La sfida di Martinello: competenza, condivisione, trasparenza

23.12.2024
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PADOVA – Quasi Natale, un mese alle elezioni federali di Roma. Tre anni fa Martinello fu sconfitto da Cordiano Dagnoni per lo spostamento di voti durante il secondo turno di votazioni e già allora si ripromise di tornare. Che cosa è cambiato in lui nel frattempo? E che cosa è cambiato nel ciclismo italiano? Partiamo da qui, dal chiedergli la fotografia, secondo lui, del nostro movimento.

Martinello ha 61 anni. Da corridore è stato un grande pistard e un ottimo velocista. In pista ha vinto un oro e un bronzo alle Olimpiadi e cinque titoli mondiali. Da quando nel 2000 smise di correre ha aperto la sua palestra a Tencarola, alle porte di Padova, ed è stato opinionista televisivo e ora radiofonico in RAI.

Martinello sicuro: l’Italia ha raggiunto livelli di eccellenza in ambito maschile e femminile
Martinello sicuro: l’Italia ha raggiunto livelli di eccellenza in ambito maschile e femminile
Che cosa ti sembra del ciclismo italiano oggi?

In alcuni settori, pensiamo alla pista, abbiamo un movimento di vertice molto importante. Siamo a tutti gli effetti un riferimento a livello internazionale, in ambito maschile e femminile. Nel settore endurance sono stati fatti dei progressi come pure nel settore velocità dove si è iniziato a lavorare, dato che per tanti anni non si era fatto nulla. I progressi ci sono stati, c’è un margine ancora ampio per arrivare ai massimi livelli che sarà colmabile solo ed esclusivamente con un progetto serio. E’ un ciclismo che in ambito professionistico ha delle eccellenze. Poi però c’è una base in grande sofferenza. Alcune categorie, la juniores, la under 23 e l’ambito continental, ci vedono ai margini del contesto internazionale. Abbiamo impiegato del tempo a capire la riforma entrata in vigore a metà degli anni 90, siamo in grave ritardo ed è un movimento che sotto questo punto di vista sta soffrendo molto.

Si potrebbe obiettare che negli juniores si sta tornando a vincere anche su strada.

Quando si parla di malessere e criticità del nostro ciclismo, di solito a chi lo gestisce salta la mosca al naso. Non sto negando i risultati che ci sono stati, fermo restando che bisognerebbe avere l’umiltà, la capacità e la razionalità di leggerli e interpretarli. Sottolineare certi numeri torna utile al megafono della propaganda, me ne rendo conto. E a quel punto, non serve neanche andare a vedere che il numero dei tesserati e delle società è in calo ed è un dato incontestabile. Si capisce che nel medio-lungo periodo, questo creerà delle gravissime difficoltà.

E cosa si fa?

Si può decidere di lasciare andare la barca o si decide di intervenire con politiche di attenzione. La Federazione ha il compito di creare le condizioni per arginare questa tendenza e poi per cercare di invertirla. Dovrebbe creare i presupposti – dal punto di vista economico, delle normative e della promozione – perché il movimento torni a crescere. Un serio piano di promozione, che magari parta dalle scuole, aiuterebbe le società nel reclutare gli atleti. Nei giovanissimi abbiamo dei bei numeri, negli esordienti si comincia a soffrire. Quando cominciano le categorie agonistiche, il ciclismo su strada soffre vari problemi, fra cui la sicurezza. Per fortuna ci sono tante altre discipline anche più accattivanti. Pensiamo al fuoristrada, per fare un esempio.

Trofeo Ekoi Body Energie a Villafranca di Verona, partenza degli esordienti: la categoria che registra i primi cali (photors.it)
Trofeo Ekoi Body Energie a Villafranca di Verona, partenza degli esordienti: la categoria che registra i primi cali (photors.it)
Non credi che l’attuale Federazione stia facendo qualcosa del genere?

Per natura non sono un pessimista, però vedo la mancanza di visione e di una certa intraprendenza anche nel cercare di battere strade nuove. Serve il coraggio di andare in nuove direzioni, che non vuol dire rottamare il passato. Ma bisogna prendere atto che il mondo sta cambiando e dobbiamo adattarci, mettendo in atto delle tutele per questi ragazzi, a fronte di un movimento che va a intercettare l’eccellenza in età sempre più giovanile. Ne stiamo bruciando tanti, sia perché magari non hanno la capacità di rispettare le attese, ma soprattutto dal punto di vista psicologico. Le pressioni cui sono sottoposti in età ancora non matura a un certo punto li porta a fermarsi. E questo è un problema che non riguarda solo noi, ma il movimento internazionale.

I tesseramenti in calo riducono anche la base da cui vengono fuori i talenti?

Non c’è dubbio, è riconosciuto da chiunque si occupi di statistiche. Dobbiamo fare attenzione a questa base che si sta assottigliando e che ci obbliga a guardare con attenzione a un futuro non più lontanissimo. Sono problemi che stiamo già toccando con mano e che saranno sempre più reali e presenti. Aggiungiamo il calo demografico e il fatto che al momento di scegliere, le famiglie hanno decine di opportunità con cui il ciclismo deve mettersi in concorrenza. Pertanto dobbiamo anche modificare il nostro approccio, senza sbandierare in modo eccessivo la fatica che spaventa le persone. Non è un caso che il settore del fuoristrada abbia numericamente un riscontro maggiore, perché ha un approccio più divertente che aiuta a reclutare i ragazzini, oltre a poter togliere dal discorso i problemi legati al traffico.

La Federazione ha creato una super struttura per le nazionali e la sensazione è che la maggior parte delle risorse sia stata messa lì.

Questo tipo di assetto è lo stesso che avevo indicato nel mio programma di quattro anni fa. Di fatto lo hanno riproposto e realizzato. L’alto livello della struttura non dipende dal fatto che viaggino o meno col pullman, quello è relativo. Tutto ciò che è stato costruito intorno alle squadre nazionali nasce anche da scelte del passato, lo stesso Davide Cassani andava in questa direzione. Pertanto quello è un aspetto assolutamente da consolidare. Semmai mi sarei aspettato che le esperienze tecnico-scientifiche raccolte fossero trasmesse anche in basso, invece il Team Performance è un club chiuso, da cui non trapela nulla come per il rischio di spionaggio industriale. Sarebbe importante invece che questo lavoro, tra l’altro molto efficace, potesse essere veicolato anche alla base.

I bike park del fuoristrada rendono, come conferma Martinello, il ciclismo divertente e anche più sicuro
I bike park del fuoristrada rendono, come conferma Martinello, il ciclismo divertente e anche più sicuro
Si torna sempre a parlare della base…

Io credo che la vera priorità sia quella, anche economicamente. Le medaglie sono importanti e credo di parlare con cognizione di causa, visto che so cosa c’è dietro alla conquista di una medaglia, ma le medaglie vanno pesate. Quindi concentriamoci ed inseguiamo quelle che servono, ma per il resto dedichiamoci a sostenere la base che è la priorità del futuro prossimo. Serve gente qualificata anche nel Consiglio federale. Non dimentichiamo che lo Statuto ci impone di lavorare alla composizione di una squadra di qualità e di competenza certificata. Perché è vero che il presidente Dagnoni qualche problema l’ha avuto e ha trasmesso qualche segnale di inadeguatezza, ma purtroppo per lui non era accompagnato da una squadra in grado di aiutarlo a commettere meno errori. E allora una cosa ve la dico: il 10 gennaio sarà indetta una conferenza stampa anche per presentare la mia squadra.

Da chi sarà composta?

Proporrò soggetti di chiara e certificata competenza, perché io non ho nessuna intenzione di circondarmi di persone che mi diano le pacche sulle spalle e mi dicano quanto sono bravo. Io ho bisogno di gente che ascolterò con grande attenzione, che rompa molto le scatole. Sul tavolo ci sono dei problemi enormi e mi piacerebbe che si trovassero le soluzioni, non per la gloria di Silvio Martinello, ma per l’interesse del ciclismo italiano.

Che cosa hai imparato dalle elezioni precedenti? 

Mi sono portato via gli errori che ho commesso, non ho problemi a riconoscerli. Furono un’assemblea e una campagna particolari, condizionate dall’emergenza sanitaria in cui eravamo coinvolti. Arrivai con grande determinazione e non feci la necessaria attenzione a non scivolare nei tranelli che nel frattempo erano stati tesi, rispondendo punto su punto ad ogni provocazione. Questo ha consentito a qualcuno di veicolare il messaggio che io fossi un soggetto autoritario, egocentrico, ancora con il numero sulla schiena.

Il quarto Consiglio Federale del 2024 ha approvato il bilancio consuntivo 2023, ratificato dal Coni solo pochi giorni fa (foto FCI)
Il quarto Consiglio Federale del 2024 ha approvato il bilancio consuntivo 2023, ratificato dal Coni solo pochi giorni fa (foto FCI)
In che senso?

Nel senso che mi sentissi ancora corridore e fossi ancora lì a sgomitare. Nulla di tutto questo, ho il mio carattere, certamente, ma sono uno a cui piace molto ascoltare. Prendo decisioni, ma dopo aver valutato e analizzato. Credo che questi messaggi abbiano fatto presa e condizionato il voto di alcuni presenti nell’assemblea, dove solo pochi prendono decisioni per un movimento invece molto complesso. Eppure ritengo quel primo turno fu molto soddisfacente, nonostante i tanti condizionamenti che ci sono stati. Mi ha permesso di capire che un’ampia parte del movimento credesse e ancora crede nella necessità di voltare pagina.

Che cosa è successo negli ultimi tre anni?

Sono passati a vuoto. Sarebbero stati l’occasione per fare scelte ragionate, che ora dovranno essere necessariamente coraggiose, perché il tempo non è tantissimo. Scelte condivise, soprattutto. Il Consiglio federale, se sarò investito di questa responsabilità, verrà chiamato a un lavoro importante. Colgo l’occasione per ripetere che sarà utilizzato solo ed esclusivamente il criterio della competenza. Ci saranno commissioni snelle, composte da soggetti competenti per la materia specifica. La nostra Federazione è molto complessa, io ho il mio percorso personale che spazia fra la pista e la strada e non mi permetto nemmeno di ragionare su altre discipline che non sono in grado di affrontare con la competenza necessaria.

Hai parlato dello statuto: non si era detto che riscriverlo fosse una necessità?

Tre anni fa tutti i candidati ne avevano proposto la modifica. Solo uno ha avuto la possibilità di farlo, ma ha spiegato la scelta di non farlo con due motivazioni inconsistenti. La prima pare sia stato il fattore economico. Ha parlato di 400 mila euro per organizzare un’assemblea straordinaria, mi chiedo se volesse organizzarla in resort esclusivo. Un’assemblea ha dei costi, ma francamente ritengo che siano ben al di sotto di quella cifra. La seconda giustificazione invece mi sembra molto grave e certifica, a mio avviso, l’inadeguata della guida federale.

Le precedenti elezioni federali videro in lizza Dagnoni, Isetti, Di Rocco, Martinello (foto Fci)
Le precedenti elezioni federali videro in lizza Dagnoni, Isetti, Di Rocco, Martinello (foto Fci)
Quale è stata?

Dato che dalla scorsa assemblea il movimento è uscito con una divisione piuttosto netta tra le fazioni di Dagnoni, Isetti e Martinello, il presidente ha dichiarato che non sarebbe stato certo di poter portare in assemblea straordinaria lo statuto che aveva in mente lui. Domanda: lo statuto è lo strumento di cui il movimento deve dotarsi per essere più funzionale alle proprie esigenze oppure viene realizzato per le esigenze di una sola parte? Nella commissione che lavorerà al nuovo statuto, a parte i nomi di saggi che tutti conosciamo e che possono lavorare ad uno strumento così delicato, vorrei gli uomini e le donne indicati dai singoli candidati. Deve essere lo strumento della Federazione, non di Dagnoni, di Martinello o di chiunque sarà.

Perché è necessario cambiare lo statuto?

La composizione del Consiglio federale è anche un esercizio di equilibri geografici territoriali e le dinamiche assembleari possono risultare un limite. La Federazione ha bisogno di un nuovo strumento di rappresentanza, per cui entro la fine del 2026 sarà indetta un’assemblea straordinaria per il nuovo statuto. Bisogna dare voce alle società, c’è poco da fare e questo è un impegno chee mi sento di prendere.

Tu hai girato parecchio, che cosa hai visto sul territorio?

Ho voluto incontrare le società, non per caso. I miei competitor invece si stanno dedicando a incontrare i delegati. Sono quelli che votano, per carità, il ragionamento non fa una piega. Ma io fin dal momento in cui ho ufficializzato la mia candidatura, ancora nello scorso mese di giugno, ho parlato di scelte responsabili e consapevoli. Significa che le nostre società, che sono la spina dorsale del movimento, in realtà vengono considerate un problema. Non vengono tenute in considerazione nell’Assemblea nazionale, dove sono presenti tramite i delegati eletti nelle provinciali. Il fatto di girare per esempio in Veneto, Friuli, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio è servito, per spiegare alle società i punti fondamentali del mio programma. Sono stati momenti utilissimi, ho un quaderno alto così, perché c’è voglia di confronto. Fare scelte consapevoli significa che le società hanno il diritto di chiedere ai delegati quale sarà il loro voto, cosa che poi è accaduta di molte assemblee provinciali. Aggiungo un dettaglio…

Martinello ha girato l’Italia, come si può notare dagli appuntamenti sul suo sito, incontrando le società
Martinello ha girato l’Italia, come si può notare dagli appuntamenti sul suo sito, incontrando le società
Quale?

Questo tanto girare, ribadisco un dettaglio non banale, io l’ho fatto a spese di Silvio Martinello. Sono consapevole che in assemblea un delegato possa cambiare opinione venti volte, ma nell’attesa di avere un nuovo statuto che permetta alle società di esprimere la propria preferenza anche a livello nazionale, è giusto pretendere che i delegati rispondano del loro voto.

Il presidente Dagnoni ha detto di aver fatto molto per agevolare le società.

Io ho percepito una lontananza siderale. Non dimentico che siamo un popolo che si lamenta molto ed è abituato a scaricare le responsabilità sugli altri, però c’è una grande distanza, certificata dai comportamenti di questa Federazione. Vogliamo parlare di trasparenza? Vogliamo parlare di coinvolgimento? Basta leggere i comunicati ufficiali dopo i Consigli federali. Nessuno di noi sa cosa effettivamente viene deciso. Nel momento in cui, ai primi di giugno, il Consiglio federale ha certificato il bilancio del 2023, che poi è stato certificato dal CONI qualche settimana fa, nel comunicato pubblicato sul sito federale se ne dava un minimo cenno e si parlava invece del nuovo accordo con Infront. Si costruiscono comunicati ad arte per distogliere l’attenzione dai veri problemi. Il confronto e la trasparenza sono fondamentali in una macchina complessa come la Federazione, anche per legittimare chi è stato investito dalla responsabilità di guidarla. Tutto questo c’è stato pochissimo nei primi mesi, mentre è completamente scomparso dopo le nostre vicende dell’estate del 2022.

Cosa successe?

Si sono sentiti accerchiati per una vicenda che non è mai stata spiegata del tutto, quella dei contributi irlandesi, e si conoscerà solo ed esclusivamente nel momento in cui qualcuno andrà ad aprire quei cassetti. Per l’opinione pubblica magari è una vicenda chiusa, ma non lo è per chi ha sempre mantenuto l’attenzione sul caso. E si tratta della conferma che lo stesso Consiglio federale non fosse informato di quelle scelte. I componenti hanno dovuto firmare una dichiarazione di riservatezza. Potevano essere tutti più coraggiosi e pretendere di sapere, come Norma Gimondi, invece sono rimasti tutti buoni al loro posto.

Le dimissioni di Norma Gimondi (qui con Giovanni Malagò) sono rimaste una pagina critica nella gestione federale
Le dimissioni di Norma Gimondi (qui con Giovanni Malagò) sono rimaste una pagina critica nella gestione federale
Ritroveremo nella contesa elettorale con ruoli diversi anche personaggi come l’ex presidente Di Rocco e Lino Secchi, candidato alla presidenza.

A Secchi ho fatto una corte spietata, mi sarebbe piaciuto averlo a disposizione. Lino è stato il riferimento di tanti presidenti regionali per la sua esperienza, la sua capacità di dialogo e la sua conoscenza. Nel momento in cui mi ha comunicato la scelta di candidarsi, gli ho augurato buona fortuna. Quanto a Di Rocco, ci siamo dati qualche sportellata, però è impossibile non riconoscere il suo profilo dirigenziale. Un dirigente di alte qualità che potrebbe aiutare molto a portare avanti le nostre istanze sui tavoli internazionali. Le nostre e quelle di altri movimenti nazionali, come quello spagnolo che è pure in grande sofferenza. Se avessi vinto quattro anni fa, non mi sarei privato della sua esperienza e certo non avrei mai pensato a un suo allontanamento con le modalità con cui è avvenuto. Non credo che rottamare persone valide sia una strada da seguire, cosa ben diversa invece è pretendere di avere solo persone competenti. Il fatto che chi vince prende tutto e chi non vince è fuori dai giochi è stata una scelta che ci ha impoverito.

Perché ti sei ricandidato?

Con il nuovo statuto dovremo cercare maggiori collegialità e condivisione. Non ho altri obiettivi, tutelerei meglio i miei interessi personali continuando a occuparmene. Nella vita mi sono realizzato, anche nel post carriera. Grazie al cielo e sempre grazie al ciclismo, conduco una vita dignitosa, ma è arrivato il momento in cui voglio restituire qualcosa. Mettere la mia esperienza a disposizione dei tanti che mi hanno spinto in questa direzione e sono riusciti a convincermi che io possa dare qualcosa. Ebbene, Se posso dare qualcosa, io ci sono. Se invece dobbiamo andare avanti in modo che nulla cambi, allora non è una cosa che mi interessa.

LEGGI QUI IL PROGRAMMA ELETTORALE DI SILVIO MARTINELLO

Andrea Donati: la crescita tra gli juniores e il primo anno da U23

23.12.2024
4 min
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Andrea Donati è appena tornato da scuola e si sta preparando per andare in palestra. Il suo inverno sta passando tra qualche uscita leggera in bici, lo studio e delle sessioni di pesi. Non si parla ancora di carichi di allenamento elevati, la sua prima stagione da under 23 inizierà tra qualche mese e non è necessario spingere fin da subito. Meglio fare le cose passo dopo passo. 

«In questa prima parte della stagione – ci racconta – meglio restare calmo per non avere picchi di forma troppo presto. Sono tornato in bicicletta da un mesetto, le prime due settimane sono state toste. Tornare a pedalare dopo un lungo periodo di pausa non è mai semplicissimo, anche un’ora e mezza a ritmi blandi si sente tutta. Ora mi sto adattando a carichi di lavoro sempre maggiori».

Andrea Donati ha corso i due anni da juniores con la Ciclistica Trevigliese (photors.it)
Andrea Donati ha corso i due anni da juniores con la Ciclistica Trevigliese (photors.it)

Ancora lontani

La prima stagione da under 23 Andrea Donati la correrà in maglia Biesse Carrera Premac. Il bresciano arriva dalla Ciclistica Trevigliese (in apertura foto Instagram), squadra juniores con la quale è cresciuto parecchio guadagnandosi di diritto la stima del cittì Dino Salvoldi. Il quale ha puntato molto su Donati, convocandolo per diverse prove con la nazionale. L’ultima esperienza, in ordine cronologico, è stata la cronometro juniores ai mondiali di Zurigo.

«Il grande salto a livello di crescita fisica – racconta Donati – c’è stato lo scorso inverno quando ho aumentato la mia massa muscolare di due o tre chilogrammi. Una cosa dovuta allo sviluppo ma anche a una maturazione mentale. Infatti, in quello stesso periodo è arrivato anche un cambiamento importante sulla gestione degli allenamenti. Sono diventato più consapevole, quasi maniacale. Anche per quello che riguarda la dieta».

Prima di passare su strada il bresciano ha corso in mtb (foto Instagram)
Prima di passare su strada il bresciano ha corso in mtb (foto Instagram)
Passi under 23 con la Biesse-Carrera, come hai scelto questa squadra?

Mi avevano contattato molto presto, a inizio 2024. Qui correva mio fratello Davide che mi ha sempre parlato bene della squadra, nel 2025 correrà con il devo team della Red Bull-Bora ma i suoi consigli sono stati preziosi. Quando si è presentata l’occasione di correre qui sia la mia famiglia che il procuratore erano contenti. E’ una buona squadra per crescere, e poi andando ancora a scuola era importante avere una squadra vicino a casa. 

Hanno bussato altre squadre alla tua porta?

In realtà no. Alla fine con la Biesse ho firmato a giugno del 2024 ed ero convinto della scelta, quindi non mi sono guardato intorno. Se avessi voluto magari una devo team l’avrei trovata, credo, ma non mi sono interessato. La Biesse-Carrera è un’ottima continental, si trova vicino a casa e inoltre credo che imparare a vincere in Italia sia una bella cosa

Nel 2024 ha collezionato diverse esperienze con la nazionale guidata da Salvoldi, qui all’Eroica Juniores Nations Cup (photors.it)
Nel 2024 ha collezionato diverse esperienze con la nazionale guidata da Salvoldi, qui all’Eroica Juniores Nations Cup (photors.it)
Non è obbligatorio andare all’estero.

Se sei un fenomeno è diverso. Magari anche lontano da casa e in un devo team riesci a costruirti le giuste occasioni per vincere. Io non penso di essere un fenomeno ma un buon corridore sì.

Che passi in avanti senti di aver fatto, oltre a quelli fisici?

La cosa in cui sono migliorato parecchio è la gestione in gara, soprattutto nella capacità di stare in gruppo. Il 2024 è stato il mio secondo anno nel quale mi sono dedicato alla strada, prima facevo mountain bike. Il 2023 ho fatto un po’ più fatica, mentre quest’anno mi sono mosso bene. Poi il fatto di aver corso molto all’estero mi ha dato una grande mano. 

L’ultima gara con la nazionale è stata la prova a cronometro di categoria a Zurigo
L’ultima gara con la nazionale è stata la prova a cronometro di categoria a Zurigo
Com’è stato confrontarsi con tanti corridori diversi?

Stimolante. A inizio stagione ero molto vicino ai più forti e mi sono giocato diverse chance. Ci sono state anche delle giornate difficili ma fa parte della crescita, l’obiettivo è continuare a migliorare grazie a esperienze del genere. Penso però di essere nel posto giusto, i miei compagni sono forti e lo staff del team è valido.

Sai già come dividerai la stagione?

Principalmente in due blocchi: prima della maturità e dopo. Non ho ancora il calendario ufficiale. Nel 2025 avrò come obiettivo quello di migliorare, credo che con il giusto lavoro potrò essere competitivo. Tra poco tocca mettersi al lavoro, a fine gennaio andremo in Spagna per un ritiro tutti insieme e inizieremo ufficialmente.

La fame e la gioia ritrovata: Cimolai guarda al 2025 e punta al 2026

22.12.2024
5 min
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Davide Cimolai ha 35 anni, compiuti quattro mesi fa: il 13 agosto. Di stagioni da professionista ne ha messe alle spalle quindici e si appresta ad iniziare la sedicesima. Ha corso in tante squadre, quasi sempre ha militato in formazioni WorldTour, è riuscito a togliersi tante soddisfazioni nell’arco della sua lunga carriera. Eppure qualcosa, un anno fa, si stava per rompere. Poi è arrivata l’occasione di far vedere che c’è ancora, grazie al Team Movistar

Ieri (il 18 dicembre per chi legge) il team spagnolo ha presentato la squadra del 2025 in centro a Madrid. Una cerimonia in grande stile che ha voluto lanciare la prossima stagione sportiva. L’ambizione è di tornare tra i primi team al mondo, e per farlo avrà bisogno di tutti. 

Il Team Movistar ha ufficialmente presentato la squadra del 2025 il 18 dicembre a Madrid
Il Team Movistar ha ufficialmente presentato la squadra del 2025 il 18 dicembre a Madrid

Di nuovo insieme

Cimolai ci risponde mentre è in viaggio verso l’aeroporto, tra poche ore partirà un volo che lo riporterà a casa. Il primo ritiro è alle spalle e la testa già guarda ai prossimi impegni. 

«Siamo stati in un posto nuovo – ci dice – nella zona di Valencia. Un luogo un po’ più isolato del solito, siamo stati più tranquilli, in tutti i sensi. Non abbiamo spinto eccessivamente nelle prime uscite, ci siamo goduti il tempo insieme e questi dieci giorni di ritiro. I gruppi di lavoro erano già divisi in base al calendario e agli obiettivi. Ho ritrovato un bel gruppo, unito. Sia tra i compagni che con lo staff».

La formazione spagnola cambierà anche il colore della divisa, passando al bianco (foto Instagram)
La formazione spagnola cambierà anche il colore della divisa, passando al bianco (foto Instagram)
Che obiettivi avrai?

Sarò accanto a Gaviria. Partiremo da Mallorca e poi saremo al Tour of Oman e al UAE Tour. Poi vediamo come andrà la parte di stagione. Se parteciperò alla Tirreno-Adriatico e se andrò in Belgio. L’obiettivo stagionale è tornare al Giro d’Italia.

Che primo anno è stato insieme alla Movistar?

Positivo direi. Ho ritrovato la felicità nel correre in bici e questa era la cosa più importante per me. Ho dimostrato di avere ancora un buon livello e per questo sono contento. L’anno scorso avevo firmato per una sola stagione. Poi insieme alla squadra, ad agosto, abbiamo parlato e ho prolungato per un altro anno. 

Cimolai (a destra) correrà ancora in supporto a Fernando Gaviria nel 2025
Cimolai (a destra) correrà ancora in supporto a Fernando Gaviria nel 2025
Cosa vi siete detti?

Loro erano contenti di come mi fossi inserito, sia a livello sportivo che di gruppo. Sono soddisfatti di quanto fatto anche al di fuori delle gare, avevano bisogno di una figura esperta che riuscisse a dialogare con i giovani. Direi che ci sono riuscito, e in vista del 2025 ne sono arrivati tanti altri interessanti. 

Che stagione ti aspetti per la squadra?

Di crescita ulteriore. L’azienda Movistar ha rinnovato la sponsorizzazione fino al 2029, questo vuol dire che i ragazzi arrivati quest’anno avranno tempo e spazio per maturare e crescere con questi colori. Sulla carta questi giovani hanno tanto motore.

Il ruolo di Cimolai è di collante anche con i più giovani, qui con Milesi al Giro d’Italia
Il ruolo di Cimolai è di collante anche con i più giovani, qui con Milesi al Giro d’Italia
Personalmente come ti senti?

Motivato. Nella passata stagione ho trovato un ambiente sereno rispetto al recente passato. Più familiare e unito. Ho sentito che in me era riposta tanta fiducia, cosa che mi era mancata. 

Tanto che avevi pensato di smettere, e invece…

Prima di arrivare in Movistar ero stanco mentalmente, non fisicamente. Ero arrivato a un limite. Sentivo di aver fatto la mia carriera ed ero quasi pronto a smettere. Dico quasi perché sentivo che fisicamente potevo ancora dare qualcosa. Quando è arrivata la proposta della Movistar ho capito di avere davanti una bella occasione. Voglio smettere perché sento di aver dato tutto

Alla Vuelta a Castilla y Leon ha riassaporato il sapore del podio, secondo dietro Ewan
Alla Vuelta a Castilla y Leon ha riassaporato il sapore del podio, secondo dietro Ewan
Com’è stato correre accanto a Gaviria?

Non facile all’inizio. Il mio ruolo di ultimo uomo richiede che ci sia tanta fiducia tra me e lui. E’ una cosa da costruire nel tempo. Al Giro è mancato qualcosa e per questo voglio tornare, per riscattarci. 

Hai avuto anche i tuoi spazi.

Non sono mancati. Peccato perché nelle poche chance che ho avuto sono andato anche vicino alla vittoria. Alla Vuelta a Castilla y Leon sono arrivato secondo, mentre in Cina ho raccolto qualche buon piazzamento. 

Cimolai ha chiusa la sua stagione in Cina dopo 77 giorni di gara e con il sorriso ritrovato
Cimolai ha chiusa la sua stagione in Cina dopo 77 giorni di gara e con il sorriso ritrovato
Se guardi al 2025 cosa ti prospetti?

Vorrei migliorare in salita per restare al fianco dei miei compagni anche quando il gruppo si assottiglia. Ho già iniziato a lavorare con il preparatore in quest’ottica ma non sarà semplice. Per un velocista come me è importante non perdere il picco di potenza. 

Considerando che hai deciso di andare più forte in salita nell’epoca di Pogacar e Vingegaard…

Vero (ride ndr). Ma è una sfida, si può sempre provare e voglio farlo. Sto lavorando anche per migliorare sul peso, non perdere chili ma definirmi ulteriormente. 

Guardi oltre al 2025?

Certo. Se mi chiedete di guardare ancora più in là dico di no, ma vorrei arrivare a correre anche nel 2026. Come detto voglio smettere perché sento di aver dato tutto.

Padovani, primo ritiro alle spalle. Il punto con Ongarato

22.12.2024
7 min
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PADOVA – L’appuntamento con Alberto Ongarato è nell’Eroica Caffè che ci è parso il luogo perfetto in cui parlare di ciclismo. La città è semi paralizzata dai lavori del tram, il traffico sembra impazzito. L’ex professionista padovano è qui per raccontarci la sua Padovani e fare il punto rispetto al primo contatto di fine agosto. Nel frattempo il progetto si è gonfiato, il budget è salito, Konychev è salito sull’ammiraglia, sono arrivate le bici Guerciotti e la squadra si è riunita nel ritiro di Abano Terme. Con la Zalf Fior e il CTF Friuli che chiudono, la nascita di una continental è una notizia.

«La Padovani ha un presidente che si chiama Galdino Peruzzo – riassume Ongarato – un grande appassionato, proprietario di Polo Ristorazione SPA che si occupa di servizi per la ristorazione. E’ subentrato a un altro presidente nel 2013 e io, fatalità, avevo da poco smesso di correre. Sapevo che Peruzzo fosse un grande appassionato e l’ho coinvolto nell’anno in cui la società stava organizzando una delle ultime edizioni del Giro del Veneto, quello a Prato della Valle. Volevano portare un personaggio di spicco per incrementare l’importanza dell’evento, visto che le corse stavano già cambiando. C’erano le WorldTour, non c’erano tantissime squadre importanti e io lo misi in contatto con Cipollini».

Alberto Ongarato, classe 1975, è stato professionista dal 1998 al 2011
Alberto Ongarato, classe 1975, è stato professionista dal 1998 al 2011
Non aveva già smesso anche lui?

Esattamente, però bisognava riconoscergli un gettone di presenza e per questo ci serviva una sponsorizzazione. Così entrai in contatto con Galdino Peruzzo e da lì siamo sempre rimasti in contatto. E quando gli hanno proposto di diventare presidente, ha chiesto la mia collaborazione.

Lo sbocco più naturale, in fondo…

Io avevo appena smesso e per i primi due anni non ho più toccato la bicicletta. Mi sono buttato a capofitto nel lavoro nell’azienda di famiglia, mentre adesso sono per conto mio e ho un’azienda – Alabastro Italiano – in cui facciamo illuminazione su misura. Quando mi hanno chiesto di entrare, ho pensato che mio nonno era stato in Padovani, mio padre anche e così pure mio zio. A casa mia, quando si parlava di ciclismo, si parlava di Padovani. Però quando sono entrato, non avevamo niente, neanche un’idea di cosa fare.

E come è andata?

Assieme a me è subentrato Martino Scarso. Noi oggi siamo i vicepresidenti e poi c’è Galdino Peruzzo, presidente e sponsor principale, e da lì siamo partiti. Abbiamo organizzato un Giro del Veneto a fine agosto 2012, che al tempo si fece insieme alla Coppa Placci, con l’arrivo a Imola per stare vicini all’Emilia colpita dal terremoto. Ma fu un’edizione un po’ balorda…

Il primo ritiro si è tenuto all’Hotel Serenissima Terme di Abano Terme (photors.it)
Il primo ritiro si è tenuto all’Hotel Serenissima Terme di Abano Terme (photors.it)
Perché?

Perché il calendario era infelice e le squadre erano in giro per l’Europa. Dopo quella volta pensai che avremmo dovuto cambiare rotta e tornare a fare squadre. Investire su una corsa professionistica è impegnativo a livello economico e non rende niente. Per questo partimmo con gli juniores.

Hai raccontato di aver lasciato gli juniores quest’anno per passare alla continental perché vedevi comportamenti che non ti piacevano nei ragazzi e nelle loro famiglie.

Dicono che ci sia tanta professionalità, ma sono chiacchiere. Il ragazzino di 17 anni ha la testa di un ragazzino di 17 anni, altro che passare professionista. E appresso ha una schiera di familiari che mette bocca. Noi avevamo fatto tutto in maniera molto seria, ma non ne valeva la pena. Per questo abbiamo pensato di fare una continental.

Non una piccola differenza…

Al contrario, il passo è stato notevole perché noi vivevamo con i nostri sponsor, principalmente grazie a Polo e non potevamo chiedergli di più. Per cui abbiamo studiato per 7-8 mesi, finché abbiamo trovato un accordo con l’attuale direttore sportivo Franco Lampugnani, che ci ha presentato Renato Marini della Coppi Gazzera. Gli abbiamo presentato il progetto e lui ha risposto che se avessimo fatto una squadra dilettantistica, ci avrebbe dato una mano. E così siamo partiti.

Konychev, nella foto c’è anche Ongarato, si è unito alla squadra per ultimo e ha guidato il ritiro ad Abano Terme (photors.it)
Konychev, nella foto anche Ongarato, si è unito per ultimo e ha guidato il ritiro ad Abano Terme (photors.it)
In che modo?

Abbiamo presentato il progetto a Peruzzo, che lo ha autorizzato il 5 agosto. Alessandro Petacchi ha accettato di fare il team manager e non credevo che ci si sarebbe buttato con tanto impegno. Chiama i corridori, partecipa. Voleva fare un progetto giovani in Toscana, invece ha accettato di venire qui. Avevamo e abbiamo bisogno di un team manager che segua la squadra, perché abbiamo tutti i nostri lavori ed è necessario dividerci gli impegni.

Come lo hai convinto?

Nel ciclismo italiano, tolti i Reverberi che hanno una professional e Basso che sembra più una squadra spagnola, ci sono solo le continental. Forse è brutto da dire, ma la realtà è questa. Quindi, secondo me, serve che i campioni di una volta diventino punti di riferimento per i ragazzi, lo staff, il personale e gli sponsor. Questo serve.

Petacchi ha accettato subito?

Mi ha detto subito di sì. Gli ho tirato per sei anni le volate, gli ho tirato anche l’ultima per entrare in questa società. Lui ci conosceva già, perché era già stato per un paio di volte alla Gran Fondo di Padova. Conosceva il presidente, conosceva tutto il personale e di là siamo partiti il 5 di agosto con l’accordo con la Coppi Gazzera. Abbiamo creato un business plan per andare in cerca di sponsor. Avevamo dei contatti e alla fine sono entrati nuovi sponsor importanti.

La squadra sarà vestita da Giordana, marchio della grande tradizione italiana (photors.it)
La squadra sarà vestita da Giordana, marchio della grande tradizione italiana (photors.it)
Nello staff ci sono anche Slongo, Guardascione, Konychev…

E ci sono anche Simone Marini, mental coach dell’Astana, e anche Luca Simoni, perché avevamo bisogno di un nutrizionista. Lui lavora all’Università di Padova, è un ricercatore biologo ben conosciuto nell’ambiente. Attualmente lavora con l’Astana e sta seguendo i nostri ragazzi.

Avete già un’idea di calendario, a parte gli inviti?

Ne abbiamo richiesti molti. Mandiamo una mail di presentazione. Scriviamo che ci sono Petacchi e Konychev. Citiamo la storicità della squadra. E adesso dobbiamo solo aspettare le risposte. Intanto abbiamo fatto il ritiro dal 10 al 20 dicembre ad Abano Terme, all’Hotel La Serenissima Terme, che è nostro sponsor. Poi ne faremo un altro più breve il 2-3 gennaio per foto e altre attività. Dal 12 al 26 partiremo per la Spagna e chiuderemo il ritiro con una corsa il 24 a Valencia. Poi tramite Garzelli, potremmo partecipare alla prima corsa per professionisti. A quel punto inizieremo col calendario italiano a fine febbraio e faremo un altro ritiro alla metà del mese. Abbiamo chiesto di andare a Besseges, ma al momento non arrivano risposte.

Tanto estero?

Faremo un calendario internazionale. Abbiamo fatto richieste in Romania, Olanda, Belgio, Francia. Faremo il calendario più importante in Italia. Abbiamo già formalizzato la richiesta di invito alla Coppi e Bartali e tutte le prove che si possono fare. Mi auguro che ci invitino in più corse possibili fra i professionisti. Vorremmo farle tutte, vediamo se ci vogliono. Bisognerebbe favorire certe esperienze, soprattutto se l’attività in Italia è portata avanti da queste squadre.

La Sc Padovani Polo Cherry Bank ha 8 elite e 5 under 23 (photors.it)
La Sc Padovani Polo Cherry Bank ha 8 elite e 5 under 23 (photors.it)
Qual è il vostro obiettivo?

Fare sì che la Padovani torni ad avere una squadra importante. Non come negli anni 60 perché è cambiato il mondo ed è cambiato il ciclismo. Eppure per come siamo organizzati, con la tecnologia e le organizzazioni che abbiamo messo in piedi, con lo staff e i corridori, abbiamo 250 punti, che non sono pochi. Nel frattempo, nell’ultimo anno, abbiamo studiato le altre continental. Ci sono quelle serie e quelle che lo sono solo di nome. Secondo me, noi partiamo da un livello molto alto, ma l’obiettivo è crescere. E non vorrei dire altro, perché per ora siamo giusti così.

Una continental è a suo modo un’azienda?

Decisamente. I budget sono importanti, stiamo lavorando bene sotto l’aspetto marketing e social. Con gli sponsor abbiamo in progetto nei prossimi sei mesi di portare a bordo dei nomi importanti. Lavorando bene, se le cose si incastrano con un po’ di fortuna, possiamo anche pensare di fare il salto di qualità. Ma per adesso stiamo bene qua.

L’organico non è molto sbilanciato verso gli under 23.

Abbiamo 5 ragazzi elite e 8 under. Abbiamo iniziato a cercare i corridori il 5 agosto, abbiamo dovuto formare da subito l’ossatura della squadra, per cui faremo le corse più impegnative con gli elite. Siamo anche convinti che l’under 23 non sia pronto per il professionismo, malgrado qualcuno sostenga che a 20 anni si debba passare per forza. E’ lo sbaglio più grande. Per stare di là bisogna avere una certa esperienza, una certa resistenza, una certa testa. Però faremo anche attività con gli under 23. Abbiamo due ragazzi che secondo me possono tranquillamente puntare a passare professionisti e secondo me non ci vanno lontano.

Dal 2006 al 2008 Ongarato ha corso con Petacchi alla Milram: nel treno c’erano anche Velo e Sacchi
Dal 2006 al 2008 Ongarato ha corso con Petacchi alla Milram: nel treno c’erano anche Velo e Sacchi
E tu nel frattempo hai ricominciato ad andare in bicicletta?

Dopo quei due anni famosi, Fondriest mi invitò a fare una randonnée a Reggio Emilia. Non avevo la bici e neanche il casco e gli scarpini. E lui mi disse che mi avrebbe fatto trovare tutto in albergo. Arrivai alle dieci di sera e quando entrai nella stanza e vidi la bici, fu una folgorazione. Si è accesa la luce. Il giorno dopo ho fatto quei 40 chilometri, ma mi sono portato via la bicicletta e ho ricominciato a uscire. Piano piano, ma con regolarità.

Tiberi, Piganzoli, Pellizzari: motori (e testa) a confronto

22.12.2024
5 min
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Pino Toni non è un nome qualunque nel ciclismo: è uno dei preparatori più quotati e rispettati, con anni di esperienza e una capacità unica di leggere i corridori, i loro numeri e le loro prospettive. Abbiamo parlato con lui di tre dei giovani più promettenti del panorama italiano: Antonio Tiberi, classe 2001, Davide Piganzoli, classe 2002, e Giulio Pellizzari, classe 2003. Tre atleti con storie e caratteristiche diverse, ma uniti da un comune denominatore: il talento.

Toni ci ha offerto un confronto tecnico e umano sui loro “motori”, l’evoluzione anno per anno e le prospettive future. Ne è emersa una lettura interessante non solo del loro potenziale fisico, ma anche di quello mentale. «Anche se – ci tiene subito a chiarire Toni – Piganzoli è quello che conosco meno. Posso giudicare per quel che ho visto. Non posso basarmi sui dati di Strava, per un confronto vero servono i numeri reali».

Pino Toni ha collaborato con molti team e tutt’ora collabora con diversi team
Pino Toni ha collaborato con molti team e tutt’ora collabora con diversi team
Pino, partiamo da Tiberi: il tuo giudizio su di lui?

Antonio l’ho seguito quando era al Team Ballerini, lui è uno di quei corridori completi che eccellono sia in salita sia a cronometro. Ricordiamo che è stato campione del mondo tra gli juniores, un risultato che non arriva per caso. Il suo motore è davvero impressionante, ma ciò che colpisce di più è la sua completezza. Va forte su tutti i terreni, anche se non l’ho ancora visto nei contesti più estremi. Rimane comunque un ragazzo dotato, con ampi margini di miglioramento.

Chi ha il motore più grande tra i tre?

Tiberi ha il motore più grande. Quando era under 23 nell’allora ColpacK-Ballan, già emergeva come un leader, capace di gestire corse a tappe di livello. Già questo lo differenzia dagli altri due: Antonio è già molto più strutturato come corridore e come obiettivi. Ha un approccio più maturo, una personalità già formata, mentre gli altri sono ancora in fase di costruzione.

Gli altri due sono più piccoli: due anni a questa età si vedono?

Sì e no. Tiberi era più maturo anche quando era più giovane. Pellizzari, ad esempio, ha due anni in meno e si vede: deve ancora crescere sotto diversi aspetti. Fa sorridere quando Giulio chiede l’autografo a Pogacar (il riferimento è agli occhiali dopo la tappa del Monte Pana, al Giro d’Italia, ndr): non credo che Tiberi lo avrebbe fatto. Questo non significa che sia meno promettente, anzi. Tuttavia, è evidente che il suo processo di maturazione richiederà più tempo. Piganzoli mi sembra invece un po’ più impostato.

Pellizzari è il più giovane dei tre. E’ quello che forse ha più margini… specie a crono
Pellizzari è il più giovane dei tre. E’ quello che forse ha più margini… specie a crono
I tre sono paragonabili? Ci sono somiglianze?

No, non hanno grandi somiglianze. Tiberi è un leader nato, lo si vede anche dalle scelte di carriera: è passato direttamente con una squadra WorldTour come Trek-Segafredo, una scelta che riflette la sua ambizione e il suo talento. Pellizzari, invece, è ancora nella fase in cui deve dimostrare il suo valore. Piganzoli invece lo posizionerei a metà strada: ha una squadra che crede molto in lui e lo fa sentire importante. Questo potrebbe aiutarlo a fare il salto di qualità, ma il tempo ci dirà se saprà imporsi.

Diesel o benzina: che tipo di atleti sono?

La favola del diesel ormai non regge più. Nel ciclismo moderno, devi andare a “benzina a cento ottani”, cioè saper spingere al massimo sin da subito e mantenere un livello elevato ed essere capace di mangiare tanti carboidrati. Tiberi è senza dubbio più potente e performante. Pellizzari, invece, ha ancora bisogno di consolidare il suo motore, mentre Piganzoli ha già dimostrato di poter competere ad alti livelli, pur essendo ancora da definire completamente.

Tiberi, Piganzoli e Pellizzari sono i nostri uomini da corse a tappe, ma chi vedi più scattista tra i tre?

Piganzoli senza dubbio. In una corsa come la Liegi o la Clasica di San Sebastian, potrebbe fare bene grazie alla sua esplosività. Anche se poi vista la durezza di una Liegi un Tiberi può emergere lo stesso. Antonio, invece, è più adatto a percorsi duri e prolungati, dove la resistenza è fondamentale. Pellizzari si posiziona nel mezzo: ha spunti interessanti, ma deve ancora costruire un’identità precisa.

Piganzoli? Per Toni il corridore della Polti-Kometa è quello che ha il cambio di ritmo migliore
Piganzoli? Per Toni il corridore della Polti-Kometa è quello che ha il cambio di ritmo migliore
Chi è il più scalatore?

Come scalatori puri, Tiberi e Pellizzari si equivalgono. Entrambi hanno numeri notevoli, ma Tiberi ha già dimostrato di poter reggere il ritmo dei migliori. Pellizzari, al momento, rimane più indietro, anche se lui ha davvero ampi margini di crescita. Ancora non si è ritrovato nel vero testa a testa con i big. Piganzoli, invece, ha caratteristiche diverse: in salita tiene bene, ma è meno incisivo rispetto agli altri due secondo me.

Quali margini di miglioramento hanno?

Tutti e tre hanno margini importanti, ma è anche vero che il livello internazionale è altissimo. Pensiamo a corridori giovani come Ayuso, Del Toro, Torres, i due giovani belgi (il riferimento è a Van Eetvelt e Uijtdebroeks, ndr)… gente che già domina o comunque va fortissimo. Questo non significa che i nostri ragazzi siano meno promettenti, ma devono lavorare molto per competere con i migliori.

In conclusione, il tuo giudizio complessivo su questi ragazzi?

Tiberi è già un leader, con un motore superiore e una maturità che lo pone un gradino sopra gli altri due. Pellizzari ha ancora bisogno di tempo per crescere, ma il potenziale c’è. Piganzoli è un corridore completo, con caratteristiche leggermente più da scattista. Ripeto i motori di Tiberi e Pellizzari li conosco: il primo lo avevo alla Ballerini, come detto, e l’altro quando passò in Bardiani: so che possono fare bene.

Narvaez va con Pogacar, ma non vuole solo tirare

22.12.2024
6 min
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BENIDORM (SPAGNA) – A un certo punto, in uno dei momenti sfaccendati del primo ritiro, Pogacar gli è andato vicino e ha chiesto di farsi un selfie assieme a uno dei pochi che nel 2024 lo abbia battuto. Narvaez lo ha guardato, ha sorriso e si è prestato per la foto. Quell’immagine non è venuta fuori sui social, ma varrebbe il primo premio per l’originalità. Che Tadej non avesse digerito lo… scherzetto delle ecuadoriano sul traguardo di Torino al Giro d’Italia si era capito da varie sfumature nelle sue dichiarazioni. Significò non prendere la prima maglia rosa e non poterla difendere per ogni santo giorno fino a Roma. Per cui averlo adesso come compagno di squadra rende tutto più singolare.

Dopo quella vittoria, Narvaez ci ha provato ancora, ma altre vittorie non sono venute. Un secondo posto a Nova Gorika, battuto da Aleotti nel Giro di Slovenia, e un quarto alla Vuelta. Sinché, il primo agosto è arrivata la notizia del suo passaggio dalla Ineos Grenadiers al UAE Team Emirates. Ventisette anni, 1,74 per 65 chili, Narvaez arrivò al professionismo nel 2017 grazie alla Axeon Bermans Hagen di Axel Merckx, assieme a Eddie Dunbar, Neilson Powless e ai fratelli Oliveira, che ha ritrovato nella nuova squadra. Passò nel 2018 alla Quick Step con qualche piazzamento interessante che gli valse l’interesse dello squadrone britannico, in cui è rimasto per sei stagioni.

Dopo sei anni alla Ineos, Narvaez approda alla UAE Emirates: contratto per due stagioni
Dopo sei anni alla Ineos, Narvaez approda alla UAE Emirates: contratto per due stagioni
Come va in questo nuovo mondo?

Sto bene. E’ il secondo training camp che facciamo con la squadra e mi sono sentito il benvenuto già da quello ad Abu Dhabi. Conosco molti dei miei compagni, che hanno corso con me in precedenza. Ho un buon rapporto con Matxin. Ci sono alcuni massaggiatori che conosco, quindi mi sono sentito il benvenuto e la verità è che in una squadra questo fa la differenza.

E’ tanto diversa dalla Ineos?

Mi sono sentito molto fortunato nella mia carriera sportiva. Quando sono diventato professionista, la Quick Step era grandissima. Aveva vinto tanto, all’epoca era la migliore squadra del mondo. Anche la Ineos, quando ci sono arrivato, vinceva ancora il Giro e il Tour. E ora sono qui, nella squadra numero uno. Riguardo alla tua domanda, fra le due squadre c’è pochissima differenza. Entrambe hanno aspetti molto buoni. Ottimo materiale, ottimi allenatori, cercano continuamente di migliorare e questo è un bene. Posso solo dirvi che una squadra sta lavorando a suo modo su un tipo di percorso e l’altra va per la sua strada, ma entrambe raggiungono lo stesso risultato che poi è vincere.

Che cosa ti proponi per questa stagione?

Crescere, continuare sulla strada intrapresa, magari con risultati migliori. Nel 2024 ho vinto e, come dissi l’anno prima, spero di fare un altro passo avanti. Che poi significhi vincere o fare bene, l’importante è continuare a lavorare sulla stessa linea. Quello che voglio è lavorare bene, ho un buon supporto nel team e questo l’ho notato subito. Quindi sono molto motivato.

E’ il 2018, Narvaez è appena passato con la Quick Step. Al Tour Colombia, tappa di Tambo, viene bruciato da Uran
E’ il 2018, Narvaez è appena passato con la Quick Step. Al Tour Colombia, tappa di Tambo, viene bruciato da Uran
Sai già quale ruolo avrai nel team?

Come si può vedere, non è un team in cui sia facile trovare tutte le opportunità che vuoi. Chiunque sia vincente, sogna di farlo il maggior numero di volte possibile, metterle in fila su una bacheca, ma qui è difficile. Quindi la mentalità è ovviamente di vincere, ma puoi farlo quando hai le tue possibilità. Nel resto del tempo, dovremo giocare tatticamente per far vincere un compagno di squadra. Penso che, almeno nelle gare in cui Pogacar non c’è, non abbiamo ancora un chiaro favorito o un leader designato e questo è positivo. Però non posso dire di essere un leader, dovrò guadagnarmelo. Altrimenti lo farà un altro.

Sai già qualcosa del tuo calendario?

Nella prima parte dell’anno, sono molto entusiasta di fare le classiche. Il pavé e poi anche le Ardenne. Quindi il Tour de France per sostenere Tadej Pogacar. Più o meno sarà così.

Come vive Tadej il fatto di avere per compagno uno dei pochi che sia riuscito a batterlo nella sua stagione migliore?

Eravamo a Dubai e mi ha chiesto di fare un selfie insieme, dicendo proprio questo. Ne abbiamo parlato, gli ho impedito di prendere la prima maglia rosa, ma penso che per me sia stata una giornata molto bella. L’arrivo di Torino era molto adatto alle mie caratteristiche, ne avevo parlato a lungo con il mio vecchio allenatore. Era uno scenario in cui potevi pensare a molte cose, ma non che mi sarei ritrovato da solo assieme a Pogacar.

A quale finale avevate pensato?

Potevano rimanere 20 corridori, potevano essercene 10, sarebbe potuto arrivare qualcuno da solo. C’erano molti scenari possibili e in ciascuno di questi io sarei stato adatto a quel tipo di traguardo. Ed è andata così. Ho vinto perché ero uno dei più veloci in quello sprint a tre (con Narvaez c’erano appunto Schachmann e Pogacar, ndr). E’ una vittoria che ricorderò a lungo.

Adesso che corri assieme a lui, come pensi che sarà Tadej come compagno di squadra?

Per quello che lo conoscete anche voi e per come sto iniziando a conoscerlo io, so che sarà un buon compagno. E’ sempre aperto, sempre gentile, sempre sorridente, sempre calmo. Quindi l’impressione è che sarà un buon compagno.

Hai detto che tecnicamente Ineos e UAE non hanno grandissime differenze, cosa si può dire del clima in squadra?

Non si può paragonare uno spagnolo con un inglese. Hanno una cultura diversa, fanno le loro cose in modo diverso. Quindi, in termini di sport, in termini di struttura, in termini di come fanno le cose, le due squadre sono simili. Cercano sempre di migliorare e cercano sempre di improvvisare per vincere gare e tutto il resto. Ma sul piano dei rapporti personali, qui c’è un altro calore.

Ti mancherà qualcuno della Ineos?

Forse il mio allenatore, Adrian Lopez, che si è comportato molto bene negli ultimi tre anni e mi ha portato alle gare con la condizione che serviva. Ma qui ho conosciuto una persona molto brava, che è lo stesso allenatore di Tadej Pogacar. Vediamo quindi come andranno i prossimi anni. Se andassi come lui (ride, ndr), potrei anche accontentarmi.

Belgi e olandesi in massa a Milano, per Fenix e Van Vleuten

21.12.2024
6 min
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MILANO – Per avere l’idea di quanto sia popolare il ciclismo fra Belgio e Olanda, basti pensare a quanto è accaduto ieri a Milano. Ci era arrivato un invito da parte di Nico Dick, il press officer della Alpecin-Deceuninck, per la presentazione a Milano della Fenix-Deceuninck. Appuntamento alle 10,30 nello showroom di Fenix in via Quintino Sella, alle spalle del Castello Sforzesco. Alle 12, a due fermate della “metro verde”, ci sarebbero stati la conferenza stampa del presidente federale Dagnoni e poi il Giro d’Onore.

Quando alle 10,20 il locale si riempie degli inviati belgi e olandesi, che di solito incontriamo nelle grandi corse, ci viene il sospetto di qualcosa di grosso. Uno di loro infatti, giornalista di Wielerfiets, ci dice di sfuggita che sarà presente un grosso nome, ma non sanno chi. E per questo sono partiti in blocco da casa. Poi aggiunge che il grosso nome magari è tale per loro e non per noi. Incuriositi continuiamo ad aspettare, ma convinti di fargli una gentilezza diciamo a tutti che di lì a poco ci saranno a disposizione della stampa personaggi come Ganna, Viviani, i fratelli Consonni, Guazzini, Balsamo e tutto il ben di Dio del Giro d’Onore. Credete che uno solo di loro si sia mosso da lì?

Il team manager Philip Roodhooft ha fatto il punto sulla squadra e spiegato il ruolo di Van Vleuten
Il team manager Philip Roodhooft ha fatto il punto sulla squadra e spiegato il ruolo di Van Vleuten

Sorpresa Van Vleuten

Il grosso nome effettivamente c’è ed è quello di Annemiek Van Vleuten. L’olandese si è ritirata alla fine del 2023 a 41 anni. Si è data un gran da fare nel gravel e alla fine ha accettato l’offerta di Philip Roodhooft, team manager della squadra belga, perché ne diventi un po’ coach, un po’ ispiratrice e un po’ anche talent scout. Con quattro titoli mondiali, un oro olimpico a crono, la vittorie del Tour, di 4 Giri d’Italia e di 2 Vuelta Espana, oltre a 2 Fiandre, 2 Liegi, 2 Strade Bianche e 2 Omloop Het Nieuwsblad, Annemiek è considerata una delle dei migliori cicliste di sempre.

«E’ soprattutto un investimento – dice Roodhooft, presente a Milano – per raggiungere risultati migliori. La squadra ha lottato, ma manca qualcosa perché arrivi dove vorremmo. Il ruolo di Annemiek è difficile da inquadrare, ma non è indefinibile. Ad esempio, nella nostra squadra abbiamo un’atleta come Carina Schrempf, che due anni fa correva gli 800 metri. Non ha parenti che le abbiano insegnato ad andare in bicicletta, per cui si tratta di un processo per il quale se va bene servono cinque anni. Con Annemiek in squadra ad esempio, possiamo accelerare questo processo di apprendimento. In più può insegnare alle ragazze a correre in modo più intuitivo, prendendo l’iniziativa e fiducia in se stesse. Finora tutte le tattiche sono affidate al direttore sportivo, sarebbe bello che durante un’intervista l’atleta fosse capace di dire di essere scattata perché ha visto un’occasione».

Chiamata a primavera

Lei è rimasta per tutto il tempo seduta e silenziosa. Ha scattato foto quando Alessia Piccolo ha presentato le maglie in tre colori e anche quando lo stesso Roodhooft ha raccontato gli obiettivi di un team che ha consolidato il rapporto con Fenix fino al 2027. Solo quando lo chiamano sullo sgabello, inizia a raccontare la sua versione.

«Dopo la primavera, che è stata un po’ deludente in termini di vittorie – dice – ho ricevuto una telefonata da Philip Roodhooft. Mi ha detto: “Sentiamo che abbiamo ancora bisogno di qualcosa per aiutare le ragazze a fare il passo decisivo. Pensiamo che tu possa aiutarci”. Questa è una grande opportunità per me. Sapevo di non voler fare il direttore sportivo, perché penso che altri siano tatticamente più bravi. E non volevo nemmeno essere un allenatore. Quindi questo ruolo libero mi piace molto.

«Credo che la squadra abbia delle individualità molto forti – dice – di cui ancora non c’è consapevolezza. Prendo il mio esempio. Ho scoperto casualmente che potevo essere uno scalatore. Volevo andare ai Giochi di Rio ed è per questo che ho iniziato ad allenarmi forte in salita. Se qualcuno avesse espresso prima la sua fiducia nelle mie qualità, per me avrebbe fatto una grande differenza. Sarò una sorta di performance coach, sarà un viaggio di scoperta per me e per la squadra. Sicuramente ne ragionerò insieme alle atlete e vedrò come ottenere il meglio da ciascuna di loro e da tutta la squadra».

Nel 2022, Van Vleuten ha vinto la prima edizione del Tour Femmes e a seguire il mondiale di Wollongong
Nel 2022, Van Vleuten ha vinto la prima edizione del Tour Femmes e a seguire il mondiale di Wollongong

Tre atlete al massimo

Andando avanti con le domande, viene fuori però che il suo non sarà un impegno ad ampio raggio, ma piuttosto focalizzato su due atlete: Puck Pieterse e Pauliena Rooijakkers, la giovanissima star del fuoristrada ma vincitrice di una tappa al Tour e la terza dell’ultima Boucle.

«L’idea è di lavorare specificamente con tre ragazze – specifica però Van Vleuten – ma non è ancora del tutto noto quali saranno. Mi unirò alla squadra al ritiro di gennaio e conoscerò tutti. Potrei certamente lavorare con Puck, ma prima dovrà concludere la sua stagione di cross, per cui per ora la lasceremo in pace. Certamente in lei vedo una potenziale vincitrice del Tour. Ha molto talento, che però deve essere instradato. Deve scoprire se stessa. E penso che lo farà scegliendo dove vuole veramente eccellere. In questa squadra la priorità è che sia il corridore a fare la scelta e che riesca anche a divertirsi».

Con Van Vleuten due atlete della Fenix: Marthe Truyen e Yara Kastelijn
Con Van Vleuten due atlete della Fenix: Marthe Truyen e Yara Kastelijn

Più o meno una mental coach

Due parole Van Vleuten le riserva anche a Pauliena Rooijakkers, che ha 31 anni e non avrebbe mai immaginato di essere all’altezza di un podio al Tour de France.

«Da quando sono stata contattata nella scorsa primavera – spiega Van Vleuten – ho iniziato a seguire Pauliena con un po’ più di interesse. Mi rivedo molto in qualcuno che ha iniziato a scoprirsi come corridore di classifica già da grande. Parlandone e ragionando con lei, potremmo essere in grado di accelerare il suo processo. A volte questo significa semplicemente darle fiducia. Negli ultimi anni di carriera, mi è capitato di sedermi con il mio allenatore, cercando di capire quale potesse essere il mio ruolo. Ho anche studiato psicologia dello sport, perché penso che in questo momento sia la parte più interessante e quella in cui il mio contributo possa essere maggiore. Sono stata in gruppo per 18 anni, sarebbe brutto perdere la mia esperienza, vorrei trasmetterla alle ragazze più giovani».

Attirati da altri grossi nomi decisamente più azzurri, alle 11,45 abbiamo lasciato lo showroom Fenix, proprio nel momento in cui stavano arrivando i primi piatti del pranzo. La giornata era ancora lungi dal finire, gli amici del Nord stavano ultimando le loro interviste e si avvicinavano al buffet.

Giovani e professionisti: qual è la chiave giusta? Ce lo dice Borgia

21.12.2024
5 min
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Le parole di Ludovico Crescioli, che passerà professionista con i colori della Polti-Kometa (dal 2025 Team Polti Visit Malta) riguardo al corso ACCPI pensato proprio per chi come lui entrerà nel mondo dei grandi sono rimaste in testa. Il toscano ha descritto la giornata introduttiva, passata a Milano, come una prima infarinatura di quello che sarà. Si è parlato di tanti aspetti, non ultimo quello psicologico. In questo campo è intervenuta Elisabetta Borgia, psicologa dello sport. Nel suo discorso ha toccato punti interessanti, come quelli legati al porsi i giusti obiettivi per non rimanere schiacciati da una macchina che per alcuni potrebbe essere ancora troppo grande

Il corso ACCPI vede ogni anno ragazzi sempre più giovani, le porte del professionismo si aprono presto
Il corso ACCPI vede ogni anno ragazzi sempre più giovani, le porte del professionismo si aprono presto

Sempre più giovani

L’età media dei ragazzi che diventano professionisti si abbassa, è un dato di fatto. A fronte di gambe già forti per correre Classiche Monumento o Grandi Giri ci sono personalità ancora da formare

«Per quanto un ragazzo possa andare forte – spiega Elisabetta Borgia – quando diventa professionista compie un salto verso l’ignoto. La riflessione giusta che si deve fare è legata a quali possano essere le sfide giuste per un giovane atleta. Quello che si vede spesso è che i ragazzi sono iperstimolati e focalizzati sul proprio cammino di crescita. Il mio consiglio è stato quello di cercare, all’interno delle varie squadre, delle figure che possano guidarli e restargli accanto».

E’ importante trovare nelle squadre delle figure di riferimento, come è stato Pellizotti per Tiberi nel 2024
E’ importante trovare nelle squadre delle figure di riferimento, come è stato Pellizotti per Tiberi nel 2024
Che obiettivi si pongono?

A breve termine e legati spesso al risultato. Molti pensano: «Mi alleno due mesi in questo modo così alla prossima gara posso vincere». Ma non è sempre così, soprattutto quando si diventa professionisti. Le gare cambiano, diventano più lunghe e impegnative. Gli avversari sono forti. Non sempre allenarsi al massimo porta il risultato sperato, ma fa parte del cammino. 

Il tuo consiglio qual è stato?

Di cercare obiettivi realistici e sfidanti che siano totalmente concentrati su loro stessi. Non per egoismo, ma perché sia un cammino di crescita personale. Non guardare agli altri, soprattutto se il paragone viene fatto con corridori esperti e che corrono da anni in questo mondo. I primi mesi sono quelli più complicati e se ci si paragona agli altri si mettono ancora più in evidenza le difficoltà. 

I giovani che passano professionisti sono sottoposti a tante pressioni e molto stress, non tutti reggono (in foto Leo Hayter)
I giovani che passano professionisti sono sottoposti a tante pressioni e molto stress, non tutti reggono (in foto Leo Hayter)
Come mai i primi mesi sono difficili?

Già il primo ritiro è sempre uno schock. Cambia tutto: da come ti approcci ai coach, allo staff e ai compagni. Senti di entrare in una nuova dimensione rispetto a quello che eri abituato a vivere prima. La cosa importante è trovare il giusto equilibrio, anche se non è mai semplice. 

Anche se arrivano con la giusta motivazione?

Non credo di aver mai trovato un ragazzo poco motivato o che non sia disposto a fare qualcosa in più per migliorare. Anzi, il rischio maggiore è che il ciclismo e la crescita diventino un’ossessione. La maggior parte delle volte la delusione per un obiettivo non raggiunto arriva perché ci si è posti male il traguardo.

Gli juniores passano direttamente nel WT, questo è Beloki che a 18 anni è arrivato nella EF Easy Post, un salto che può destabilizzare
Gli juniores passano direttamente nel WT, questo è Beloki che a 18 anni è arrivato nella EF Easy Post, un salto che può destabilizzare
Cioè?

Se metto l’asticella troppo in alto il rischio è di non saltarla. All’inizio del loro cammino da professionisti devono ragionare a lungo termine. Quello che dico loro è di cercare ciò che serve loro per crescere e migliorare. Se riescono a farlo anche il debriefing diventa un momento di crescita. 

Cos’è?

Il momento in cui si ragiona su cosa mi aspetto, cosa ho fatto per raggiungere l’obiettivo e cosa avrei potuto fare meglio. 

I ragazzi diventano professionisti sempre più giovani, c’è il modo di tutelarli.

A mio avviso sì. Innanzitutto i devo team nascono per avere un passaggio intermedio tra la categoria under 23 e il WorldTour. Un giovane atleta ha la giusta prospettiva di crescita, lo staff e il modo in cui si lavora è professionale ma non così tanto come tra i professionisti. Si tratta di fare un passo intermedio che colma un gap che per qualcuno potrebbe essere troppo ampio. Questo, in particolare, se passano da juniores a professionisti. 

La nascita dei devo team è un modo per attutire il colpo facendo entrare i ragazzi in questo mondo passo dopo passo (foto Lidl-Trek)
La nascita dei devo team è un modo per attutire il colpo facendo entrare i ragazzi in questo mondo passo dopo passo (foto Lidl-Trek)
Il corso però è dedicato ai neo professionisti, quindi il salto è già stato fatto…

Ogni squadra ha degli psicologi oppure delle figure di riferimento per questi ragazzi. Possono essere anche i diesse o qualche coach. Ci sono persone in grado di avere la giusta sensibilità per comprendere lo stato emotivo dell’atleta. La crescita tecnica va di pari passo a quella professionale e atletica. 

Quando parli con i ragazzi cosa noti?

Che c’è una necessità evolutiva del ciclismo, in ragazzi under 23 corrono e vanno forte, spesso questo accade anche tra gli juniores. Alcuni fanno numeri che permettono loro di poter vincere tra i professionisti, ma non rappresentano la media. Il percorso di crescita deve essere proporzionato all’età. Non ci sono solo i watt, ma un progresso generale. Te ne accorgi nei faccia a faccia, sono forti ma hanno le stesse insicurezze di ogni adolescente. D’altronde lo sono ancora.

Work Service rivede i piani. Levorato: «Ci siamo. Ci saremo»

21.12.2024
4 min
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Con Massimo Levorato, patron della Work Service, squadra storica nel mondo del ciclismo giovanile, abbiamo fatto il punto della situazione. Una situazione che è decisamente in evoluzione. Si era vociferato infatti che la squadra juniores chiudesse i battenti e che la formazione U23 fosse rivista. Il tutto, come detto, in un momento estremamente particolare del settore giovanile sia a livello italiano che internazionale.

In realtà per le squadre Work Service, juniores, continental e anche allievi, non è così. Tuttavia non è un mistero che la categoria U23 rappresenti una fase transitoria delicata e che, in Italia, le difficoltà siano ancora più evidenti. Diverse squadre, infatti, nel 2025 non ripartiranno. Sentiamo dunque Levorato per comprendere le scelte e il futuro della Work Service.

Massimo Levorato è patron del gruppo Work service, azienda operante nel settore della logistica
Levorato è patron del gruppo Work service, azienda operante nel settore della logistica
Massimo, tanti anni di attività con Work Service: come si prospetta il futuro per il prossimo anno?

La squadra juniores manterrà la sua attività. Noi, come storica società Work Service Brenta, continueremo a collaborare con la famiglia Coratti. L’anno scorso abbiamo avuto ottime soddisfazioni da questa unione. Soddisfazioni che ci hanno permesso di creare una squadra solida, con un bel gruppo di lavoro e persone cordiali. Negli anni abbiamo formato ottime professionalità e sinergie che hanno portato molti ragazzi al passaggio di categoria. Tuttavia, le evoluzioni aziendali ci spingono a riflettere su come razionalizzare l’attività senza cessarla. Rimane la passione, che è sempre stata la nostra unica motivazione.

Si può parlare di un passo indietro?

Non direi un passo indietro, piuttosto un passo di lato. È un modo per garantire continuità e costanza nell’impegno sportivo. Work Service, come azienda, ha subito una contrazione di mercato, ma ci sono tante realtà collegate che supportano il movimento. Quindi, nonostante le difficoltà, il nostro impegno rimane vivo.

Partiamo dalla squadra juniores, che è un po’ il vostro fiore all’occhiello: come sarà organizzata?

La squadra juniores ci vedrà comunque parte attiva. Stiamo valutando se Work Service sarà ancora il primo nome o se lasceremo spazio a società che danno un buon contributo. Penso per esempio a Dynatek con cui collaboriamo da anni ed è un’azienda attiva.

E per la continental?

Anche per il 2025 continuiamo a supportare la Continental con Dynatek. Il presidente Iommi è una persona che stimo molto e ho deciso di continuare a collaborare con lui. Dopo anni con il Team Videa del presidente Marin, la compagine veneziana ha fatto una scelta diversa, ma il mio contributo a Iommi rimane solido per dare continuità al progetto.

Parlando dei tecnici, ci saranno cambiamenti? Il primo che ci viene in mente è Ilario Contessa, che incontrammo a Roma in seguito alla vittoria di Ferraro del GP Liberazione

Contessa, ad esempio, è sempre il benvenuto. È un amico e uno sportivo legato al nostro gruppo. La compagine juniores sarà però affidata al direttore sportivo di Coratti (Pierluigi Terrinoni, ndr), che è una persona molto attenta e precisa. Le risorse saranno razionalizzate in attesa di un rilancio nel breve periodo. Ma le fasi sono cicliche e noi ci stiamo preparando per ripartire al meglio.

Ferraro è uno degli ultimi gioiellini sfornati dalla Work Service: passa dalla squadra juniores alla VF Group-Bardiani
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Il distaccamento al Nord ci sarà ancora?

Sì, sarà ancora presente, ma la guida sarà unica con il direttore sportivo menzionato prima, supportato da figure storiche come Antonio Santoro, ex corridore della continental, che farà da accompagnatore per i ragazzi.

Massimo, quella che sta vivendo la tua squadra è un esempio dell’evoluzione, specie italiana, del ciclismo giovanile: qual è il tuo giudizio personale di questo particolare momento?

L’Italia fatica per motivi economici interni ed è ancora più difficile far appassionare le aziende. Anche nel mondo dei professionisti le difficoltà sono evidenti. La maggior parte degli sponsor sono multinazionali straniere e vedere marchi italiani sulle squadre è sempre più raro. Questo crea un dispiacere, specialmente per i giovani che spesso guardano all’estero per opportunità migliori. Tuttavia, è una realtà con cui dobbiamo confrontarci.

Affiatamento, lealtà impegno: i cardini di Levorato
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Secondo te, la categoria U23 è in crisi?

Sì, senza dubbio. Sempre più ragazzi passano direttamente dalla categoria juniores ai vivai delle grandi squadre. Chi non rientra in questi canali cerca di inserirsi nelle continental, ma spesso queste diventano solo un parcheggio che non porta a nulla di concreto. Questo è il dispiacere più grande.

Pensi che la categoria U23 possa scomparire come si vocifera?

È possibile, ma sarebbe un grave errore. La tendenza attuale è quella di passare direttamente ai vivai delle grosse squadre, ma la categoria U23 ha sempre avuto un ruolo formativo fondamentale. Bisogna trovare un equilibrio per preservarla.

Quali sono le prospettive per il futuro?

Come accennavo prima: ci sono dei cicli e per la stagione 2026 ci sono già alcune aziende interessate a tornare con noi. L’obiettivo è rimettere in pista un team degno della nostra storia. Siamo in attesa di tempi migliori, ma la passione e l’impegno non mancheranno mai.