«Attenti alla Bégo, perché va davvero forte». Lo aveva detto Federica Venturelli in primavera, aveva visto lontano. Julie Bégo, francese, neo campionessa del mondo juniores, è una abituata a bruciare le tappe. Neanche il tempo di conquistare la maglia iridata che l’ha messa in un cassetto, perché già dal giorno dopo ha preso posto alla Cofidis per gareggiare con le più grandi, per prendere confidenza con quello che sarà il suo nuovo mondo.
Parlandoci, non è qualcosa che stupisce perché una delle prime impressioni che si ricava dal dialogo è la sua forte autostima, sicurezza di sé e di quel che l’aspetta. Ci siamo trovati di fronte a una ragazza più matura dei 18 anni compiuti a gennaio. Desiderosa sì di lasciare un segno, ma che guarda anche al di là, intorno ad essa. D’altronde il suo approdo al ciclismo è giunto al termine di un lungo processo.
«Ho sempre fatto molto sport con i miei genitori, fin da quando ero piccola – racconta la ciclista di Bourgoin-Jallieu – sci alpinismo, mountain bike, seguendo loro. Per un po’ mi sono dedicata all’atletica leggera agonistica, all’età di 10 anni. Mi piaceva moltissimo correre all’aria aperta, facevo soprattutto cross, intorno ai 3 chilometri. Può sembrare strano, ma quel che non mi piaceva tanto era l’aspetto agonistico, dovermi applicare con la testa. Così dopo un anno lasciai, preferivo pedalare con la mia mtb nei giri intorno casa. Era una cosa per me stessa, ma poi ho pensato che anche nella mtb potevo provare le competizioni e da lì è iniziato tutto».
I media riportano che tu eri sicura già mesi prima della tua vittoria mondiale, che cosa te lo faceva dire?
Non è proprio così, dicevo che già da inizio stagione avevo puntato l’obiettivo sui mondiali. Avevo visto il percorso, studiato ogni particolare e lavorato per essere al meglio per quel giorno. Gli allenamenti sono stati fondamentali, mi sono dedicata anima e corpo. Soprattutto ai rilanci, azioni di 30 secondi o un minuto che per me erano un mondo nuovo. Era quello che volevo e alla fine l’ho avuto.
Tra le avversarie della tua categoria, nel corso dell’anno chi hai visto come tua principale avversaria, in funzione anche del futuro?
Diciamo che ce ne sono almeno due. Una è Cat Ferguson che mi sono ritrovata davanti al Trofeo Binda, lei è molto forte allo sprint e alla Bizkaikoloreak in Spagna, la gara a tappe dove mi ha dato molto filo da torcere. L’altra è Federica Venturelli, la sconfitta al Tour du Gevaudan pur avendo lo stesso tempo non l’ho mandata giù. E’ davvero fortissima, penso che saranno avversarie dure anche nella categoria superiore.
Subito dopo i mondiali sei entrata alla Cofidis gareggiando contro le più forti. Quali sono state le tue prime sensazioni?
Sono stata molto felice di accedere subito alla squadra principale, appena conquistata la maglia iridata. La Cofidis mi è venuta incontro anche nella mia esigenza di proseguire gli studi: frequento ingegneria alla Scuola Politecnica Universitaria di Savoia e voglio la laurea. Per me questa esigenza viene anche prima del ciclismo perché una carriera sportiva non dura per sempre e io voglio costruire il mio futuro. Il team manager, mi ha proposto di anticipare i tempi e gareggiare sin da subito contro le più grandi, per acquisire esperienza. Queste gare sono per me importantissime, mi stanno facendo scoprire un mondo nuovo.
Per te cambia tutto: distanze, avversarie più esperte, modo di correre. Sei mai preoccupata per questo?
Non posso negare che tutto ciò un po’ mi ha stressato. Mi sono subito accorta che è tutto un altro livello, un altro correre, già arrivare al traguardo diventa una conquista. Poi in gara è tutto molto continuo, non c’è mai una pausa, si va sempre a tutta e questo è molto difficile. Comunque mi sto abituando molto velocemente. Alla Tre Valli Varesine ad esempio sono caduta proprio sull’ultima salita, ma per il resto ero lì col gruppo e già riuscivo a essere propositiva. Mi serve solo un po’ di tempo.
Il titolo mondiale ti dà maggiore pressione, temi i giudizi della gente se non riuscirai subito a vincere?
So che il giudizio della gente può essere impietoso, soprattutto sui social, ora ci si aspetta molto da me. Ma quel che conta è la mia fiducia in me stessa, il ciclismo lo vivo per me stessa, cerco di essere abbastanza corazzata a quel che dicono di me. Non mi preoccupo se non vincerò subito, quel che conta è avere la consapevolezza di quel che posso fare. Di quel che pensa la gente non mi interessa.
Tu hai vinto il titolo mondiale ma vai forte anche nelle corse a tappe: che cosa preferisci fra queste e le corse in linea?
Io preferisco le gare a tappe perché ti offrono più chance. Ho sempre la sensazione che nelle gare d’un giorno, se non va tutto alla perfezione, non hai modo di rimediare. Nelle corse a tappe c’è meno pressione, se un giorno va male c’è quello successivo per rimettere le cose a posto. A ben pensarci trovo in tutto questo anche un po’ d’ironia perché un po’ rappresenta il decorso della vita. C’è poi un altro aspetto che mi piace delle corse a tappe ed è l’influsso che può avere la stanchezza. I valori cambiano nel corso della gara e quando le mie avversarie sono stanche, è allora che si fanno le differenze, perché credo di avere buone capacità di recupero e di resilienza per fare la differenza. Certo, le gare juniores non sono la stessa cosa, staremo a vedere.
Come ti definiresti, come ciclista e come persona?
Ah, beh, come ciclista, penso di essere una a cui piace attaccare. Mi piace prendere le corse di petto e probabilmente questo rispecchia anche il mio modo di essere nella vita.
C’è una ciclista che ti piace maggiormente, a cui ti ispiri?
Marianne Vos, perché è una che ha vinto tutto e dappertutto, sia le classiche che le grandi corse a tappe, ha lasciato un’impronta indelebile in questo mondo, è davvero eccezionale. Il suo curriculum è impressionante.
Che cosa rappresenta per una ciclista francese il Tour de France, nato da poco?
Significa molto per me. Ho sempre visto il Tour de France come un viaggio. Quando dico alla gente che vado in bicicletta, che sono una ciclista tutti immediatamente pensano al Tour e mi chiedono se ci parteciperò. Penso sia un sogno per tutti coloro che fanno questa professione, una tappa obbligata.