2.404Alberto Bettiol* 1.434
11. Movistar Team Enric Mas2.851Alex Aranburu1.483
12. Jayco – AlUlaMichael Matthews1.945Dylan Groenewegen1.441
13. Intermarché – WantyBiniam Girmay3.352Gerben Thijssen1.005
14. Dsm – FirmenichRomain Bardet1.889Oscar Onley 1.370
15. Bahrain – VictoriousAntonio Tiberi1.656Pello Bilbao1.492,29
16. Arkea – B&B HotelsLuca Mozzato1.238Kevin Vauquelin1.088
17. Team CofidisAxel Zingle1.359Ion Izaguirre1.135,71
18. Astana – QazaqstanLorenzo Fortunato652Simone Velasco646
I punteggi UCI (fonte ranking UCI) al 30/10/2024. *Anche se ha cambiato squadra nel corso dell’anno, Bettiol ha lasciato i suoi punti conquistati sino a quel momento al precedente team

Un altro aspetto interessante è il livello che vedremo quest’anno in molte corse minori. Molti team professionisti e, chissà, forse anche alcuni team WorldTour di bassa classifica, si presenteranno con formazioni di alto livello in gare meno prestigiose. Potremmo vedere, per esempio, al Tour of Hellas (Giro di Grecia) un parterre altre volte impensabile, con arrivi in volata in cui più atleti della stessa squadra si piazzano tra i primi dieci. Il limite delle prime trenta posizioni per ottenere l’invito ai grandi Giri impone infatti strategie di questo tipo. Come ha detto più volte Gianni Savio: «Ok non andare al Giro, ma che ci lascino almeno la possibilità di andarci. È vitale per la ricerca degli sponsor».

Passiamo quindi alla classifica dei migliori atleti per team. Ecco qui di seguito i dettagli. Un caso interessante è quello di Ben O’Connor. Aveva un altro anno di contratto con Decathlon-Ag2R, ma ha colto l’occasione di cambiare squadra. La Jayco-AlUla, team australiano come lui, ha bisogno di punti, soprattutto vista la partenza di Simon Yates. O’Connor, quarto nella classifica UCI individuale, rappresenta un importante rinforzo.

Vauquelin è il secondo atleta che per punti dell’Arkea-B&B Hotels
Vauquelin è il secondo atleta che per punti dell’Arkea-B&B Hotels

E i secondi ?

Un aspetto curioso emerso dalle classifiche è l’importanza dei “secondi” corridori per punteggio all’interno di ogni squadra. Alcuni atleti, pur poco vincenti, sono costanti e assumono un valore specifico sia per il team che per la propria carriera. Il miglior secondo assoluto è Mathieu Van der Poel, con ben 4.053 punti, superato solo da Jasper Philipsen, che deve molto del suo punteggio proprio al lavoro di Van der Poel, ad esempio alla Sanremo o nelle volate del Tour de France. I velocisti, in particolare, stanno acquisendo un peso crescente in questa logica di raccolta punti.

Un altro secondo di lusso è Marc Hirschi, atleta della UAE Emirates, che ha accumulato 3.568 punti, pari a un terzo dei punti di Pogacar, ma che sarebbe il leader in 14 WorldTour su 18! Questo dà un’idea della potenza di fuoco della squadra emiratina. Tra gli altri “secondi” di rilievo troviamo Jonathan Milan (2.397 punti) e Pello Bilbao (1.492,29 punti).

Corbin è il numero uno della Israel. Eccolo vincitore dell’ultimo Giro del Veneto

Corbin è il numero uno della Israel. Eccolo vincitore dell’ultimo Giro del Veneto

Professional e italiane

Diamo ora uno sguardo alle squadre professional. La migliore tra queste è la Lotto-Dstny, nona assoluta, che ha superato ben 10 team WorldTour. A guidare la classifica interna c’è Van Gils (2.482 punti), seguito da De Lie (2.458 punti). La seconda Professional, undicesima assoluta, è la Israel-Premier Tech, dove i leader sono a sorpresa Corbin Strong (1.635 punti) e Stephen Williams (1.501 punti). Chiude il podio delle professional la Uno-X Mobility, con Kristoff (1.443 punti) e Magnus Cort (1.242,67 punti).

Passando alle squadre italiane, la prima è la VF Group-Bardiani, 27ª assoluta nella classifica a squadre UCI, con Pellizzari (804 punti) e Pozzovivo (328 punti) come leader. È un dato positivo solo fino a un certo punto, dato che entrambi lasceranno il team: Giulio cambierà squadra e Domenico smetterà di correre.

Segue la Polti-Kometa, 29ª assoluta e appena dentro le prime 30. Qui guidano la classifica Piganzoli (613 punti) e Double (366 punti), anche lui in partenza. In fondo alla classifica troviamo la Corratec-Vini Fantini, 42ª assoluta e senza possibilità di invito ai grandi Giri, con Sbaragli (230 punti) e Mareczko (195 punti) come principali punte.

Pesaro, magica Serata: brindisi e un pizzico di nostalgia

16.11.2024
7 min
Salva

PESARO – Difficile scegliere quale sia stato il momento più bello nella Serata di Grande Ciclismo di ieri a Pesaro. Se i racconti dei campioni presenti in sala e intervistati da Riccardo Magrini e Luca Gregorio. Se i momenti di cabaret dei due commentatori di Eurosport. Oppure le premiazioni ai protagonisti del ciclismo giovanile. Se l’annuncio, fatto dall’assessore allo sport Mila Della Dora che entro un anno Pesaro avrà una pista ciclo-rotellistica o se ancora gli incontri prima che la serata iniziasse, in cui abbiamo avuto la possibilità di incontrare amici dalle provenienze più disparate che di solito troviamo alle corse con ruoli d’ogni genere.

E allora forse il momento più bello della Serata è stata la Serata stessa: per la passione da cui nasce da quattro anni e l’attesa che la accompagna. Ieri nel salone dell’Hotel Baia Flaminia c’erano 240 persone e alla fine nessuno di loro aveva voglia di andarsene.

Al tavolo dei campioni, abbiamo incontrato Rachele Barbieri e Manlio Moro. Filippo Baroncini, Gianmarco Garofoli e Giovanni Carboni. E poi, sparsi per la sala, Roberto Conti e Massimo Giunti, come pure Alberto Puerini e i suoi ragazzi del Pedale Chiaravallese. Fabrizio Vangi e il duo diesse Berti e anche Gianluca Geremia, tecnico regionale del Veneto. Ciascuno con la sua storia da raccontare, l’aneddoto, sia pure la stranezza di un controllo antidoping sull’onda del racconto di Moro che si è ritrovato gli ispettori, partiti da Nairobi, durante le vacanze in Kenya. Vita singolare quella di un professionista, con regole accettate e da accettare affinché si smetta di parlarne nel modo sbagliato.

Il tavolo dei campioni

E i ragazzi hanno parlato e detto cose importanti. Rachele Barbieri ha difeso il ciclismo femminile dall’affondo piuttosto intempestivo di Boonen.

«Le corse femminili a volte sono davvero bizzarre da guardare – ha detto il belga – le guardo, perchè spesso sono corse davvero impegnative. Però, tatticamente, l’80 per cento delle volte non si capisce cosa stiano facendo. E’ tutto così diverso dalle gare maschili. Penso che la differenza di livello tra le più forti e le altre sia ancora troppo grande». La modenese ha difeso l’imprevedibilità del ciclismo femminile dall’attesa a volta noiosa di quello maschile e ha invitato Boonen a seguire una corsa dall’interno per formarsi un’opinione completa.

Carboni ha raccontato il suo anno di ricostruzione al Team Ukyo e la scoperta della cultura giapponese e della loro accoglienza, che gli ha permesso di ritrovare le sicurezze per l’approdo dal 2025 nella nuova squadra. Garofoli ha ripercorso i suoi primi due anni difficili e raccontato le emozioni nel passare alla Soudal-Quick Step. Baroncini, con il cerotto sull’avambraccio per aver finalmente tolto la placca, ha parlato della prima vittoria e ricevuto il premio per la Challenge bici.PRO. E alla fine tutti hanno partecipato al taglio della torta, facendo saltare il tappo alle magnum di Prosecco Astoria che ancora una volta ha supportato il brindisi.

Una lunga storia

La Serata di Grande Ciclismo è l’appuntamento voluto quattro anni fa per la prima volta da Maurizio Radi e Giacomo Rossi, rispettivamente titolari dello Fisioradi Medical Center e di Ca’ Virginia Country House. All’inizio quattro amici al bar, come ha detto Radi scherzando, adesso invece un vero evento con numeri e protagonisti di spicco

Ci siamo anche noi di bici.PRO con la nostra Challenge perché è giusto metterci la faccia e sostenere (come si può) iniziative che fanno il bene del ciclismo. E veder sfilare sul palco i migliori giovanissimi, gli allievi, gli esordienti e gli juniores che sfilando sul palco e posando per le foto, gettavano ogni volta lo sguardo verso il tavolo dei campioni dà il senso del passaparola che rende questo sport vivo più che mai.

La Serata di Grande Ciclismo è organizzata da Maurizio Radi e Giacomo Rossi, con il microfono in mano
La Serata di Grande Ciclismo è organizzata da Maurizio Radi e Giacomo Rossi, con il microfono in mano

Vedendo sfilare sul palco i corridori di oggi, quelli che lo sono stati e quelli che lo saranno, soltanto alla fine, guidando verso casa, il pensiero è andato a un amico che non c’è più e che avrebbe popolato con la sua risata ben più di un momento.

Capita spesso, tornando nelle Marche di pensare a lui. Ce lo hanno ricordato le immagini di Garofoli con il pappagallo Frankie sul casco, l’abbraccio fra Magrini e Giunti e il ricordo delle maglie bianconere della Domina Vacanze. Sono passati sette anni, ma avere in questa sala anche Michele Scarponi avrebbe reso il sogno una splendida realtà. Ricordarlo in qualche modo ci ha scaldato ulteriormente il cuore.